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Autore: Redferne    11/01/2021    4 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 79

 

 

...E VENNE UN UOMO (?) DI NOME CYRUS

 

 

(SECONDA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I guerrieri erano radunati tutti intorno ed in circolo.

Avevano completamente riempito l'interno del gigantesco condotto sotterraneo che da MALE HARBOUR portava fino al caratteristico quartiere di FRUIT MARKET.

Piazzato e costruito giusto giusto sul confine tra i distretti di DOWNTOWN, che a dispetto del nome alquanto dispregiativo nonché degradante e declassante conteneva i palazzi ed i grattacieli più alti, lussuosi, esclusivi, in vista ed in voga dell'intera città e RAINFOREST, la foresta pluviale.

Si, si é capito benissimo. Così come si può perfettamente comprendere che a questo punto possano giungere dei legittimi quanto giustificati dubbi, da parte di chi ha deciso di mettere le proprie orecchie a disposizione per un eventuale ascolto.

Avete sentito bene.

Male Harbour. Il porto dei maschi. Un nome che era e che costituiva tutto un programma,ed insieme un'assoluta garanzia.

Male Harbour. Non Mole Harbor. Si faccia estrema attenzione.

Male Harbour. Anche se per un certo periodo, all'inizio, si chiamava proprio come quell'altro.

Si, esatto. Si chiamavano uguale, allo stesso modo.

Il luogo che adesso interessa a chi sta narrando e a chi sta seguendo la suddetta narrazione, il luogo che interessa e che ci riguarda da vicino, da molto vicino a chi sta parlando oppure ascoltando, e cioé NOI...nel principio aveva lo stesso, medesimo nome di uno dei tre golfi su cui poggiava, bello sdraiato su di un fianco e sul ventre alla pari di un monarca o di una regina nel corso di un lauto banchetto, il territorio, la porzione di superficie terrestre che gli occupanti di quel grosso quanto mastodontico tratto di tunnel avevano scelto ed eletto a loro landa dei sogni e promessa.

La loro SHANGRI – LA. La loro KUN – LUN. Ma solo perché termini come VALHALLA, AVALON e CAMELOT sono già stati impiegati in un altro luogo, in un altro tempo ed in altra sede, e su altre pagine. E mancavano giusto questi, perché bisogna comunque obbligatoriamente cedere un qualcosa ed insieme un poco di spazio anche ai territori orientali.

Si sa mai che, alla luce di recenti quanto gravi avvenimenti, un giorno di un futuro mica tanto poi così remoto debbano essere proprio loro i nuovi dominatori. Coloro che un domani non così poi tanto lontanto ci governeranno tutti quanti, imponendo ed imponendoci gusti, costumi, ricorrenze e e tradizioni. Ed il modo di pensare, di ragionare e di intendere.

Già si dice e si mormora che abbiano in mano tutto o quasi tutto quelli. A partire dai dati sensibili, telematici ed informatici, che oggi come oggi costituiscono il vero cuore ed il tesoro di ogni paese e di ogni nazione.

Capito? Altro che i cliché per stampare banconote o il lingotti di qualunque banca e tesoreria centrale, di FURDERAL RESERVE o di FUR KNOX che siano.

Altro che i KRUGERRAND, o che dir si voglia. O di qualunque altro conio speciale o particolare usato per operazioni finanziare di alto bordo, livello e profilo. E di massima riservatezza.

Ormai il vero patrimonio lo costituiscono una sfilza di numeri e lettere messe in sequenza più o meno casuale, a formare un codice.

Eh, già. Dal mondo in bianco e nero si é passati a quello digitale. Dove o sei uno...o sei zero.

Peerò. Da quanto tempo non si faceva più una bella rima.

Meglio iniziare ad arruffianerseli un poco, dunque. Non si sa mai.

Almeno, male che vada...ci si può mimetizzare meglio. E sarà più facile colpire senza venire riconosciuti, quando ci si inizierà a rivoltare contro lo stato delle cose. Contro a QUESTO stato di cose.

Perché sulle prime può anche piacere, é una novità. Il benessere apparente garantito dall'apporto del superfluo tiene buona e a bada la gente. Ma solo fino ad un certo punto.

Perché ben presto ci si accorge del grande inganno. Come ed alla pari di tutti gli altri venuti ed apparsi prima di lui.

E giunti a quel punto...non si può più seguitare a far finta di niente.

Non si può più stare e rimanersene zitti, buoni e muti.

E' inutile. Non si può trattare le persone da fessi. O meglio...non le si può trattare da fessi oltre ad un certo punto. O fin troppo a lungo. Prima o poi se ne accorgono.

Non si possono trattare le persone da pecore. Nemmeno le stesse pecore amano essere trattate da tali, anche se per loro stessa ed intima natura lo sono.

Su questo non ci piove, anche se esse stesse non lo vogliono ammettere.

E per prime, per giunta. Proprio come ha fatto una certa vice – sindaco che, sia nel bene che nel male, era finita sulla bocca e sulle fauci di tutti per aver provato a fornire una possibile soluzione ad un mucchio di grossi, grossissimi casini.

Per poi finirsene dietro alle sbarre, non appena si era scoperto che la maggior parte di tutti quei casini, se non addirittura la totalità...li aveva creati, gestiti ed orchestrati LEI, nientemeno.

Proprio lei, in perosna e sé medesima. A regola d'arte e per suo tornaconto personale. Nonché per sanare vecchi rancori mai sopiti verso una certa quanto ben specifica tipologia di mammiferi.

Ma almeno...per lo meno che si abbia l'accortezza, la decenza, il buon senso ed il buon gusto di non andare a dirlo ed a spiattellarlo in faccia e sul muso, che le cose stanno così. Se no dopo non ci si stupisca che il diretto interessato perde le staffe e la pazienza.

Una volta avevano più garbo e più rispetto. Lo mettevano ugualmente in un certo posto, a tutte quante le ore della giornata. Ma almeno...ungevano a dovere i condotti e gli ingranaggi, prima. Non erano così brutali.

Alle volte si pigliavano pure la cortesia di intrattenere al contempo sul davanti, per distrarre opportunamente e non far pensare al gran male che si provava.

Se non altro...si poteva pure arrivare a pensare che pigliarselo qualche volta dove ben si sa e dove si può ben immaginare non era poi la morte di nessuno, in fin dei conti. E nemmeno questa gran fine del mondo.

A due conti debitamente ed opportunamente fatti...non era la cosa peggiore che poteva capitare, nell'arco di una giornata. O di un periodo. O nella vita in generale.

Comunque, tornando a bomba ed evitando le continue divagazioni...

Male Harbour, non Mole Harbor.

Il porto dei Maschi, non il Porto delle Talpe. Giusto per ribadire il concetto, nel caso non lo si era ancora capito.

Non quello alle cui vicinanze vi era il territorio che le gangs avevano eletto a loro oasi protetta e quartier generale.

La No Name Territory.

NNT, per gli amici, gli occupanti ed i frequentanti. Saltuari o meno che fossero.

NNT.

Sull'intero golfo sdraiata.

Regina adorata.

Da tanti idolatrata.

Da tutti e chiunque mitizzata.

Ma ogni volta con espressione annoiata.

E con sempiterna aria svaccata.

E perennemente scazz...

Ok. Val bene avere recuperato le care, vecchie rime, ma adesso poi basta. Che altrimenti é un attimo, ad esagerare di nuovo.

Non certo questo gran che, come posto. In questo si doveva convenire senz'altro, e si era costretti a doverlo ammettere. Anche se poi ci pensarono loro, ad animarlo ed a ravvivarlo a dovere.

In una maniera tutta loro. Ed un fulgido esempio di uno tra i tanti modi con cui entusiasmare un poco gli animi e le lunghe serate lo può costituire quanto si andrà a raccontare tra non molto.

E di nuovo, a costo di essere oltremodo barbosi e di sfracellare e ridurre in frantumi oltremodo i cosiddetti...

Male Harbour. Non Mole Harbour. Sia ben chiaro.

E' un vecchio, vecchissimo vizio della grande metropoli e di chi vi abita, quello di confondere e di sovrapporre talvolta i nomi. E sia la cartina topografica che quella geografica, così come quella politica e fisica, risultanto essere piene zeppe di svarioni e strafalcioni di codesto tipo e genere.

Tipo Bayou Bay, ad esempio.

Si é deciso di chiamare allo stesso e medesimo modo un'ampia baia che dà direttamente sull'oceano e una piccola insenatura tra il famoso e già decantato terzetto di rientranze naturali che ospitavano il territorio nell'interno delle cui viscere vi avevano ricavato la loro fortezza segreta, nascosta e celata al resto degli altri occhi. Di tutti gli altri occhi dei ficcanaso dell'intero globo.

E quello, a differenza dell'altro...non lo avevano ancora cambiato. E non lo avrebbero cambiato mai, di questo passo.

C'era da scommettere che non lo avrebbero mai fatto.

E ciò valeva anche per i nomi di battesimo.

Si pensi che ancora c'é gente che confonde i dati anagrafici, con particolare riferimento al cognome, di parecchi cittadini. Specie alcuni che lavorano, operano ed esercitano la professione di degnissimi e stimatissimi agenti di servizio e di pattuglia in polizia e nelle forze dell'ordine. In quella che é la sede di un conosciutissimo e rinomatissimo distretto.

Il primo. Settore Downtown.

Il più antico. Il più prestigioso. Il più glorioso.

Davvero, gente.

Figuratevi che ancora adesso vi é gente stra – convintissima che nell'ordine un certo lupo bianco abbia il nome di una certa tigre, e che quest'ultima si chiami come un certo leone. E che un certo orso polare si chiami come il lupo bianco che si é descritto e nominato per primo.

Il clamoroso equivoco dura ancora oggi. E non é che i tanto decantati e presunti esperti, interpellati sulla cosa, abbiano potuto fornire delle risposte che si potessero definire quanto meno soddisfacenti.

Pare che persino colui che istituì l'ufficio dell'anagrafe stesso a Zootropolis, di fronte alla fatidica domanda, rispose tutto bello tronfio e sicuro di sé per poi rendersi conto suo malgrado di aver letteralmente CANNATO IN PIENO.

Quella volta salvò la faccia tramite e mediante la promessa di andare a ricontollare agli archivi il prima possibile.

E noi siamo ancora qui tutti ad attendere ed aspettare la risposta. L'esito di quella ricerca.

Così come l'ultimo dei Klugh.

Chissà se salteranno mai fuori, un giorno o l'altro.

Eh, si. Proprio come aveva detto un tale...si saranno anche evoluti, ma in fondo in fondo restano pur sempre ANIMALI.

Il progresso e lo sviluppo tecnologico, sociale e scientifico a Zootropolis e dintorni così come in tutto il resto del mondo, di quel mondo ha fatto veri, propri ed autentici passi e zampate da gigante.

Ma certi istinti non muoiono mai, e sono duri a scomparire.

Tipo la scarsa memoria. E l'ancor più scarsa abitudine ed attituidine al ricordo.

