Anime & Manga > BeyBlade
Segui la storia  |       
Autore: Chocolate_senpai    14/01/2021    2 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 4

 



- Una bambina? E di chi? Di Vorkov?-

- Che ne so ... non ho perso tempo a chiederglielo –

- Potevi farlo, già che c’eri –

- è semplicemente impazzito –

- Può darsi, ma è strano che lo abbia detto a te –

- Anche Yuriy ha detto la stessa cosa –

 

Da quando Boris gliel'aveva raccontata, quella storia gli era rimasta in testa. Una bambina ... ma più di tutto ad averlo tormentato era una lunga serie di coincidenze. Prima Ivan viene pedinato; poi lui e Andrew trovano i ladri in casa. E prima ancora, Igor chiama Boris per parlargli di un complotto di Vorkov.

Dopo quasi sette anni di assoluto silenzio.

Kai si portò il calice alle labbra, bagnandole appena. Sarebbe stato molto contrariato se quel monaco si fosse di nuovo fatto vivo, dopo tutta la fatica che lui e la squadra avevano fatto per radere al suolo ogni briciola della sua organizzazione. Perché era questo che era successo dopo l’ultimo campionato. E non erano stati soli nell’impresa.

 

- Sei sicuro?-

- Lo tengo d’occhio da anni. Ne sono certo –

- Un passatempo un po’ rischioso –

- Mi ha preso e calpestato, lo ha fatto con me e con gli altri. Il minimo che possa fare è distruggerlo –

- Stai attento a quello che desideri Michelle, quando scendi all’inferno non puoi più tornare indietro –

- Correrò il rischio –

 

Era stata una collaborazione proficua quella con l’ex Barthez Bathallion. Ragazzi in cerca di un modo per placare il loro odio, e in possesso di una moltitudine di informazioni utili sulla BORG, finite nelle loro mani come manna dal cielo dopo l’arresto dell’allenatore psicopatico. Tutto quello che Yuriy poteva desiderare. Dopo aver combattuto da soli, avevano deciso di collaborare, frugando tra i bassifondi di tutto quello che poteva anche solo lontanamente sembrare illegale, tagliando i fili sottili con cui Vorkov cercava di tenere ancora saldo il suo imper. Quegli anni erano culminati con la loro vittoria; ma non avevano reso la loro vita più facile.

Kai sorrise, un sorriso velato di tristezza. Giorni passati a fuggire da tutti, a nascondersi; si rischiava ogni secondo la testa, ma nessuno si era fermato. E forse quell’adrenalina, quella che senti quando svolti vicoli bui a testa bassa, con un documento falso in una mano e una pistola carica nell’altra ... era quello che gli mancava. E, di questo ne era certo, mancava anche a Yuriy, a Boris, sicuramente a Ivan e persino a Sergej, chiuso in un asilo nella periferia londinese. Cercarsi una vita tranquilla non faceva più per loro. 

Sospirò, poggiando il calice al tavolino in mogano. In qualche modo si era abituato alla piattezza della quotidianità. Ma ora qualcosa si stava ... incrinando.

- Sei in anticipo –

La voce profonda lo raggiunse dall’uscio. L’uomo posò la valigia a terra, subito raccolta da un ragazzo che vestiva la divisa dell’hotel. Chissà se da anziano anche lui avrebbe avuto la voce potente del nonno?

- Hito ... – Lo chiamò per nome, ovviamente. Il fatto che fossero tornati in rapporti rispettabili non significava che la distanza tra loro si fosse assottigliata. L’uomo non fece tante cerimonie. Era diverso tempo che non vedeva il nipote, ma per lui e i suoi viaggi d’affari era normale amministrazione. Quello che lo aveva colpito era la proposta di Kai di tornare in Giappone insieme. Insolito da parte sua.

- Ti sei goduto la città?- Lo chiese senza interesse. Sedette nella poltrona al lato opposto del tavolino. Lasciò che un cameriere gli versasse del vino nel calice, senza però toccarlo.

