Tokyo,
quartiere di Shinjuku- nella
sede di Visualize
Le
sette, Ryo si era reso conto guardandosi intorno all’interno
di quel pacchiano
palazzo che sembrava una piramide egizia di un architetto sotto acido
da troppo
tempo, amavano due
tipi di persone; i
disperati, che gli avrebbero dato tutti i loro soldi e avrebbero poi
lavorato
vita natural durante a gratis, facili da irretire e destinati a
rimanere per
sempre nelle loro file, e quelli con tanti soldi. I ricchi erano spesso
viziati
ed annoiati, che stavano con loro il tempo di una volata di vento, ma
che,
oltre ad apportare un influsso di denaro elevato ed immediato,
servivano anche
ad un altro scopo.
La
pubblicità. L’influenza.
Entrambe
cose che Stiles sembrava adorare alla follia.
Ryo,
una volta entrato in quell'obbrobrio, attese un attimo a togliersi gli
occhiali
da sole a specchio, preferendo tenerli per sembrare annoiato e
svogliato, da
vero ricco; indossava un completo di alta sartoria per vendersi meglio,
e Saeko
gli aveva gentilmente offerto un po’ di denaro da tenere a
portata di mano per
fare scena. Camminare per le strade del quartiere con tutti quei bei
soldini in
tasca era stato molto complicato, perché la tentazione di
spenderli in bere e
nella compagnia (puramente platonica) di deliziose conigliette era
stata
davvero forte, ma aveva sospirato, mettendo il muso, conscio che Saeko,
quei
soldi, li avrebbe voluti indietro, che le cose a casa - a Shinjuku-
stavano
andando a rotoli e che comunque, avrebbe preferito la compagnia di
Kaori,
semplicemente rimanere in silenzio con lei, leggere il giornale mentre
lei
canticchiava preparando colazione, a qualsiasi avvenente coniglietta
mezza
nuda.
Già,
era ufficiale: l’amore aveva rincretinito Ryo Saeba. Peccato
che lo sapessero
tutti tranne la diretta interessata.
Ryo
strinse i denti, e si dette una scrollata, maledicendosi: non era
quello il
momento di pensare a Kaori, doveva entrare nella parte. Entrato nella
sala
riunioni, conferenze, qualsiasi cosa fosse, Ryo sbuffò,
cercando di apparire
più annoiato di quel che era, e si sedette con gambe larghe
e malamente, praticamente
stravaccato, su una delle poltroncine che stavano dinanzi al palco
decorato con
una specie di foresta di rami bianchi.
Nel
giro di un quarto d’ora, la sala si gremì, le
porte vennero chiuse- a chiave,
ne era quasi del tutto certo dal suono della serratura che gli era
sembrato di
captare- e le luci si abbassarono. Un occhio di bue puntò
una figura che era
rimasta fino ad allora nella penombra, e quello che inizialmente pareva
solo un
profilo, una sagoma quasi fosse stata solo di cartone,
andò sotto al bagliore accecante,
rivelando, man mano, la propria natura di essere umano e vivente.
Stiles.
Il leader di quella setta piena di misteri. Forse anche un assassino?
Ryo
chinò il capo sulla spalla, e lo studiò
attentamente, e decise che Jane aveva avuto
ragione: no, quell’uomo non era capace di commettere un reato
- non
materialmente, almeno, non ne aveva il fisico, era troppo vecchio e
malridotto,
ormai, ma lo sguardo cinico, beffardo, malvagio, suggeriva che
sì, lui non si
sarebbe mai sporcato le mani, ma di certo non avrebbe disdegnato
chiedere che
venisse fatto scomparire qualcuno a nome suo.
“Sono
molto fiero di ciascuno di voi,” Stiles iniziò,
battendo le mani con fare
teatrale, nemmeno fosse stato davvero in procinto di complimentarsi con
ognuno
di loro; e quel sorrisetto beffardo… possibile che nessuno
si rendesse conto
che li stava prendendo in giro? “Oggi, iniziate il luminoso
cammino verso la
scoperta delle vostre vere potenzialità ed il vostro vero
destino! Io sono
Bret Stiles, e oltre cinquant’anni
fa, col mio migliore amico, fondai Visualize con un unico scopo in
mente: voi.
