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Autore: Picci_picci    20/01/2021    4 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
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"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Come aveva promesso a Paul, aveva fatto di tutto per non apparire la classica ragazza disperata dal cuore spezzato.

Si era fatta una bella doccia e aveva asciugato con insolita cura i suoi capelli, cercando di non far capire che aveva passato la serata tra gelato ed alcol (più gelato che alcol). Era stata davanti al suo armadio per una buona decina di minuti, cercando con tutta se stessa di non cadere nel provocante richiamo della tuta, ma di vestirsi in maniera appropriata, da degna stagista di monsieur Agreste. 

Aveva tirato fuori la sua parte più da Marinette, scegliendo un look composto solo da sfumature di rosa: la gonna dritta che finiva a metà coscia era di un rosa shocking sgargiante, la camicia era rosa chicco con le spalline decorate da piccole perle. Per non parlare del cappotto dritto e lungo fino alle ginocchia che presentava una texture scozzese, però dalle mille sfumature di rosa.

Le scarpe erano probabilmente la cosa più sobria: delle semplici décolleté nude tacco dodici centimetri di Oscar de la Renta. Aveva lasciato i capelli lisci, al naturale, aveva passato molto tempo a truccarsi -il che era strano.

Aveva scoperto che per stendere l’eyeliner doveva essere completamente concentrata e, di conseguenza, non pensava ad altro che: “non sbagliare”. 

Se lo avesse saputo prima, non avrebbe passato la sera tra alcol e gelato per dimenticare Adrien, ma tra gelato e eye-liner.

Il gelato non si molla in nessun caso!

Insomma, era restata così concentrata sul fatto che restare attenta a come stendere l'eyeliner non la faceva pensare ad Adrien, che aveva finito per sbagliare, quindi aveva dovuto struccarsi metà occhio e rifarlo da capo.

Ci aveva messo cinque minuti più del necessario; facciamo dieci.

Aveva, poi, perso del tempo per trovare la catena d’oro che indossava come collana insieme al ciondolo con la A di Agreste.

Era scesa di corsa e aveva recuperato la borsa che solitamente usava per lavoro, quella nera dell’ultima collezione autunno-inverno di Agreste, e vi aveva attaccato una catena dorata dalla quale pendevano delle perle e il logo della maison. L’aveva realizzata lei stessa ed era fiera del risultato. 

Aveva deciso che si sarebbe circondata da piccole gioie e speranze, come quella catena, per evitare di scendere nella tristezza e nella depressione.

Forse in molti si staranno chiedendo: come ha fatto Marinette a fare tutte queste cose di prima mattina quando siamo tutti degli zombie? 

Semplicemente, la mora era alzata dalle cinque del mattino, incapace di dormire dell’altro a causa di un certo ragazzo biondo. Alla fine ci aveva rinunciato e aveva speso quel tempo a prepararsi per la mattina di lavoro.

Adesso si trovava sul marciapiede davanti alla boulangerie dei suoi genitori con gli occhialoni da sole calati sugli occhi, e aspettava Paul.

Cavolo, per una volta che era in orario sarebbe arrivata in ritardo a causa sua!

Sospirò e guardò il cellulare nella speranza che le fosse arrivato un messaggio da parte del suo amico.

Nulla, il vuoto totale, vedeva solo la foto dell’abito da red carpet che lei e Gabriel avevano disegnato assieme: un abito bianco semplice e ricercato, esattamente come Gabriel Agreste. 

Il rumore di una macchina che si avvicina, le fece spegnere il telefono e posarlo in borsa. 

Paul la guardava da dietro i suoi occhiali da sole comodamente seduto nella sua macchina blu cobalto.

“Bene, vogliamo andare o continuiamo a scrutarci?”

Marinette si avviò velocemente dentro la macchina, stranita dal fatto che Paul non avesse fatto nessun commento.

“Come va?”

“Mi stai chiedendo se mi è passata la depressione? Perché no, non mi è passata.”

“Bè, a me non è passata la sbronza, siamo pari.”

Marinette abbassò gli occhialoni, evitando di commentare che non era affatto la stessa cosa. 

“Vorrei non incontrarlo”, disse lei rialzando gli occhiali.

“La vita non va mai come vogliamo.”

Lei annuì e restarono per un po’ in silenzio, con solo la radio che annunciava le ultime notizie.

“Piuttosto”, iniziò il suo amico mettendo la freccia per girare a destra, “perché hai deciso di travestirti da fata confetto?”

Ora sì che riconosceva che Paul.

***

Varcò la porta della maison con le sue Oscar de la Renta, agguantandosi alla borsa come se fosse un salvagente.

“Visto?”, disse Paul che era accanto a lei, “niente di cui preoccuparti: è sempre la solita maison, con le solite persone.”