E d'altronde...cosa mai poteva importare avere memoria, durante i tempi antichi?

A chi mai poteva importare, d'altra parte, il ricordarsi?

A cosa serviva, a cosa avrebbe mai potuto servire ad esseri viventi che vivevano solo per nutrirsi di tutto ciò che stava sotto alla loro posizione nella scala alimentare nell'attesa di venire sbranati e divorati da chi gli stava anche solo un gradino sopra fino a giungere ai livelli più alti?

Certi svarioni devono essere proprio l'eredità ed il retaggio di quelle tare ed anomalie che un tempo erano congenite, negli individui.

Il mammifero sapiens...NON CI E' NATO, con la coscienza di sé.

Se invece ce l'avesse avuta e l'avesse posseduta sin dall'inizio, forse le cose sarebbero state un po' più facili. Per tutti.

E invece no. Se l'é dovuta GUADAGNARE, quella capacità.

Al contrario di nascere, di crescere, di mangiare, di bere, di combattere, di evacuare e di procreare.

Di vivere, insomma. E di morire.

Il costruire, il progettare, l'inventare sono arrivati dopo.

Molto, molto dopo.

In ogni caso...il centro di lusso ed esclusivo lo avrebbero potuto, anzi dovuto chiamare come meritava.

Che so...UPTOWN, o giù di lì.

Non l'esatto contrario. Non l'opposto di quel che in realtà é.

E comunque...Male Harbour, non Mole Habour. Che sia ben chiaro, ancora una volta.

L'ennesima.

Male Harbour.

Questo é il luogo dove avvenne quanto ci si sta accingendo a raccontare.

Che si aprano bene le orecchie e si sciacquino forte i timpani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricapitolando...

Dov'é che si era rimasti, per la precisione?

Ah,si.

Era una notte buia e temp...

No, no, no, no, no, no. Taglia.

Era un mattino luminoso e pieno di sol...

No. Non era nemmeno questo.

Ma allora quale cavolo di...

Ok. Ok. Ora ci siamo.

I guerrieri erano radunati tutti quanti in circolo, all'interno del gigantesco condotto sotterraneo che da Male Harbour portava, sempre grazie ad una fitta rete di analoghe gallerie, al quartiere di FRUIT MARKET, situato nell'esatta zona – cuscinetto che faceva e che fungeva da confine tra i distretti di Downtown e di Rainforest. Proprio nei pressi del altrettanto gigantesco secondo nodo di smistamento.

E come la denominazione faceva pressappoco capire ed intendere, e questa volta giustamente e con tutte le dovute ragioni di questa terra, per quel passaggio venivano condotte le primizie ortofrutticole provenienti dai distretti più limitrofi e remoti come le MEADOWLANDS. O le MARSHLANDS. Oppure DEERSBOUROUGH, la Contea dei Cervi.

E naturalmente anche BUNNYBURROW. E persino HAUNTED CREEK, un tempo. Anche se non é che quelle parti e quei paraggi avessero poi molto e questo gran che da poter offrire.

Non erano mai state molto ricche quando ancora non avevano iniziato e cominciato ad andare definitivamente in malora, e si sa bene per merito di CHI. Figuriamoci adesso.

Come si era già accennato in precedenza, per quelle gallerie passava e giungeva ogni genere e sorta di prodotto e materia prima necessaria alle industrie, al commercio e ai negozi che affollavano sia il centro che i settori vicini che periferici.

Ed anche in questo specifico caso, come lasciava intuire il nome del quartiere a cui era associato e che si trovava in superficie e gli stava giusto giusto e proprio sopra...per quel cunicolo con diramazione annessa transitavano carichi e carichi di frutta, verdura, sementi, granaglie, cereali, legumi ed ogni altro tipo di cosa che potesse provenire dalle campagne, dai pascoli, dalle colline e dalle montagne.

Persino non roba che fosse strettamente mangereccia, come piante e fiori.

Ma per quel giorno, anzi per quella sera, anzi per quella notte...quel luogo era stato trasformato. Diventando completamente qualcosa d'altro. Anche se c'era opportunamente da precisare che la sua funzione primaria non la svolgeva né esercitava più da un bel pezzo e da un sacco di tempo.

Per quella volta...quel condotto era diventato un'arena.

I componenti che formavano le varie gangs si trovavano tutti lì.

Chi in piedi, chi seduto in posizione opportunamente rialzata e sopraelevata sopra apposite sporgenze del muro oppure ricavate sempre da esso, in modo da farne dei rozzi spalti e delle rudimentali gradinate.

C'erano proprio tutti, quella notte. Tutti.

Tutti, davvero. Del resto, non potevano mancare.

Nessuno poteva mancare, in una simile occasione e circostanza. Nessuno avrebbe potuto.

Non avrebbero mai osato farlo. E nemmeno volevano.

Era un appuntamento troppo importante. Troppo.

C'erano davvero tutti. I migliori esponenti delle bande di tutta quanta la metropoli.

C'erano gli ECHO OF DARKNESS, i NIGHT STALKERS, gli ORPHANS OF BLOOD, gli HELLFIRES, gli STRAY CLAWS, gli HIGH SPEED EATERS, i RHYTM TERRORISM, i MOHRUHO FIERCE BLUE FIRES, i RUST CROSS, i MFBF ORPHANS, i BLACK LOTUS HATERS, i LAST CROSS RC, i FLAMES OF FURY, i SARACENS, i JONES STREET BOYS, i MOONRUNNERS, i VAN CORTLAND RANGERS, i DEL – BOMBERS, i PIPS, i WONG, i PHARAOHS, i RAYS, quelli di LESTER AVENUE...

Si. si chiamavano proprio così.

QUELLI DI LESTER AVENUE.

Quello era il loro nome completo.

L'elenco era potenzialmente infinito.

No. Era proprio infinito, invece. Era infinito e basta.

C'era da perderci la testa, a starci dietro. E non solo per tutta l'atrusa pappardella di nomi, nomignoli, soprannomi e sigle varie ed assortite.

La verità é che era un gran casino. Così come era un gran casino riuscire a raccapezzarvisi, per qualcuno.

Persino per quelli che ci stavano dentro, figuratevi un po' voi.

Tanto per fare un esempio, i Last Cross Rc erano nati da una costola dei dei Rust Cross.

Dopotutto...era proprio per quello che stavano le iniziali R e C.

Oppure, i MFBF Orphans provenivano da una frangia dissidente dei Mohruho Fierce Blue Fires.

Le quattro lettere M, F, B, e F significavano e si riferivano proprio a quel gruppo.

Perchè le proprie origini non le si dimentica mai. Non vanno né bisogna mai metterle o lasciarle da parte. Nemmeno quando, per improvvisa o inevitabile divergenza di idee, di opinioni o di linea di condotta o per qualsivoglia altro motivo si decida di abbandonarle o di rinnegarle.

Fosse anche solo per dar vita a qualcosa di diverso.

Di nuovo. Ma sempre lo stesso ed il medesimo, di fondo e di base.

Perché si resta sempre orgogliosi della propria famiglia, dei propri genitori e da dove si proviene.

E si cerca di mantenere e di proseguire il loro operato e le loro azioni, anche se la vita spesso porta a non far più parte di quel nucleo. Dello stesso nucleo che ci ha messo al mondo.

Ma la confusione é appena cominciata. Si é solo agli inizi.

Tanto per fare un altro esempo a casaccio, la dicitura ORPHANS veniva utilizzato ed impiegato da due bande in contemporanea. Per citare quelle più rinomate e conosciute, e tacere di eventuali altre. Perché forse che lo usavano ve n'erano pure di ulteriori, se la memoria non inganna. Anche se adesso come adesso non sovviene proprio.

Idem con patate con parole come EATERS o HATERS. Che non erano certo e nemmeno volevan dire la stessa cosa, ed oltretutto non avevano neanche lo stesso significato.

E i già citati DEL – BOMBERS?

Bisogna pensare che esistevano pure i BOMBERS, come banda.

BOMBERS. E basta.

Nient'altro, appresso.

Solo BOMBERS.

Inoltre termini come NIGHTS, FLAME, HELL, FIRE e tanti, tantissimi altri erano di voga e di tendenza, tra la lurida marmaglia e la canaglia pezzente che popolava ed affollava il sottosuolo. E ancora le strade, di tanto in tanto anche se non sempre. E comunque, non più come prima.

Li usavano e se li erano presi a loro utilizzo e consumo decine e decine di gruppi diversissimi tra loro. Maggiori e non. Importanti, minori o semplicemente insignificanti che fossero.

Per farla breve...un vero macello, insomma. Non ci si capiva nulla.

Per questo era necessario che uno si ergesse e si innalzasse al di sopra di tutta quella confusione e di tutto quel caos. Con tanta, tantissima sostanza ma nessuna apparente forma.

Una roba che era indubbiamente dalle grandi potenzialità. Ma che allo stadio attuale per lo meno riferito al tempo di cui si sta narrando, e per come stava messa, era pressoché impossibile combinarci qualcosa. Qualcosa che fosse come minimo decente.

Era un guazzabuglio senza capo né coda. E occorreva di sicuro un capo, questo si. E in quanto alla coda...

Ma non é il momento di affrontare tale argomento, su cui si tornerà senz'altro in seguito.

Sicuramente. Ne si può stare tranquilli e più che certi.

Non si poteva perché di banda ne mancava ancora una, all'appello.

E almeno su quelli non ci si poteva sbagliare, o commettere degli errori di confusione.

Perché erano UNICI. E a nessuno era venuto in mente di copiare il loro nome.

Non vi era nessuno, che vi si azzardasse anche soltanto a farlo.

Una banada dall'abbigliamento e dalla tenuta assolutamente singolare ed originale.

Nessuno li copiava. E non solo per una mera questione di timore o di paura. Ma anche perché nessuno era così pazzo da andarsene in giro conciato a quel modo.

Loro sì, invece. E se ne andavano pure per la strada, conciati così come erano. In pieno giorno, addirittura.

Fieri, con dignità, a testa alta e alla luce del sole.

Un bel rischio, non vi era niente da dire. Perché equivaleva per un galeotto o per un carcerato andarsene in giro bello bello con la divisa a strisce, simil blue – jeans, in tinta unita o arancione con livrea centrale a scacchi del penitenziario di appartenenza.

Così, naturalmente, come se niente fosse.

Come se si trattasse della cosa più ovvia, semplice, naturale e scontata di questo mondo.

Bazzecole. Autentiche bazzecole. Quisquilie. Pinzillacchere.

Già. Peccato solo che ad andarsene in giro così lo facevi capire praticamente a tutti, da dove venivi.

E la gente si regolava di conseguenza. E così anche la polizia, e gli sbirri.

Ma a loro non importava. E chi doveva regolare la cosa li lasciava fare, dato che in loro nutriva la massima fiducia. Così come in qualunque altra banda.

Ma in loro di più. Ed ancor più in chi li capeggiava, e comandava. Anche se da aveva da sempre preferito cedere il posto di comando ad un altro, e tirare i fili da dietro le quinte.

