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Autore: denna    18/01/2021    0 recensioni
Dopo essere sopravvissuti alla Meteorfall e aver salvato il pianeta, i nostri eroi dovranno fronteggiare una nuova terribile sfida contro un avversario mai affrontato prima: una vita normale.
Prima fanfiction ambientata nello straordinario universo di Final Fantasy VII, spero di coinvolgervi in una piacevole lettura.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Cloud Strife, Tifa Lockheart
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: FFVII, Advent Children
Capitoli:
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Cap. 3 Meteor

 

Cloud e Tifa stavano dormendo, stretti insieme nel letto della ragazza. Lei lo cingeva con un braccio e sembrava preda di sogni agitati.

All’improvviso un piccolo rumore fece sobbalzare il biondo, che si svegliò all’istante. Tutto sembrava essere piombato di nuovo nel silenzio, ma il movimento aveva fatto svegliare anche Tifa.

«Cloud… cosa c’è?» sussurrò.

«Ho sentito un rumore…» rispose lui, scrutando nel buio.

«Oh mio dio… potrebbe essere ancora qui?»

«Calmati, probabilmente è andato via.»

Tifa si strinse ancora di più a lui, gli occhi pieni di lacrime.

«I suoi occhi Cloud… i suoi occhi… voleva uccidermi!!»

 

Il giorno prima...

 

Cloud passeggiava tra i negozi, guardando sconsolato le vetrine. Ogni prezzo che vedeva gli faceva rimpiangere di non aver accettato i soldi di Andrea.

I gioielli sembravano molto eleganti, ma non c’era nulla alla sua portata; ogni pietra scintillava quasi a volerlo deridere. Una coppia all’interno del negozio stava comprando degli orecchini: la ragazza sembrava entusiasta e saltò al collo del ragazzo mentre lui pagava.

Cloud accelerò il passo e andò a vedere il negozio di vestiti.

La vetrina non era cambiata molto dall’ultima volta; solo un modello aveva uno sconto sufficiente a rientrare nel suo budget, ma era quello lungo, rosso e con lo spacco. Passò ancora oltre.

Colto da un momento di ispirazione, andò verso il negozio di animali. Era chiuso.

Imprecò dentro di sé per la frustrazione. Non avrebbe mai trovato un bel regalo per Tifa.

 

Quella mattina…

 

«Non hai mai fatto un regalo a Tifa??»

«Non è vero! Una volta le ho portato un fiore. Uno vero.»

«... ah si?»

«Si! Me lo avevano regalato. Un’altra ragazza… me lo aveva regalato.»

Andrea si portò una mano alla fronte. Alle sue spalle tutti i culturisti, compreso Jules, scuotevano la testa con disapprovazione.

«In nome del popolo maschile, questo è un intervento!» esclamò Jules.

«Falle un regalo! Uno bello!» rincarò un altro dei presenti.

«Ma… cosa potrei regalarle?» chiese Cloud, confuso. Andrea sospirò forte, poi rispose:

«Dovresti conoscere i suoi gusti! Cosa le piace?» 

«Ehm… le piace allenarsi…dei guanti nuovi?»

«Si, ma sarebbe una cosa poco romantica… gioielli? Tutte le ragazze amano i gioielli!»

«Lei porta gli orecchini…»

«Ecco qua! Ottima idea!»

«Anche i cuccioli sono un bel regalo!» esclamò un culturista.

«Uuuuh si! Come sono carini!» gli fece eco un secondo atleta.

Jules annuì.

«E poi… sono un bell’allenamento, in attesa di un cucciolo tutto vostro.»

Cloud sbiancò e mollò la presa di un bilanciere, che si schiantò per terra.

«Cloud!! Se hai una cosa in mano, mantieni la presa!» lo rimproverò Andrea, che aveva schivato il peso appena in tempo.

«Vi sembra il modo?? Non è il momento di parlare di figli!»

Cloud divenne ancora più bianco:

«Fi-figli?!?»

«Si! Sai, quei piccoli fagottini adorabili pieni di gioia!»

«Anche di cacca, vomito, notti insonni e bava!»

Andrea impedì a Cloud di riprendere il bilanciere.

«No no, prima finiamo il discorso. Ci tengo ai miei piedi.»

Uno dei ragazzi sentenziò:

«Vai oggi a prenderle un regalo. La situazione va ripresa in mano!»

Andrea scrutò gli altri con odio.

«Se lo mandiamo da solo Tifa riceverà qualcosa di orrendo! Aspetta domani, ti accompagnerò io.»

