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Autore: Henya    22/01/2021    3 recensioni
Salve a tutti :) questo è il proseguimento della mia prima fanfiction "Never Lose Hope".
Anya , dopo essere partita con Rai per la Cina, ritorna a Tokyo dopo avere ricevuto alcune notizie dalla sua amica Hilary. Da qui ha inizio una lunga e ingarbugliata serie di eventi che, per chi già mi conosce, non saranno certo rose e fiori ^_^""
Spero possa piacervi :) Buona Lettura!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Rei Kon, Yuri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una volta messo piede nel mio ufficio, vengo colto di sorpresa dalla presenza di qualcuno che non mi sarei aspettato di vedere seduto alla mia scrivania: Soichiro Hiwatari, nonché il mio caro nonnino. E l’appellativo caro, in questo caso, va inteso in senso molto ironico.
“Sorpreso di vedermi?”.
L’espressione di stupore sul mio viso deve essere molto evidente in questo momento, nonostante io mi stia sforzando di non lasciar trapelare nessuna emozione.
“Avresti dovuto aspettarti una mia visita, visto ciò che sta succedendo” .
È vero. Avrei dovuto aspettarmi il suo ritorno, ma nel profondo del mio cuore ho sempre sperato che questo giorno arrivasse il più lontano possibile.
“Accomodati, ci sono delle questioni che mi piacerebbe chiarire”. Questa apparente gentilezza è un po’ sospetta.
Con un gesto della mano mi invita a sedere: non nella mia poltrona ufficiale, da lui momentaneamente occupata, ma dall’altra parte, quasi fossi un comune cliente. E dopo qualche attimo di esitazione, durante il quale imploro me stesso di non perdere la calma, decido di sedermi, nonostante la mia voglia di scappare sia tanta.
“Dunque...” inizia a dire, sfogliando una serie di scartoffie. “…potresti spiegarmi cosa sta succedendo?”.
“Non sta succedendo niente” rispondo annoiato, facendo finta di ignorare la realtà dei fatti.
 “Risposta sbagliata, Kai, e lo sai benissimo che non sta andando tutto bene! Negli ultimi mesi i profitti sono scesi di molto, anzi troppo! Hai dato un’occhiata alla situazione finanziaria? Questa filiale sta per collassare e non era mai successo finora. E, mio caro nipote, è tutta colpa tua!”.
“Colpa mia?”.
“Oh sì. Hai mal gestito la situazione e invece di trovare una soluzione, hai peggiorato il tutto facendo scappare molti clienti!”.
“Li avrei fatti scappare io?? Sono loro che non hanno voluto accettare le mie condizioni!” spiego, iniziando a usare un tono di voce leggermente alterato, mentre mi sforzo, allo stesso tempo, di mantenere la mia compostezza.
“E’ proprio questo il punto! Il detto –il cliente ha sempre ragione- non ti dice nulla?” mi rimprovera, sbattendo un pugno sul tavolo.
“Non siamo in un supermercato, non è la mia idea di fare affari!” spiego schietto, ignorando il suo sguardo iracondo.
“Si deve comunque trovare un accordo che accontenti entrambi le parti e non bisogna rivolgersi ai clienti dicendo –o accetta le mie condizioni o se ne vada!”.
“Non ho mai detto una cosa simile!”.
“Oh sì che lo hai fatto! Ho ricevuto molte lamentele a riguardo. E per questo tuo modo di fare insolente abbiamo perso dieci clienti, Kai. Dieci.” Ripete, in tono scandito.
“Beh, ne troveremo altri!” spiego con nonchalance.
“Altri? Col tuo modo di fare chiuderemo bottega a Tokyo, forse non ti è chiaro!” mi ricorda.
“Dammi tempo e risolverò tutto!”.
“No, Kai, il tuo tempo è finito e il tuo modo di fare non mi piace! Forse è anche colpa mia, che ti ho dato troppa fiducia. In fondo sei troppo giovane per gestire un’azienda di questo calibro…”.
Dove vuole andare a parare?
“Per questo motivo sei esonerato dal tuo compito di dirigente” dichiara infine sentenzioso.
“Cosa? Cosa significa?”. Porto i pugni serrati sul tavolo, fissandolo con astio.
“Significa che…finché la situazione non sarà risolta, rimarrò qui in questo ufficio” annuncia serio e impassibile, alzando gli occhi verso di me.
“E io che diavolo faccio?”.
“Presentati qui domani alle nove in punto. Parleremo del tuo nuovo ruolo in questa azienda e…non dimenticare di portare il tuo curriculum”.
Il mio che?
“Curriculum, Kai. Sai cos’è? Se non ce l’hai inizia a farne uno. Da domani ripartirai da zero. Dovrai imparare a guadagnare faticosamente il denaro”.
“Tu non puoi dire sul serio e non puoi farlo!” lo ammonisco in tono minaccioso, alzandomi di scatto.
“Oh, sì che posso! Dovrai imparare a cambiare atteggiamento o potresti trovarti senza un lavoro un giorno!” dichiara categorico, tornando a sfogliare le sue scartoffie, per farmi intuire che la conversazione è conclusa.
Rimango per qualche secondo in piedi a stringere il pugno e i denti, prima di voltare le spalle a dirigermi a passi pesanti verso la porta, che richiudo con forza di proposito.
Ma cosa si è messo in testa? È venuto fin qui per prendersi gioco di me?
Non l’avrà vinta, mi dispiace.








