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Autore: Clodie Swan    20/01/2021    5 recensioni
“Noi non siamo i nostri genitori. Non siamo le nostre famiglie.” le disse con un tono dolce guardandola intensamente. Le sue parole la calmarono subito e annuì con un piccolo sospiro.
“E poi...” cominciò Jughead lasciando subito la frase in sospeso.
Non era da lui balbettare o restare a corto di parole. Betty ne fu sorpresa e lo guardò interrogativa.
Jughead esitò trattenendo il fiato per un istante.
“Cosa?” chiese lei incoraggiandolo con lo sguardo curioso.
Negli occhi di lui vide un lampo di risolutezza e sentì le sue mani sul viso. Un attimo dopo la stava baciando.
Betty e Jughead: due diverse solitudini che si sono trovate. Cosa hanno provato i due ragazzi prima di quel bacio inaspettato?
Scritta in collaborazione con Daffodil.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

Stand by me



When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we'll see
No I won't be afraid
Oh, I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me

Ben E. King

 

POV JUGHEAD di Daffodil

 

Era sdraiato sulla sua brandina al drive-in, appoggiata sulla pancia aveva la copia sgualcita di Stagioni Diverse di King, e nella piccola stanzetta una voce di sottofondo leggeva le notizie dello stato.
Doveva finire i compiti di matematica e scrivere la relazione sulla vivisezione della rana ma non ne aveva nessuna voglia; non erano esattamente le sue materie preferite e poi la sua testa era altrove.

Si era perso più che volentieri a leggere le avventure dei quattro protagonisti di “Stand by me – Ricordo di un estate”. Era uno di quei racconti che conosceva a memoria, ma gli piaceva tanto ed era riuscito a procurarsi il film anche sul telefonino. Quando non riusciva a dormire, aveva una piccola scorta di video sul suo malandato Iphone che gli facevano compagnia. Tornando a Chris, Teddy e Vern, l’analogia con Archie era naturale.

Quante volte avevano scorrazzato nei sentieri che portavano al Canada, quante volte erano andati al laghetto dello Sweet Water... In una delle ultime occasioni c’era anche Betty, e non era il momento di soffermarsi a ricordarla in costume; era stata lei nel garage degli Andrews a staccare dalle loro schiene e dalle gambe quelle disgustose sanguisughe.
Gli era piaciuto un sacco sentire le sue mani piccole sul suo corpo quando applicava quella crema dall’odore nauseabondo. Aveva un tocco delicato, scivolava sulla sua pelle, si era soffermata sulle cicatrici senza dire nulla, gli aveva accarezzato la forma leggera dei pettorali e gli aveva sorriso. Lui aveva contato gli attrezzi da lavoro appesi al muro per cercare di distrarsi.

Doveva mandarle un messaggio per informarla di quello che non aveva appena scoperto, parlando con quel fissato di Dilton, ma forse prima poteva intercettare lo scout che gli aveva ammiccato.
A quell’ora la maggior parte degli studenti della Riverdale High si riversavano da Pop’s, quindi la probabilità di incontrarlo era alta.

Il beanie, la giacca con il pelo, gli anfibi ed ecco che era di nuovo fuori nelle strade con le pozzanghere, nelle raffiche di vento gelido. I lampioni lasciavano sinistre ombre sui marciapiedi, i fanali delle auto ricordavano i film dell’orrore degli anni 50. Si era sempre sentito a suo agio a scivolare nella notte, a diventare un ombra.
“Ciao Capo, sto andando da Pop’s per vedere se rintraccio uno degli scout… il nome è un dettaglio… ti faccio sapere.” E senza accorgersene aveva aggiunto uno smile con il cuoricino. Scosse la testa perplesso da sé stesso e attraversò il grande parcheggio del Diner.

E quindi Dilton Doiley aveva sparato quella mattina del 4 luglio. Non che la cosa lo stupisse… qualche giorno prima lo aveva annoiato con la la luna di sangue e altre assurdità, probabilmente confondeva realtà e qualche fesseria fantasy.

Quel paio di cucchiaiate di gelato e la ciliegina erano state una valida ricompensa. Dalla tasca interna estrasse un piccolo block notes malandato e rubando la penna sul registratore di cassa si mise a scrivere.