Così. Per non dare troppo nell'occhio. Che già lo si dava abbastanza e sin troppo.

E quindi...che facessero quel che volevano, se ciò gli aggradava e gli si confaceva così tanto, almeno secondo il loro nient'affatto modesto punto di vista.

Si era tra persone adulte, alla fin della fiera. Ognuno faceva le loro scelte, quelle che riteneva giuste e più opportune.

E nel caso le cose si fossero messe male...avrebbero pagato a spese loro e di tasca e pellaccia propria le conseguenze della loro scelta. Di una scelta tanto azzardata.

Erano nientepopodimeno che i BASEBALL FURRYES.

La gang di un tale che di nome faceva FINNICK.

MARION PROINSIAS FINNICK.

Embé? Che sono mai, quelle facce?

Che lo si conosce, per caso?

Lo si é mai sentito nominare? O ne si é mai sentito parlare?

Marion Proinsias Finnick.

Detto anche comunemente e semplicemente FINN.

Ma solo per gli amici. Che erano ben pochi, e che si potevano contare sulle dita di una mano. Monca.

Per gli amici, e basta. Mai, per i nemici.

Mai, per loro. Che al contrario erano tanti, tantissimi. Che non bastavano le mani tutte insieme delle dita, dei piedi e pure dell'insieme al gran completo delle due file di denti tutte sommate. E mettiamoci pure la coda, visto che prima se ne stava giusto parlando.

I Baseball Furryes. La banda di Finnick.

C'erano anche loro, quella sera. E a lui era toccato un posto di rilievo. Anzi...

IL posto di rilievo. Di spicco e di onore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutti i vari membri delle bande, messi tutti così insieme a dare vita ad una specie di arcana riunione, sembravano davvero formare una sorta di circolo magico.

Una di quelle barriere mistiche che in tempi lontani ed ormai immemori venivano erette dai druidi, dagli stregoni, dai sensitivi o dagli sciamani. Ed in alcuni casi anche dai sacerdoti, nel caso fossero ancora addentro alle partiche ancestrali nonostante la presenza della fede, che non ammetteva di certo l'esistenza e la convivenza più o meno forzata con cose simili e che fossero così pagane e contrarie alla spiritualità.

Ma che però erano e restavano particolarmente dure a morire, e men che meno a lasciarsi estirpare. Al punto che diventava necessario integrarle, a patto che riconoscessero di loro spontanea volontà di non avere più il ruolo e la presenza dominanti di prima.

Si voltava lo sguardo dall'altra parte, e si faceva finta che non esistessero. Ed in tal modo potevano sopravvivere anche loro.

C'era posto pure per quelle. Bastava solo che accettassero di cedere lo scettro, il bastone, la verga magica ad un altro stregone.

Magari meno potente, ma che quando si metteva a cianciare ed a raccontare le sue frottole e bubbole tutti si fermavano a sentirlo, e poco importava su quel che avesse veramente da dire.

E visto che si parlava di scettri e di verghe miracolose...

Ciò che stavano formando coi loro corpi tutti ammassati sembrava proprio uno di quei cerchi che veniano tracciati sul terreno con un bastone.

Oppure una muraglia, sopra alla quale veniva apposto un adeguato incantesimo di stampo e di genere difensivo. Che proteggeva la gente, i villaggi e le popolazioni dai mostri e dalle creature infernali. O più semplicemente dalle orde di barbari, vichinghi, predoni e briganti, che in certi periodi erano e costituivano dei pericoli ben più concreti e reali delle creature mostruose.

Dall'esterno, per farla breve e concisa. Che si trattasse anche solo di minacce create ad arte da paranoie, ansie e cattive influenze esercitate sulle menti. O sviluppate dalle menti stesse.

Insomma...dal di fuori, per volerla far breve e concisa. Da altrove. E da qualsiasi influsso potesse provenire da lì.

Proteggevano e salvaguardavano. Garantendo la sicurezza, l'incolumità, l'inaccessibilità ma soprattutto il SEGRETO.

Ciò che accadeva, tutto quel che accadeva all'interno del cerchio se ne rimaneva all'interno del cerchio stesso. Era destinato a rimanersene e restarsene lì.

Dentro al cerchio. Così come negli sguardi, nelle menti e nei cuori di chi e di chiunque quel cerchio la abitava, lo occupava e lo componeva.

E tutto questo valeva per ogni cosa.

Per i conciliaboli. Per le riunioni. Per le dispute e per i trattati. E anche per i duelli, i combattimenti e le risse.

E per LE LOTTE PER L' ASCENSIONE.

Era così, che le si chiamava e che venivano nominate, quando a loro si voleva far debito riferimento.

E cioé quando un compagno, un compare o un fratello si metteva in testa di scalzare chi stava sopra di lui.

Di solito uno appartenente allo stesso gruppo o banda, in modo da scalzarlo dalla sua posizione di rango, e fregargli così il posto. Fosse di comando o anche solo responsabilità o di assistenza verso colui che era il capo. O che anche solo lo rappresentava.

Ma la tal cosa poteva avvenire anche tra elementi appartenenti a diverse gang, se occupavano in qualche modo la scala gerarchica che manteneva il controllo, la disciplina e l'ordine tra i vari membri e gruppi.

Perché é vero che con tutte quelle bande era un gran casino, un casino da non potersi descrivere. Ma non erano affatto distaccate tra loro come apparivano ad una prima impressione ed occhiata, anche se la sensazione che trasmettevano era proprio quella.

E invece no. Perché per far funzionare tutto quanto, specialemente se si tratta di una simile moltitudine, bisogna prima di tutto inventare un sistema. Per poi imporlo.

Un sistema capace di adattarsi e di stare al passo coi tempi, senza tuttavia diventare eccesivamente rigido e dogmatico. Perché oltre che adattarsi, deve essere in grado di far adattare ad esso tutto ciò che tratta.

Altrimenti diventa solo lettera morta. E di conseguenza...carne morta.

E ciò che é morto non si può più evolvere. Mentre ciò che é e rimane vivo...impone. E si impone.

Il sistema.

Tutto deve passare per esso, e attraverso il suo filtro. Sia quel che verrà tenuto così come quello che verrà abbandonato. Sia le novità ritenute valide che quelle scartate perché ritenute scarsamente producenti.

In ogni caso, che fossero o meno della stessa gang, l'unico modo che aveva un guerriero per ottenere ciò che voleva e che un suo simile aveva era di affrontarlo.

Di affrontarlo, a muso aperto ed in singolar tenzone.

Uno contro l'altro. Fino al primo o all'ultimo sangue oppure alla resa, a seconda degli accordi che si prestabilivano tra i condendenti.

Un duello pulito, regolare, senza interferenze di sorta.

E quella a cui stavano assistendo a quell'ora di sera tarda era proprio una di quelle.

Rischiarati unicamente dalle fiamme racchiuse e tenute vive ed ingabbiate dentro appositi bracieri appesi al muro ed al soffitto da catene ed anelli in ferro ed acciaio temprato. Col primo che, per via dell'assenza di trattamenti, processi o leghe speciali ad arricchirne la sostanza e la composizione chimica, già stava venendo incrostato ed intaccato dai primi segni e morsi della ruggine.

Tutte tenute sospese e sollevate da terra. O in quel modo, oppure mediante aste con tanto di larghi piedistalli costituiti da protuberanze contorte al punto da parer simili a zampe di felino. Sottili, eppure al contempo pure grosse e vistose.

Fiamme e braci che, nonostante il vigore e i colori accesi e caldi, erano talmente vacue ed evanescenti da sembrare fuochi fatui. Che fuoriescono dal sottosuolo e dalle tombe per aleggiare come fantasmi inquieti nella vicinanza delle tombe di coloro che li hanno appena emessi dai loro corpi in decomposizione e putrefazione.

Proprio come ed alla pari di loro, anche se ne non ne condividevano affatto il colorito ed il colorino azzurrognolo inframmezzato da lievi e brevi sfumature verdastre.

Non che chi stava lì ne avesse poi questa gran necessità o bisogno di rischiarare opportunamente l'ambiente, dato che erano in gran parte predatori.

Non ve n'era da sorprendersene o da stupirsene. Pare che i predatori sviluppassero per istinto un'attitudine ed un comportamento con spiccate quanto evidenti tendenze di stampo bellicoso e guerresco, dato che già le possedevano per natura e dote innata.

Giacevano come addormentate, nel profondo delle loro coscienze.

Era nel loro DINN...pardon, nel loro DNA.

Si chiede venia.

In quanto tali...vedevano perfettamente al buio. Ma non importava, in fondo.

Quelle luci contribuivano a fare atmosfera. E comunque...non c'erano solo predatori e carnivori, lì in mezzo. Anche se costituivano la maggioranza e quasi totalità, da quelle parti.

Ma vi erano anche prede ed erbivori. Solitamente di grossa taglia, inattaccabili dai predatori in quanto in genere li temevano proprio per via delle loro monumentali dimensioni.

Era sera tarda, si diceva. O forse era notte. O magari non era né sera né notte, addirittura. Ma solo tardo pomeriggio, con le prime luci che già facevano capolino assieme all'imminente sorgere del buio.

O forse era il primo pomeriggio, e fuori c'era un sole che spaccava le pietre e scaldava le teste fin quasi a farle bollire. Fin quasi a far sciogliere il cervello per poi farlo liquefare attraverso i timpani ed i condotti uditivi e farlo fuoriuscire dalle orecchie.

Un solleone ed una canicola oltermodo spietati, come lo sanno essere solo quelli che si trovano alla metà giusta del confine tra Savana Central e Sahara Square. Che picchiano in testa per romperla, come e peggio di un assassino dotato ed armato di due voluminose biglie tenute assieme da una cordicella. Oppure una calza di spugna con dentro un mucchio di tondini, di sassi o di monetine.

Una versione senz'altro e di sicuro più grezza, artigianale e rudimentale, ma non per questo meno efficace.

Una luce, un caldo ed una temperatura che rompevano crani e scioglievano encefali e materie grigie. E che guastavano analisi, ragionamenti e pensieri.

Ma non importava. Perché tanto, lì dentro...era sempre buio.

E comunque, anche se così non fosse stato a loro, a quelli non sarebbe importato lo stesso. Neanche se il sole stesso avesse deciso di giungere fin là sotto, a splendere soltanto per chi vi abitava, vi risiedeva e ci viveva. Proprio come nell'antichità aveva avuto intenzione di fare un tale di nome Iperione. Che dopo aver assistito con estremo orrore al macello delle sue ragazze, delle sue pasciute, grasse, belle e formose vacche sacre di cui godeva alla vista ogni volta che risorgeva dalle acque del mare e dell'oceano ad opera di un furbone mezzo girovago alla perenne ricerca della sua isola e della ciurmaglia di marinai rozzi e mezzi analfabeti che gli stavano sempre appresso, per tutta risposta aveva deciso da quel momento in poi di andarsene nel sottosuolo a fornire energia gratis ai morti e al loro regno, governato dal sommo (si fa per dire) Ade.