- Sono stato da Yuriy – tagliò corto Kai. Era da quando aveva incontrato i ragazzi che si arrovellava su quanto la mano del caso avesse effettivamente a che fare con quel concatenarsi di recenti avvenimenti. Ma lui era un essere estremamente razionale; tutto parte da una causa e arriva a un effetto, pulito come un ragionamento cartesiano. Al di sopra di ogni dubbio metodico.

- Non credevo fosse a Londra –

- Sì, lui e gli altri abitano qui per ... vari motivi – Era troppo lunga da spiegare la storia, e Kai era troppo curioso di soddisfare i suoi ragionamenti per raccontarla – Senti ... vorrei chiederti una cosa –

L’uomo non si scompose, nè spostò gli occhi dal plico di fogli che teneva in mano. Non staccava mai la testa dal proprio lavoro. 

Kai accavallò le gambe, raddrizzandosi sulla poltrona. Cercò il modo più diretto e pulito per fare la sua domanda.

- Una vecchia conoscenza del monastero ha incontrato Boris. Gli ha detto che Vorkov sta macchinando qualcosa che riguarda una bambina

Hito non si mosse, ma Kai era certo che la sua attenzione fosse rivolta verso di lui.

- Ne sai qualcosa?-

Non voleva suonare come un’accusa verso il nonno; Kai era abbastanza sicuro che il parente ormai fosse fuori dal giro di affari con la Russia. Ma mettere l’uomo alle strette era l’unico modo per farlo partecipare alla discussione. Nella penombra del salottino elegante, tra le ombre gettate sul pavimento dalla lussuosa mobilia, il ragazzo fu sicuro che, per una frazione di secondo, gli occhi di Hito si fossero posati su i suoi, combaciando alla perfezione. Lo avrebbe negato per tutta la vita, ma non c’era nessun familiare che gli somigliasse tanto quanto suo nonno.

- Non sento parlare di Vorkov da tempo – Risposta evasiva, ma calcolata.

- Forse te ne aveva parlato quando eravate in affari –

- Non ricordo nulla del genere –

- Magari c’è qualcosa fra i vecchi documenti del monastero –

Solo a quel punto Hito lo guardò davvero. Assottigliò gli occhi, abbassando il plico di documenti di modo da avere una buona visuale del nipote.

- Di quali documenti parli?-

- Non fingere Hito, vivo in quella villa da abbastanza tempo per sapere che certe cose non si buttano mai via-

- Mmh –

Hito abbassò gli occhi. Kai riprese in mano il calice, bevendone un piccolo sorso.

Touché

Nessuno aggiunse altro finché, finalmente, l’uomo non poggiò i fogli sul tavolino rivolgendo tutta la sua attenzione al nipote. Giunse le mani sulle gambe, guardandolo con un misto di curiosità e severità insieme.

- Se non ricordo male, vi siete battuti per diversi anni per eliminare ogni traccia di quel monaco –

- Pensavamo di esserci riusciti –

- E ora non lo pensate più? Solo perché ve lo ha detto un ragazzo che non vedevate da anni? Credevo di averti insegnato che la sicurezza in se stessi è la chiave per una vita brillante –

Non aveva tutti i torti. Forse Kai stava dando troppo peso al discorso di un uomo definito addirittura squilibrato da Boris. Ma, come già è stato sottolineato, Kai Hiwatari non credeva al caso.

- Forse sono solo storielle inventate. In ogni caso, tu ne hai mai sentito parlare?- Cercò di ignorare i tentativi del nonno di disarmarlo psicologicamente. Voleva una risposta alla sua curiosità, e l’avrebbe avuta quella sera.

- Il monastero è diventato un’ossessione anche per te quindi. Credevo che tu e quei ragazzi vi foste liberati-

- Desidererei una risposta, o forse devo credere che la vecchiaia ti stia dando problemi di memoria?-

Hito incassò il colpo. Sapeva di essere sulla via dell’anzianità, ma essere accusato di inefficienza era per lui inaccettabile. La sua mente era ancora un computer perfettamente funzionante.

