CAPITOLO XIII
- And cut!
Si erano ritrovate all’aeroporto di Fiumicino all’alba e tempo un paio d’ore il set era stato allestito, mentre lei, Federica e Arianne se ne stavano incollate al regista. Un nome mai sentito, un uomo di mezza età dall’aria severa e dalle maniere sgarbate, ma Federica se l’era corteggiato a sufficienza da rientrare nelle sue grazie, mentre Stuart continuava a scattare e a filmare il backstage con la sua crew. Per ora sembrava andare tutto bene, le riprese erano fedeli alla sceneggiatura. Forse fin troppo. Emanuele, con i suoi grossi cartelloni da gobbista e le cuffie microfonate, l’aveva salutata prima che arrivasse l’intera troupe, per non dare nell’occhio.
“Magari tra qualche giorno riusciremo a trovare un attimo per stare da soli”
Non aveva mai smesso di scriverle e lei non aveva mai smesso di parlare con lui, valvola di sfogo in molte occasioni. Vederlo quella mattina, così raggiante, la fece arrossire. Aveva sempre un sorriso per lei, sempre un bacio nascosto sull’angolo delle labbra. Prima che Edward uscisse dal camerino, la abbracciò a lungo, lasciandole uno sguardo carico di tensione.
Sara, dal canto suo, si sentiva così accaldata e confusa dopo quell’incontro. Era bastato scendere di poche centinaia di chilometri per sentire l’aria più tiepida, perché sicuramente si trattava di quello e non dello sguardo cupo di Ed che sembrava seguirla ad ogni ciak.
Lui non era Edward, si ripetè con insistenza. Solo quella sera, dopo una tappa a Roma Termini e una cena consumata in una trattoria da camionisti, si rimisero in viaggio verso Napoli.
Ed guardò il panorama scivolare dal vetro, lasciando la tenda aperta. Era la seconda notte di viaggio che non chiudeva occhio e la makeup artist lo avrebbe rimproverato di nuovo. Il panorama che si godeva dall’hotel, in cui si ritirarono in piena notte, fu il suo unico sedativo, ripensando a quanto quella situazione lo disturbasse profondamente. Non era nato per quello, non era nato per fare il sex symbol, eppure era lì, intrappolato in quel film come se lo stessero trattenendo con la forza. Tutta colpa di quella ragazzina e delle sue fantasie incoerenti. Trovare il giusto distacco sembrava essere la soluzione più efficiente, ma la strada della rabbia era più facile da imboccare. Rivide il suo viso coperto dagli occhiali e non riuscì ad evitare la collera. E dire che, per un momento, si era sentito felice di essere arrivato in quella città che aveva visto attraverso i suoi occhi.
***
Quella stazione era sudicia e c’era troppa gente per potersi davvero concentrare. Continuava a sbagliare il percorso da seguire per arrivare alla metro.
- Ed! – esclamò Emanuele per l’ennesima volta. – Devi andare a destra, non a sinistra! – e si portò una mano alla fronte.
- Lo sta facendo di proposito. – commentò Sara seduta accanto a lui, esausta già al quindicesimo ciak. – Vi prego, fate qualcosa.
- Questo posto è un maledetto labirinto! – le rispose il rosso, che sembrava essere tornato al suo temperamento abituale. – Potresti anche evitare di commentare ogni scena!
- Senti… - e si fermò dinanzi a lui – nessuno ti sta chiedendo di andare a Mordor e distruggere l’anello del potere, quindi vedi di finirla! – tagliente.
- Questa scena potevamo tagliarla, ma no! La signorina deve girare anche ciò che non serve! – cominciava ad alzare il tono – Non posso farci niente se questa stazione è stata progettata da un idiota!
- L’unico idiota, qui, sei tu che non riesci a seguire le indicazioni! – e indicò il cartello a fondo giallo che riportava la scritta… - CIR-CUM-VE-SU-VIA-NA! È SCRITTO IN CARATTERI CUBITALI!
- ENOUGH!
- Se non la smettete vi licenzio!
- Va’ a destra. – gli disse con occhi infuocati e il dito puntato nella direzione giusta.
Federica ringraziò il cielo che fossero finalmente a Torre del Greco, perché quel momento segnava il termine della prima faticosa, snervante, fase del film. Se non fosse stato per Arianne, che sembrava così abituata a quel tipo di situazioni, sarebbe fuggita alle Hawaii. Sara aveva fibrillato incollata al finestrino finché non furono accompagnati in un hotel vicino al porto, il suo parco abitato invaso da curiosi e fan che speravano di incontrare il mitico Ed Sheeran. I suoi avevano cambiato il nome sul citofono per disperazione. Il giorno successivo le parve strano camminare di nuovo per le vie della sua città, barricata dietro le transenne insieme a quelle persone, piuttosto che in compagnia dei suoi amici. Una volta terminata la sequenza di scene che lo vedevano vagare da solo, per Ed giunse il momento più temuto: incontrare “Sara” su quella strada del centro, invischiarsi definitivamente nella serie di snervanti litigi che sarebbero sorti ad ogni scena da quel momento.