E meno male che il grande capo, nonché suo diretto principale, gli aveva fatto cambiare idea. Scagliando una folgore seduta stante che aveva incenerito e fatto affondare la nave di quei mangioni disgraziati, dopo averla spezzata in due tronconi netti a partire dall'albero maestro, per poi farla affondare nelle profondità del mare color del vino. Ma impedendo così all'intera Terra di finire e di sprofondare per sempre nelle tenebre perenni.

Poco importava, comunque. Perché, anche in quel caso, il protagonista si era salvato. Anche se era rimasto praticamente da solo. Senza più amici né colleghi di viaggio. E pure senza yacht.

Ma poco importava. Almeno quasi quanto importava agli astanti e a tutti i presenti.

Non gliene sarebbe importato nemmeno se il sole stesso fosse sceso in mezzo a loro, come si diceva poc'anzi. Neanche se la nana giallastra e incandescente in questione si fosse messa a ballare il Tip – Tap con tanto di tuba, frac, occhiali scuri e scarpe con le tipiche piastrine di metallo sotto alle suole ed ai tacchi nel tentativo disperato quanto estremo ed inutile di attirare ancora una volta, per l'ultima e definitiva volta, la loro attenzione.

Erano tutti presi, rapiti, catturati e concentrati su quanto stava avvenendo davanti e appena sotto di loro.

Una Lotta per l' Ascensione.

In piena regola, e con tutti i dovuti crismi. Anche se con qualcosa in più. In più del solito.

Perché era sì una di quelle, certo. Ma al contempo era qualcosa di completamente diverso. E differente.

Anzi, a voler essere sinceri non la si era mai vista una cosa eguale, a memoria di tutti quanti.

Perché quella volta quello che tra loro veniva considerato il più forte e potente si era messo in testa di voler compiere qualcosa di IMPOSSIBILE.

Si. In quell'occasione uno di loro, per quanto forte e potente che fosse, e per quanto la sua forza, la sua potenza, la sua abilità e la sua ferocia fossero praticamente rinomate e temute da chiunque come e peggio della morte stessa...si stava accingendo a compiere un'autentica impresa.

Un'impresa a dir poco leggendaria. Oppure una pazzia di quelle inenarrabili. Il cui esito lo avrebbe potuto condurre alla gloria imperitura. O all'oblio eterno.

Difficile dirlo.

Era molto, molto difficile poterlo stabilire con estrema chiarezza.

D'altra parte il limite che separa le due cose é molto sottile. Alla fine é solo una questione di successo o di fallimento, a determinare il risultato. E come esso viene interpretato dalla gente.

Quella volta, il più forte tra tutti loro aveva voluto sfidare niente di meno che IL PIU' FORTE IN ASSOLUTO.

Voleva sconfiggere e quindi detronizzare il più grande e potente di tutti.

Il capo dei capi.

Il capo supremo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I due contendenti si trovavano all'interno e proprio al centro della porzione di spazio circolare che veniva formata e delimitata dalla calca tutt'intorno, che dava l'aria di ribollire tutta nonostante il religioso silenzio e riserbo.

I contorni infatti, nonostante la folla, riuscivano a mantenersi belli definiti. Fatta debita e dovuta eccezione per qualche piccola oscillazione avanti ed indietro dovuta ad alcuni piccolissimi spostamenti.

Ma ci stava. Ci poteva stare. E benissimo anche, considerando il tipo di gente e di individui che stava componendo quel circolo. E con cui in genere si aveva e ci si ritrovava a che fare in queste circostanze.

Era gente che amava l'azione, i combattimenti, i duelli, le botte ed il sangue che scorreva. Soprattutto quando riuscivano a vederselo e goderselo in prima fila.

Già era stata un'autentica impresa essere risusciti a tenerli tutti quanti zitti. E grossomodo fermi.

Un vero miracolo, a dir poco.

Obbligarli a rimanersene pure perfettamente immobili sarebbe stato pure troppo.

Era davvero chiedere troppo, a tipi così.

I due sotto osservazione si stavano muovendo in tondo, squadrandosi a vicenda.

Si spostavano seguendo le linee e la conformazione del cerchio che li stava contenendo ed ospitando. Ovviamente facendo, rispettando e tenendo da conto le dovute proporzioni ed i raffronti.

Ne stavano replicando la struttura, se pur nel piccolo che era loro consentito.

Eseguivano piccoli passi ed ancor più piccoli spostamenti laterali, con gli occhi di ognuno fissi e ben spalancati sull'altro.

Avevano fatto entrambi tanti di quei giri in tondo che ormai si era perso il conto di quante volte entrambi erano passati sulle rispettive orme, confondendole e cancellandole per poi sovrapporne di nuove.

Due pantere. Due maschi di pantera nera, per la precisione.

Entrambi a torso e a piedi nudi.

Uno dall'aspetto giovane, possente e vigoroso, nel fiore degli anni e della giovinezza.

La sua muscolatura era addirittura esagerata.

I fasci di fibre rosso chiaro e scuro anzi, rosso scuro ed ancora più scuro che la componevano erano gonfi, sproporzionati, quasi ipertrofici.

Gli davano a prima vista un aspetto quasi grottesco, con le vene e i vasi sanguigni che pulsavano e si ingrossavano sia a vista che a perdita d'occhio sulla superficie della sua pelliccia, intonsa e senza un solo graffio. E del colore della notte più buia.

Sarebbe venuto quasi da ridere al solo guardarlo, se non fosse che il messaggio che traspariva da quel quadro così abnorme non era certo di ilarità. E neanche di disgusto, nel peggiore dei casi e nell'eventuale presenza di anime particolarmente schizzinose e sensibili oppure dotate di un marcato quanto pronunciato senso dell'estetica e del bello.

No. Lì non esistevano boriosi o supponenti o vanitosi e smorfiose.

Non vi era spazio alcuno, per loro. E nemmeno gli sarebbe stato dato.

Mai.

Ed infatti il messaggio che vi traspariva non era di grettezza o di rozzezza. Ma piuttosto di potenza.

Potenza pura.

Trasmetteva una gran forza.

Una grande, grandissima forza. Almeno esteriormente.

A completare il tutto, il resto del quadro, vi erano le uniche cose che sembravano aver osato macchiare, deturpare, sfigurare quel manto così candido ed illibato nella sua nera purezza.

Che avevano avuto il coraggio di spezzare ed interrompere la sua regolarità e continuità.

Quattro scritte. Due per braccio, e le medesime per ogni arto. E tutte realizzate con vernice bianca.

Bianchissima.

Le prime due in verticale, ad altezza dei bicipiti. Mentre le altre due si mostravano in orizzontale, sul dorso delle zampe anteriori, con ognuna delle lettere che aveva invaso la zona che separava adeguatamente ogni nocca dalla successiva.

Le prime, da cui partivano le falangi della mano.

E in ogni avallamento c'era ben più di una, di lettera. Dato che non erano in egual numero rispetto alle minuscole depressioni da cui si diramavano le quattro dita.

Quattro parole. Nel mezzo come nelle parti finali e terminanti dell'arto su cui erano state realizzate. Su cui le avevano stampate.

In realtà la duplice copia di due, visto che quella su ogni mano altro non era che la replica esatta ed in miniatura di quanto diceva e sosteneva quella marchiata sull'elemento anteriore della coppia di muscoli antagonisti che partivano da appena sotto la spalla. E che da lì parevano addirittura esplodere, nonostante persino i deltoidi fossero di dimensioni a dir poco ragguardevoli.

Due scritte pittate di bianco, che lanciavano un messaggio forte e chiaro a chiunque si trovasse abbastanza vicino da poterle leggere. E che avesse avuto la sventura di trovarsele davanti, anche solo per caso.

Un messaggio che non lasciava trasparire né presagire nulla di buono, per lui. Per il malcapitato di turno.

DEATH.

DESTRUCTION.

Morte e distruzione. La prima sul braccio e sulla mano sinistra. La seconda su quelli del versante destro ed opposto.

Morte e distruzione. Quasi un segnale del destino che attendeva chi le avesse viste, chiunque le vedeva.

Morte e distruzione. Che su di lui e sul suo corpo viaggiavano a braccetto ed in coppia, accompagnandolo.

Sempre.

E per meglio dimostrare il concetto in questione doveva aver usato la tempera di tipo indelebile, per stamparsele ed imprimersele addosso in modo permanente, senza alcun rimedio.

Non aveva alcuna intenzione di tornare indietro, o sui suoi passi. Non sarebbe mai più tornato indietro.

Ma non era tutto. Per ottenere tale risultato non bastava di certo un misero pennello, o lo spruzzo di un aerografo. Altrimenti, per quanta precisione avesse potuto impiegare il tizio che lo aveva realizzato, su di una superficie omogenea eppure irregolare quale era il vello di un mammifero essa avrebbe finito comunque con lo spandersi o col disperdersi in cento o addirittura mille e mille rivoli, vanificando e rendendo pressoché inutile tutto il lavoro e gli sforzi svolti.

Tutt'al più...al limite sarebbe stata più che sufficiente una bella tosata per cancellare e rimuovere tutto quanto.

No. Lui aveva fatto qualcosa di più. Doveva aver fatto senz'altro qualcosa di più, oltre che spruzzarsi del colorante addosso. Perché era fin troppo palese e lampante che doveva aver fatto tutto quanto da solo, per conto proprio.

Nessun altro doveva essere stato così coraggioso ed insieme pazzo da mettersi dietro ad una cosa simile. A compiere un tale azzardo. Nemmeno se glielo avesse chiesto il diretto interessato, e glielo avesse concesso personalmente.

Per dare un minimo di stabilità edi forma a quella sequenza di lettere, prima di tutto doveva essersele incise. Direttamente nelle carni, con uno stiletto acuminato o addirittura mediante i suoi stessi artigli. E solamente dopo aver realizzato quei solchi, aveva provveduto a riempirli con la vernice.

Una vera follia. Ma lui era proprio il tizio specializzato in questo, stando a quel che dicevano tutti.

Nelle follie. E anche quel giorno era in vena di farne una bella grossa.

Una di quelle belle gigantesche. Memorabili.

In tutti i sensi ed indipendentemente dal risultato che avrebbe ottenuto compiendola.

A prescindere da come sarebbe andata a finire.

Allora, quelle scritte rappresentavano gli unici sfregi e deturpamenti presenti sul suo pelo.

Un pelo a dir poco perfetto, a quei tempi intrasiato unicamente di nervi, tendini e legamenti che scorrevano direttamente sotto alla sua pelle e a fior di derma.

Tesi, ritorti e tirati sino allo spasimo.

Da lì, da quel giorno in poi, una dopo l'altra, le cicatrici sarebbero considerevolmente ed esponenzialmente aumentate.

Fino a ricoprirlo tutto. Quasi interamente.

Per contro, l'altro condendente possedeva un aspetto decisamente più anziano.