Kai continuò, sicuro di riuscire a rompere la muraglia di mutismo del parente; e sicuro che dietro di essa si nascondesse qualcosa.

- Quando i ladri sono entrati in casa hanno evitato ogni possibile oggetto prezioso, buttandosi a capofitto sulla cassaforte. Ne deduco che lì ci fosse qualcosa di importante –

- Se credi che tenessi in casa dei documenti dei tempi del monastero sei davvero un ingenuo –

Gli occhi del più giovane si illuminarono.

- Quindi c’è qualcosa –

- C’era –

Kai aggrottò le sopracciglia.

- In che senso? –

Hito abbassò gli occhi, guardando pensieroso il pavimento. Erano vecchie storie, ma Kai aveva ragione: i documenti in quella casa non si gettavano mai. Prese il calice e bevve controvoglia, solo per guadagnare un secondo in più di tempo.

- Vorkov mi informava raramente delle sue follie, a meno che non richiedessero un finanziamento. Come tu ben ricorderai, all’epoca i nostri scopi presero una ... via divergente – Ruotò il vino rosso nel calice con lentezza, osservandolo ondeggiare. Kai era sempre più attento, il tamburellare di un dito sulla poltrona tradiva un moto di impazienza.

- Non mi parlò di una bambina, ma ricordo bene che si rivolgeva al soggetto definendola lei –

- Un ... soggetto?-

- Era una delle sue ennesime idee stupide su come sfruttare i bit power per prendere il potere. Fu un discorso talmente assurdo che non gli diedi il minimo peso –

- Di cosa si trattava esattamente? –

Hito sbuffò, affondando più pesantemente nella poltrona.

- Vorkov voleva apportare modifiche ad un bit power con l’aiuto di un qualche professore. Era sicuro di poter dare vita ad un armamento invincibile –

- Voleva scatenare una guerra?-

La risata proruppe dalla bocca dell’uomo, lasciando Kai di stucco. 

- Una guerra? Non riusciva nemmeno a tenere a freno un branco di ragazzini! Era una follia inapplicabile, e posi subito fine ai finanziamenti per il progetto. Avevo di meglio da fare –

Kai rimase rigido sulla poltrona, incapace di rilassarsi. Un armamento. Certo. Vorkov ne aveva avute di idee strane, ma questa era assurda. I bit power non potevano funzionare come comuni armi,  necessitavano di una persona per essere controllati. Ma quel pazzoide aveva sempre avuto la fissa per gli esperimenti con le creature sacre.

Hito sembrava essere tornato alla normalità, come se fino a quel momento avessero parlato di quando da piccolo collezionava francobolli. 

Kai fece un’ultima domanda.

- Ma quindi ... cosa cercavano esattamente nella tua cassaforte?-

- Soldi, che altro? Oggigiorno non si è più sicuri nemmeno a casa propria –

No, non era quella la risposta giusta. Ma era evidente che il nonno voleva lasciarsi quella storia alle spalle, e per quella sera Kai dovette accontentarsi.

 

..................

 

Era uscito tardi, più tardi del solito. Una bevuta non si negava a nessuno, ma il suo era piuttosto un tentativo di fare uno sforzo di memoria. C’era qualcosa che mancava, che non tornava. E il perfetto calcolatore che era il suo cervello non aveva smesso un attimo di muovere gli ingranaggi.

Incredibilmente, quella notte non pioveva. Boris non amava l’atmosfera chiusa, otturata di fumo, la musica soffusa e l’alcool di scarsa qualità che girava in quel locale dove Yuriy si rintanava tanto volentieri. Eppure, svoltato l’angolo, eccolo lì, in uno dei vicoli più sconosciuti della periferia londinese, davanti ad una scritta al neon che recitava Violet bar.