***







Suono ripetutamente il campanello, ma nessuno si decide ad aprirmi, finché, all’improvviso, qualcuno apre dall’interno e con prepotenza questa porta, parandosi di fronte a me.
“Si può sapere che vuoi?”. È Kai ad accogliermi, con le sue sopraffini maniere da maggiordomo.
“Si può sapere perché non ti sei presentato all’incontro a scuola? Hai ignorato i miei messaggi e le mie infinite telefonate!” sbotto improvvisamente, introducendomi in casa.
“Perché non ho tempo da perdere!” risponde spazientito, mettendo sempre in risalto il suo carattere superficiale che tanto detesto.
“Oh, tu hai da fare? Anch’io lavoro, sai?” gli ricordo, in tono canzonatorio.
“Sì, ma io ho un lavoro vero!” aggiunge, usando quel tono che arriva alle mie orecchio come una beffa.
“Oh certo, scusami se sono una semplice cameriera e non la dirigente di una super mega azienda!” lo sbeffeggio io, sarcastica.
Lo vedo inspirare, portando gli occhi al cielo. “Senti, ho davvero da fare, quindi se non ti dispiace…” e con un gesto mi suggerisce di andar via.
“Oh, no! Non ancora, non prima di averti consegnato questo!”. Ecco che inizio a frugare all’interno della mia borsa, sotto il suo sguardo confuso.
Ma dove l’ho messo? Ah eccolo.
“Ecco, prendi questo e leggilo!”. Gli porgo un foglietto piegato a metà che lui mi strappa dalle mani, trafiggendomi con uno sguardo glaciale. Una volta dispiegato il foglio, legge in un sussurro ciò che vi è scritto “L’albero parlante del bosco…” e poi si acciglia, fissandomi contorto. “Che roba è?” chiede, infine, confuso.
“Sono contenta che tu me lo chieda” inizio a dire in finto tono solenne “Perché quello, mio caro Hiwatari, sarà il personaggio da te interpretato nella recita scolastica!” concludo, incrociando le braccia al petto, con aria soddisfatta.
“Di che diavolo stai parlando?!” ripete a domandare, stavolta leggermente adirato.
“Oggi, all’incontro tra genitori e insegnanti, al quale tu non sei venuto…” e calco volutamente queste parole, per provocare in lui una smorfia contrariata che lo costringono a dire “Vai al punto!”
E va bene.
“Dicevo, oggi gli insegnanti hanno annunciato che la scuola organizzerà una piccola recita, ma non una semplice recita! Stavolta saranno i genitori ad esibirsi e i bambini formeranno il pubblico!”.
“Che stronzata è mai questa?” domanda, con aria seccata, accartocciando in un rapido gesto quel foglietto in un pugno.
“Sarà pure una stronzata, ma è giusto farla. Parteciperanno tutti i genitori!”.
“Beh, non contare su di me!” dichiara categorico, gettandomi quella palla di carta sulla fronte, per poi andare via in salotto.
Chiudo gli occhi, stringo i pugni e digrigno i denti, mentre cerco di soffocare la voglia matta che ho di prenderlo a pugni.
“Tu parteciperai, mi dispiace. Non puoi tirarti indietro. Ho pescato io quel foglio al posto tuo e quel ruolo spetta a te!” spiego, puntandogli un dito contro, mentre lo inseguo lungo il salotto.
“Non dovevi prenderti questo disturbo. Avresti dovuto immaginare la mia risposta!” sentenzia lui, fermandosi a un tavolo, sfogliando alcuni fogli.
Vuole fare finta di ignorarmi? Non ci riuscirà.
“Fallo per Hope, almeno…” dico quasi implorandolo.
“Non mi metto in ridicolo davanti a tutti e poi…che diavolo è un albero parlante del bosco?!” se la ride stizzito, mentre digita sulla tastiera del suo portatile.
Ok. Non vorrei arrivare a questopunto, ma mi ci sta portando lui a dire ciò che sto per dire…
“Rai lo avrebbe sicuramente fatto per Hope” esordisco tutto d’un fiato, mordendomi subito dopo la lingua, per timore di ciò che questa affermazione possa suscitare in lui.
I suoi occhi, che prima erano fissi sullo schermo del portatile, si alzano ora lentamente verso di me e mi trafiggono come lame di fuoco.
 “Beh, purtroppo Rai non è qui e io non sono come lui…” dichiara infine, usando un tono così freddo da farmi congelare la spina dorsale. “Bella mossa Sarizawa, ma stavolta non funziona” aggiunge atono, assumendo l’aria di chi aveva capito le mie intenzioni.
Mannaggia a lui…
La scorsa volta con Boris aveva funzionato!
“Sai che c’è? Hai ragione, tu non sei come Rai” ammetto arrendevole, alzando le mani in segno di sconfitta. Non ha senso andare avanti: è come parlare a un muro. “Ora se non ti dispiace torno al mio umile lavoro di cameriera e ti lascio al tuo lavoro e a salvare il mondo!” concludo amareggiata, voltandogli le spalle per andare via.
È impossibile avere una conversazione normale con lui e non so perché mi ostino a dargli retta.
Se non vuole fare questa recita non posso obbligarlo, ma i suoi modi di fare e di rivolgersi a me mi mandano in bestia.
Come avrei voluto fargli ingoiare quel pezzo di carta appallottolato.







***








Sono le 9.00 in punto e mi trovo già in ufficio, in attesa che mio nonno arrivi.
Che seccatura! Perché è venuto a rompere le scatole? Non poteva farmi inviare un’email dai suoi segretari come ha sempre fatto? In fondo, è così che mi ha avvisato che non sarebbe venuto al mio matrimonio.
Ho anche preparato il curriculum che ha richiesto, anche se non capisco la sua utilità, dal momento che sa benissimo cosa ho fatto finora.
Il flusso dei miei pensieri viene interrotto dall’aprirsi della porta, e dall’arrivo del vecchio in sedia a rotelle, spinto da uno dei suoi servitori.
“Puntuale, devo dire!” commenta acido, mentre con grandi difficoltà si solleva e si sposta sulla mia poltrona, sorretto dall’accompagnatore.
“Lo stesso non si può dire di te” esordisco sarcastico, fissando l’orologio al polso che segna le 9.05.
“Contrattempi dovuti all’anzianità” si giustifica prontamente, mentre io alzo gli occhi al cielo.
Deve sempre avere l’ultima parola…
“Andiamo a noi…hai portato ciò che ti ho chiesto?”.
Senza aggiungere altro, tiro fuori da una cartella un documento, che gli consegno senza esitazione.
Attraverso le lenti dei suoi minuscoli occhiali, scruta con attenzione ogni singola parola, quasi non credesse alla sua autenticità.
“Ah, sì… è come ricordavo” mormora tra sé e sé, togliendo in un rapido gesto le lenti. “Non hai conseguito nemmeno il diploma!” mi ammonisce con sguardo severo.
“Che novità! Ti serviva un curriculum per ricordartelo?” dico in tono di sfottimento.
“Sì, lo ricordavo! Solo che non ho mai capito il perché della tua rinuncia agli studi” continua a dire, assumendo l’aria di chi pretende delle spiegazioni.
Sai, ho messo incinta una ragazza e dopo averlo scoperto sono scappato a gambe levate.
È questo quello che dovrei dire, ma lui non sa di tutto questo e non deve saperlo.
“Problemi con gli insegnanti…” rispondo, in modo vago sperando che ciò basti a dissuaderlo dall’andare oltre.
“Capisco…” si limita a dire, fissandomi poco convinto. “Ad ogni modo, non hai nessun requisito o competenza per lavorare qui!”.
Tzè, ha scoperto l’acqua calda, signori.
Ma se è stato lui a volermi qui, a capo di questa azienda, nonostante la mia riluttanza? E adesso si lamenta?
“Col tuo curriculum, potresti solo lavorare come addetto alle pulizie!”.
“Cosa?” mi lascio scappare, preso alla sprovvista dalle sue parole.
“Tutti, qui dentro, hanno una qualifica, diploma o laurea che sia, mentre tu hai ottenuto questo posto solo perché mio nipote, nonché mio unico erede. E non ti nascondo che questo mi ha sempre messo in una posizione difficile di fronte agli altri miei collaboratori, alcuni dei quali molto validi a ricoprire il ruolo che ho assegnato a te. Nessuno era d’accordo con la mia decisione di affidarti questo incarico, perché troppo giovane e inesperto…e avevano ragione” conclude amareggiato, dondolandosi sulla poltrona, mentre il suo inserviente gli serve del tè, che io, invece rifiuto con un gesto della mano. “Ti ho voluto dare una possibilità e hai fallito. Io ho fallito. L’azienda sta per fallire!” esclama, incrementando il tono di voce, quasi si trovasse di fronte a un bambino di dieci anni da sgridare. Ma io non batto ciglio. Sostengo con orgoglio alto il suo sguardo adirato, come ho sempre fatto.
“Dunque, cosa dovrò fare da oggi?” domando andando dritto al sodo, poiché stanco di sorbirmi le sue ramanzine.
“Ti spedirò al primo piano, ti occuperai dell’archivio!” decreta in tono piatto.
Cosa?
“L’archivio?” ripeto, incredulo.
“Sì, Kai. L’archivio. Puoi andare ora. Troverai qualcuno che ti spiegherà cosa fare!” conclude, incitandomi ad andare via con un gesto della mano.
L’archivio…
L’archivio no, diamine.
Tutte quelle scartoffie e tutta quella polvere, nonché quegli strani tizi gobbi e ricurvi che sembrano usciti da un film dell’orrore…