La sua pelliccia appariva ingrigita ed incanutita in più punti, e tra di essa molte ciocche candide come la neve sbucavano qua e là seguendo un ordine casuale quanto imprecisato. Ma che esse, solo esse sembravano dover conoscere. E molto bene.

Un ordine ben preciso e prefissato, noto solo e soltanto a loro.

I suoi muscoli avevano ancora un aspetto piuttosto tonico e ben definito. Ed il suo corpo, tutto sommato, riusciva ancora ad apparire piuttosto vigoroso. Anche se a fatica.

Il suo proprietario dava tutta l'aria di continuare a possedere una discreta forza, a riguardo. Anche se, considerato il quadro d'insieme, l'impressione generale che dava era quella di essersene lasciata lasciata la maggior parte indietro, alle proprie spalle.

Lasciata per strada insieme al fiore dei suoi anni, a causa dell'incessante quanto inesorabile e spietato scorrere del tempo.

Si. Sembrava aver vissuto davvero periodi migliori, quel corpo.

Se fosse stato possibile poter effetuare delle scommesse su quel duello, ad una prima quanto generica occhiata l'incauto di turno avrebbe puntato senza alcun dubbio e senza nessuna paura tutto quanto disponeva sul primo dei due.

Quello più grosso, giovane e forte, tanto per intendersi.

Tutto. Fino all'ultimo centesimo. E senza alcuna esitazione.

Chiunque lo avrebbe fatto. Ed infatti...qualcuno, tra i presenti, aveva avuto l'ardire di farlo per davvero.

Soprattutto i più giovani, presuntuosi ed arroganti. Quelli che ad ogni consiglio erano sempre i primi a dare addosso a chi parlava ed interveniva, così smaniosi ed impazienti di far sentire la loro imperiosa voce e la loro ingombrante presenza. E convinti patologicamente e per natura che tutti pendessero dalle loro labbra, e che a tutti interessasse quel che avevano da dire. E da urlare.

Se non fossero stati lì, in quel momento, e se avessero avuto anche un minimo di formazione culturale di base...li avrebbe attesi senz'altro una sfolgorante carriera in campo politico, unita ad un radioso futuro sempre nel medesimo campo.

Perché ormai, tra seggi di un consiglio comunale o di un parlamento nazionale non conta più cosa si sa e cosa realmente si sa.

Conta maggiormente urlare quel che si sa. Poco oppure persino nulla che sia. Convinti che non vi é il bisogno di apprendere, imparare e conoscere nient'altro.

Quel che si conosce, o che si crede di conoscere...é più che sufficiente. Basta e avanza.

Ma si dice che per un solo idiota o imbecille che parla anzi, che urla e sbraita ve ne siano due intelligenti che preferiscono stare zitti. E tranquilli.

Perché spesso il saggio, quando ha una pessima opinione su qualcosa ma soprattutto su qualcuno, preferisce tacere. E rimanersene calmo. Per evitare qualunque genere di conflitto e mantenere una situazione di equilibrio.

Per continuare a mantenere la pace, fosse anche a costo di qualche compromesso. Un compromesso che spesso il saggio in questione é bene disposto a caricarsi sulle proprie fragili spalle pagando il conto in prima persona, indipendentemente da quanto possa risultare salato.

Per il quieto vivere. In nome di esso. E poi perché la realtà dei fatti, alla lunga, finisce col dargli il giusto supporto e ragione.

E così tra gli scommettitori vi era anche qualche membro anziano. Nonché piuttosto esperto, navigato ed afferrato per quanto riguardava e concerneva la lotta da strada.

Parecchio di più rispetto a tanti altri, questo era più che sicuro. Avendo presenziato ed assitito a molti altri, prima di quest'ultimo.

Non volevano arrivare a turlupinare i più giovani, ma erano convinti che una bella lezione, condita dal bagno di umiltà che invariabilmente ed inevitabilmente ne consegue, avrebbe fatto loro senz'altro un gran bene dando la giusta ridimensionata al loro smisurato ego.

E poi...alla loro veneranda età, qualche soldino in più per i loro bisogni e necessità non guastava mai.

Ecco perché. Ecco spiegato il motivo per cui loro, a differenza degli altri, avevano deciso di puntare sul secondo. Quello che a tutti gli effetti poteva essere un loro coetaneo.

A loro era bastato uno sguardo per capire e comprendere tutto. Perché la chiave, la soluzione per interpretare l'andamento del match e svelarne il possibile se non addirittura probabile sviluppo ed esito non andava ricercata nell'aspetto fisico. Ma nell'atteggiamento.

E da quel punto di vista...il vecchio non stava sbagliando nulla. Anzi, stava tenendo proprio il comportamento giusto.

Il solo che si potesse tenere, in casi come questi.

Mentre il giovane si era presentato sulla scena con l'impeto di un vulcano pronto ad esplodere e ad eruttare facendo fuoco e fiamme e lasciando tutta terra bruciata attorno ed intorno a lui, rimanendo sensibile e curioso ad ogni loro reazione e ad ogni commento sul suo conto...il suo diretto antagonista aveva optato per la strategia opposta.

Era apparso sin da subito con la calma serafica paragonabile a quelle di un monaco o di un'asceta.

Ignorando sia la folla che l'avversario.

Le voci, gli incitamenti e gli insulti non lo toccavano né sfioravano minimamente.

Aveva scelto una strada differente. Che forse lo avrebbe portato persino ben più lontano, nonostante il procedere e l'incedere lento e tranquillo.

Persino noioso, si sarebbe detto.

E adesso che il combattimento stava entrando nel vivo, i giovani si stavano rendendo conto con un certo qual rammarico che i vecchi che avevano tanto deriso e preso in giro per quelle loro puntate così balorde avevano ragione. Ragione da vendere.

Così come avevano capito con enorme scorno di aver malamente scialacquato il loro denaro, quel giorno. Di aver letteralmente buttato dalla finestra quei pochi soldi che era riuscito loro di racimolare. Che non é che ne girassero poi tanti, tra i vari gruppi.

Stavano sentendo una gran fitta dentro. Al loro amor proprio.

Ma era un dolore che avrebbe fatto loro bene.

Ed era la stessa, il medesimo tipo di sofferenza che stava provando in quel momento uno dei duellanti.

Il più giovane tra i due. Che nonostante la tracotanza di cui stava continuando a fare indebito quanto ingiustificato sfoggio, appariva in evidente difficoltà.

Il suo pelo era madido ed imperlato di sudore. Inoltre stava boccheggiando per la fatica, e si teneva per un fianco poggiandogli una mano sopra. A protezione della zona infortunata ma anche per impedire al dolore di diffondersi ulteriormente.

Un rigagnolo di rubino liquido gli scendeva da un lato delle fauci semiaperte. Sottile, ma incessante. E copioso, pure.

Lui, la fitta...non se la stava sentendo solo nello spirito. Ma anche nel fisico, a giudicare dall'aspetto.

Ma era difficile affermare e stabilire con chiarezza quale tra le due gli stesse facendo più male.

Sia il suo muso che i suoi occhi stavano tradendo un misto di nervosismo, inquietudine. Impazienza.

E frustrazione, anche. In particolar modo quest'ultima.

Frustrazione. Nervosismo. Inquietudine. Impazienza. E angoscia.

Tutti frutti di una rabbia e di una furia che non riuscivano a trovare ed ottenere il giusto quanto sacrosanto e legittimo sfogo.

Non riuscivano ad avere il tanto desiderato e sperato compenso nei termini di una vittoria.

Una vittoria schiacciante ed incontrovertibile che stava attendendo da un momento all'altro. Momenti che gli stavano sembrando giorni, mesi, anni. Secoli.

Ogni minuto che passava in quella situazione di stallo, per non voler dire di svantaggio, era paragonabile ad un millennio. Ad un'era.

Ad un'eternità.

Una vittoria, la sua, che aveva già cominciato a pregustare ancor prima di iniziare. Ma che però stentava ad arrivare.

Anzi...non arrivava proprio.

Eppure la stava attendendo tuttora. Ancora adesso. Non aveva smesso di aspettarla.

Era più che certo, sicuro di vincere. Al cento per cento.

Ma allora perché le cose stavano andando a quel modo?

Perché avevano preso quella dannatissima piega?

Non lo capiva. Non riusciva a comprenderlo, il motivo. Tanto meno era disposto ad accettare e a farsi andar bene quanto gli stava accadendo.

Era venuto lì con lo scopo di bruciare tutto e tutti. A partire dal primo che gli si era fatto avanti per fermarlo.

Ma adesso che era lì...non gli riusciva di appiccare l'incendio.

Quel maledetto non glielo permetteva. Non glielo stava lasciando fare.

Il vecchio, per contro, appariva invece come la personificazione stessa della quiete e della serenità incarnate.

Respirava profondamente e lentamente dalle grandi narici. Un respiro alla volta, con naturalezza e regolarità, senza minimamente forzare.

Ogni respiro, come ogni suo gesto, sembrava studiato e calcolato al millimetro. Senza lasciare nulla al caso.

Riprendeva ad inspirare solo quando aveva terminato di esalare e di buttare fuori dai propri polmoni tutta l'aria del respiro precedente, senza lasciarne o tralasciarne nemmeno una stilla.

La respirazione é un processo involontario, che la maggior parte se non la totalità dei mammiferi e degli esseri viventi esegue in automatico senza prestargli la benché minima attenzione. E nemmeno più di tanto riguardo.

Ma lui...lui era diverso.

Stava controllando con cura ed estrema attenzione ogni singolo passaggio di quell'operazione, come se lo smettere di farlo ne avrebbe in qualche oscuro modo pregiudicato le funzioni e la continuità.

Forse pensava che avrebbe smesso di respirare, se non avesse proseguito a farlo di sua propria volontà.

O forse, addirittura, riteneva di respirare solo e proprio perché era lui a volerlo. E che avrebbe potuto fare anche a meno e senza, se soltanto lo avesse voluto per davvero.

E c'era da giurare che avrebbe potuto fare lo stesso con qualunque altro mirabile meccanismo che lo stava animando e facendo vivere.

Con la circolazione del sangue. Col battito cardiaco. Coi pensieri. E con le emozioni e gli stati d'animo.

Lui non subiva le cose. Le imponeva. E prima di tutto su sé stesso.

Non subiva la vita. Non viveva perché qualcuno lo aveva deciso o glielo aveva imposto oppure ordinato.

Viveva perché ERA LUI STESSO, A CONCEDERLO. E a CONCEDERSELO.

Questa, era l'impressione che stava dando a tutti quanti.

I suoi occhi erano di un blu scintillante, nonostante la cupezza. E parevano vasti, profondi e limpidi quanto lo avrebbero potuto esserlo il mare. O l'oceano.

Entrambi di notte. Che ci sono anche se non si vedono. Ma che però si sentono. E che affascinano ma che insieme fanno una gran paura.

L'unico favore che fanno alla vista, nel mezzo di tutta quell'indistinguibile pece, é il bianco della schiuma sulla cima degli spruzzi, dei flutti e delle onde che li animano.