Entrò senza guardare in faccia nessuno degli altri clienti, pochi ma abituali a suo avviso, strusciati lascivamente da donne agghindate da geishe. 

Non aveva mai accusato il fascino della cultura giapponese. Quei quadri bidimensionali, i modi di fare silenziosi, i volti bianchi e tutto quel maledetto sake, gli facevano solo ricordare quanto fosse lontano da casa. Aveva una nostalgia folle del freddo, della tranquillità di un inverno perenne, dei modi di fare che lo rendevano tanto diverso dagli inglesi con la puzza sotto il naso, e anche dai giapponesi e da tutte le loro assurde tradizioni. 

Gli mancava la Russia, la sua lingua, la sua città.

Sedette ad uno sgabello un po’ isolato, poggiandosi al bancone. Declinò con malagrazia lo sguardo del proprietario che lo invitava sul retro sfregandosi le mani; quella non era serata per scopare. In realtà, nemmeno per bere. Ordinò la prima cosa che gli venne in mente, poiché in realtà lui era lì per pensare.

Ed era colpa di Kai. Lui gli aveva messo quella pulce nell’orecchio, lui gli aveva mostrato qualcosa che non gli era andato a genio. Era un dettaglio che poteva benissimo non voler dire nulla, eppure a lui aveva fatto scattare qualcosa, qualcosa che non riusciva a togliersi dalla testa. Poteva essersi sbagliato. Ma l’istinto non era di questa opinione.

Il piccolo cinese dietro al bancone gli servì un bicchiere pieno di un liquido dall’aroma forte e dolciastro. Poi ne mise accanto un altro uguale. Una mano elegante avanzò per prenderlo, portandolo alle labbra di quello che sembrava un ragazzino, non troppo alto e assolutamente poco piazzato. Lui bevve il liquore tutto d’un fiato.

Boris scrutò il suo vicino con la coda dell’occhio; era talmente pensieroso che non si era accorto nemmeno che qualcuno gli si fosse seduto accanto. Peccato, avrebbe preferito stare solo. Fece per bere quello che aveva ordinato, non sapeva bene nemmeno lui cosa fosse, ma quando il liquido gli toccò la lingua per poco non lo sputò.

- Troppo dolce?-

Ecco, ora il ragazzino voleva anche fare conversazione.

- Non sono abituato a bere caramelle, preferisco qualcosa di più forte – Lo sguardo di Boris trapassò il barista che stava per mettersi a ridere, zittendolo all’istante.

Il suo nuovo compagno di bevuta non sembrava impressionato dall’affermazione.

- Non è così male ... –

- è un alcool da femminucce –

Nessun altro commento venne aggiunto. Boris fece cenno al piccolo cinese che gli riempisse di nuovo il bicchiere, possibilmente di qualcos’altro. L’uomo non fece in tempo a finire il lavoro; il russo ingoiò l’alcool come fosse acqua. Lo fece un altro paio di volte, con sempre più stizza, sentendosi addosso uno sguardo che non voleva.

Saettò gli occhi sul suo vicino. Stava ancora lì, con il bicchierino vuoto in mano e lo sguardo a vagare sugli scaffali pieni di bottiglie. Le luci rossastre ballavano sui vetri, saltando tra le pareti come in una danza. Una danza che rimbalzava su volto chiaro del giovane. Lui si calò il borsalino blu intenso sugli occhi. Allungò una mano in tasca, tirandone fuori qualcosa che Boris non vide bene. Il fumo e l’intenso odore di oppio gli erano penetrati nelle narici fino al cervello, collaborando con l’alcool fino a inebetirlo. 

Forse aveva un po’ esagerato. Boris si appoggiò con una mano al bancone, alzandosi goffamente.

È questo maledetto fumo

L’odore, il disgustoso sapore dolce che ancora gli legava la bocca, la presenza di quel vicino di banco non richiesto; troppe cose lo stavano infastidendo, e non finiva mai bene quando si trovava sia arrabbiato che ubriaco.