«Hey!» ribatté Cloud, offeso.

«Sai che è vero, my dear. E poi… regola numero due!»

L’intera sala pesi rispose in coro:

«Andrea Rhodea ha sempre ragione!»

L’entertainer si inchinò. Cloud si chiese come mai l’intera sala pesi si stesse di colpo facendo gli affari suoi.

«E va bene… ti aspetterò.»

 

Più tardi…

 

Dopo l’ennesima vetrina spoglia, Cloud si rassegnò a dover aspettare il giorno dopo e Andrea, per trovare un regalo. Si avviò mesto alla fermata della diligenza.

“-Cloud! Ma cosa ci hai fatto con questa moto?? Ho dovuto scrostare merda da pezzi che non conoscevo nemmeno!! 

-Un disguido… ci sono finito nelle fogne.

-Beh, la prossima volta vedi di non avere disguidi! E questi buchi??

-... topi.

-Si si, prendimi per il culo! A chi hai pestato i piedi?

-A dei topi… topi mafiosi.

-Ti manderò il conto. Stavolta sarà bello salato, ho paura.

-Mandalo all’Honeybee Inn. Il signor Rhodea pagherà.

-Oh hoo… anche amicizie altolocate adesso?

-Quanto tempo ti serve?

-Quando questo rottame smetterà di sputare merda ti avviserò!

-... ok.

-Comunque posso farti un upgrade con dell’ottima carrozzeria anti-topi, come dici tu.

-... non credo che avrò altri problemi di topi, grazie comunque.

Arrivò alla fermata, perso nei suoi pensieri. Dopo pochi minuti sentì il richiamo acuto del chocobo e la diligenza fece capolino da dietro la curva.

Osservò per un attimo il pennuto giallo, che sembrava particolarmente canterino.

«Kueeeeh! Kueh kueh!»

Di colpo ebbe un’illuminazione e abbandonò la fermata, riaddentrandosi nel mercato. Raggiunse il suo obiettivo dopo una veloce camminata.

«Che vuoi fare tu?? Mica lo so se posso…» gli rispose lo stalliere, grattandosi la nuca.

«È molto importante.» disse Cloud, nervoso.

«E va bene, ti chiamo il capo. Domanda a lui.»

Scomparve per qualche momento dietro una porta, poi Chocobo Sam la riaprì, avvicinandosi a Cloud.

«Quindi vuoi comprare un pulcino?» gli chiese.

«Si.»

«Non so se posso… sono molto richiesti e devo ancora completare la mia stalla per le diligenze… ma visto che sei tu, farò un’eccezione.» disse Sam, aprendogli il cancelletto e invitandolo ad entrare. 

Lo condusse all’interno delle stalle, dove lo starnazzare degli uccelli a tratti era assordante. Molti degli adulti erano accoccolati nel proprio box, ma alcuni sporsero la testa, incuriositi dall’ospite.

«Kueeh?»

«Ahi!» esclamò Cloud, ricevendo un colpetto alla testa.

«Su, Betsy, fa la brava! Torna a dormire!» disse bonariamente Sam, spingendo via la testa dell’animale.

Dopodiché guardò Cloud, facendogli cenno con un dito di fare silenzio. Aprì una piccola guardiola in una porta e lo invitò a guardare.

Nella stanza c’erano cinque pulcini di chocobo, profondamente addormentati con la testa sotto un’ala, che sembravano piccoli batuffoli di ovatta gialla. Cloud si convinse e annuì.

Sam lo invitò ad uscire e ad aspettarlo fuori.

Qualche minuto dopo lo raggiunse, con una voluminosa gabbia coperta da un telo in mano.

«Amano dormire…» gli sussurrò. Cloud pagò quanto richiesto e si avviò di nuovo alla fermata, portando senza sforzo la gabbia con sé.

 

***

 

Arrivò al Seventh Heaven e notò che era già pieno di avventori. Questo gli avrebbe semplificato le cose: si avviò alla porta sul retro e salì le scale indisturbato, arrivando alla sua stanza. Posò la gabbia in un angolo e iniziò a prepararsi per fare una doccia, ma sentì i passi affrettati di Tifa nel corridoio.

«Cloud!! Sei tornato?» urlò, bussando alla porta.

«Si, stavo per farmi una doccia!» rispose lui, guardando preoccupato la gabbia.

«Non c’è tempo!! Mi serve aiuto di sotto, la gente sembra che non beva da due giorni!»

«... ok, arrivo.»

«Grazie! Muoviti!» concluse lei, prima di tornare al bar.