Ed infatti, di tanto in tanto, ad un'occhiata più attenta ed aguzza del solito e del consueto era possibile scorgergli il balenare di qualche bianca e candida scintilla nelle pupille, in mezzo a tutto quel blu così gentilmente e gratuitamente offerto dalle sue iridi.

La sua espressione era severa ma imperturbabile al tempo stesso.

Fissa. Immobile.

Sembrava scolpita nella roccia. Oppure nel legno.

Dava proprio tutta l'aria di essere una di quelle querce secolari o millenarie, da sempre stabili e ben piantate nel terreno tramite solide radici e fondamenta. E che offrono riparo, ristoro e riposo gratuito e spontaneo a chiunque ne abbia bisogno, persino senza che lo debba richiedere.

Oppure una di quelle massiccie scogliere che stanno all'imbocco di un promontorio, pronte a fronteggiare e spezzare anche l'onda più grossa, imponente e minacciosa, pur di impedirgli di ragiungere ed arrecare danni al porto di cui sono i custodi e i guardiani. E alla città, cittadina o villaggio che invariabilmente vi stanno dietro.

Proprio come quelli che stavano all'avanguardia di una nota baia che accoglieva profughi, esuli e migranti di ogni sorta e risma che decidevano di avventurarsi in una ben nota metropoli, all'alba della sua genesi e creazione.

Quando era ancora pura. E servivano braccia forti e volenterose, unite ad un animo ed un cuore puliti e limpidi. Per farla crescere bene.

Per lo meno, quelle erano le intenzioni.

Poi...qualcosa andò storto, almeno all'inizio.

Ma non importa. C'é sempre tempo, per rimediare, riaggiustare e rimettere le cose a posto. Al loro posto.

Tutto il tempo del mondo. E dell'universo.

Non é vero che tutto é perduto.

Piuttosto...andrebbe detto che tutto é ancora da fare. E da rifare.

Il vecchio dava e trasmetteva proprio quell'impressione.

Le sue braccia erano ancora forti, nonostante fossero chiaramente consunte. Le sue gambe stabili e solide, così come la posizione che stavano tenendo. Ed in quanto al cuore e all'animo...

Beh, per quel che riguardava loro bastava vedere gli occhi. Perché lo sguardo degli occhi é il loro stesso sguardo. Gli occhi sono il loro specchio. E se tanto dava tanto...

Uno sguardo, il suo, che al contrario di quello di chi gli stava davanti non era furibondo né ottuso né sbarrato. Ma piuttosto lucido, sereno e consapevole.

Uno sguardo reso luminoso da una profonda calma, non certo oscurato dalla collera.

Che la si poteva considerare altrettando profonda ma da cui, a differenza della quiete, nulla poteva nascere. E che da nessuna parte avrebbe potuto portare oppure condurre.

Occhi se sembravano scrutare, osservare e contemplare senza alcuna sosta il tutto. Come se fossero in attesa di qualcosa.

Qualcosa che sembravano conoscere bene.

Occhi che non contrastavano, non osteggiavano e non rifiutavano.

Mai. Ma che piuttosto apparivano impazienti, non vedevano l'ora ed il momento di abbracciare, accogliere, accettare quel tutto.

Comunque, se ancora vi fosse stato presente qualche dubbio o incertezza a riguardo, ai pochi detrattori rimasti sarebbe stato più che sufficiente guardare quel che stava facendo in quel momento.

Si stava comportando proprio come quei promontori appena descritti ed accennati.

Stava facendo proprio come loro.

L'aria e l'aura rabbiosa del suo rivale non lo stavano minimamente intaccando.

Le lasciava scivolare e disperdersi.

Le faceva scorrere, in modo che finissero con l'indebolirsi ed estinguersi da sé, da sole.

La sua strategia era stata pressoché perfetta.

Opporsi, fare resistenza, più che colpire ed attaccare apertamente.

Resistere, tenere duro.

Pochi colpi, ma buoni. E incredibilmente pesanti e potenti, ogni volta che andavano a segno. Praticamente a colpo sicuro.

Non era caduto nella trappola. Non aveva prestato né occhio né orecchio alle minacce, alle ingiurie, agli insulti e alle provocazioni.

Non le aveva degnate della benché minima attenzione. Non gliene concedeva più di quanto fosse realmente necessario. Ed il medesimo discorso valeva anche per le energie che stava impiegando.

La furia dell'avversario gli passava ai lati nei punti più lisci e si infrangeva invece contro quelli più grossi e ruvidi, sollevando grossi spruzzi che si disperdevano in mille e mille rivoli e gocce per poi dileguarsi nell'infinito.

Sembrava forza, quella. Ma non lo era affatto. Era solo disperazione ed impotenza.

Ecco quello che erano.

Pura rabbia per qualcosa di irrisolto, che nonostante tutto il gran da fare non sarebbe mai stato portato a compimento.

Lui, il vecchio, non glielo avrebbe permesso. Non glielo avrebbe lasciato fare.

Proprio come quele pietre tanto grandi e compatte da sembrare monoliti che spuntano dai marosi.

Che paiono essere sorti e venuti fuori direttamente dal fondale.

Eretti direttamente da lì, anziche piantati da sempre in quel luogo, in quanto facenti parte di qualcosa di più grosso che col tempo, con l'azione degli agenti atmosferici e magari, già che ci si era, di qualche terremoto o addirittura di eruzione vulcanica avevano finito col consumarsi, con lo sgretolarsi, col corrodersi, col corrompersi e con l'assottigliarsi.

Vecchi, scassati, rovinati. Ma sempre lì.

C'erano da sempre, e sempre ci sarebbero stati. E come ogni volta...

Anche questa volta i flutti avevano trrovato una barriera naturale troppo grande. Troppo forte. E davvero troppo, troppo resistente. E di fronte a ciò...

Di fronte a tutto questo non potevano che fare una cosa.

Non potevano che soccombere, come sempre. Come sempre avevano fatto.

L'ira della pantera più giovane non riusciva a trovare un bersaglio. Non riusciva a trovare uno sfogo. E a causa di ciò per alcuni, ed in virtù di ciò per altri, si stava mano a mano e gradatamente esaurendo. Sempre di più, ad ogni secondo che passava.

Stava perdendo la sua presa ed il suo potere. Ed il suo dominio.

Quel giorno era venuto lì in cerca di una vittima. Di una vittima SACRIFICALE.

L'aveva trovata, o almeno così pensava. La migliore che potesse trovare o anche solo sperare di trovare.

La più ricercata. La più desiderata. La più ambita, almeno per lui. Ma...

Ma putroppo la vittima non era stata tanto vittima. E adesso i ruoli tra loro si stavano invertendo.

Si stavano ribaltando.

Anzi...lo avevano già fatto.

Si erano già invertiti. Si erano già ribaltati.

Solo che lui non se ne era ancora accorto. O meglio, non voleva accorgersene.

Non voleva rendersene conto. Non voleva accettarlo.

La presunta e non più tanto vittima in questione, l'anziana pantera, al contrario stava una sorta di alone invisibile ma al contempo molto, molto tangibile.

Un alone che gli si stava diffondendo tutto intorno, e che poco a poco stava conquistando tutti.

Lo si sentiva, lo si poteva pecepire forte e chiaro, persino se non lo si vedeva.

Un'aura di fiducia e di sicurezza. In sé stesso, nelle sue capacità, nel ruolo che ricopriva e che era chiamato a ricoprire, e nei suoi guerrieri.

Non sottoposti. Perché nessuno stava sopra o sotto a nessuno.

Erano tutti uguali, contava niente nessuno. Ma tutti, ognuno era importante. Pressoché fondamentale.

Era...

Era CARISMA, detto in un'unica quanto semplice parola.

Era una dote unica, solo e soltanto sua.

La dote innata dei Re, dei generali, dei comandanti e degli imperatori.

La dote di un monarca.

La dote di un capo. La dote di un leader.

La dote di un comandante. Di un essere superiore. E la dote di un condottiero quale era lui.

Perché lui era la guida suprema di tutte le bande e le gang organizzate di Zootropolis.

Perché era l'unico ed il solo.

Perché lui era CYRUS.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Finnick era là.

Anche lui si trovava in quel luogo, quella sera. Anche se forse era pomeriggio, se non addirittura in pieno giorno.

Come già detto...era estremamente difficile poterlo stabilire con chiarezza e certezza assolute.

Non poteva mancare all'appuntamento. E a dirla tutta non sarebbe mancato per nulla o per nessuna ragione al mondo. Neanche per un pestaggio di quelli particolarmente violenti ed efferati contro qualche agguerrito quanto potenziale rivale che mirasse alla sua posizione.

E nemmeno per una bella pupattola da ribaltare ben bene di diritto e di rovescio su di un materasso o sotto a delle spesse e più o meno soffici lenzuola.

In realtà non sarebbe potuto mancare, nemmeno se lo avesse voluto. Nemmeno se avesse per davvero avuto la ragione ed il motivo più validi su questo pianeta, satellite orbitante compreso ed annesso.

Nemmeno davanti al capezzale dei suoi genitori. Nemmeno di fronte alla morte di sua madre.

Sempre almeno che ne avesse avuti. Sempre ammesso che avesse avuto una madre. O una qualunque femmina di mammifero di infimo ordine, di altrettanto bassissimo rango e di scarsissima igiene nonché principi morali che lo avesse messo a mondo urlando e maledicendolo, in mezzo al fango e alla palta più putridi.

Beh, quella ce l'aveva dovuta avere per forza. Anche se si diceva che fosse talmente vecchio che fosse stato la terra stessa a generarlo. Oppure una montagna, come un noto gigante dalla forza spropositata ed erculea reso celebre da una serie di film mitologici in costume. E dai pantaloncini del peplo imbottiti e resi gonfi dall'abnorme quantità di ovatta inserita al loro interno, per dare vita a quel bell'effetto PACCO che tanto risaltava gli attributi dell'attorucolo limitato dal punto di vista recitativo ma prestante e nerboruto che di volta in volta veniva chiamato ad interpretarlo.

Un vero figlio degli elementi, Finn. Che proprio come quel tizio non si curava di Dei, di angeli o di demoni.

Che non aveva rispetto ma al contempo nemmeno paura di nessuno, in quanto a nessuno riteneva di dover rendere conto. E nemmeno a sé stesso.

Si dice che alcuni ritengano che solo Dio li possa giudicare, e non certo i loro simili o consanguinei, se mai ve ne siano.

Beati loro.

A Finn...neanche Dio in persona, ci si doveva permettere o azzardare.

Nemmeno lui poteva.

Una vera forza della natura. Sulla cui età giravano voci e scommesse di ogni tipo, tra i guerrieri. E senza alcun controllo.

A voler dire il vero...uno a cui sentiva di dover rendere sempre conto qualunque cosa facesse...C'ERA.

C'era anche nel suo specifico caso, come si scoprirà tra non molto.

Ed eccolo lì, comunque.