Tutti voi. Perché qui siamo tutti una grande
famiglia!”
Certo, come no… Ryo
pensò, annoiato. Sì, la presentazione non
era male; sì, Stiles per l’età era
ancora parecchio carismatico, ma lui non ci
sarebbe cascato in quella trappola per topi, non era proprio il
tipo… e se gli
altri babbei lì presenti abboccavano, peggio per loro:
voleva dire che si
meritavano di essere spennati.
La
maggioranza dei presenti, tuttavia, applaudì, il rumore
così forte che faceva
quasi scoppiare i timpani; Ryo, sollevando un sopracciglio con un
sorrisetto
cinico stampato in faccia, assecondò la folla, senza mai
tuttavia smettere di
guardarsi bene intorno… sì, quasi tutti quelli
che erano andati, come lui, a
curiosare stavano applaudendo, ma le loro mani venivano battute in modo
quasi
timido, stentato, assecondando più il bisogno di apparire
come supporter a
quell’uomo apparentemente potente piuttosto che fare la
figura dei cafoni.
I
veri applausi, però, quelli provenivano dai fedelissimi
della setta, esseri
umani che di umano sembravano avere ancora ben poco, e che apparivano
piuttosto
come degli automi con dei sorrisi da mogli di Stepford stampati sul
volti,
ghigni che gli ricordavano caricature, il sorriso pazzo del Joker di
Batman. I
loro sguardi erano piantati fermamente su di lui, sul loro signore e
padrone.
Ryo dovette ammettere che Visualize si sapeva vendere davvero bene: ad
un primo
sguardo, ufficialmente, sembravano quasi insegnare più una
dottrina
psicologica, una sorta di filosofia di vita- e se così fosse
stato, gli sarebbe
pure potuto stare bene- ma una volta che eri dentro, era chiaro e
lampante che
i seguaci ricevessero il lavaggio del cervello,
“ascendendo” al livello
successivo di conoscenza di Stiles e compagnia bella…
divenivano veri e propri
adepti di quella che era a tutti gli effetti una setta e che venerava
quel
vecchio pazzo vanaglorioso.
Ryo
sussultò, avvertendo come una scossa elettrica percorrergli
il corpo, quando
avvertì lo sguardo di Stiles soffermarsi, con un sorriso
perverso, su di lui;
ecco, ce l’aveva fatta: aveva attirato l’attenzione
del vecchio, adesso aveva
solo da sperare che non dubitasse della sua buona fede e di riuscire ad
entrare
nella sua cerchia stretta in un tempo relativamente breve.
“Avverto
dei dubbi provenire da te, fratello…” Scendendo
dal palco, con le mosse e i
tempi giusti da navigata star della TV, Stiles passò tra le
file di sedie fino
a giungere davanti a Ryo, e con quella che sarebbe dovuta essere
un’espressione
caritatevole, ma sembrava invece lo sguardo di un serpente pronto a
divorare la
sua preda, gli mise una mano sulla spalla, stringendola leggermente,
abbastanza
perché Ryo lo avvertisse, ma non così tanto da
mettere in allarme gli altri
“fedeli” presenti all’adunata.
“Non ricordo il tuo nome…”
“Kuroba
Ryosuke,” rispose Ryo, con espressione a metà tra
l’annoiato e lo strafottente.
“Se
non sbaglio, è la prima volta che ti vedo qui,
fratello,” Stiles continuava a
guardarlo con quell’espressione da schiaffi, come avesse
voluto sfidarlo
apertamente, e se avesse avuto la Python con sé, Ryo era
quasi del tutto certo
che l’avrebbe usata su quel rifiuto della società,
facendogli un bel buco in
mezzo agli occhi e facendo un favore al mondo intero.