“Dillo per te”, esclamò lei togliendosi gli occhiali.

“Bene fatina, andiamo.”

“Smettila di chiamarmi così.”

Lui chiamò l’ascensore, “e perché? Sei vestita di rosa.”

“E quindi? Nessuno può indossare il suo colore preferito?”

Entrarono dentro l’ascensore e salirono verso l’ultimo piano.

“Hai il ciclo?”

Marinette spalancò gli occhi e lo colpì con la borsa.

“Scusami. Pre ciclo.”

Lei lo colpì di nuovo con la borsa proprio mentre le porte dell’ascensore si aprirono.

“Oh, finalmente”, gridò Paul spingendola fuori, “vi avverto”, continuò gridando attirando l’attenzione degli altri dipendenti, “oggi è più aggressiva e incazzosa che mai. Sapete, il pre ciclo.”

Le porte si chiusero prima che Marinette potesse colpirlo di nuovo. 

Quando si girò, tutte le persone nella stanza la guardavano.

Sentì il sangue affluirle al viso e con voce timida, “non fateci caso...sapete come è fatto.”

Si incamminò velocemente verso il suo ufficio, evitando di guardare chiunque negli occhi.

Varcando la porta, trovò Natalie che, come sempre, era seduta alla sua scrivania intenta a lavorare.

“Bonjour, Natalie.”

“Bonjour, mademoiselle.”

Con calma e cercando di fare poco rumore, appoggiò la borsa per terra sotto la sua scrivania e si tolse il cappotto che appese allo stendi abiti là vicino.

“Monsieur è già arrivato?”

“Certamente, l’aspetta nel suo ufficio.”

Marinette prese un bel respiro e sistemò i capelli dietro l’orecchio: l’ansia la stava attanagliando.

“Marinette”, si girò sorpresa al suo nome pronunciato dall'algida segretaria...molto probabilmente era la primissima volta che Natalie la chiamava con solo ed esclusivamente il suo nome, “puoi stare tranquilla, monsieur Adrien non è ancora arrivato.”

Lasciò andare un sospiro di sollievo che non sapeva di aver trattenuto.

“Grazie, Nati.”

“Non prendiamoci troppe confidenze.”

Incredibile, Natalie era riuscita a farla sorridere, “certamente.”

Come di rito, bussò ed aspettò il permesso per entrare.

“Avanti.”

Monsieur l’accolse con un cenno del capo mentre sfogliava l’ennesimo numero di Vogue.

“La porta è chiusa?”

“Come sempre, monsieur.”

Cavolo, voleva licenziarla?!

Annuì e posò la rivista.

Ahia, le cose si mettevano male. Monsieur non lasciava mai la lettura di Vogue, mai, nemmeno per rimproverarla. 

Dondolò sui suoi tacchi in attesa della sentenza e pensando a quanti scatoloni avrebbe dovuto fare per portare via la sua roba da lì.

“Sai, quando ieri l’altro sei corsa dietro a mio figlio, io sono rimasto da solo con la signorina Chloè”, ma non riuscì a finire la frase perché fu interrotto.

“La prego, se mi vuole licenziare me lo dica subito.”

“Licenziare?”, chiese Gabriel guardando una spaventata quanto agita Marinette.

Lei annuì.

“Perché mai dovrei licenziarti?”

“Per quello che è successo con Adrien?”

Lui scosse la testa e le fece cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte a lui.

“Quello che è successo con Adrien è una faccenda privata e non lavorativa. Se mai ti licenzierò, sarà per uno dei tuoi innumerevoli ritardi.”

Marinette ammutolì e lo guardò.

“Chloè mi ha raccontato cosa è successo tra te e Adrien e il perché mio figlio è volato a Londra per un anno”, fece un sospiro sbottonandosi la giacca, “da una parte gli ha fatto bene lasciare Parigi per un po’... è cresciuto ed è diventato un uomo. Vorrei capire perché tu hai agito così.”

Marinette iniziò a torturarsi le mani e a guardare fuori dalla finestra alle spalle di monsieur.

“Ha presente quando diventa completamente dipendente da una persona? Quando quella persona diventa il centro del tuo mondo? Adrien stava diventando questo per me e avevo paura che avrei perso anche lui...e io…”

Si fermò incapace di parlare.

Monsieur, che finora era rimasto impassibile ad ascoltare il suo racconto, intervenì, “tu ti volevi proteggere dal dolore di un abbandono.”

Imbarazzata, Marinette annuì e si guardò le mani posate in grembo.