Cloud tirò un sospiro di sollievo. Prima di andare sollevò lievemente il telo e guardò per un attimo il pulcino che dormiva, beato.

Scese le scale e entrò nel bar; Tifa gli lanciò una pezza mentre con un vassoio colmo andava verso un tavolo.

«I bicchieri!!!»

Cloud lo prese al volo e si mise all’opera. La serata si trascinò lentamente ma con un’incessante attività; Tifa correva indiavolata tra i tavoli e Cloud si occupava di sistemare il bar.

Lei era sempre molto gentile con tutti e molte teste la seguivano mentre si spostava.

«Ma il signor Rhodea non c’è stasera?» le chiese un ragazzo ad un certo punto.

«Veramente non è un avventore abituale, ha il suo locale da gestire…» rispose Tifa, sorridendo.

«Poco male, i drink non mi fanno sentire la sua mancanza.» affermò il cliente, con una strizzatina d’occhio.

Cloud notò che il ragazzo si sporgeva un po’ troppo per seguire i movimenti di Tifa. Guardò intensamente il calice che teneva in mano, cercando di non cedere alla rabbia. Ricordò le parole di Andrea riguardo le scenate di gelosia e riuscì a calmarsi senza rompere nulla.

“Andrea sarebbe fiero di me.” 

Posò il bicchiere e si girò in tempo per vedere lo stesso ragazzo che chiamava nuovamente Tifa; non riusciva a sentire bene cosa le stesse dicendo, ma non sembrava un’ordinazione.

Tifa rispose con il suo solito sorriso, ma appena si voltò verso Cloud il sorriso scomparve. Entrò nel bar, posò il vassoio di fianco a Cloud e gli sussurrò:

«Mamma mia che idiota quello. La prossima volta ci vai tu.»

«Ok…»

«Ma senza picchiarlo!»

«... ok…»

Lei gli stampò un bacio sulla guancia e si mise a preparare altri cocktail. Cloud guardò compiaciuto il sorriso svanire dal volto del cliente.

«Oh, il cinque voleva un altro bicchiere. Potresti portarglielo tu?» gli chiese Tifa, senza smettere di shakerare.

«Vado subito.» rispose lui. Lei gli assestò una sculacciata mentre passava.

«Su su, che la serata non è finita.» rispose lei al suo sguardo interrogativo.

Nel momento in cui entrò in sala con il bicchiere in mano, fu come se un riflettore si fosse di colpo acceso su di lui. Iniziò ad arrossire senza motivo mentre si faceva strada verso il tavolo cinque.

Tifa alzò la testa dal cocktail che stava preparando giusto in tempo per vedere che molte altre teste si stavano muovendo come girasoli, seguendo il ragazzo con il bicchiere in mano. Cercò di non badarci e iniziò a shakerare.

Altre teste si voltarono, mentre qualche risatina femminile si faceva sentire.

Shakerò più forte.

Cloud lasciò finalmente il bicchiere al tavolo, guardacaso completamente occupato da ragazze. Una di loro gli chiese qualcosa e lui divenne rosso come un peperone.

Tifa lo guardò tornare al bancone, senza riuscire a trattenere un’espressione contrariata.

Lui rientrò e riprese la sua postazione al lavandino.

«Che ti hanno chiesto?» sibilò lei.

«Solo se puoi preparare un altro Cosmo.»

«Ah… ok.»

«Tifa…»

«Che c’è?»

«Forse ormai è pronto.»

Solo allora Tifa si accorse che stava ancora shakerando il drink.

«Oh, si… heheheh.» ridacchiò imbarazzata, sbrigandosi a comporre il vassoio. Prima che riuscisse ad uscire dal bar le arrivò una sculacciata. Sorrise.

 

***

 

Finalmente la serata giunse al termine. Cloud fece uscire le ultime persone, ignorando le proteste e suppliche dei clienti più accaniti. Chiuse la porta e tornò ad aiutare Tifa, che aveva già iniziato le pulizie.

A lavoro finito, Cloud si abbandonò su uno sgabello.

«Bicchiere della staffa?» domandò sorridente Tifa, sollevando lo shaker.

«Ok.»

Preparò un drink molto semplice e ne versò due bicchieri. Si sedette accanto a lui e brindarono.

«Un piccolo ringraziamento per il tuo aiuto di oggi.»

«... grazie, io… lo faccio volentieri.»

«E un piccolo extra…» aggiunse, avvicinandosi a lui e baciandolo. Lui rispose con tutta la passione che riuscì a impiegare dopo la serata faticosa.