- Boris –

Drizzò le orecchie quando sentì il suo nome. Stava già immaginando lo sguardo di ghiaccio di Yuriy, venuto fin lì a cercarlo. Ma era talmente improbabile, che persino da ubriaco si rese conto che non sarebbe mai accaduto. Non gli serviva certo Ivanov a fargli da mamma; il capitano comunque non ne aveva alcuna intenzione.

Ruotò la testa piano; intravide sul bancone un foglietto. Non fece in tempo a girarsi di nuovo che il ragazzino gli era sfilato accanto, superandolo verso l’uscita.

Biascicò un hei tu verso quell’uomo che, per qualche motivo, conosceva il suo nome. Sembrò funzionare. Ad un passo dalla porta, il giovane alzò il cappello quanto bastava per dare un colpo di luce alla sua figura: il riflesso delle lampade si infranse su un paio di piccoli, severi occhi azzurri.

Boris buttò fuori l’aria; cercò di mettere insieme una frase, con qualche difficoltà.

- Chi ... chi diavolo ... come cazzo mi ... conosci?-

- Spero tu non ti sia già dimenticato di me. Ricordi? I vecchi peccati hanno l’ombra lunga –

Poi se ne andò, silenzioso come era arrivato, lasciando quel foglio ben ripiegato sul bancone e Boris a chiedersi se non stesse per caso sognando tutta la scena.

 

......

 

- I vecchi peccati proiettano lunghe ombre –

- Metti via quel libro Rose, è ora di allenarci –

- Uffa –

- Cosa?-

- Lo finirò quando sarò vecchia di questo passo –

- Ti interessa così tanto?-

 

L’incubo lo svegliò con la forza di uno schiaffo. Si alzò di scatto dal letto, passandosi una mano sul volto. Quando la sentì appiccicaticcia di sudore non se ne stupì affatto, e non solo perché in quel maledetto paese continuava a soffrire per la terribile umidità. 

Scese dal letto cercando di non fare rumore; svegliare Yuriy e le sue domande da crocerossina erano l’ultimo dei suoi pensieri. Da quando Ivan e Ser si erano temporaneamente trasferiti, lui divideva la stanza con il rosso e il suo sonno leggero, e ad ogni minimo scricchiolio gli arrivava un che cazzo stai facendo assonnato dall’altro lato della camera.

La visita di Kai lo aveva rimbambito; quello che era successo al bar poche ore prima aveva peggiorato la situazione. Era tornato a casa frastornato, stringendo nel pugno quel foglietto che era stato lasciato lì per lui. Non lo aveva neanche letto; era talmente ebbro di fumo e alcool che non ci avrebbe comunque capito un tubo. Si era buttato a letto, cercando di essere il più silenzioso possibile. Era sicuro di aver sentito i grugniti di Yuriy, ma se li era fatti scivolare addosso. Il sonno era giunto subito. E con lui quel ricordo, fino ad allora rimasto chiuso nel cassetto anni ignobili d’infanzia.

E, di nuovo, il monastero tornava a bussare alla sua porta.

Andò dritto in cucina, sperando che ci fosse una tanica d’acqua gelida in frigo, che per sua fortuna trovò. Se ne scolò una bottiglia tutta d’un fiato.

- I vecchi peccati... proiettano lunghe ombre – sussurrò. 

Allungò la mano nella tasca dei pantaloni della tuta che sfruttava come abito da casa; i pigiami gli erano sempre stati antipatici. Tastò nell’antro di stoffa morbida fino a sentire la superficie stropicciata della carta. Aveva una brutta sensazione a riguardo.

- Lo sapevo –

Boris sobbalzò. Una ciocca di capelli grigi finì sugli occhi, oscurandogli parzialmente la visuale dell’assonnato capitano sulla soglia della porta. Se la tirò dietro l’orecchio.