***





Kai ignora ancora una volta le mie chiamate. Tra meno di un’ora inizierà un’altra speciale riunione a scuola e, stavolta, non ho intenzione di sopportare la sua assenza. Quindi, ho deciso di recarmi di persona in azienda per cantargliene quattro. So che molto probabilmente non otterrò altro che insulti e sguardi sprezzanti, ma non può averla sempre vinta.
E così, a passi rapidi e decisi, percorro il lungo corridoio e mi dirigo verso la porta dell’ufficio, che trovo stranamente socchiusa. La segretaria non è qui. Quindi cosa devo fare? Bussare? Ah, al diavolo i formalismi! Decido di prendere un profondo respiro, bussare e subito aprire quella porta, ma con mia grande sorpresa, al di là della scrivania, non trovo Kai, come al solito, ma un signore dall’aria molto burbera, che mi osserva in modo strano.
“Posso aiutarla?” chiede, dopo una manciata di secondi.
E questo chi è? Avrò sbagliato ufficio? Santo cielo, che figura di merda.
“Ehm…questo non è l’ufficio di Hiwatari?” chiedo timidamente, rimanendo in piedi sul ciglio della porta.
“Dipende quale Hiwatari lei stia cercando…” dice lui, divertito.
Che io sappia, ce n’è uno.
“Kai, Kai Hiwatari” ripeto, a voce tremante. Quest’uomo mi mette in soggezione, ma ha un’aria molto familiare…
“Oh, mio nipote al momento si trova da un’altra parte dell’edificio e io occupo il suo posto!” spiega disinvolto.
Mio nipote?? Questo vuol dire che lui è…
“Sono Soichiro Hiwatari, suo nonno. Credo che lui non ami molto parlare della sua famiglia…lei è?”.
Suo nonno? Questo vecchietto qui è il nonno di Kai?? Quindi Kai ha qualcuno al mondo?? Beh in effetti, mi sembra di avere sentito parlare di un nonno, ma pensavo fosse solo una leggenda o un mito o che non fosse più vivo. Non ho mai capito nulla della vita di Kai. Beh, in realtà, non so proprio niente.
Sono talmente persa nei miei pensieri da essermi dimenticata della sua domanda.
Chi sono io?
 “Io sono Anya Sarizawa…” mi presento con voce incerta.
“Anya…Sarizawa, eh?” ripete, guardandomi sospettoso. “Ho già visto questo nome da qualche parte…” aggiunge poi, facendo un cenno al suo assistente, che con abili gesti meccanici, comincia a scrivere sulla tastiera del computer, sotto il mio sguardo scettico.
Dopo una manciata di secondi, durante i quali mi chiedo cosa stia succedendo, la mano dell’assistente abbandona il mouse per puntare sullo schermo, e il Signor Hiwatari fissa con curiosità in quella direzione, assottigliando lo sguardo e  poi spostarlo su di me.
Che cosa sta succedendo?
“Perché…Mio nipote Kai ha intestato una carta di credito a suo nome?” domanda con aria investigativa. “E’ una specie di amante? Lo ricatta?”.
“Cosa?? No!” nego prontamente, allibita. Ma cosa sta dicendo?? “Sono per la bambina!” confesso, lasciandolo per un attimo interdetto.
“Quale…bambina?” domanda sempre più accigliato.
Che lui davvero non lo sappia?
“Nostra figlia…” rivelo titubante, contorcendomi le mani a causa del nervosismo. Perché lui non sa che Kai ha una figlia? E Perché credo sia stata una pessima idea dirlo?
“Mio nipote ha una figlia??” chiede ancora una volta, esterrefatto. “Da quando esattamente?”.
Ops.
“Da… cinque anni” rispondo senza indugiare, intimorita dai suoi modi di fare.
Questa rivelazione lo costringe a chiudere gli occhi e massaggiarsi le tempie, mentre l’assistente, preoccupato, gli chiede se vuole le sue pillole calmanti.
“Non voglio nessuna pillola e esci fuori subito!” sbotta innervosito, mandandolo via. “Ti prego di sederti e raccontarmi questa storia fin dall’inizio…” mi prega, quasi in forma di ordine.
“Ma veramente io dovrei andare a sc…”.
“è importante!” asserisce autoritario, per poi prendere la cornetta del telefono e dire “Gustav, porta del tè per me e la signorina…sarà una lunga chiacchierata!” aggiunge poi, chiudendo la chiamata.
Oh Santo cielo…
In che situazione mi trovo?