“Eh,
già…” Ryo gli fece un sorrisetto,
allungò le gambe incrociando le caviglie, e
fece schioccare le nocche delle mani. “Sa, mi sono reso conto
che non so cosa
fare della mia vita… tanti soldi, tante donne, mai lavorato
un giorno grazie a
papino… arrivati alla mia età si inizia a farsi
delle domande….”
“Eppure
lei non sembra essere un uomo con dei dubbi…”
Stiles continuò, per nulla
intimorito da quel giapponese grande e grosso dagli occhi color canna
da
fucile. Lo guardò estremamente bene, studiandolo con calma,
da tutte le
angolazioni- nel vero senso letterale della cosa. Ryo strinse i denti,
mal
sopportando quel silente terzo grado. “No, invece…
lei ha dei dubbi. Ma, fratello,
ascolta…. con la consapevolezza e la
pace interiore, tutte le scelte sono semplici e quasi automatiche, i
dubbi
svaniscono.”
“Chissà,
forse,” Ryo soppesò le parole, scandendole per
bene, lentamente. “Mi sono
smarrito lungo la strada….”
“Capita
a tutti, Ryosuke, io stessi, molti anni,” il
“profeta” continuò, cercando
alternativamente l’attenzione del suo pubblico e quella
diretta del suo
interlocutore, muovendosi con fare deciso, senza tuttavia apparire
pericoloso o
irriverente. “mi sono trovato ad un bivio, e ho messo tutto
me stesso nella
ricerca di una soluzione ai miei problemi, le mie tribolazioni. Dimmi
Ryosuke,”
l’uomo continuò, guardandolo bene, soffermandosi
con occhio critico sugli
eleganti capi che quel giorno sfoggiava, il Rolex al polso, la sua
postura. “Ti
sei mai soffermato su ciò che conta davvero, quello che
c’è dentro di te, la
tua vera essenza?”
Lo
sweeper quasi scoppiò a ridere. Non capiva come qualcuno, a
meno di essere pazzo
da legare, potesse cadere nella trappola di quel tizio. Cosa diceva
Visualize
di diverso dagli altri presupposti guru che si trovavano a frotte in
giro per
il mondo? Dal Papa? Da semplicissimi libri di auto-aiuto che si
potevano
comprare per poco o nulla al mercato delle pulci?
Nulla;
eppure, il circo mediatico che Stiles ed i suoi avevano messo su
fruttava un
mare di quattrini, e, sebbene gli fosse sembrato di capire che dopo la
débâcle
di John il Rosso in America i fedeli fossero diminuiti, sembrava che in
Oriente
il balordo avesse finalmente trovato il suo vero paradiso e un prato su
cui
seminare e raccogliere in gran quantità, ed in particolare
in Giappone aveva
trovato terreno fertile, grazie alla mentalità piuttosto
aperta per quel che
riguardava le convinzioni filosofiche e religiose…
d’altronde, che il Giappone
con le sette avesse un bel problema non era certo una novità.
Ryo
non rispose, si limitò a guardare, intensamente, con fare
enigmatico, il suo
interlocutore. Non doveva apparire scettico, o avrebbe fatto scattare
gli
allarmi di quella gente. Incerto, curioso, dalla mente
aperta… quello sì,
nonostante fosse tutto l’opposto di ciò che Ryo
era realmente.
Ma,
dovette scrollarsi lo sweeper, lui non era Ryo Saeba, spiantato
pseudo-investigatore privato, guardia del corpo, sweeper, e
sì, a volte anche
sicario, perennemente al verde, era Ryosuke Kurobe, erede di un magnate
del
metallo che aveva fatto fortuna vendendo le materie prima
all’Ikea.