A primo impatto la città gli era sembrata mediocre, un paesotto di provincia, con gente di provincia. Avevano dovuto chiamare i rinforzi per la sicurezza, data la mole di persone che si era recata sul set e fuori dai loro alloggi. Giusto prima di girare quella scena, riuscì a vederla salutare da lontano delle persone per poi distaccarsi dal mondo e tornare a sedersi accanto a Webber, senza neanche avere con sé una copia della scenografia. In fondo non le serviva.
Le comparse si riposizionarono ai margini dell’inquadratura, con i loro abiti estivi fuori luogo per quella brezza aprilina.
Al ciack, dopo aver lanciato un’occhiataccia ai cartelloni di “Ema” – e nella sua mente pronunciò quel nome con disgusto – cominciò a camminare distrattamente guardando le vetrine tirate a lucido di proposito, sentendosi terribilmente osservato dalle persone che insistevano a restare sulla scena. Lasciò che Sofia gli sbattesse contro.
- Scusa, non ti avevo visto. – lui stesso sentì la sua voce suonare terribilmente in italiano.
- Non preoccuparti, è colpa mia, non guardavo dov-
- STOP!
Vide Max discutere con Arianne con troppa tranquillità, non si stava impegnando molto quel ragazzo.
- Rifacciamola!
- What’s the problem this time?! – allargò le braccia, osservando la sceneggiatrice avvicinarsi.
- Non sei abbastanza concentrato! – disse lei, con la montatura dorata che luccicava al sole. – Cerca di immergerti nel personaggio, devi sentirti come lui.
- STOP! – stavolta la voce di Webber non era rassicurante. Lo sapeva che non fosse un attore?
- Non puoi parlare con quella sicurezza. – era lei. Non l’aveva vista arrivare, occupato a puntare gli occhi al cielo per l’esasperazione. – Ricordati che hai paura, sei spaesato, sei alla ricerca di te stesso.
- How boring. – commentò – I’m not insecure.
- Beh, Edward sì. – sempre quel tono rabbioso.
- But I’m not him! I’m not an actor! – le rispose, con altrettanta rabbia, attirando lo sguardo degli spettatori che la sicurezza non riusciva ad allontanare del tutto.
- PER ME POSSIAMO ANCHE TROVARE QUALCUN ALTRO!
- Io li ammazzo. – borbottò.
- Unless I do it first.
***
Alle idi di Aprile, concluse le riprese del tour a Napoli ed ora rinchiusi in quell’hotel, pensavano di impazzire. Federica era tornata a casa per una sera, per vedere finalmente il suo fidanzato e salutare la sua famiglia. Arianne e Max si erano rifugiati nella SPA, per scaricare la tensione di quei primi giorni, Sara aveva rifiutato l’invito. Aveva bisogno solo di silenzio e riposo, ma preferì lasciarli soli. Aveva parlato per più di un’ora con Olga, cercando di farsi dare un consiglio concretamente applicabile a quella situazione, ma ottenne solo un “vivi e lascia vivere”. Era pignola, lo sapeva, ma non riusciva a considerarlo un difetto.
Era scesa nella hall per andare a prendere quella birra con Emanuele che, non riconoscibile, avrebbe potuto raggiungerla fin lì dagli alloggi della troupe, ma non era ancora arrivato. Nel suo jeans, si diresse comunque verso il bar, pensando di attenderlo lì, ma si trovò faccia a faccia con Ed all’ingresso del saloon.
Lo guardò, non poteva più far finta di non averlo visto. Si fermò davanti all’entrata come per farlo passare per primo, ma lui non si mosse. Aveva uno di quei suoi pantaloni a quadri e gli occhiali, la fissava da dietro le lenti senza alcuna esitazione o ripensamento, come sempre. Non sapeva cosa fare.
- How come you’re here? – le chiese poi. – You drink?
- Let me get you something.
Sara finì per sedersi sullo sgabello di velluto rosso accanto a lui, confusa da quella improvvisa gentilezza. Quando vide la birra non frenò quello sguardo contratto che le sfuggì.
- Proprio questa… - gli disse.
- I thought you liked it. – fece spallucce, come per negare che avesse ricordato quel dettaglio del racconto.