«Mi dicevi che domani hai una consegna?» disse Tifa, sorseggiando il drink.

«Si. Devo andare presto però, visto che non ho Fenrir.»

«Uffa, quanto ci vorrà ancora?»

«Vuoi sapere cosa ha detto il meccanico?»

«Mmmh… forse no.»

«E non puoi rimandare la consegna?» domandò la ragazza, prima di prendere un sorso dal suo bicchiere.

«No, il cliente ha pagato la consegna extra rapida. La lavanderia invece?» chiese, speranzoso.

«Avevano tante ordinazioni in sospeso, ci vorranno ancora un paio di giorni. Anche se non mi dispiace il tuo nuovo completo.» rispose Tifa, guardandolo.

Il ragazzo indossava una maglia nera a coste, senza maniche, con la zip tirata giù che lasciava intravedere il collo, e pantaloni e anfibi dello stesso colore.

«Andrea dice che è tetro.» disse lui.

«L’unico parere che conta è il mio. E poi, in confronto a come si veste lui è tetro anche un pigiamino da neonato.» commentò la ragazza, sarcastica.

“Figli… quei piccoli fagottini adorabili pieni di gioia.” 

Cloud riuscì a non farsi andare di traverso il drink, ma fissò per un attimo il vuoto. Sperò che il regalo che dormiva di sopra le sarebbe piaciuto.

“E poi… sono un bell’allenamento, in attesa di un cucciolo tutto vostro.”

 

***

 

Cloud si svegliò prima dell’alba, per riuscire a prendere la prima diligenza del mattino. Per prima cosa, controllò che il pulcino stesse bene, poi prese il pacco che aveva imballato la sera prima, e scese le scale in punta di piedi. Uscì, sperando di tornare il prima possibile.

Tifa fu svegliata dal trambusto di oggetti fragili che cadevano ed andavano in frantumi.

«Cloud! Stai attento per favore!» gridò, prima di girarsi e riprovare a dormire.

il rumore cessò, sostituito da uno zampettare nel corridoio.

Due colpi fortissimi la fecero sobbalzare. Guardò confusa la porta e lo zampettio riprese, spostandosi verso le scale.

“Ma che cavolo… non di nuovo i ratti…”

Tifa prese i suoi guanti e si alzò circospetta dal letto. Poteva occuparsene anche da sola.

In effetti il corridoio era cosparso di frammenti di legno, vetro e porcellana. Buchi e segni di graffi sui muri completavano il macello. Entrò nella stanza di Cloud: di lui non trovò nessuna traccia, ma in un angolo c’erano i resti di quella che sembrava una gabbia di metallo, sfondata. 

Anche il letto era sfondato, e i resti dell’imbottitura del materasso erano sparsi ovunque, imbiancando la stanza come neve.

“Ma che è successo…?”

Il rumore di stoviglie in frantumi riprese, stavolta chiaramente nella cucina del Seventh Heaven.

«No, la mia cucina no!» esclamò Tifa, dirigendosi velocemente di sotto. Il disastro aveva colpito anche le scale, completamente graffiate, e sembrava continuare imperterrito anche nel bar, con buona parte dei bicchieri ridotti in briciole.

Tifa impugnò uno sgabello e si addentrò in cucina, tenendolo in alto pronto a colpire. All’interno vide che qualcosa si agitava nella dispensa, gettando all’aria ortaggi e buste di patate fritte.

«Kuee… kuee…»

“Non è il verso dei ratti, questo…” pensò Tifa, mentre con una mano spalancava l’anta di legno.

In cima al mucchio di verdure mezze masticate e pacchi di patatine forati, c’era un pulcino di chocobo, che la osservava con gli enormi occhi azzurri spalancati. La sua testa sembrava sproporzionatamente grande per il suo esile collo; agitò debolmente le piccole ali e si girò.

«Kueeeeh…»

«Oh, ma sei… sei cariniiissimo! Che c’è, ti sei perso? Poverino…» disse Tifa, abbassando lo sgabello. Tese una mano verso il pulcino per accarezzarlo.

«... KUEEEH!!»

In un attimo il pulcino si avvinghiò alla sua mano, starnazzando come un ossesso,  beccando e graffiando ogni punto che riusciva a raggiungere.

Tifa urlò e cercò di toglierselo di dosso agitando il braccio, ma riuscì solo ad aiutarlo a portarsi più vicino alla sua faccia, tagliando e mordendo.

«Kueeh! kueeh!!»