***





Ho finito il mio primo giorno di lavoro in archivio e, dopo tutto, non è andata male, anche se avrei preferito essere da tutt’altra parte. Nel mio ufficio per esempio, col mio computer e con i miei comodi. E invece no! Quel vecchiaccio farà di tutto per rendermi la vita impossibile finché starà qui.
Arrivo davanti a porta del mio ex ufficio e fregandomene dei formalismi, abbasso la maniglia ed entro, trovandomi di fronte una scena che non avrei mai voluto vedere. Mio nonno e Anya stanno prendendo un tè.
“Si può sapere che ci fai tu qui?” mi rivolgo alla diretta interessata, che mi fissa come se chiedesse aiuto.
“La signorina Sarizawa mi stava raccontando una storia interessante, vuoi sentirla?” dice il vecchio, assumendo un sorrisetto beffardo.
“Io in realtà devo and…”.
“Mi stava dicendo…”. Anya stava per parlare, ma lui la interrompe come se non esistesse. “…che tu e lei avete una figlia in comune”.
 Cazzo…
“ E che ha cinque anni. E proprio cinque anni fa tu sei scappato dal Giappone per tornare in Russia, ricordi? Bizzarra storia!”.
Le mie orecchie sono ben attente alle parole del vecchio, ma i miei occhi posano severi su Anya.
“Sono diventato doppiamente nonno e non mi dici niente?” mi rimprovera, fingendosi offeso.
Beh sono sicuro che non te ne sarebbe fregato nulla ugualmente, anche se te lo avessi detto a tempo dovuto.
“Posso parlarti un attimo in privato?” dico ad Anya, facendole cenno di seguirmi fuori da questo ufficio.
Lei si alza timorosa e mi segue fuori. Chiudo la porta e prendendola per un braccio la trascino verso la finestra.
“Si può sapere perché gli hai detto di Hope??” sibilo a denti stretti a pochi centimetri dal suo volto.
“Io pensavo che lui lo sapesse!” si giustifica con fare innocente, liberandosi della mia presa.
“No che non lo sapeva e non doveva saperlo, cazzo!” impreco a bassa voce con rabbia.
“Beh avresti potuto avvisarmi!” mi rimprovera lei contrariata.
“Non sapevo saresti venuta qui!” mi giustifico stavolta io.
“Beh, se tu rispondessi alle mie chiamate, forse questo non sarebbe successo!” ribatte duramente.
“Ti ho detto che non ho tempo per le tue stupidaggini!” rimbecco io con prontezza.
“Stupidaggini??” ripete incredula, in un gridolino soffocato.
Ok, stiamo divagando.
“Non dovevi dire niente!”.
“Mi ha costretta a rimanere!” dice in sua discolpa.
“Costretta? Ma se è un vecchio bacucco su una sedia a rotelle! Avresti potuto dartela a gambe subito!” gli faccio notare con sarcasmo.
“Non mi sembrava carino!”.
Sospiro spazientito, massaggiandomi gli occhi.
È Inutile. Ormai l’ha scoperto. Sono riuscito a tenere nascosto questo segreto per anni. Non volevo scoprisse di Hope…
“Perché non dovrebbe sapere di Hope, scusa?” domanda, poi, Anya, allentando la tensione.
“Perché lui vuole rovinare ogni cosa della mia vita e finora ha rovinato tutto e non voglio che Hope lo conosca. È una persona orribile” cerco di spiegare, forse in malo modo, perché preso dal risentimento che nutro nei suoi confronti.
Anya stava per fare l’ennesima domanda, ma l’arrivo di mio nonno, che esce dal suo ufficio, spinto dal suo accompagnatore sulla sedia rotelle, ci interrompe.
“Signorina Sarizawa, stasera è invitata a cena con la sua bambina a villa Hiwatari. Sono desideroso di conoscere la figlia di mio nipote!” annuncia, rivolgendosi ad Anya, che si ritrova spiazzata in due da questo invito inaspettato.
Prima di rispondere, sposta il suo sguardo su di me, che la supplico con gli occhi di rifiutare assolutamente. Mi ripeto mentalmente –No, Anya. Di’ di no! No!- sperando che lei possa leggermi nel pensiero.
“Va bene! C-ci saremo!” risponde in tono titubante, mentre io sprofondo nel più oscuro degli abissi. Ma che cavolo, pensavo avessi capito! Stupida. È quello che gli sta rimproverando il mio sguardo.
“Perfetto! Adesso puoi andare, è stata una piacevole chiacchierata! Tu, invece, Kai, nel mio ufficio. Non ho ancora finito con te!” mi ordina autoritario, facendomi cenno di entrare.
Lo odio, lo detesto.

Anya va via, evitando di incrociare ulteriormente il mio sguardo contrariato e io rimango solo con questo vecchiaccio, che ritornato alla sua postazione in scrivania, continua il suo incessante lavoro di trivellamento di scatole nei miei confronti.
“Bene, Kai. Sei stato bravo a nascondermi questo segreto per tutto questo tempo, devo ammetterlo!” si congratula con aria beffarda. “Ma ne parleremo stasera a cena, quando conoscerò questa piccola Hiwatari! Andiamo a noi…”. Ed ecco che ricomincia a sfogliare cartelle e roba varia, mentre io penso al fatto che vorrei avere il potere di riuscire a incenerirlo con uno sguardo.
“Cos’altro hai in serbo di speciale per me, adesso?” domando canzonatorio.
“Mi fa piacere che tu me lo chieda, perché questa non ti piacerà…”.
Che vuol dire?
“Non sei riuscito a diplomarti, quindi provvederò a farti completare gli studi. Non è mai troppo tardi…” aggiunge sospirando e consegnandomi un foglio.
Il mio sguardo accigliato chiede ulteriori spiegazioni.
“Seguirai un corso avanzato che ti permetterà di prendere il diploma in poco tempo! Questo è il tuo programma stilato da un tutor. Dovrai recuperare due anni di scuola in pochi mesi. E dopo il diploma, provvederemo agli studi superiori. Una laurea, per esempio”.
“Una laurea?” esclamo allibito.
“Sì, Kai. Voglio lasciare la mia eredità in mano ad una persona valida e qualificata e non ad un pivellino messo qui solo perché non ha altro da fare!”.
Non posso crederci! È impazzito?
“Vuoi davvero che io mi metta a studiare??” lamento contrariato.
“Vuoi veramente lavorare per questa azienda? Perché se non è così allora inizia a cercarti qualcos’altro. Non voglio gente incapace qui dentro” dichiara con fermezza.
È una cosa ridicola.
Ho fatto solo un errore e mi sta costando caro.
Stringo un pugno, facendo soffocare in gola ogni possibile insulto. Non ho altra scelta purtroppo.
Finché sarà vivo dovrò adeguarmi, volente o nolente, alle sue stupide condizioni.
“Ci vediamo stasera a cena, allora” mi dice, prima che io possa uscire.
Oh sì, non vedo l’ora.