- Si può sapere perchè cavolo non riesci a passare una, dico una eh, non cento, ma una sola notte senza muoverti dal letto?-

- E io posso sapere perché in questa casa non posso avere un momento di intimità?-

Yuriy represse uno sbadiglio con il dorso della mano, svaccandosi stancamente su una sedia. Spostò lo sguardo assonnato su Boris, le occhiaie ben visibili sul bianco latte del volto gli procuravano un’aria sinistra. Beh, più sinistra del solito.

I due si osservarono per qualche istante. Yuriy notò nel buio della cucina qualcosa di bianco che spiccava tra le dita dell’altro.

- Non dirmi che ti sei alzato a quest’ora per scriverti un discorso sensato per la lezione di domani. Non ci crederei -

- è successa una cosa –

- Che ti ha tenuto sveglio? Sarebbe la prima volta che qualcosa ti dà così tanto da pensare. Di solito fai direttamente di testa tua senza ascoltare niente e nessuno. Deve essere una faccenda grave – ironizzò il capitano.

- Sono stato in quello schifo di bar che frequenti tu –

- Non è un posto così orribile –

- Ti ricordi di Rosemary?-

Yuriy ci mise qualche secondo a realizzare. Il sonno mancato non lo aiutava certo a oliare le rotelle della mente, tantomeno quando si trattava di ricordare cose che cercava di buttarsi alle spalle. Ma gli anni passati tra le grinfie di quel monaco rimanevano sempre vivi nella sua testa; certo, reclusi in un angolino, ma mai dimenticati.

-  Ma che razza di domande fai? Certo che mi ricordo –

Qualcosa scattò nella sua mente, forse la stessa cosa che era scattata in quella di Boris il giorno prima. Si piegò in avanti sulla sedia, poggiando gli avambracci sulle cosce. 

- Cosa è successo Boris?- Non era una domanda da crocerossina, da mamma apprensiva o cose simili. Era una domanda terribilmente retorica. Forse non si allenava più da anni, non partecipava a nessun inseguimento e non impugnava una pistola, ma Yuriy non era diventato scemo.

- è tornata –

- Dove?-

- L’ho vista, in quel bar –

Yuriy scosse in capo – No Boris. Se n’è andata, non ricordi? L’abbiamo salutata, e tanti saluti e baci -

- Ne sono sicuro –

- Come lo sai? –

- C’era un tale seduto con me. Mi conosceva per nome  –

- Tutto qui? Come se non fossi abbastanza famoso –

- Non è tutto qui. Ha detto una cosa, una frase che lei ripeteva sempre, che aveva letto su uno dei suoi maledetti libri ... E l’anello, quello di Kai ... quell’anello era suo –

- Di Rosemary?-

Boris annuì.

Yuriy lo guardava di sottecchi. 

- Ti sarai confuso –

- Non prendermi per il culo Ivanov. Sai che su queste cose non scherzo. E non dirmi che non hai fatto anche tu due più due –

Yuriy abbassò il capo, poi lo ributtò all’indietro, facendo scrocchiare il collo. Prese a tamburellare le dita fra di loro. Certo che l’aveva fatto due più due. Igor che si rifà vivo, il monastero, i furti, Ivan che viene pedinato ... Tutto poteva ricollegarsi in un certo modo.

- Da quant’è che Ivan non la sente più? –

Boris scosse il capo – Non lo so. Tre, quattro anni? L’ultima volta lei gli aveva fatto gli auguri per Natale credo –

- E se non mi sbaglio ... – Yuriy riprese il filo del discorso dell’amico – Dopo l’ultimo campionato, lei aveva trascorso del tempo in Inghilterra. E aveva stretto amicizia con McGregor –

- Yuriy qui è tutto collegato, ci arriva anche un bambino. Ivan e Andrew sono stati gli ultimi a vederla, Hiwatari poteva avere dei documenti alla villa sul progetto di cui ha parlato Igor ... una bambina, ricordi? –

- Mi sembrava gli avessi dato del rimbambito –

- Beh, magari aveva ragione! Cazzo, cos’è che non ti torna ancora?-

- Domani ne parleremo con Ivan e Sergej –

Boris restò interdetto. Certo, erano tutte supposizioni, ma a lui sembravano così ovvie che la procrastinazione del capitano gli cadde addosso come un macigno. Fece il giro del tavolo avvicinandosi a lui con la vena del collo già pronta ad esplodere.