- We have to talk. – e la vide immediatamente allarmarsi. – About the film.
- Se devi ripetere il tuo disprezzo verso il libro, puoi anche risparmiartelo, vado via subito. – rispose Sara, già con un’ombra negli occhi, già abbandonando la birra sul bancone.
- Per quanto non possa nascondere il disinteresse, c’è qualcosa che devi sapere. – prese il suo telefono dalla tasca e lo appoggiò davanti a lei.
- Stuart l’ha trovato poco fa. – un sorso dalla bottiglia scura – Dice che dobbiamo smetterla di litigare.
- Non che io abbia mai avuto intenzione di litigare! – lo rimbeccò lei.
- Ecco, vedi? - e battè il fondo della bottiglia sul bancone – Devi sempre rispondermi con quel tono!
- Sei tu che ti ostini a mantenere un comportamento infantile!
- MA ADESSO STO CERCANDO DI CURARE I NOSTRI INTERESSI. – sgranò gli occhi per emanare più frustrazione possibile. – Ti sto chiedendo una tregua, santo cielo.
- E come pensi che potremo andare d’accordo? – gli chiede allora, un tono di scetticismo nella voce.
- Pensavo… - e distolse lo sguardo, per non farsi leggere. – che potresti aiutarmi a provare le battute. – un altro sorso.
- Davvero…?
- Va bene. Ti aiuterò. – rispose, allora – Ma dovrai ascoltarmi, senza protestare.
Il messaggio di Federica le fece vibrare il cellulare non appena Emanuele la chiamò dall’ingresso del bar.
***
Diverse ore dopo si rese conto che non aveva cominciato col piede giusto andandosene non appena Emanuele l’aveva chiamata. Qualcosa era scattato in lui quando capì che volevano restare soli. Emanuele lo aveva guardato con quell’aria provocatoria che gli riservava sempre più spesso e si chiese chi credesse di essere. Non voleva certo soffiargli la ragazzina. Si era dato dello sciocco e aveva lasciato perdere quel testo che aveva cominciato a scrivere, decidendo che quella stanza di 20 metri quadri fosse claustrofobica. Non avvertì Stuart che stesse uscendo e quando finalmente l’aria marina gli rinfrescò le narici, riuscì a rilassare per un attimo l’addome contratto per la tensione. Col cappuccio in testa, si avviò verso il porto a passo svelto sperando di non incontrare nessuno a quell’ora. A pochi passi si ritrovò al bar dove Edward e Sara avevano fatto quella triste colazione e imboccando le scalette che sbucavano sul canale d’ingresso al porto, ripensò agli occhi di lei, così confusi e così tristi, mentre giravano quelle scene. Nemmeno la rabbia o i litigi avevano mascherato quel velo scuro. Lui, invece, non aveva provato niente guardando Sofia che gli recitava davanti, solo un vago senso di confusione, come spaesato.
Quelle scale sporche e puzzolenti lo avevano portato su una strada altrettanto sudicia, finchè oltre la curva non scorse di nuovo i pescherecci e le barchette colorate dondolare nello specchio d’acqua calma. Risalì la muraglia e una carezza del vento lo fece voltare verso il panorama. Non c’era nessuno, solo il silenzio e lo scrociare delle onde sotto alla scogliera. Il panorama lo lasciò senza fiato, brillava in lontananza. Continuò a camminare nella penombra di quella passerella non illuminata e ascoltò i rumori della notte del porto, fino alla statua del Cristo. La leggera risata che sentì librarsi nell’aria lo fece trasalire e poi voltare verso quelli che sembravano due ragazzi, seduti sullo scoglio dove avevano girato pochi giorni prima. Col cappuccio ancora sui capelli, fece per andarsene, ma la voce di Sara era inconfondibile. Strinse i pugni.
Non capì cosa dicessero, ma quello che si sporgeva a baciarla nel buio era sicuramente il gobbista. Le sue labbra si distorsero per la stizza e il sangue gli salì alla testa. I suoi piedi scattarono e lo trascinarono via, ripercorrendo i loro stessi passi.
Quella sensazione di sconforto, quella folle idea di tradimento, quella brusca sberla che lo stava facendo rinsavire, spinsero la sua mente a replicare all’infinito quella scena finchè non si convinse che la Sara di Afire Love non esistesse e che la donna che aveva conosciuto non le somigliasse che nell’aspetto. Tutta quella storia, si disse accendendo una sigaretta nonostante l’affanno, era solo una buona strategia commerciale per lui e un buon modo di guadagnare per lei.
D’altronde, l’uomo seduto su quello scoglio, proprio quello, non era lui e questo era tutto ciò che in quel momento contasse.