Eccolo lì anche lui.

C'era.

Attento, presente e ben concentrato. Sempre sul presente, ovviamente. E fa pure rima.

Mancavano da un bel po', questo genere di precisazioni. Così come le rime e i giochi di parole, come già si é menzionato in precedenza.

Non era mancato lui, invece.

Quel giorno più che mai. In quel giorno più che negli altri giorni. Più che in qualunque altro giorno.

Intabarrato ed avvolto nella sua divisa. In quella che era la sua uniforme da battaglia.

Il vestito che non mancava mai di portare e di indossare durante le grandi, grandissime occasioni.

Quale era quella, dopotutto, visto che ci rientrava a pieno titolo e diritto.

Casacca, pantaloni e berretto con visiera tipici di un celebre quanto rinomato sport a base di lanci di palle e di colpi di mazza.

L'abito portato di rito sia dai battitori che dai corridori.

Due figure che si reincarnavano in una, dato che in genere e per regolamento gli venivano affidati e si ritrovavano a ricoprire entrambi ed ambedue i ruoli, indipendentemente dal fatto che fossero più bravi in uno piuttosto che nell'altro. Poiché la seconda mansione, quella di correre a perdifiato superando una base dopo l'altra di slancio, spesso poteva essere nient'altro che una diretta quanto naturale conseguenza della prima. A patto che filasse tutto quanto liscio come e più dell'olio. E che ogni cosa andasse come previsto e secondo i piani e calcoli.

Nel migliore dei casi e nella più ottimistica delle ipotesi bastava e avanzava la prima, da sola. Ed a quel punto la seconda non era nemmeno più chiamata ad intervenire.

Ma occorreva essere dei veri assoluti fuoriclasse.

Bisognava avere quel qualcosa in più, per realizzare un bel FUORICAMPO a regola d'arte, con tutti i dovuti e santi crismi. Ma soprattutto per saperlo realizzare SEMPRE, e per fare in modo che non si trattasse di un evento puramente casuale e fortuito.

Un po' come il tanto famoso e rinomato COLPO D' INCONTRO nella Boxe.

A chiunque gli può capitare di tirarlo almeno una volta nel corso della propria vita e carriera, per pura fatalità. E persino di imbroccarla, mettendolo a segno.

Ma alcuni tra i veri campioni dei campioni, e soltanto loro, arrivano addirittura ad imporntraci e costruirci sopra la loro intera tecnica ed il loro stile di combattimento.

Berretta, casacca e pantaloni sul corpicino minuto. E per quanto riguardava le fettine di piedi, il nanerottolo portava delle scarpette professionistiche con tanto di tacchetti omologati.

Una vera eccezione, la sua.

Di più: un'autentica rarità, visto e considerato il fatto che la totalità dei mammiferi soleva circolare tranquillamente e beatamente a zampe inferiori completamente nude.

Non vi era né se ne sentiva il particolare bisogno di portare calzature di sorta.

Non ve n'era assolutamente la necessità, tra i mammiferi in generale. Né tra le prede, né tra i predatori. Men che meno tra i ruminanti e gli erbivori, grossi o meno che fossero, visto che la natura stessa aveva provveduto, bontà sua, a fornirli ed equipaggiarli con una bella fonitura e dotazione di zoccoli in serie ed in numero di quattro, più che pronti all'uso sin dalla nascita.

Nemmeno loro ve ne facevano ricorso. Fosse anche solamente per ricoprirli o proteggerli, dato che al contatto continuo e ripetuto con l'asfalto avevano la preoccupante tendenza ad assottigliarsi e consumarsi più del solito, del consueto e del dovuto.

Le scarpe venivano quindi considerate poco più che un vezzo.

Uno sfizio, e nulla più. Oppure una roba da ricchi, un tratto distintivo da snob o da vips in piena regola.

Di sicuro erano inutili, questo si. Le si portava non perché servissero davvero a qualcosa, ma solo perché si voleva DIMOSTRARE qualcosa. O perché si pensava e si riteneva di avere qualcosa da dimostrare. A tutti i costi.

Dunque era da considerarsi un'anomalia bella e buona, la sua. Come senza dubbio lo erano i parastinchi con le ghette posti a protezione simultanea e contemporanea delle tibie davanti e dei polpacci dietro.

Sotto al completo spiccavano sia ai polsi che alle caviglie i bordi, gli orli ed i contorni di una calzamaglia nera. Nerissima. Almeno quanto lo erano i guantini tagliati alla base delle dita, ad esclusione della falange prossimale, e forellati all'altezza delle prime nocche.

Ma in quel caso specifico la sola eccezione la costituiva la colorazione in questione, dato che le uniche altre due tonalità concesse in quanto predominanti erano solo due.

Giallo e blu.

Il giallo vaniglia della divisa, con delle righe verticali blu scuro turchese a spezzarne la continuità e l'omogeneità. E anche la monotonia, a ben guardare.

Quello stesso blu si scorgeva in vistosa quantità anche sulla parte di vestiario dedicata e riservata a coprire e salvaguardare la sua schiena da possibili colpi d'addiaccio e freddure. E con quest'ultime non si intendevano certo le barzellette.

Che il dorso, come le terga, sono un patrimonio per un battitore. Ma anche per un pugile. E pure per un guerriero. Ma anche per un operaio, per un bracciante o per un lavoratore.

Per chiunque debba usare e far andare le mani, insomma. Indipendentemente dalla ragione o dalle motivazioni che possono spingerlo a farle muovere. Che ognuno ha le sue. E tutte sono da considerarsi valide e buone, in quanto personali e private.

La ornava sotto forma di una scritta in stampatello raffigurante il suo nome, all'altezza delle spalle. In compagnia di un bel doppio zero stampato ed appiccicato sopra un paio di dita più sotto.

 

FINNICK

00

 

Davvero una bella idea ed un'altrettanto bella pensata, niente da dire.

Ed anche un gran bel messaggio nonché una ben limpida dichiarazione d'intenti pure quella.

Zero.

SIPHR.

Il numero che da solo e preso come tale non aveva significato né quantità. Ma che messo in fila ad altri suoi gemelli poteva dar vita ad una cifra talmente enorme e spaventosa da non poter essere contenuta in nessun pallottoliere o calcolatore, elettronico o meno che fosse.

Un numero che poteva significare tutto, ed insieme niente.

Il nulla, come l'infinito.

Inquantificabile. Ed inqualificabile.

Comunque la cosa costituiva certo un gran bel colpo d'occhio, sicuramente.

Quasi quanto quelli che avrebbe potuto sferrare e far atterrare dritti dritti in faccia muovendo ed agitando la propria arma, che guarda caso era dipinta ed areografata con i medesimi colori.

Giallo vaniglia per la parte più alta e superiore. E più grossa, larga e voluminosa. Ed idem con patate per la parte più stretta, smilza ed affusolata nei paraggi del manico. E blu turchese per la sequela di parole che mostravano chiaro e tondo a chiunque la guardasse come si chiamava. Specialmente a quelli che si guadagnavano la scalogna, il merito o la colpa di riceversela e di beccarsela nel mezzo tra naso e fronte.

 

BETSIE

 

La sua compagna fidata di mille e di mille e di mille ancor più batttaglie. La sua metà.

Colei che costituiva un'estensione di sé stesso, a tutti gli effetti.

Una parte del suo corpo. Del suo cuore. Del suo spirito e della sua anima.

E non era tutto.

Della stessa tonalità era il blu con cui aveva dipinto l'orbita dell'occhio ed il braccio destri, nonché la parte laterale del muso dallo zigomo fino alla punta del mento e la zampa posteriore sulla sponda e lato opposti. Con quell'ultima dalla coscia in giù, per precisare.

Al giallo non ci aveva pensato. Ed in fin dei conti non ve n'era bisogno, visto che in vece ed in sostituzione c'era il giallastro sabbia naturale del suo manto. E andava detto che faceva e svolgeva il suo dovere in maniera a dir poco egregia, senza bisogno di aiuti o correzioni di stampo artificioso o artificiale.

Giallo e blu anche nel manto. In una sorta di speculare, regolare quanto stravagante e bizzarra alternanza. Come se uno specchio di tipo deformante partisse dall'esatta linea mediana del suo corpo e ne invertisse perfettamente i colori.

Ognuna della due metà era l'esatto contrario dell'altra.

Ed era proprio così si conciavano, lui e gli altri, quando per qualche ragione o per loro precisa volontà decidevano di mettersi in tiro ed in ghingheri.

Come già detto...anche lui, e loro, erano là. Ma Finnick non si trovava insieme al resto della sua compagine.

Come già detto anche questo, a lui era toccato un posto di rilievo. E d'onore.

IL posto di rilievo e d'onore.

Se ne stava di vedetta e in raccoglimento, con una spalla poggiata al fusto di Betsie, e le braccia tenute incrociate attorno ad essa.

La mazza era disposta in verticale e a testa all'ingiù, con la parte terminale in basso e la punta poggiata sul terreno, a fare da palo e da sostegno al suo assoluto signore e padrone.

Messa così pareva più una spada, che una mazza da baseball.

Erano su di una specie di basamento trapezioidale a sezione rettangolare, rialzato rispetto a tutta la pavimentazione circostante. E proprio vicino a loro, nel centro di quella parte sopraelevata, si trovava una strana struttura. Una sorta di agglomerato di scorze di pneumatici di varia foggia, composizione e misura comprendente praticamente ogni genere.

Si andava da quelli di bicicletta a quelli di auto, passando per quelli di ciclomotore e motociclo. E per finire, quelli a dir poco mastodontici di trattori, furgoni, camion, ruspe, tir e autotreni.

Impilati, ammontonati ed ammonticchiati nient'affatto in maniera caotica e casuale ma seguendo un preciso, meticoloso e scrupoloso ordine architettonico e geometrico. Sino a formare quasi...

Sino a formare una sedia. Una seggiola. Uno sgabello. Un seggio. Uno scranno. Una poltrona.

Un TRONO.

IL TRONO DI COPPERTONI.

Così era conosciuto, da tutti loro. E così da loro veniva chiamato e nominato.

Durante le riunioni Cyrus, solitamente, siedeva proprio su di quello. Piazzato al centro esatto di quella sottospecie di piedistallo. E Finnick si piazzava alla sua destra.

Ma non era il suo braccio destro, nossignore.

Perché per gente come quella l'unico braccio destro lo costituiva quello che si trovava attaccato al loro corpo.

Era comunque uno dei suoi luogotenenti. E ve n'erano a decine come lui, sparsi dentro a tutte le gangs.

I RAS.

Erano gli occhi e le orecchie del loro comandante, ed in quanto tali vedevano ed udivano tutto, solo per lui.

Ogni cosa. E solo a lui dovevano riferire.

Solo così, solo in tal modo si riusciva a gestire, controllare e tenere sotto disciplina una moltitudine così vasta, eterogenea ma soprattutto così turbolenta.

Ad ognuno di loro veniva affidato un nome, scelto da Cyrus stesso in persona. E solo Cyrus poteva e deteneva il diritto di usarlo.