***







“Mi raccomando, fa’ la brava, ok?” raccomando alla piccola, prima di suonare il campanello di casa Hiwatari.
Mi sento così nervosa. Ma perché ho accettato?
Ho capito subito che Kai non fosse d’accordo, ma mi sembrava scortese rifiutare l’invito del signor Hiwatari. In fondo, vuole conoscere la nipotina che ha appena scoperto di avere. Beh, in realtà lui sarebbe il bisnonno di Hope, ma è pur sempre un nonno, dato che Kai non ha più i genitori.
La porta si apre e ad apparire è di nuovo Kai, che mi accoglie con uno sguardo super serio.
“Potevi telefonare e dire che non saresti potuta venire…” lamenta, mentre si sposta per farci entrare in casa.
“Beh, ultimamente non mi rispondi neanche al telefono” gli ricordo acida, togliendomi la giacca.
Espira sonoramente, scuotendo la testa per poi indicarmi con un cenno della testa di andare in salotto. “E’ già di là… seguimi”.
Deglutisco sonoramente e, stringendo ancor di più la manina di Hope, mi incammino anch’io alla volta del salotto, dove ad accoglierci con uno sguardo molto serioso, vi è il nonno, seduto su una sedia a rotelle.
“B-buonasera Signor Hiwatari!” saluto, chinando leggermente la testa, in segno di rispetto.
Mio dio, ma perché mi sento così sottopressione?
“Benvenute! Dunque è lei la piccola Hiwatari…” esordisce, rivolgendo uno sguardo inquisitore alla piccola, che intimorita da quest’uomo sconosciuto, si nasconde dietro di me. “Come si chiama?” mi chiede infine.
“Hope” .
“Hope…” ripete lui pensieroso. “Somiglia molto a tua madre…” commenta senza una particolare intonazione, rivolgendosi al nipote, che si limita a fare una smorfia schifata.
“Saluta il Signor Hiwatari, Hope” la incito, facendola uscire dal suo rifugio.
“Ciao” saluta timidamente, avvicinandosi al vecchio. “Perché la tua sedia ha le ruote?” chiede poi, facendosi sfacciata.
“Hope!” la rimprovero, imbarazzata.
“No, tranquilla! Vedi, le mie gambe non funzionano molto bene” le spiega sintetico, abbozzando un sorriso molto forzato.
“Beh, perché non ci sediamo a tavola, così concludiamo al più presto questa pagliacciata…” propone seccato Kai, con i suoi modi di fare sempre poco ospitali.
E così ci avviamo a tavola, ci sediamo ed iniziamo a consumare la prima portata. L’atmosfera che ci circonda è carica di tensione, sia per il silenzio imbarazzante, scandito dai rumori delle posate, sia per via degli sguardi imbronciati dei due Hiwatari. Hope sembra l’unica a non avvertire, nella sua innocenza, questa elettricità, dato che continua a mangiare a grandi morsi, non badando agli schizzi di sugo che versa qua e là. Io, invece, mangio lentamente, alzando ogni tanto gli occhi verso quei due.
Ok, forse non è stata una buona idea accettare questo invito.





***





Che idiozia!
Perché Anya ha accettato di far parte di questa farsa? Forse non ha capito con chi ha a che fare, ma sono sicuro che lo scoprirà presto. Questo strano atteggiamento gentile da parte del vecchio non durerà a lungo.
“Dunque…” esordisce mio nonno, schiarendosi la voce con un colpo di tosse. “Di cosa ti occupi nella vita?” chiede, rivolgendosi ad Anya.
Ecco. L’interrogatorio ha inizio.
“Ehm…io lavoro come cameriera in una caffetteria” risponde l’altra in tono naturale. Ma lo sguardo e il silenzio che seguono al suono di questa frase, la intimoriscono. Mio nonno la osserva senza dire una parola, come se non si aspettasse una simile risposta.
Sbuffo dal naso, scuotendo leggermente la testa. So già a cosa starà pensando…
“Cameriera eh…” ripete stizzito. “Adesso capisco perché mio nipote ti passa dei soldi mensilmente. Non deve essere facile badare alle spese con un semplice lavoro da cameriera” commenta acido.
Al suono di questa assurda constatazione, i miei occhi puntano subito su Anya, e a giudicare dal suo sguardo paonazzo, queste parole l’hanno parecchio turbata.
Di nuovo il silenzio.
Mi rigiro la forchetta nella mano e, ignorando quando ho appena sentito, continuo a mangiare, così come gli altri.
“E questo lavoro ti serve per pagarti gli studi universitari?” torna a domandare, continuando a mettere il dito nella piaga.
“No. veramente io…”. Anya deglutisce, facendo saettare il suo sguardo da una parte all’altra. “Io non vado all’università” confessa in tono sommesso, abbassando lo sguardo quasi per la vergogna.
“Hai almeno preso il diploma o, come mio nipote, hai abbandonato stupidamente gli studi?”. Il suo tono si fa pungente e la mette ancor più a disagio.
“Adesso basta. Puoi smetterla con questo interrogatorio” gli rimprovero duramente, fissandolo con astio.
“Interrogatorio? Le mie erano solo semplici curiosità!” si giustifica lui, fingendo innocenza.
“Sì, certo…come no!”.






***





Mi sono decisamente pentita di essere venuta qui a cena ed aver accettato l’invito di questo vecchio scorbutico. Mi sento molto umiliata dalle sue parole sprezzanti riguardo al mio lavoro e alla mia istruzione. Sto facendo di tutto per non alzarmi, mandare tutti al diavolo e andarmene insieme ad Hope.
Voleva davvero conoscere Hope?
A parte i saluti iniziali, non si è più degnato di rivolgerle la parola. Il suo obiettivo sembro essere soltanto io.
Si sono alleati tutti contro di me, per criticare e denigrare il lavoro che svolgo? Di solito era sempre Eva a deridermi per essere una cameriera, ma l’altro giorno ci si è messo pure Kai, definendolo persino un lavoro non vero e adesso anche questo vecchio??
Ma chi si credono di essere?
“Non ti ho chiesto io di organizzare questa stupida cena” gli ricorda Kai sprezzante, rivolgendosi al nonno.
“Beh, volevo conoscere coloro che beneficiano dei tuoi soldi” rivela senza timore, ignorando il fatto che io stia ascoltando.
“Con i miei soldi faccio quello che voglio” ribatte Kai duramente.
“I tuoi soldi li guadagni grazie a me” controbatte lui, calcando bene le parole.
È assurdo, mi ritrovo a spostare gli occhi sull’uno e sull’altro che non smettono di battibeccare, persino Hope è rimasta con la forchetta a mezz’aria e la bocca aperta piena di cibo.
“Non dimentica che tutto quello che hai, è grazie a me!” grida a gran voce il nonno, sbattendo un pugno sul tavolo e facendo traballare ogni oggetto su questa tavola imbandita. E non solo quello. Anche io sono rimasta pietrificata al suono di queste parole, mentre Kai sbatte forte le posate sul tavolo e si alza furente.
“Sai che c’è? fanculo i tuoi soldi e fanculo la tua azienda! Tienitela pure” sentenzia infine, andando via al piano si sopra e lasciandomi qui a fissare il posto a tavola che ha lasciato vuoto.
Con timore, sposto gli occhi alla mia sinistra, verso il capotavola, dove il nonno fissa rabbioso un punto indefinito dello spazio.
Credo che sia il momento per me ed Hope di andare via…
“Anch’io vado. Grazie per l’invito. Buonanotte!” mi congedo in tono piatto, alzandomi velocemente per prendere Hope e andare via, senza aspettare una risposta da parte sua.
Le sue parole mi hanno indignata. Mi sento offesa e mi sono pentita di essere venuta.
In fondo, cosa avrei dovuto aspettarmi da un componente della famiglia Hiwatari? Gentilezza? Allegria? Tzè, figuriamoci.