«Togliti, maledetto... adorabile... infame…!!» strillò la ragazza, riuscendo finalmente ad acchiapparlo e a tirarlo lontano da lei. Lui non perse nemmeno un attimo e tornò all’attacco, soffiando e agitando le piccole ali.

Tifa pensò per un attimo di tirargli un calcio, ma non ci riuscì; l’esitazione le costò varie beccate sullo stinco e graffi su tutto il piede. Iniziò a correre verso il bagno, riuscendo ad entrare un attimo prima di lui e a chiudersi dentro.

Sentì ripetuti colpi abbattersi sulla porta, accompagnati da versi feroci.

“Oh mio dio… fa che non entri, fa che non entri!!”

Dopo quelli che sembrarono interi minuti il pulcino si stufò e tornò a devastare la cucina. Tifa potè solo ascoltare impotente la distruzione del suo locale.

«Cloud… sbrigati a tornare!» sussurrò, raggomitolata su se stessa.

 

***

 

«Tifa… sei lì dentro?» chiese Cloud, bussando di nuovo alla porta del bagno.

«Cloud!!!» urlò lei, aprendo la porta e gettandosi tra le sue braccia.

«Cosa è successo?!? È tutto distrutto!»

«Quel… quel… pennuto!» rispose lei, con voce rotta. Il ragazzo trasalì:

«Cosa?? È successo qualcosa al chocobo??»

Tifa lo allontanò e gli rivolse uno sguardo omicida.

«... Cloud. Strife.»

«Cosa?» esalò lui, mentre il sangue gli si gelava nelle vene.

«Come sai di quella piccola macchina assassina??» sibilò lei.

«...»

Il silenzio bastò a confermare i sospetti della ragazza, che proruppe furibonda:

«Hai portato tu quel chocobo dentro casa!!! La gabbia in camera tua… tutto torna!» 

Cloud impallidì. Riuscì a dire soltanto:

«... doveva… essere una sorpresa…»

Tifa lo guardò, allibita.

«Tu… tu…»

«Tifa, calmati. Sei piena di graffi, dobbiamo medicarli!» esclamò Cloud, notando solo in qual momento le ferite della ragazza.

«Non cambiare discorso!!» gridò lei. Il ragazzo iniziò a preoccuparsi: non l’aveva mai vista così fuori di sé, almeno non con lui.

«Perché lo hai portato qui?» domandò Tifa.

«Te l’ho detto, era una sorpresa per te.»

«Perché dovrei volere un chocobo?» esclamò lei, «… che ti è saltato in mente?»

«Perché... è un cucciolo?»

«Anche se è un cucciolo, è un concentrato di furia omicida, con artigli e becco affilatissimi!» sbraitò la ragazza.

Cloud non fece in tempo a rispondere, perché sentì qualcosa atterrare sulla sua spalla.

La rabbia svanì dal volto di Tifa, sostituita da un’espressione terrorizzata.

«È lui!!»

«KUEEEH!»

Cloud sentì un dolore acuto, appena le unghie del chocobo gli penetrarono nella carne. Provó a scacciarlo, ma il pulcino evitó agilmente la sua mano e lo beccó sulla testa. 

«Ahi!» 

Al secondo tentativo riuscì a scrollarselo di dosso. Lo lanciò fuori dal bagno e richiuse la porta dietro di sé. Tifa osservò la scena a bocca aperta, paralizzata dal terrore.

«È… un mostro…» sussurrò, mentre il chocobo si rimetteva a cercare di sfondare la porta.

Cloud teneva la maniglia ferma e la puntellava con una spalla, mentre i colpi del pulcino gli facevano tremare tutto il braccio.

«Come fa ad avere tutta questa forza?? È minuscolo!»

«Non me lo chiedere! Sei tu l’esperto domatore a quanto pare!!» gli rispose Tifa, sarcastica.

«Cosa facciamo?»

«La cosa migliore che sono riuscita a fare è stata chiudermi in bagno! E nel mentre non mi sono venute idee migliori!»

«Non possiamo restare chiusi in bagno per sempre…» le fece notare il ragazzo. I colpi continuavano, accompagnati da un feroce starnazzare.

«E sono anche disarmato… forse potrei provare ad incenerirlo.» suggerì Cloud. Tifa gli prese un braccio, guardandolo disperata.

«No!! Non… non si può uccidere un cucciolo!»

«Anche se è un concentrato di furia omicida, con artigli e becco affilatissimi?» le chiese lui, inarcando un sopracciglio.

«È… troppo carino. Uccideresti una cosa così carina??»

«Si. Prima che lui uccida te.»