Era seduto al bancone con una tazza di caffè fumante, stava semplicemente scambiando due parole con Pop Tate, quando alle sue spalle la celeberrima campanella emise il suo consueto tintinnio e Betty Cooper fece la sua apparizione con una minigonna molto mini, una camicia senza maniche molto sbottonata, il reggiseno di pizzo rosa appena intravisto non sfuggì ai suoi occhi, e un rossetto rosso fuoco. Si mise a tossire perché il caffè gli andò due volte per traverso: era una visione! Nemmeno nei suoi sogni più arditi era riuscito a renderle giustizia! Si stropicciò gli occhi, lo aspettava la prima di lunghe notti insonni.

La scrutò ancheggiare fino al tavolo di Chuck Clayton. Quel suo nuovo modo di camminare gli causò non pochi problemi. Cosa poteva mai volere Betty da quel tipo?
Era a conoscenza delle chiacchiere che giravano e sfortunatamente lo aveva anche visto in azione. Un paio di volte gli era capitato di dover mettere la sua giacca sulle spalle di qualche povera sventurata abbandonata lungo il fiume o nelle prime strade del South Side e accompagnarla fino a casa. Non aveva mai voluto che si sapesse, non voleva ringraziamenti o manifestazioni pubbliche, si sentiva più a suo agio nell’anonimato, ma non tollerava l’arroganza e la maleducazione.

Prese la sua tazza e si lasciò cadere su uno dei divanetti in fondo al locale, dove Pop qualche volta lo lasciava dormire, ma in quel momento voleva solo assicurarsi che andasse tutto bene. La poteva vedere scuotere la celeberrima coda, piegare il collo in quel modo sensuale.

Chissà cosa stava architettando quella testolina frenetica?

L’aveva vista andarsene con un sorrisetto di trionfo dipinto sulla bocca. Le aveva lasciato un po' di margine, giusto che arrivasse a metà parcheggio e con un balzo silenzioso atterrava sull’asfalto e si mise a seguirla a debita distanza. Si sentiva come un segugio: seguiva la scia di quell’inconfondibile profumo, sapone di Marsiglia e rosa.

“Perché mi segui Jughead?” cavolo non si era accorto che lei si era nascosta dietro a una grossa quercia e gli aveva teso un’imboscata.

“Ti ho visto parlare con Clayton. Volevo solo essere sicuro che non ci fossero problemi”. Per fortuna era notte, altrimenti il semaforo rosso su Main Street sarebbe stato pallido a suo confronto.

“Grazie. Sei dolce” gli accarezzò la guancia con le labbra in un tocco fugace.

“Sul serio Betty, non fare cavolate. So dei messaggi che riguardano Veronica… stai attenta.” sinceramente della principessina di Park Avenue non gliene fregava nulla, ma non voleva che la sua bionda ci andasse di mezzo.

“Tranquillo mio cavaliere. Starò attenta”. I grandi occhi verdi gli stavano scrutando l’anima e si sentiva tremendamente a disagio.

Decise di raccontarle degli scout per dissipare l’imbarazzo.


 

POV Betty di Clodie Swan

“E così hai estorto l’informazione, rubandogli la ciliegina?” chiese Betty divertita mentre percorrevano insieme la strada fino ad Elm Street. Si accorse di come Jughead fosse diventato alto. Ormai la superava di ben dieci centimetri.

“Ed una cucchiaiata di gelato.” precisò Jughead camminando sorridendo con le man in tasca. Betty rise immaginando l’amico che intimidiva il giovane scout a colpi di cucchiaino. Il ragazzino doveva aver svuotato il sacco alla svelta per evitare che Jughead si mangiasse tutto il suo gelato. Ne sarebbe stato capace.

“Potrebbero usarlo come metodo negli interrogatori.” disse la ragazza provando ad immaginare la scena. “Su di te funzionerebbe.”

Jughead strinse gli occhi fingendosi offeso.“Assolutamente no: per me dovrebbero usare un cheeseburger, con patatine fritte.” ribatté Jughead serio, poi impostò la voce interpretando un presunto agente di polizia. “Parla Jones se vuoi rivedere il tuo panino tutto intero!” Betty scoppiò a ridere insieme a lui. Non aveva dubbi in merito.

“Quindi adesso qual’è la tua prossima mossa?” chiese tornando all’indagine.