***






Sono passati alcuni giorni da quella funesta cena a casa mia. Da allora mi sono rifiutato di andare in azienda, nonostante le continue chiamate da parte dell’assistente di quel vecchiaccio. E da quella sera non ho più visto, né sentito Anya.
In questo periodo sembrano avercela tutti con me.
Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?
Ho sbagliato, lo ammetto, ma perché costringermi a fare delle cose che  non voglio assolutamente fare? Come studiare, ad esempio. Non mi sono mai applicato allo studio e lo dimostra il fatto che ero di un anno indietro rispetto agli altri. Persino Boris è riuscito, non si sa ancora come, a diplomarsi. Probabilmente copiando da Yuri. Io, invece, mi sono sempre rifiutato persino di fare questo, nonostante Ivanov si sia sempre offerto di aiutarmi. Non che fossi scemo, semplicemente non mi andava. E ora ne sto pagando le conseguenze.
Sono sul letto, a fissare un punto ignoto del soffitto e il flusso dei miei pensieri viene improvvisamente interrotto dall’arrivo di alcuni messaggi.
Porto una mano sul comodino e afferro il cellulare. Boris ha creato un nuovo gruppo chat.
Ma non ha mai niente da fare? Ed ha inserito me, Yuri e persino Hilary ed Anya. Ma cos’ha in mente?

Boris sta scrivendo…
-    Salve gente! Ho creato un gruppo ed ho inserito anche le fanciulle. Che ne dite di organizzare un’uscita tra di noi una di queste sere?

Si è bevuto il cervello.

Yuri sta scrivendo…
-    Beh, non sarebbe male.

Boris sta scrivendo…
-    Ovviamente intendo una serata senza bambini…

Hilary sta scrivendo…
-    Oh, e mi spieghi dove metto i gemelli??

Boris sta scrivendo…
-    Esistono le babysitter, Tachibana! Ne conosco qualcuna, vuoi il numero??

Hilary sta scrivendo…
-    No, grazie!! Non voglio sapere che tipo di babysitter siano!! è___é

Yuri sta scrivendo…
-    Smettila Boris! Non è facile con due bambini, ma ci inventeremo qualcosa. Ti faremo sapere.

Boris sta scrivendo…
-    Che ne dite domani sera??

Yuri sta scrivendo…
-    Hilary, potresti chiedere a tua madre di tenerci i gemelli per una sera?

Hilary sta scrivendo…
-    Ma perché me lo chiedi via chat se sono  nell’altra stanza?

Yuri sta scrivendo…
-    Lo so, ma non mi andava di emettere suoni per evitare di svegliare i gemelli.

Boris sta scrivendo…
-    Pronto??? Risolvete le vostre cose da un’altra parte! voglio solo una risposta per organizzarmi! Ci siete o no?? Anche tu Kai, lo so che stai leggendo. E Anya…







***



“Sediamoci qui!” propone Boris, indicando un tavolo abbastanza grande per cinque persone. “Gli altri dovrebbero arrivare a momenti” mi avverte poi, controllando il suo cellulare.
“Come mai hai organizzato questa serata?” domando curiosa, togliendo la giacca.
“Beh, ultimamente mi annoio e non ci vediamo quasi mai!” spiega in toni vaghi, strappandomi un sorriso.
“Nostalgia dei tuoi amici?” chiedo ancora, fissandolo sospettosa.
“Nah, è solo che voi avete la vostra vita e io volte mi sento solo, ma non dirlo agli altri o mi prenderebbero in giro!” mi raccomanda a tono basso. “Guarda c’è Kai!”.
Cosa??
“Che faccia da funerale…” commenta divertito Boris, invitandolo a sedersi. E in effetti, quella che mi rivolge è l’occhiata più cupa che io gli abbia mai visto. Beh, quella che ho io non è da meno.
“Perfetto, mancano solo i due sposini, speriamo non si presentino con quei due marmocchi”.
“Beh, non si presenteranno affatto” annuncio io, leggendo un messaggio appena arrivato sul gruppo.
“Cosa??”. Boris, incredulo, controlla i suoi messaggi.
“La madre di Hilary non sta molto bene” spiego, leggendo l’ultimo messaggio appena inviato dalla mia amica, mentre le rispondendo di non preoccuparsi.
“Lo sapevo, mannaggia a loro!” lamenta Boris, posando con forza lo smartphone sul tavolo.
“Fantastico…” mormora tra sé e sé Kai, con aria stizzita.
“Beh saremo solo noi tre” dichiara Boris, rivolgendo un sorriso irritante all’amico, che in tutta risposta gli riserva un’occhiata acida.
“Dov’è Hope?” gli chiedo pungente.
“E’ con Reina, la stava mettendo a letto” risponde, facendo vagare il suo sguardo altrove.
“Ok ok, Stop! Non si parla di bambini, ok? Niente bambini!” ci ordina Huznestov, fissandoci severo. “Non voglio sentir parlare di bambini. Nada de nada!” torna a ribadire scocciato. “Parliamo di cose più interessanti…”.
“Tipo??” chiedo curiosa.
“Tipo…il sedere della cameriera” propone con aria sognante, seguendo l’oggetto del suo desiderio fino a che non scompare dietro al bancone. Ma una volta tornato ad osservare le facce dei qui presenti, soprattutto la mia, si rende conto che non è poi una buona idea.
“Ok, un argomento che coinvolga tutti…” si corregge, dandosi dello scemo.