“So cosa si prova, sai? L’ho vissuto con mia moglie. Quando se ne è andata, se n'è andato un pezzo del mio cuore...il dolore che ho provato e che provo tutt’ora è indescrivibile. Ma ringrazio il signore per aver vissuto quegli anni felici con mia moglie...non devi aver paura di perdere qualcuno, sennò non vivrai mai la felicità. Fidati l’ho sperimentato.”

Marinette aveva gli occhi lucidi; era raro che monsieur si aprisse e che parlasse della moglie, l’ultima volta che l’aveva fatto era quando aveva lasciato Luka.

“Come dovrei fare?”, disse aprendo le mani verso l’alto, “ho rovinato tutto.”

La voce rotta e gli occhi lucidi della ragazza colpirono Gabriel...si era affezionato a lei come se fosse una figlia.

“Lo sai solo tu cara.”

Lei annuì e rimase in silenzio.

“Adesso, prendi carta e penna, ti voglio sul pezzo oggi.”

Scattò in piedi e recuperò il suo solito taccuino, “mi dica, monsieur.”

Lui fece un mezzo sorriso, “vai in sartoria e fai un giro di controllo. Chiedi a Sharon i documenti che avevo richiesto l’altro giorno e fatti venire in mente come poter risolvere il problema della location. Infine vai dall’avvocato e raccogli la cartellina che deve darti.”

Marinette finì di annotare, “altro?”

Sentì la serratura della porta scattare e, ancora prima di sentire la sua voce, sentì il suo profumo, “papà?”

Fu più forte di lei, si girò verso di lui e incontrò gli occhi verdi che amava.

Adrien, spiazzato dall’incontro improvviso con lei, si allontanò di un passo.

La tensione e l’imbarazzo potevano fendere l’aria.

“Mademoiselle”, disse Adrien con un cenno del capo.

Marinette si sentì morire dentro; stava utilizzando contro di lei la stessa moneta che aveva utilizzato con lui tempo addietro e, solo ora, capiva come si era sentito Adrien quando lo aveva chiamato monsieur. 

Rimase immobile e indurì lo sguardo, non gli avrebbe dimostrato il suo dolore, poco ma sicuro.

Si era disperata anche troppo e per troppo tempo.

“Se non c’è altro, io vado, monsieur”, disse non staccando gli occhi di dosso da Adrien.

“No, puoi andare.”

Se ne andò a passo svelto, superò la sua scrivania, uscì dal suo ufficio e continuò a camminare di fretta e furia tra i corridoi della maison finché non vide la scritta “toilette”. 

Velocemente si rinchiuse in uno dei bagni e si appoggiò alla porta di spalle con ancora il suo taccuino in mano.

“Mari..”

“Non ce la faccio a vederlo, Tikki.”

“No sei stata bravissima ora, ti sei comportata da persona matura.”

“Sì e ora sono rinchiusa in bagno come un’adolescente.”

Tikki si appoggiò alla guancia della sua protetta, “vedrai, con il tempo andrà sempre meglio.”

“Cosa dovrei fare? Non vuole avere a che fare con me.”

“Dagli tempo; è una cosa grossa da digerire.”

Lei annuì e strinse il taccuino, “mi manca.”

Tikki si avvicinò di più alla ragazza e Marinette le accarezzò il capino, cercando di trattenere le lacrime.

***

L’unica cosa che Marinette non sapeva era che dall’altra parte del muro, rinchiuso in una delle cabine del bagno, Adrien stava avendo una conversazione non proprio seria con il suo kwami.

“L’ho ferita?”

“Bè, lei ha ferito te.”

“Sì…”

Plagg alzò un sopracciglio, guardandolo.

“Sei arrabbiato con lei?”

Il biondo alzò il capo e lo guardò con occhi decisi, “sì.”

“La ami?”

“Forse”, rispose meno deciso.

“Ma non vuoi che soffra.”

Adrien annuì.

“Continuerà, anzi continuerete, a soffrire se non chiarite e continuate a trattarvi così.”

“Sai”, iniziò il ragazzo dopo un momento di silenzio, “potresti avere ragione.”

“Moccioso, io ho sempre ragione!”

Adrien uscì dal bagno e dall’espressione che assunse sul viso, Plagg capì che il moccioso non aveva capito un accidente.

E lui avrebbe avuto un’altra gatta, e bella grossa, da pelare.

Ma un dio-gatto non poteva avere un po’ di pace?


Angolo Autrice
Eccomi tornata, sono viva! Se ve la dovete rifare con qualcuno, rifatevela con il computer assente e la mia ignoranza di non riuscire a pubblicare con il telefono... Il capitolo era pronto due giorni fa, ci tengo a farvelo presente ahahahha.
Detto questo, ringrazio tutti quelli che leggono questa storia e mi supportano!
Un bacio,
Cassie
   
 
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