“Raggiungerò Doiley al concerto cittadino e gli intimerò di venire domani al Blue and Gold.” disse Jughead. “Gli dirò di scegliere se dare la sua versione a noi o alla polizia.”

Betty rimase colpita, non faceva Jughead così intraprendente. “Credo proprio che ci farà una visitina se non vuole perdere il suo posto da capo scout.”convenne lei.

“Potremmo avere un vantaggio, rispetto alla polizia.” proseguì Jughead evidentemente preso dall’argomento. “Gli studenti parlerebbero più volentieri con noi che con loro.”

Betty non poté che essere d’accordo. “Ci sono cose su cui la polizia non può intervenire. E dobbiamo cavarcela da soli.”

Jughead aggrottò le sopracciglia preoccupato. “C’entra qualcosa con Clayton e lo scherzetto che ha fatto a Veronica?” La guardò dedicandole tutta la sua attenzione. La sua espressione concentrata lo faceva sembrare più grande.

“Non solo a Veronica ma a tante altre! Ed era molto amico di Jason. Avevano un libro in cui davano i voti alle ragazze con cui uscivano. Non deve passarla liscia.”

Jughead la guardò senza nascondere il proprio disgusto. “E´ orribile. Ma cosa pensi di fare?”

“Stai tranquillo, non sarò da sola. Io, Veronica ed Ethel lo metteremo alle strette più tardi e lo faremo confessare. Abbiamo un piano...” Betty concluse la frase con un sorrisetto furbo.

Jughead annuì senza fare domande ma sembrava impensierito. “Fate attenzione, in ogni caso.”

Si accorse di essere arrivata di fronte a casa sua. Sua madre e suo padre dovevano essere già usciti per andare al concerto e presto Veronica sarebbe venuta a prenderla per andare a casa di Ethel.

“Ti ringrazio di avermi accompagnata, Juggie. Ma adesso tornerai a casa da solo, a piedi.” Rimpianse di non potergli dare un passaggio.

“Ci sono abituato.” ripose lui tranquillamente. “E poi devo prima andare a torchiare Dilton.”

Betty gli sorrise e gli diede un bacio in guancia. “In bocca al lupo, allora. Ci vediamo domani in redazione.” si voltò sui gradini per guardare l’amico un’ultima volta prima di entrare. “Dirlo fa un certo effetto.” notò strappando a Jughead un sorriso complice. Quando sorrideva era molto più carino.


 

POV JUGHEAD di Daffodil
 

Lo stava uccidendo lentamente e gli andava bene: era una sublime agonia di cui non avrebbe più fatto a meno. I baci leggeri, le carezze fugaci, i messaggini: il suo era solo e semplice masochismo ma il sorriso che aveva stampato in faccia diceva tutt’altro.
Gli era piaciuto accompagnarla a casa, gli era piaciuto il sorriso complice che gli aveva rivolto e la certezza che il giorno dopo si sarebbero visti. Si sentiva come un cucciolo bisognoso di affetto e lei era sicuramente generosa.
Senza rendersene conto si era appostato sul soppalco della sala del municipio. Sotto i genitori si accapigliavano tra di loro. La signora Cooper aveva provocato Penelope Blossom ed erano dovuti intervenire i rispettivi mariti. Non soddisfatta Alice si era avvicinata ad Hermione e sicuramente la frecciata verteva sul pettegolezzo a scapito di Veronica. Quella donna era una guerrafondaia senza eguali in città, aveva sempre qualcosa di cattivo da dire.