- Ma sei scemo? Andiamo a cercarla!-

- E di preciso dove? Forse Ivan avrà qualche contatto, noi no di sicuro –

- Allora andiamo a svegliare quel nano malefico e sentiamo che ha da dirci!-

- Boris, sono le ... – Yuriy strinse gli occhi per capire come fossero posizionate le lancette dell’orologio della cucina - ... Quattro e quaranta del mattino. Puoi aspettare ancora un paio d’ore, o no?-

- Non mi sembra che te ne freghi qualcosa di tutta questa storia –

Yuriy lo guardò esasperato. 

- Non è una storia. Sono solo idee –

- Ti dico che era lei in quel dannato bar!-

Gli occhi gelidi di Yuriy gli si piantarono addosso come due pugnali. 

- Boris, eri fottutamente ubriaco! E poi, di che hai paura? Che le sia successo qualcosa? Dopo una vita che abbiamo tagliato i ponti? È un po’ tardi per preoccuparsi di lei -

Lui non rispose. L’amico aveva ragione; non poteva permettersi di pensare a lei, non dopo tutta la distanza che avevano creato tra lei e loro. 

Yuriy si alzò, poggiando una mano sulla spalla dell’amico.

- Siamo stanchi. Domani ragioneremo a mente lucida, e capiremo di aver pensato un sacco di stronzate – Uscì dalla cucina senza aggiungere altro, diretto al bagno; ormai era inutile cercare di riaddormentarsi. Boris strinse tra le dita il foglio un’ultima volta.

No. Non erano stronzate. E se Yuriy non credeva più a quello che gli diceva la sua testa, allora lo avrebbe fatto lui.

 

....................................................................................................

 

Due giorni

3:00 a.m

Richmond upon Thames 

 

Era scritto in una grafia un po’ storta, in stampatello. Tutto il contenuto del foglietto erano quelle sintetiche righe.

Affondò le mani nel cappotto. Il pelo del cappuccio gli solleticava il collo dandogli un’insolita sensazione di fastidio. Era teso, più teso di come era mai stato negli ultimi anni. Aveva affrontato molte cose, ma era sicuramente più preparato allo scatto di un grilletto piuttosto che a quell’incontro.

Perché erano tutte supposizioni; ma erano così dannatamente logiche. All’improvviso si era trovato quell’anello fra le mani, i due ricconi rapinati, Ivan pedinato ... poi il bar, quella frase; e il giorno, l’ora e il luogo segnati sul foglio. Quella storia era pregna dell’odore di lei.

Gettò occhiate fugaci attorno a se. Dopo il pedinamento di Ivan, tendeva ad essere guardingo ogni volta che usciva di casa. Non che qualcuno di solito tentasse di avvicinarlo; brave o cattive persone che fossero, i suoi sguardi allontanavano chiunque pensasse di avere a che fare con lui. 

Si fermò davanti all’ingresso del sottopassaggio della metro, alla fermata di Richmond upon Thames. Era tutto chiuso a quell’ora; qualche barbone solitario sonnecchiava addossato alle pareti, un paio di giovani con il cappuccio ben calcato sul viso si aggiravano nel buio per i loro traffici poco puliti. A Boris non importava; lui era lì per fare ben altro. 