Solo lui si concedeva il lusso di utilizzarlo. In quanto a loro, dovevano custodirlo gelosamente.

Anche Finnick aveva il suo. E di tutti e tra tutti quanti era il più fidato e valoroso.

Il migliore. E a detta di molti, se non di tutti quanti, il più che probabile candidato a prenderne il posto, un futuro e lontano giorno.

Un giorno che, a detta della piccola volpe del deserto, fosse dipeso direttamente da lui sarebbe anche potuto benissimo non arrivare mai.

Finn non si curava di quelle chiacchiere, e nemmeno gli prestava particolare attenzione.

Lui non voleva il trono. E nemmeno il potere.

Perché una spada non può comandare un esercito. Una spada può solo sferrare e menare fendenti e affondi per conto di la possiede, la usa e la manovra. E per colui per il quale il suo proprietario ha deciso di scendere in campo a duellare e combattere.

Per lui Cyrus era l'unico, degno capo. E senza discussioni od obiezioni di sorta.

Lo era adesso, lo era da sempre e sempre lo sarebbe rimasto.

In eterno.

Ogni sua parola, ogni sua azione, ogni sua decisione, ogni suo gesto erano adatti e calcolati.

Venivano effettuati al posto giusto, nel momento giusto, nella scelta di tempo giusto e nella giusta situazione.

Quando Cyrus parlava, si muoveva, decideva o agiva era come se non fosse lui a farlo.

Non lui e basta.

Perché un capo non può fare mai nulla per sé stesso e basta.

L'autorità, il rango, non esistono per sé stessi. Per una cosa così infima, misera e meschina.

No. Quando lui si muoveva, decideva, parlava, agiva, combatteva, VIVEVA...

Quando Cyrus faceva una oppure più o tutte di queste cose era L' UNIVERSO, a farlo.

Era l'intero universo che si muoveva, parlava, decideva, agiva, combatteva e viveva tramite la sua persona. Attraverso lui.

Era nobile, potente, assoluto.

Perfetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va?

Spero bene.

Prima di tutto...leviamoci il sassolino dalla scarpa.

Niente di grave, eh!

Voglio per prima cosa augurare un buon Natale a tutti quanti ed un felice anno nuovo.

Che questo 2021 possa portare ad ognuno di noi quel che più desidera.

Ma non bisogna assolutamente abbassare la guardia, mi raccomando.

Lo sapete già, a cosa mi sto riferendo.

Sarebbe un grosso, grossissimo errore pensare che un giorno di questo nuovo anno ci alzaremo dal letto una mattina e scopriremo che magicamente tutto é svanito ed ogni cosa é tornata alla normalità.

Non é così facile.

Come direbbe un vecchio bufalo di nostra conoscenza...

 

LA VITA' NON E' UNO STUPIDO CARTONE ANIMATO DOVE CANTI LA TUA INSULSA CANZONCINA E I DESIDERI PRENDONO VITA, E' CHIARO?!”

 

Piuttosto rude, ne convengo. Ma rende bene l'idea, direi.

Ci attende un periodo ancora piuttosto impegnativo, e non ne usciremo così presto.

Forse ancora più difficile del precedente, sotto certi aspetti.

Perché non é tanto la pandemia a spaventare, quanto quello che verrà dopo.

Siamo come in guerra, sotto certi aspetti.

Uno sta in trincea a schivare bombe e proiettili (di pura fortuna, il più delle volte. Non siamo in MATRIX, purtroppo. E nessuno fa di nome JOHN RAMBO), e quando fa ritorno a casa...ritrova solo macerie.

Siamo in un sistema economico talmente ipercinetico e sclerotizzato che si lavora il più delle volte per accumulare debiti su debiti.

E rimanere fermi un mese (e anche di più) equivale ad una CATASTROFE.

Uno la scampa a pallottole e granate e poi scopre che ad ammazzarlo e adargli il colpo di grazia ci pensano la fame e la miseria.

Ne usciremo, ragazzi. Bisogna solo aver pazienza.

E tenere duro.

RESISTERE.

Alle volte non si può fare altro.

Nel nostro piccolo (mi ci metto pure io) continuiamo a fare quel che sappiamo di dover fare. Per la nostra incolumità e di quella di chi amiamo.

In realtà credo non ci sia bisogno di fare sempre queste paternali.

Non voglio fare il saccente, ragazzi. Lungi da me.

E poi ribadisco che qui su EFP ci sono persone mature, accorte e di buon senso.

Ma sapete com'é...

Un vecchio proverbio afferma che “IL SAGGIO ASCOLTA UNA PAROLA E NE COMPRENDE DUE”.

Ok, adesso passiamo oltre.

Mi rincresce tantissimo non aver potuto pubblicare prima di Natale, per cogliere così la debita occasione di fare i consueti auguri a tutti voi. E al momento giusto.

Ormai...é già tutto passato.

Ma credo che gli auguri facciano sempre piacere, no?

Anche se in MOSTRUOSO ritardo.

E...si, lo so.

Sono in ritardissimo anche con la pubblicazione del nuovo capitolo.

Per la prima volta dopo un mucchio di tempo ho sforato, e pure di brutto, col limite di 30 giorni o giù di lì che mi ero auto – imposto.

Chiedo scusa a tutti.

Anche se, a conti fatti...per la bellezza di QUATTRO ANNI circa ho tenuto la media di un episodio al mese, o giù di lì.

Quindi, direi che ci può stare.

Ma mi voglio scusare di nuovo, con voi tutti.

Il fatto é che sto passando un periodo a dir poco allucinante, dal punto di vista lavorativo.

Siamo in ballo coi vaccini, e due delle sei aziende che lo producono dipendono da noi.

Tre, adesso.

Per farla breve a parte il 25, il 26, il 31, il primo dell'anno ed il 6 di Gennaio...non sono praticamente mai stato a casa. E i fine settimana non esistono praticamente più.

Al momento stanno rimpopolando il personale in modo da ridurre un poco la pressione su di noi, ma...ovviamente ci vuoel tempo, per formarli.

Ho avuto davvero pochissimo tempo a disposizione, e quel poco ho deciso di dedicarlo principalmente alla mia dolce metà e alla mia piccola.

Ma non ho certo smesso di scrivere, ci mancherebbe.

E finalmente...rieccomi di nuovo in pista!!

Allora? Che ne dite?

Ho ancora uno o due capitoli dedicati a questa, diciamo, “variazione” di cui vi parlavo la volta scorsa.

Dipende da come si svilupperanno gli appunti che ho tirato giù in merito.

Quindi...avremo modo di parlarne ancora nei prossimi episodi.

Ma intanto ecco a voi, in tutta la sua magnificenza, nientemeno che...

CYRUS!!

Il famoso Cyrus di cui Finnick parlava nella puntata precedente. E a cui faceva riferimento quando narrava del suo oscuro passato.

Ne sapremo molto di più sul suo conto nei capitoli successivi, ma come inizio...direi che non c'é male.

Volevo dare l'idea di un personaggio fortissimo, saggio e imbattibile.

Uno di quei personaggi che io definisco ASSOLUTI.

E non potrebbe essere di meno. Perché lui é il CAPO.

E' il RE. E' L' IMPERATORE.

Il comandante di tutte le bande che infestavano Zootropolis, quando per le strade regnava l'anarchia.

Il capo supremo, di tutti.

Compreso del nostro Finn. Che infatti lo considera l'unica persona che abbia mai rispettato ed ammirato, al mondo ed in tutta quanta la sua vita. In una maniera totale ed incondizionata.

Ciò che diceva Cyrus...era LEGGE.

Ed infatti, pur avendo deciso di rimandare eventuali spiegazioni nell'imminente futuro, una piiiccolissima precisazione la vorrei dare.

Riguardo al termine che ho usato per il titolo di questa mini – saga.

Il termine UOMO.

Non é un caso, se gli ho messo il punto interrogativo a fianco, tra parentesi.

Da come la vedo io, il termine UOMO nel mondo di Zootropolis NON ESISTE.

Gli esseri umani stessi non sono mai esistiti, stando a quel che hanno detto.

La vita lì ha seguito un'evoluzione differente, con i mammiferi che hanno assunto la posizione bipede e a cui é venuto il pollice opponibile. Che é quello che a noi consente di afferrare le cose e compier gesti un filino più complessi.

Inoltre, hanno sviluppato le aree cerebrali dedicate al ragionamento, alla fantasia e all'intelletto.

QUASI tutti, direi. Per gente come Tobey o Finn non ci metto la mano sul fuoco.

Hanno di fatto intrapreso il medesimo percorso che abbiamo fatto noi, nella nostra realtà.

Niente uomini, quindi. E perciò nemmeno scimmie e primati in generale, che di fatto possiamo considerare come nostri pro – genitori ed antenati.

Ed infatti la parola di cui vi parlavo in precedenza, UOMO. L'ho usata solo per il titolo e basta. Tra le righe del racconto non c'é.

Perché l'ho fatto?

Perché per loro é l'equivalente di voler mettersi ad identificare DIO.

Il personaggio che ho introdotto a partire da questo espisodio é qualcosa di assolutamente unico, nel suo genere.

Qualcosa di mai visto prima. E fra non molto ce ne acorgeremo, tutti quanti.

Quindi, per identificarlo e dare il giusto aggettivo che spetta ad un tizio così incredibile, non ho potuto fare altro che appellarlo con una parola che ne loro mondo NON ESISTE.

Ma ora bando alle ciance e alle spiegazioni.

Non bisogna mai spiegare troppo, quando si narra una storia.

Abbiamo davanti due tizi grandie grossi che si studiano e si fronteggiano. E quindi...

Cosa significa questo, secondo voi?

Bravi, indovinato.

Significa BOTTE DA ORBI!! A partire da prestissimo.

Da PRIMA DI SUBITO, come direbbe uno yak in fissa col naturismo più sfrenato.

Teniamoci pronti.

Bene. Ed ora, prima di chiudere, passiamo al consueto angolo dei saluti e dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a hera85, Sir Joseph Conrard e Devilangel476 per le recensioni al mio ultimo capitolo.

Poi a Iron_Captain (benvenuto a bordo, come si dice in questi casi. E grazie per aver iniziato a leggere e recensire la mia storia) per le recensioni ai capitoli 1, 2, 3, 4 e 5.

E grazie anche a RyodaushitoraIT per le recensioni ai capitoli 70, 71,72, 73, 74 e 75. e a Plando (ho visto il tuo aggiornamento, lo recensirò presto!)e DANYDHALIA per le recensioni al capitolo 76.

Ok, credo di aver messo tutti. E con l'occasione vi porgo i miei migliori auguri, di nuovo.

E come sempre, un grazie anche a chiunque leggerà il mio racconto e se la sentirà di lasciare un parere.

E lasciatemi aggiungere un'altra cosa.

E' STUPENDO, essere finalmente tornati tra tutti voi.

Auguri ancora, e...

 

Alla prossima!!

 

 

 

 

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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