Josie e le Pussycats erano salite sul palco. Personalmente non le sopportava granché, né come aspiranti artiste, né come ragazze, erano troppe appariscenti per i suoi gusti.
Chissà che stavano combinando Betty e quell’altra squinternata.
Oddio, Archie Andrews era ancora vivo! Non vedeva il suo amico da almeno una settimana e la sua promessa di chiacchiere e hamburger era andato nel dimenticatoio. Era totalmente inaffidabile, lo era sempre stato.
“Ho contribuito a scrivere questa canzone.”gli rivelò orgoglioso il rosso. Alla faccia della modesti,a fu il primo pensiero che si formulò nella sua mente.
“Non male!” gli mancava il suo amico quindi cercò per una volta di essere gentile.
Stava per andarsene, aveva visto Doiley aggirarsi verso l’uscita e non poteva mancare il suo incarico.
“Jug, come sta?” se gli avessero sparato in un ginocchio probabilmente il dolore sarebbe stato meno lancinante e non ci voleva un genio per capire a chi si riferisse. La cosa più fastidiosa era il tono sofferente. Betty era amica di entrambi e più di una volta, negli anni passati si erano rivolti quella domanda quando i cellulari non erano ancora un must have o quando Alice Cooper imponeva qualche assurda nuova regola alle figlie.
Avrebbe voluto fare il bastardo, infierire, perché sapeva come sarebbe finita così… lo sapeva da troppo tempo. Archie non era il tipo per gli impegni seri: in terza elementare aveva accettato di stare con Betty per due settimane, poi un pomeriggio di aprile si era dimenticato la promessa di prendere il gelato insieme a lei, al furgoncino vicino al fiume, lasciandola lì ad aspettare due ore perché Mantle lo aveva sfidato a football. Lui era capitato giusto in tempo per asciugare i lacrimoni che scorrevano sul dolce visetto della sua amica. Quel cono con quattro gusti gli era costato tutti i suoi risparmi ma era stato felice di spenderli per strapparle un sorriso. Il giorno dopo Pel di carota aveva fatto quella pagliacciata della proposta di matrimonio davanti a tutta la classe…. e quello stesso pomeriggio si era di nuovo dimenticato di lei. E lui era sempre lì, con il pacchetto di fazzoletti.


Distolse lo sguardo e rispose all’altro “Bene. Devo andare ho uno scout da torchiare.”Gli mancava la loro amicizia ma sentiva che qualcosa era andato perso irrimediabilmente.
Il suo migliore amico era famoso per la sua indecisione e non voleva che lei pagasse ancora questo tratto del carattere di Archie. I sentimenti erano una cosa delicata e cominciava a comprendere fin troppo bene cosa poteva provocare un amore non corrisposto. Aveva una paura fottuta di una parola impegnativa ed enorme come quella a cui aveva appena pensato ma era anche stupido mentire a sé stessi e lui si era ripromesso di non dire mai bugie.

Dilton Doiley era una di quelle persone false con cui non voleva avere a che fare. Lo aveva trovato sulla scala con una bottiglia di vino rosso rubata dal bar della festa. Aveva uno sguardo ostile, le spalle erano rigide e il suo modo di fissarlo da sopra gli occhiali, in teoria, doveva dargli un’aria minacciosa, come anche i suoi farneticanti discorsi di protezione. Sapeva di suo padre ma non riusciva del tutto a dispiacersi per lui e questo lo faceva sentire un po’ in colpa.

Era quasi sicuro di aver ottenuto l’obiettivo: il capo scout il giorno dopo si sarebbe presentato alla redazione. Era stato persuasivo e feroce. Aveva riversato sull’altro un po’ del nervosismo causato dal suo migliore amico ma andava bene.
Era stato fin troppo tra la gente per i suoi gusti. Scambiò due parole veloci con il signor Andrews, che premuroso gli si era avvicinato per chiedere come stesse, come andasse la scuola e se aveva voglia di passare qualche giorno a casa loro. Era sempre tanto buono quell’uomo e aveva sempre invidiato Archie per la fortuna sfacciata di avere un padre così.


Il cielo era coperto di nuvole, nero come la pece e non si potevano vedere le stelle, l’aria era gelida, la strada fino al drive in non era tanta, ma sentiva una strana inquietudine nello stomaco. Prese una scorciatoia per il parco pubblico e in meno di minuti era davanti alla villetta bianca con la porta cremisi.

La luce nella stanza di Betty era accesa e poteva vedere la sua ombra allungarsi sui muri. Tirò un sospiro di sollievo. “Missione compiuta! Ti aspetto domani in redazione… abbiamo un grizzly da domare. Stai bene?” inviò. Avrebbe voluto dirle che era felice, che questa loro follia di improvvisarsi investigatori lo elettrizzava, che passare il tempo con lei era una luce accecante nell’oscurità che era la sua vita, voleva dirle che gli piaceva, tanto e da troppo tempo… che la sua non era solo una cotta ma una promessa senza scadenza. Si limitò a mandarle il solito smile con il cuoricino, uno che dormiva e un cuore rosso.

 

  
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