***




All’inizio ero molto scettico sul venire o meno a questa sorta di rimpatriata, ma poi, non avendo altro da fare, ho optato per il sì. Ma non mi sarei aspettato di dover passare una serata insieme a questo testone di Boris e ad Anya, che continua a guardarmi come se le avessi ucciso il gatto.
Arriva la cameriera per prendere le ordinazioni e Boris si sforza in tutti i modi di tenere lo sguardo alto, verso i suoi occhi e non farli scendere sul decolté messo bello in mostra.
È sempre il solito.
Una volta rimasti soli, cala il silenzio più totale. Anya si contorce la mani, lanciandomi di tanto in tanto un’occhiata sprezzante, mentre Boris continua a fissare tutte le ragazze qui intorno.
“Sapete…potremmo fare una scommessa!” inizia a dire, bevendo un sorso del drink appena servito.
“Che scommessa?” domanda curiosa Anya, rigirando la cannuccia del suo analcolico.
E io alzo gli occhi al cielo mentre sorseggio la mia birra, sapendo già dove lui voglia andare a parare.






***




La serata non sembra delle più entusiasmanti, ma forse se riuscissi a coinvolgere questi due musoni, potremmo mettere un po’ di brio.
“Chi rimorchia per primo si fa pagare il prossimo drink!” spiego ai qui presenti, che mi rivolgono un’occhiata torva, soprattutto Anya, non abituata a certi tipi di cose.
“Non credo sia una buona idea…” commenta infatti.
Ma per convincerla dovrò raccontarle la storia dall’inizio, sotto lo sguardo annoiato di Kai.
“Devi sapere che quando andavamo al liceo, io, Kai e, per un certo periodo anche Yuri, facevamo tante scommesse…”.
“Che tipo di scommesse?” mi chiede incuriosita.



***






Ma è impazzito? Che cosa le sta raccontando? Non mi sembra una storia adatta a lei.
“Chi riusciva a portarsi più ragazze a letto, vinceva!” rivela soddisfatto, ignorando le mie occhiate, che gli suggeriscono di fermarsi finché è in tempo.
“Davvero?” dice Anya, mostrandosi allibita.
“Sì, davvero! E il qui presente Hiwatari vinceva quasi sempre!” spiega, puntandomi il dito e costringendo Anya a far saettare il suo sguardo disgustato su di me. Ma il mio è rivolto su Boris e gli stanno ordinando di non andare avanti con la storia. Ma lui continua a non considerarmi, perché è troppo preso dal suo racconto.
“E se riuscivi a portarti a letto una ragazza vergine, la vincita raddoppiava!” conclude con aria soddisfatta tornando a sorseggiare la sua vodka, e lasciando Anya completamente spiazzata in due.
Idiota. Idiota e ancora Idiota.
È quello che sto gridando nella mia testa e vorrei tanto che riuscisse a sentirlo.
Noto che Anya è rimasta parecchio turbata da queste rivelazioni e io non posso fare altro che far soffocare una serie di insulti in gola nei confronti di questo idiota, che ancora non ha capito ciò che le sue parole hanno combinato.
“Scusate, ma penso che andrò in bagno a vomitare” annuncia, con aria disgustata lei, alzandosi, in un gesto lento e meccanico, evitando di incrociare il mio sguardo.
“Che l’è preso?” domanda Boris, non avendo capito un tubo. Ma ci penso io a fargli comprendere tutto, afferrandolo per la giacca, senza dare troppi sospetti.
“ Ma dico, sei idiota forse? Raccontare delle scommesse proprio a lei??” sibilo a denti stretti, cercando di placare la voglia matta di prenderlo a calci.
“Ma cosa ho det….ops”.
Sbarra gli occhi: si è reso finalmente conto della stupidaggine che ha appena fatto.
“Già…ops!” ripeto io, lasciando la presa con poca delicatezza.
“Io ho dimenticato che anche lei…insomma…tu e lei, cacchio!” esclama pentito.
“La prossima volta morditi la lingua prima di dire stupidaggini!” gli rimprovero severamente.









***







Quello che ho appena scoperto mi ha lasciato alquanto turbata. All’inizio non capivo, ma poi la mia mente ha collegato i fatti, incrociandoli con ciò che Boris ha raccontato e lì mi sono state chiare un sacco di cose. La mia prima volta è stata con Kai e ricordo molto bene la sua espressione quando gli ho rivelato di essere vergine. Mi vergognavo a dirglielo, perché non volevo che mi giudicasse una ragazzina inesperta, ma in verità la mia rivelazione non lo aveva turbato affatto, anzi, gli aveva fatto dipingere sul volto uno strano ghigno che non ho mai saputo ben interpretare. E oggi, a distanza di anni, ne posso decifrare il significato: ero solo l’oggetto di una scommessa.
Che cosa avrei dovuto aspettarmi da lui?
Non pretendevo di certo che fosse innamorato, figuriamoci, ma pensavo che almeno un po’ gli piacessi e che si fosse avvicinato a me per conoscermi. E invece…
Che schifo.
Dal mio ritorno in bagno sono rimasta in silenzio a fissare il mio cellulare, chattando con Hilary per raccontargli questo assurdo fatto. E se Hiwatari potesse leggere gli insulti che stiamo scrivendo sotto ai suoi occhi, credo che diventerebbe una furia.
“Beh, io me ne vado…” annuncia Kai, costringendomi ad alzare gli occhi dal display.
“Dov’è Boris?” domando preoccupata, guardandomi in giro. Ero talmente immersa nel mio mondo antiHiwatari da non essermi accorta della sua assenza.
“Sarà da qualche parte a pomiciare” sento dire a Kai, mentre si alza. “Se vuoi ti porto a casa” propone poi, indossando la giacca.
Neanche morta.
“No. aspetterò Boris” rifiuto in tono secco.
“Come vuoi, ma potrebbero volerci delle ore” mi avverte, mettendo in tasca il cellulare e le sigarette.
“Aspetterò…” mi limito a dire, fissando altrove.
“Come vuoi tu…” conclude stizzito, andando via.
Una volta sparito dal mio campo visivo, tiro un sospiro di sollievo. Non sopportavo più la sua presenza. Se prima ero arrabbiata con lui per quello che è successo nei giorni scorsi, adesso lo detesto ancor di più.