 

-Ci siete mai stati?-

- E chi si ricorda?Uff ... saranno passati secoli!-

- Quindi?-

- Quanto sei impaziente ... sì, mi pare proprio di sì. Ci abbiamo fatto una scampagnata. Le avevo fatto vedere il Tamigi da una ... diversa prospettiva –

 

Gli era costato  pazienza e tempo per strappare quell’informazione dalla mente acciaccata di Andrew, ma se quello era l’ultimo posto che lei aveva visitato a Londra, ed era anche poco distante dalla loro abitazione attuale, era quasi certo che la stazione di Richmond upon Thames fosse davvero il luogo di un appuntamento.

Non sapeva se scendere verso i binari, e la sua indecisione lo stupì; aveva affrontato di petto tutta la sua vita e ora, a un passo dallo scoprire se i suoi ragionamenti da malato fossero veri, si stava tirando indietro.

Perché quelle, come aveva detto Yuriy la sera prima, erano solo idee. Nulla di più. Poteva benissimo non arrivare nessuno, e lui poteva essersi immaginato tutto. 

Ma ogni pezzo combaciava troppo bene nella sua testa. E quel foglietto era troppo ovvio per non dargli una possibilità.

Sentì un passo.

Due passi.

Abbassò gli occhi verso l’antro buio in cui si gettava la scalinata; una luce lampeggiava a intermittenza mezza infulminata, creando un’atmosfera ancora più lugubre.

Tre passi; e si mise allerta. Erano troppo lenti per essere quelli di un viaggiatore solitario, troppo calcolati per essere quelli di un senza tetto o di un qualunque drogato. Strinse i pugni dentro le tasche della giacca, tastando la forma di un oggetto familiare.

Falborg vibrava tra le sue mani. Non sapeva bene perché lo aveva portato con sé; lo faceva sempre, senza un motivo specifico, se non per qualche dimostrazione a quelle pallosissime lezioni di teoria del beyblade. Quella sera avrebbe potuto benissimo lasciarlo a casa, ma non ne trovò la giustificazione abbastanza convincente. 

Quattro passi. Il cuore perse un battito quando scorse la figura salire i gradini. Non la distinse dai vestiti, né dai capelli. 

Cinque passi. Era sicuramente una donna; un uomo non poteva certo permettersi di girare con un paio di stivali stretti in pelle nera alti sopra al ginocchio, non senza sembrare un nazista mancato.

Sei passi. La figura si fermò proprio sotto il lampione lampeggiante.

- Ciao –

Parlò con un accento italiano marcatissimo, e solo allora Boris si ricordò della sua provenienza, nascosta da un nome che tradiva il luogo in cui era cresciuta prima di finire in Russia.

Lui non rispose al saluto. Assaporò quel momento; erano dieci anni che avrebbe voluto farlo.

La luce le illuminava il viso a scatti. Prima rivelò i capelli legati, poi gli occhiali tondi, e ancora dopo il lungo cappotto grigio. Lei dovette risalire ancora qualche gradino perché si distinguesse bene il colore degli occhi, ma Boris lo ricordava alla perfezione.

Azzurri come il cielo

- Dove sei stata?- Disse infine lui, tradendo un tremolio nella voce.

Lei sorrise, ma non era felice.

- Che importa?-

- Dimmelo –

- Ora non fingere di essere ancora interessato a me –

- Perchè sei tornata, Rosemary? –

Lei continuava a sorridere triste, a guardarlo con quei piccoli occhi azzurri come per accusarlo di qualcosa.

- Sono venuta solo per una cosa –

Quell’incontro se l’era immaginato diverso. Certo, sospettava che ci fosse sotto qualcosa, che non fosse solo la voglia di rivederlo che l’aveva spinta a farsi viva. Non dopo che lui, come gli altri, si era negato da quasi dieci anni. Ma quella freddezza nella voce di lei incrinò la sua mente già pressata di pensieri e idee, crepandola come una vecchia finestra.

Lei allungò la mano, chiedendogli qualcosa che lui non si aspettava.

- Dammi Falborg –





  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > BeyBlade / Vai alla pagina dell'autore: Chocolate_senpai