Stiles
si allontanò da lui, e continuò a girare per la
sala, parlando al maggior
numero di persone possibile, sempre con quel maledetto sorrisetto
stampato in
faccia; capiva perché Jane odiasse quell’uomo:
aveva il fare, i modi del
truffatore. Nei giorni precedenti era andato a farsi un giro in rete,
cercando
su Google il nome del biondino dell’FBI, e ne aveva trovato
da leggere, per
giorni… principalmente, si trattava di articoli sulla morte
della sua famiglia,
altri che riguardavano casi su cui aveva lavorato, ma c’erano
anche alcuni
video, che Ryo aveva studiato per bene, guardato e
riguardato… registrazioni in
studio dei tempi in cui aveva finto di essere un sensitivo. Non gli era
voluto
molto per capire che Jane si odiava, che rinnegava quella parte del suo
passato, che era disgustato dall’uomo che era stato in quella
vita precedente…
e Stiles era tale e quale a ciò che era stato Patrick Jane
un tempo.
Stile
si congedò con falsa modestia dal suo pubblico, con un mezzo
inchino, e la
folla proruppe in un boato, urla, preghiere, applausi…
sentendosi come un pesce
fuor d’acqua, e chiedendosi se il mondo intero fosse andato a
farsi benedire,
Ryo lasciò la sala, con le mani in tasca degli eleganti
pantaloni, quando
qualcuno lo afferrò alla spalla, da dietro. Con uno sguardo
glaciale e pronto a
tirare un sonoro gancio a chiunque avesse osato agire così,
Ryo incontrò lo
sguardo terrorizzato di uno dei seguaci di Stiles, il suo braccio
destro, da
ciò che aveva capito, Fratello Jason. Con mani tremanti,
l’uomo gli offrì una
scatolina, che Ryo prese svogliatamente e pigramente, come se non
avesse potuto
importargli meno, e mentre si apprestava a lasciare quel luogo, la
aprì; c’era
una tessera magnetica all’interno, ed un biglietto scritto a
mano con
un’elegante e raffinata calligrafia…
Carissimo Ryosuke, desidero dal più
profondo del cuore approfondire con
te ciò di cui abbiamo discusso oggi.
Ti
aspetto domani mattina per un giro della struttura e per
l’orientamento.
La
lettera non era firmata, ma Ryo non aveva bisogno di veder messo nero
su bianco
il nome dell’autore, era a dir poco palese.
Stiles.
Era
riuscito a farsi amico il leone, e adesso avrebbe potuto
avvicinarlo… c’era
solo da capire chi fosse la preda, e chi il predatore.
Nel
retro del Cat’s Eye Cafè…
Saeko
entrò nella stanza dove Jane stava lavorando, controllato da
Cho, con un grosso
scatolone in mano, ed altri due delle medesime dimensioni la
aspettavano in
macchina. Aveva raccolto tutto il materiale che il
“mentalista”, come Jane
veniva definito, aveva richiesto, ed adesso era andata a
consegnarglielo, anche
se non capiva cosa avrebbe potuto trovarci; tutti loro avevano guardato
quei
fascicoli, lei li aveva analizzati più e più
volte, anche dopo il suggerimento
dell’uomo, ma non le sembrava di aver notato incongruenze,
omissioni o legami
che potevano essere stati tralasciati ad una prima occhiata.
Secondo
lei, quello era un vicolo cieco, ma se andava bene a lui…
Si
guardò intorno, con aria smarrita, travolta da un silenzio
quasi assordante-
tutte le altre volte che era stata lì, Jane aveva
borbottato, si era lamentato,
aveva pensato ad alta voce…. la seducente poliziotta strinse
denti e pugni,
sbattendo un piede a terra: quel cretino le aveva fatto fare tutto quel
lavoro,
e per giunta in fretta, ed adesso se l’era data a gambe?
Pregò solo per il suo
bene che lo avesse fatto per un motivo serio, e che non si fosse
ficcato in un qualche
guaio, perché era così innervosita che
difficilmente gli avrebbe salvato le
chiappe.