«... sei… proprio sicuro?» domandò lei, con voce tremante.

«Si. Io l’ho portato qui e ora io risolverò il problema.» disse risoluto.

Cloud attese l’ennesimo colpo, poi aprì di botto la porta, ascoltando compiaciuto il verso di panico del pulcino. Tese in avanti la mano.

«Igni… ign…»

Il pulcino lo fissava con gli occhi spalancati, quasi tremando tra le macerie sul pavimento.

«Kueeehee…»

«Avevi ragione, non posso farlo! Corriamo di sopra!!» urlò Cloud, girandosi verso Tifa.

Si voltò di nuovo appena in tempo per frapporre un braccio tra la sua faccia e il pulcino, che si era lanciato su di lui ad artigli sguainati.

«Kueeh!!»

“Maledetto piccolo figlio di…”

Lo respinse, non prima che lui gli rifilasse dei profondi graffi, e si guardò disperatamente intorno alla ricerca di qualcosa per difendersi: cercò di tirare la tovaglia di un tavolo ingombro di scatole e scatoloni, ma nel farlo rovesciò tutto.

I segna tavoli di vetro che avevano comprato poco tempo prima rotolarono fuori da uno dei contenitori. Per un attimo che sembrò interminabile, l’unico suono fu quello delle sfere che rimbalzavano sul pavimento.

Poi il pulcino si lanciò all’inseguimento, starnazzando allegramente.

«Kueeh! Kueeh!»

Ignorando Cloud e Tifa, rincorse saltellando i segna tavoli, cercando di beccarli.

«Saliamo?!» gridò Tifa, spingendo Cloud verso le scale. Lui obbedì e entrambi corsero su per i gradini. La prima porta era quella della stanza di Tifa e i due si fiondarono all’interno, chiudendo la porta a chiave alle loro spalle. Tifa spinse il comò contro la porta, sbarrandola.

«Tanto per star sicuri.» spiegò ad un perplesso Cloud.

«Sei sicura che basti?» ribatté lui.

Furono soddisfatti solo dopo essere riusciti a spostare anche il baule che era ai piedi del letto. Si sedettero sul letto, ascoltando impotenti il fracasso che arrivava dal piano di sotto.

«Il mio bar…» si disperò Tifa, nascondendo il volto tra le mani.

Cloud provò ad avvicinarsi a lei, posandole una mano sulla spalla; la ragazza si lanciò tra le sue braccia. Anche lui si sentiva a pezzi.

«Mi dispiace tanto…» mormorò.

«Non… è colpa tua.»

«Davvero?» chiese Cloud, speranzoso.

«Certo che è colpa tua!! Ma almeno per il momento sto cercando di fare fronte comune contro quel piccolo sicario pennuto!» esclamò Tifa, sbuffando esasperata.

«Ah, ok.» disse lui, abbandonando la speranza. «Quindi… sei arrabbiata, vero?»

Tifa lo guardò intensamente senza rispondergli. Si alzò e si diresse verso il bagno.

«Vediamo di non farci venire qualche infezione.» disse, prendendo una cassetta di pronto soccorso.

«Aspetta, posso…» provò a dire Cloud, tastandosi la polsiera.

«Heal ce l’hai nella spada.» rispose Tifa, senza nemmeno voltarsi.

«Ah, già…» balbettò lui, voltandosi a guardarla. Il pulcino non aveva risparmiato nemmeno le sue gambe: i pantaloni che indossava erano ormai chiazzati di rosso.

«Ti aiuto.» disse ancora lei, tornando a sedersi sul letto e iniziando a srotolare delle bende.

«Grazie, ma è meglio che ti aiuti prima io.» ribatté lui, togliendole dolcemente le bende dalle mani.

«...va bene.» si arrese lei.

In pochi minuti Cloud riuscì a medicare più o meno tutti i tagli che riusciva a vedere.

«Cloud…»

«Si?»

«Potresti controllare anche la mia schiena?»

«...»

«Cloud?»

«Eh? Ah, si. Certo. Girati.»

La ragazza si girò e si tolse la maglia del pigiama, non senza difficoltà per via dei bendaggi. Non visto, Cloud avvampò.

«Ci sono ferite?» domandò Tifa, preoccupata.

Cloud si ricordò di respirare. 

«No, è a posto.» disse. Tentò di accarezzarla, ma lei si rimise velocemente la maglia, mormorando un ringraziamento.

«Prego.» rispose sospirando.