Passa un quarto d’ora abbondante, ma a me sembra essere passata un’ora, e di Boris nessuna traccia. Chissà dov’è? Come andrò a casa?
Mai fidarsi degli uomini…
Stanca di questa attesa infinita, prendo la giacca e la borsa per avviarmi a pagare, ma il cassiere mi avvisa che le consumazioni del nostro tavolo sono già state pagate.
Sarà stato sua signoria Hiwatari? Pensa che guadagni così poco da non poter permettermi un drink??
Odio.
E così mi dirigo verso l’uscita, aspirando un po’ di aria pura. Prima di prendere il cellulare e prenotare un taxi.
Una notifica mi avvisa che il tassista arriverà tra dieci minuti esatti.
Perfetto. Mi metterò in un angolo ad attendere.
“Non hai trovato Boris, vero?”. Una voce alla mia sinistra mi prende alla sprovvista.
“Kai, che ci fai qui ancora?” chiedo, mettendomi una mano al petto per la paura.
“Sto fumando, non vedi?”.
Lo vedo. Razza di idiota!
È quello che vorrei dirgli, ma preferisco non rispondere e ignorarlo, guardando altrove.
Si affianca alla sottoscritta e schiarisce la gola.
“Sei sicura di non volere un passaggio?” propone ancora una volta, avvicinandosi alla sua nuova auto, parcheggiata proprio qui di fronte.
“Sì, sono sicura. Sta arrivando il mio taxi” rispondo acida, fissando dritto innanzi a me.
Ecco che finalmente decide di togliersi dalle scatole. Apre la portiera e si accinge ad entrare, quando all’improvviso…
 “Si può sapere che hai?” chiede, con aria stanca, rimettendosi in piedi.
“Non ho niente. In fondo, ho solo scoperto di aver perso la verginità per una scommessa!” spiego, fingendo un tono calmo, ma allo stesso tempo pieno di risentimento.
“Andiamo, Anya. È successo anni fa! Non ha importanza!” asserisce lui, come se si trattasse di una cosa senza la minima importanza.
“Per te nulla ha importanza! Ti importa solo del tuo stupido lavoro e a proposito! Non permetto più a nessuno, né a te né al tuo caro nonnino di denigrarmi per il lavoro che faccio!” gli rendo noto, puntandogli ripetutamente un dito contro.
“Non ho mai denigrato il tuo lavoro!”.





***






Che diavolo le prende?
Avevo intuito che l’avesse presa male, ma non pensavo così tanto male.
“Tu non volevi presentarmi a tuo nonno solo perché ti vergognavi di dire che sono una cameriera”.
Questo era l’ultimo dei miei pensieri.
“Ma che diavolo dici? Non volevo che conoscesse Hope e immagino tu abbia capito il perché?”.
“Oh, sì che l’ho capito! E ho anche capito da chi hai preso!” mi dice con disprezzo.
Cosa? Io avrei preso da lui??
“Io non sono come lui!”.
“Oh sì che lo sei. Quello che fai ha sempre un prezzo. Hiwatari non fa mai niente per niente. Adesso so che è un vizio di famiglia”.
“Questo non è  assolutamente vero!” digrigno a pochi centimetri dal suo volto.
“Ah no? Mi hai portata a letto per una scommessa, e dimmi…quando mi hai seguita quella notte a quella festa, vuoi dirmi che non era tutto calcolato??”.
Si riferisce alla sera in cui abbiamo concepito Hope?
Beh, non è stato proprio tutto frutto del caso…
“Vuoi dirmi…che non mi hai seguita di proposito?” continua a dire, mentre io non so cosa rispondere.
“E va bene…” ammetto arrendevole. “Forse non è stato un caso. Sapevo che eri sola e che stavi tornando a casa…”.
“E perché lo avresti fatto?” domanda, con occhi lucidi.
“Perché…sapevo che Rai era fuori città e che se ti avessi convinta ci saresti stata. Volevo solo fare uno sgarbo a quel cinese” rivelo in tono sommesso, fissando altrove. Ammetto di non avere il coraggio di dire queste cose guardandola negli occhi.
E ammetto anche che, pronunciarle ad alta voce, mi fa sentire davvero stupido.
“Tzè, io non ho parole…e io che sono stata così stupida da cascarci!” dichiara colpevole, portandosi le mani alle tempie. “E cosa mi dici di Hope?” aggiunge poi, sotto il mio sguardo confuso. “Anche la lotta per il suo affidamento serviva a uno dei tuoi scopi??”.
Adesso vuole sapere troppo.
Ma tanto vale, ormai, rivelare ogni cosa.
Non può andare peggio di così.
“E’ così, non è vero??” ripete, anche se timorosa di conoscere la verità.
Prendo un profondo respiro e svuoto il sacco.
“E’ vero. All’inizio ho voluto l’affidamento solo per farla pagare a Rai. Non sopportavo la sua faccia da padre eroe” rivelo, sotto il suo sguardo allibito.
“Quindi non te n’è importato mai niente di essere il padre di Hope! Per questo non glielo hai ancora detto!”.
“No, non è così! E’ vero, all’inizio lo avevo fatto per una sorta di soddisfazione personale, ma poi non è stato più così!” cerco di spiegarle, anche se le mie parole non sembrano avere valore per lei.
“Sì, come no…” afferma stizzita, trattenendo le lacrime.
“Puoi non credermi, ma è così”.
“Sai che c’è…che finalmente ho capito con chi ho a che fare. Con Hiwatari, il cinico e freddo calcolatore!” annuncia a gran voce, mimando un manifesto con le mani.
Cinico e freddo…calcolatore…
Il taxi arriva e Anya mi rivolge un’ultima occhiata di disprezzo… “C’è qualcuno di cui ti importa, a parte te stesso?”. È l’ultima cosa che dice, prima di voltare le spalle e salire sul taxi.
E queste parole risuonano prepotenti nella mia mente, ancora e ancora.
C’è qualcuno di cui ti importa…a parte te stesso…





















Ciao a tutti! ^_^ eccomi tornata con questo capitolo scoppiettante.
È stato complicato trasferire l’idea che avevo in mente sul foglio word. Spero ne sia uscito qualcosa di decente. In caso contrario, chiedo venia!
Il nonnino tanto adorato sta mettendo i bastoni tra le ruote al nipotino XD Insomma, non ha tutti i torti. Kai dovrebbe essere più rsponsabile e deve capire che i soldi non piovono dal cielo! (Ah no?ndKai) (Magari -.- nd Autrice).
Però, c’è da dire che gli atteggiamenti del vecchio lasciano un po’ a desiderare.
Il nonno non sapeva che Kai avesse procreato ahah e boom, Sorpresa! Sei diventato bis-nonno! XD
Ditemi cosa ne pensate! Sono curiosa di sapere il vostro parere su questo capitolo ^_^
Un abbraccio

Henya

   
 
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