“Sta
parlando con Abbott ed il vostro amico, Saeba.” Quando
sentì la calda voce
avvolgente, Saeko fu percorsa da brividi dalla punta dei capelli alle
unghie
dei piedi; si voltò, lentamente, e trovò, seduto
allo stesso tavolo dove aveva
preso a sedere da quando aveva assunto l’incarico di cane da
guardia di Jane,
Cho. Tranquillo, pacato, non sembrava darle la benché minima
attenzione, il che
era al contempo tanto strano quanto lusinghiero per Saeko; da una
parte, nessun
uomo le aveva mai resistito, dall’altra, faceva piacere
vedere un uomo che
facesse più attenzione alla sua mente, la sua persona,
piuttosto che al suo
corpo. E, per giunta, Cho era etero: nell’archivio di un
quotidiano
californiano aveva trovato l’annuncio di fidanzamento, ma
immaginava che le
cose non fossero andate a buon fine… niente fede al dito,
niente linee da
abbronzatura all’anulare, e soprattutto nessuna telefonata
strana, non di cui
lei sapesse, almeno.
“Sì,
Ryo mi ha detto che Stiles vuole conoscerlo meglio.” La
conturbante moretta gli
rispose, sistemandosi una ciocca di capelli che le copriva il viso con
falsa
nonchalance ed uno sguardo ammaliatore che su quell’uomo di
ghiaccio non
ottenne però il risultato sperato- era davvero un osso duro,
ma era un bel
tipino, e non le sarebbe dispiaciuto conoscerlo un po’
meglio, specie sotto le
lenzuola. L’amore eterno non faceva per lei, non
più ormai, la sua chance la
aveva avuta e se l’era lasciata scappare per i dubbi e
perché pensava, era
certa, di dover scegliere tra amore e carriera,
ma era una donna di sangue e carne, con bisogni, e ogni
tanto un po’ di
calda ed eccitante compagnia maschile non le dispiaceva. E poi, Cho non
sarebbe
stato lì in eterno: era la perfetta distrazione temporanea
di cui approfittare.
La
discussione sembrò non andare oltre, perciò Saeko gli andò alle
spalle, e mordendosi le labbra
osservò cosa stesse guardando al computer, cosa rapisse
l’attenzione e la mente
sveglia ed elastica di quell’enigmatico essere umano.
Lo
schermo era diviso in due, ma colmo da entrambe le parti di fotografie;
da una
parte, immagini chiaramente tratte da dossier di lavoro, dall'altra,
quelli che
dovevano essere scatti personali, immagini in molte delle quali
c’erano lui,
Jane, Abbott e altre tre, quattro persone che più o meno
apparivano in quasi
tutti gli scatti; molte di esse parevano essere state prese ad un
matrimonio, e
sebbene Jane indossasse bene o male sempre le stesse cose- e Saeko
dovette
ammettere, con una punta di rimpianto, che sebbene con savoir faire e
carisma,
con quei tre pezzi, più che elegante come era Mick, il
mentalista sembrava uno
straccione appena scappato da una clinica per malati mentali- la bella
donna
indossava indubbiamente un abito da sposa ed era a lui che si univa in
matrimonio.
Era
lampante: quella donna guardava Jane proprio come Kaori
guardava Ryo, anche se la rossa raramente si
era permessa di donargli quello sguardo apertamente; lei lo faceva di
sfuggita,
segretamente, quando credeva che nessuno li stesse guardando.
Saeko
si trovò a sospirare, rattristata. Sapeva di non essere la
persona preferita di
Kaori, ma lei, al contrario, teneva molto alla giovane Makimura. I suoi
rapporti con Ryo, le sue battute, erano più che tutto
frecciatine che
continuava a sperare smuovessero i due innamorati, dettati
dall'abitudine,
erano un retaggio di un tempo antico, precedente al giorno in cui,
ragazzina,
Kaori era entrata nella vita dello sweeper travolgendolo come il mare
in
tempesta.
“TORNA
INDIETRO!” Gridò a Cho, e lui, a cui il
caffè quasi andò di traverso, la
guardò
di sottecchi. “La galleria, quella con le immagini di lavoro,
ho visto
qualcosa…” Fece come la donna aveva suggerito e
riavvolgere la galleria di
immagini fino a che lei non gli fece cenno che poteva fermarsi,
indicando sullo
schermo un’immagine ben precisa, che, come ogni volta, faceva
salire la bile in
gola al federale.