«Tocca a te.» disse la ragazza, prendendo le bende. Non ci volle molto tempo, per fortuna i tagli subiti da Cloud erano molti meno rispetto a quelli di Tifa.

«Manca solo quella sulla testa…» mormorò lei.

Allo sguardo interrogativo del ragazzo, rispose passandogli una mano tra i capelli e mostrandogli i polpastrelli rossi.

«Non pensavo fosse così grave…» si giustificò Cloud, mentre Tifa si preparava a medicarlo ancora.

«Chissà perché non ne sono sorpresa.» disse ironica Tifa, accennando un sorriso. 

«Ecco fatto.» disse soddisfatta. La mano di lei scese lungo la sua guancia, quasi a sembrare una carezza. Per un attimo, i loro occhi si incontrarono. Cloud posò la sua mano sulla mano fasciata di lei e sostenne il suo sguardo.

«Anche se dubito che ci riuscirò, vorrei provare a riposare.» affermò Tifa, mentre si allontanava da lui.

Cloud annuì e si alzò dal letto.

«Dove stai andando?»

«Hai detto che vuoi riposare.»

«La tua stanza è distrutta. Dai, ti lascio un po’ di spazio.»

Cloud guardò il letto, poi Tifa, poi di nuovo il letto, arrossendo.

«Sicura? Posso… dormire per terra…» disse esitante.

«Cloud, taci e vieni qui.»

«Va bene.»

Si sdraiò accanto a lei, insicuro su cosa dovesse fare. Tifa gli si strinse addosso, cingendolo con un braccio. Cloud trasalì per un momento, poi ricambiò l’abbraccio.

 

***

 

La mattina dopo...

 

«I suoi occhi Cloud… i suoi occhi… voleva uccidermi!!»

Avrebbe voluto dirle che stava esagerando, ma dopo aver visto quella bestiaccia in azione non se la sentiva di contraddirla.

«Vado a vedere.» disse.

«Sei sicuro?» chiese Tifa, con una nota di preoccupazione nella voce.

«Questa cosa è andata avanti per troppo tempo!» rispose lui. «Non possiamo farci mettere in scacco da un batuffolo di ovatta gialla.»

“Anche se è imbevuto nel male…”

«Cloud! Sarà pure un batuffolo, ma è imbevuto nel male!» commentò Tifa, che si sentiva meno sicura del suo ragazzo.

«Io vado avanti, seguimi.» disse il biondo.

«Ok…» disse lei, infilandosi i suoi guanti.

Mentre afferrava la maniglia della porta, Cloud guardò per caso il suo bracciale; nella sua mente iniziò a formarsi un piano. 

Scesero le scale evitando di fare il minimo rumore, aggirando ogni frammento che avrebbe potuto rivelare la loro presenza se toccato. Arrivarono al piano di sotto, che sembrava una zona di guerra. Tifa soffocò un singhiozzo alla vista del locale devastato.

“Non voglio immaginare come sarà ridotta la cucina.”

«Non lo vedo.» sussurrò Cloud. 

«Forse avevi ragione e se ne è andato.» bisbigliò Tifa, sollevata.

«KUEEEEEEEEEH!»

Il pennuto saltò improvvisamente sul bancone, feroce come il giorno prima, ed iniziò a correre nella loro direzione, agitando le piccole ali.

Tifa strillò e saltò all’indietro. Cloud si sfilò il bracciale e tolse la prima materia che gli capitò, iniziando subito ad agitarla davanti a sé.

«Che stai facendo?!» gridò Tifa.

Il pulcino rallentò, iniziando a seguire con la testa la sfera verde nella mano del ragazzo. I suoi occhi, un momento prima rabbiosi, erano spalancati e adoranti.

«Kueeeee…»

«Gli piacciono le materie?» esclamò la ragazza, incredula.

«Preparati ad aprire la porta, io la lancerò fuori e lui…»

Cloud non fece in tempo a finire la frase: il chocobo scattò nuovamente col collo proteso in avanti e il becco aperto verso la materia. Il ragazzo non fu abbastanza veloce e l’uccello si impadronì della sfera, strappandogliela dalla mano.

«No no no… da bravo, ridammela…» disse Cloud, avvicinandosi piano piano al pulcino.

Lui lo fissò, poi inghiottì la materia.

I due ragazzi osservarono impotenti il rigonfiamento nel gozzo del chocobo scendere verso il basso, per bloccarsi a metà strada.

Un istante dopo, fiamme vermiglie avvolsero il pulcino.

«Stavi usando la materia ardente?!?» strillò Tifa, guardando con orrore il chocobo.