Quell’immagine
veniva da un fascicolo su di un caso ben preciso che aveva colpito
tutti loro:
era un primo piano di una donna castana dai lunghi capelli mossi, gli
occhi
chiusi, il corpo immobile, il viso macchiato e disegnato oscenamente
con
qualcosa di rosso, una semplicissima croce di oro giallo al collo e le
mani,
con lo smalto rosso, incrociate davanti al petto: Saeko era certa che
fosse un
cadavere. “Chi era?” gli chiese, tenendo una mano
sulla spalla di Cho, l’altra
sulla scrivania, china davanti allo schermo in quel completo troppo
stretto che
quasi faceva schizzare via i bottini.
“Chi
è, vuoi dire.”
le rispose, ed accennò
un sorrisetto, il primo che gli avesse visto fare da quando era
sbarcato in
Giappone. “Guarda che hai appena visto le sue foto di
matrimonio… quella è
Lisbon…. Teresa… la moglie di Jane.”
Saeko
si ricompose; mettendosi dritta, incrociò le braccia, e
studiò con occhio
critico quell’immagine che, non sapeva il perché,
era certa le avrebbe dato gli
incubi per un lungo, lunghissimo lasso di tempo. “Cho, cosa
le era successo in
quella foto?” gli chiese, diretta, senza troppi giri di
parole.
“Non sono certo
che sia la mia storia da
raccontare, ma…” L’uomo si
lasciò andare sulla sedia, e sospirò, passandosi
una
mano sui capelli; si guardò intorno, come per controllare
che nessuno potesse
sentirli- specie Jane- poi tornò a posare lo sguardo sulla
Nogami. “Pochi mesi
prima che Jane uccidesse John il Rosso…
McAllister… una sera Jane andò a
trovare Lisbon, non mi ha mai detto il perché, ma credo
che… che fosse pronto
ad ammettere di provare qualcosa per lei. Trovò la porta
socchiusa, le luci
spente, e Lisbon non rispondeva. Era come se sapesse che…
lui aveva ricreato la
scena dell’omicidio della sua famiglia. Ed infatti la
trovò così, nel suo
letto. Solo che l’aveva drogata, e non
uccisa…”
“Beh,
conosco qualcuno che non è stato così
fortunato…” Si diresse verso lo
scatolone, lo aprì ed iniziò a far passare, uno
ad uno, tutti i fascicoli, fino
a che non trovò quello che voleva; era una semplice
cartellina gialla, con
pochissimi fogli dentro, forse una o due pagine di rapporto, qualche
foto…
decisamente, quel caso non aveva avuto nessuna priorità.
“Una ragazza che
lavorava in un bordello nel quartiere, assassinata alcuni giorni prima
che
venisse gettata la prima pietra per la costruzione del Visualize
Center. I miei
colleghi non sono stati troppo ligi, e sinceramente non avevo fatto
troppo caso
nemmeno io, questo fascicolo l'avevo aggiunto solo perché il
tuo amico voleva
sapere qualsiasi cosa fosse successa a Shinjuku dall’arrivo
dei vostri
amichetti, ma dopo che ho visto quella foto, la cosa è ben
diversa. Guarda tu
stesso.”
Saeko
gli passò il fascicolo, aprendolo alla foto che la
interessava, e che, era
certa, avrebbe causato un bel po’ di dubbi e domande anche
agli “amici” di
Austin… e difatti, Cho scattò in piedi, facendo
cadere per la foga la sedia
alle sue spalle.
Con
gli occhi sgranati, fissava quell’immagine, scioccato,
impaurito, nervoso…
spaventato.
Una
donna- asiatica, quello sì- dalla pelle chiarissima, lunghi
capelli castani
leggermente mossi, le labbra adornate da un rossetto rosso fuoco, le
unghie
delle mani, incrociate come fosse in preghiera o nella bara, laccate
dello
stesso colore, ed al collo, una croce, semplice, vecchio stile.
Identica
a quella di Lisbon.
“Beh,
le cose sono due: o il tuo amico ha ammazzato l’uomo
sbagliato, oppure abbiamo
a che fare con un emulatore…”
“Oppure
abbiamo capito male cosa Renfrew volesse dirci.” Allo sguardo
allibito di
Saeko, Cho, le mani sui fianchi, prese un grosso respiro, e
tornò indietro con
la mente ad oltre dieci anni prima, quando era ancora il braccio destro
di
Lisbon al CBI e lavoravano da nemmeno due anni con Jane.
“Renfrew è uno dei
pochissimi partner noti di John il Rosso. Era stato arrestato, ma non
aveva mai
ammesso nulla. Jane lo aveva fatto evadere sperando di ottenere delle
informazioni in cambio, ma lui era fuggito in Messico. Lo trovammo
cadavere nel
bagno di un motel alcuni mesi dopo: John lo aveva fatto morire
dissanguato
molto lentamente, ma era riuscito e scrivere col suo sangue qualcosa
sul muro: he is mar. Non abbiamo
mai capito cosa
volesse dire, ma dopo la morte di McAllister avevamo immaginato volesse
dire
“marked”, riferendosi al tatuaggio che tutti i
membri della cerchia di John
avevano. Ma forse…”
“Forse
non aveva finito di scrivere la frase. Forse non voleva scrivere una
“r” ma una
“n”...” Saeko continuò,
pensierosa, leggendogli nella mente, incapace di
distogliere lo sguardo da quella donna, su cui nessuno aveva indagato
perché
vendeva il suo corpo per denaro- molto probabilmente, mossa dalla
disperazione
e dal bisogno, non certo dalla lussuria. “He
is many. Lui è molti… lo avete mai
pensato? Che non avesse solo amici, solo
persone che usava… ma complici ben più vicini,
che quel nome appartenesse a… a
un collettivo?”
“Non
lo so, la cosa mi puzza. Se fosse stato un collettivo, qualcosa sarebbe
accaduto negli anni, e a quest’ora avrebbero già
preso di mira Jane e
Lisbon…” Cho
si grattò il collo,
pensieroso, lo sguardo fisso su quei rapporti di cui capiva poco o
nulla. Saeko
lo guardò con ammirazione ed un sorriso di compiacimento:
capì perché avesse
fatto carriera in fretta all’FBI, era sveglio e con la mente
agile, e
soprattutto, sapeva come muoversi e quando parlare. “Sai, non
c’è bisogno di
tanti attori per interpretare lo stesso ruolo, ne basta uno e la sua
controfigura,
ed un secondo, che lo rimpiazzi al momento del bisogno… e se
McAllister era la
star della produzione, Carter la controfigura che si è
sacrificata spacciandosi
per il killer che cercavamo… chi è il terzo
uomo?”
“Sai,
Cho, credo che sia giunto il momento che facciate vedere a me e Ryo
quello che
avete su questa “Società di Blake” che
il vostro sceriffo pazzo aveva fondato…”
Saeko lo guardò, seria, decisa, determinata a portare a
termine la missione,
dispensare giustizia costasse quel che costasse.
“Perché se davvero il suo
secondo gli era così vicino, non c’è da
dubitare che lo abbia scelto tra quelle
fila.”
“Non
so quanto potrebbe esserci utile,” Cho scrollò il
capo, guardando quella foto
che gli lacerava il cuore. “Quelli più alti in
grado sono morti quando Jane ha
fatto esplodere casa sua, Stiles non sembra avere il profilo da serial
killer
anche se a dirla tutta io l’ho sempre considerato un sadico,
ma penso sia più
un voyeur che altro, e gli altri… erano tutti pesci piccoli,
gente che anche se
è già uscita di galera non aveva il
fegato di fare una cosa del genere.”
“Beh,
qualcuno il fegato lo ha avuto…” Saeko
sibilò, mentre lanciava uno dei suoi
pugnali contro una rivista che mostrava il capo della setta.
“E credimi, quando
City Hunter avrà finito con loro, si pentiranno amaramente
di aver scelto casa
nostra per uccidere.”