«A quanto pare.» rispose lui. Non aveva fatto caso a quale avesse preso. 

Il chocobo iniziò a emettere versi strozzati e a correre in giro come un ossesso, urtando contro qualsiasi cosa ci fosse. Alcuni pezzi della mobilia iniziarono a prendere fuoco.

«Cloud! Fai qualcosa!!» urlò Tifa, mentre cercava di spegnere le fiamme con una tovaglia.

Il ragazzo si guardò intorno: ormai c’erano vari principi di incendio nel bar, aiutati dal fatto che molti degli oggetti erano ridotti in frantumi.

«Crio!» gridò, puntando ad una sedia che era mezza divorata dalle fiamme.

Il ghiaccio la avvolse, spegnendo le fiamme ma squagliandosi quasi istantaneamente.

«Ci pensiamo dopo!! Ferma quel coso!!» gridò Tifa.

Il pulcino aveva rallentato e barcollava in giro, continuamente scosso da conati; la materia che aveva ingoiato era ancora visibile, incastrata a metà del suo collo. Non sembrava ustionato dalle fiamme, ma non accennavano a spegnersi.

“Sta soffocando?” pensò basito Cloud.

«Dobbiamo fargliela sputare!» strillò Tifa.

«Ma è in fiamme!» ribatté Cloud.

«Prendi!» gridò lei, lanciandogli un guanto da forno. Anche se scettico, il ragazzo lo indossò e corse verso il pulcino. 

Lo prese in braccio, contento che non sembrasse in grado di reagire, e cercò di comprimere il suo torace. Le fiamme erano insopportabilmente roventi e la materia non sembrava volersi spostare.

Incapace di resistere oltre, Cloud strinse il collo del pulcino con entrambe le mani e fece scorrere una mano verso la sua bocca, portando con sé la materia. Finalmente, con un ultimo conato, il pulcino riuscì a sputarla. Nello stesso istante, le fiamme sparirono e l’uccello rimase inerte tra le sue braccia, respirando piano.

Le ustioni non avevano risparmiato nemmeno la mano protetta dal guanto, che era ridotto a brandelli. Anche parte dei vestiti si erano bruciati. Tifa spense l’ultimo piccolo incendio e si sedette pesantemente per terra, in uno dei pochi posti liberi da macerie, guardando il vuoto davanti a sé.

Il chocobo aveva perso ogni velleità omicida; Cloud lo posò sul bancone e si sedette per terra accanto a Tifa. Rimasero per un po’ in silenzio.

«Sai...» esordì lei, con voce rotta dalla stanchezza, «… credo che dovremmo dargli un nome.»

Cloud la fissò, incredulo.

 

***

«Oh, buongiorno Tifa! Splendida come sem…»

La ragazza si avvicinò e colpì Sam con un diretto al mento. Lo stalliere lì vicino si rifugiò all’interno dell’ufficio e seguì gli eventi dalla finestra.

«Come ti sei permesso di vendere un pulcino a Cloud?!?» sibilò la ragazza, trafiggendo l’uomo a terra con lo sguardo.

Sam riuscì a puntellarsi sul gomito per rialzarsi, massaggiandosi la zona colpita.

«Il cliente ha sempre ragione, cara. Mi ha chiesto un pulcino, gliel’ho venduto.»

«Sapevi benissimo che sono tremendi!!» replicò Tifa, sollevando il pugno.

«Pensavo che sapesse a cosa andava incontro…» disse il chocobiere, mentre si rialzava.

Tifa lo colpì ancora, stufa delle sue bugie, facendolo cadere di nuovo.

«Sei un idiota. E mi pagherai i danni.» sentenziò, esibendo la sua migliore espressione minacciosa.

L’uomo decise di non rialzarsi.

«Non posso fermarti, tesoro.»

«Bene. Mi aspetto di ricevere i soldi il prima possibile. O mi rivedrai.» disse la ragazza.

«Per quanto la prospettiva di rivederti mi alletti, credo che te li farò portare.»

«Addio.» fece Tifa, voltandosi.

«Fammi riportare il pulcino!» esclamò Sam, rialzando la testa.

«Non se ne parla! Meteor resta con noi!»

«Come lo avete chiamato!?»

Note dell'autrice:
Bene! siamo già arrivati al terzo capitolo. Spero che la storia vi stia piacendo e di riuscire a catturare sempre di più il vostro interesse. Fatemi sapere che cosa ne pensate fino ad adesso, se vi va. Tranquilli, io non mordo... Meteor si.
"Risata malvagia"
  
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