Leona x Vil:
Solo un bacio d’amore…
Solo un bacio d’amore…
Vil Schoenheit era il più bello del mondo. Il fatto che il mondo non lo sapesse o non lo riconoscesse come tale era un fatto a cui dava fin troppo peso. Lui stesso non faceva che ripetergli quelle parole, giorno dopo giorno, nella speranza di fargli capire che l’unico ad avere voce in capitolo era lui, il suo amante, ma Vil non era certo una persona facile da convincere. Non faceva che interpellare quella dannata applicazione sullo smartphone….quella “Mira Mira” o come si chiamava. Lui le poneva sempre la stessa domanda e quella gli dava sempre la stessa risposta. Era incredibilmente irritante sapere che Vil dava più importanza ad una misera intelligenza artificiale piuttosto che a lui. Il mondo stesso gli dava fastidio. Tutte quelle persone che si permettevano di giudicare basandosi solo su ciò che vedevano attraverso lo schermo, cosa ne sapevano di chi era davvero Vil? Nessuno di loro conosceva la sua vera essenza. NESSUNO! Tranne lui. Leona Kingscholar. Lui era l’unico a poter andare oltre ed esplorare ogni singolo dettaglio del corpo di Vil, soprattutto durante i loro incontri intimi. Come quello in cui si trovavano attualmente. Steso su di lui, era giusto a pochi centimetri dal suo viso e la vista era a dir poco meravigliosa. I capelli color champagne, solitamente acconciati alla perfezione, ora erano disordinati e sparsi sul cuscino, in particolare le punte sfumate del colore della lavanda, talmente gettate alla rinfusa sulla federa bianca da ricordare un dipinto astratto di quelli creati lanciando palloncini pieni di colore contro la tela. Il viso dai lineamenti delicati e nobili, la pelle così liscia e morbida che a contatto con le dita ricordava il petalo di un fiore. Le guance dalla curva dolce in quel momento erano velate di una tonalità color fragola. Gli occhi dal taglio felino, le fitte ciglia che fungevano da cornice alle maestose iridi di ametista, nonostante queste si vedessero appena per via degli occhi socchiusi. Eppure lui poteva vedere bene le pupille che lo fissavano attraverso le lacrime di piacere. Le labbra chiare e sottili, le quali raramente si arcuavano in lievi sorrisi di circostanza, ora avevano un aspetto completamente diverso, erano umide, leggermente gonfie e di un rosso così vivo che sembrava pulsare, il tutto a “causa” dei numerosi baci che lui aveva dato. Dalla piccola fessura fra di esse, assieme al respiro affrettato talvolta di levavano dei gemiti, seppur piuttosto contenuti. Uno dei difetti di Vil era questo, non riusciva a lasciarsi andare e abbandonarsi completamente al piacere. A modo suo Vil gli faceva capire come si sentiva, non solo attraverso quello sguardo languido, anche dal modo in cui lo stringeva fra le cosce con possesso, quasi temesse che potesse fuggire, oppure conficcandogli le unghie nella spalla, quasi si sentisse violato e volesse punirlo per questo. Il pensiero gli strappò un sorriso divertito.
“Cos’è che ti fa ridere?”
Quello di Vil voleva essere un rimprovero, ma la voce gli uscì talmente spezzata che risuonò più come una supplica. Nemmeno corrugare le sopracciglia servì, visto che i suoi occhi lucidi rispecchiavano ben altro.
“Niente. Ti amo.”
Al contrario, lui aveva preservato la solita voce dura e ferma nonostante le parole appena pronunciate fossero sincere e sentite. Ma ora basta con le riflessioni, era il momento di fare sul serio.
Fissò meglio i gomiti e le braccia sul materasso e vi fece pressione per sostenere meglio il proprio peso, quindi inarcò i fianchi e si diede in vigorose spinte dentro il corpo caldo che lo stava accogliendo. Vil, colto dalla sorpresa, per un istante spalancò gli occhi e un gemito piuttosto acuto gli uscì dalle labbra. Un istante soltanto, poi si sforzò di resistere all’ondata di piacere stringendo i denti e serrando gli occhi. Una lacrima gli rigò il viso. Visto il buon risultato, Leona procedette con quel ritmo, incurante delle unghie di lui che ormai si erano conficcate nella carne e delle gambe che si dimenavano nel tentativo di scacciarlo. Non esisteva proprio.
“AH!”
Questa volta Vil non poté fare nulla per trattenersi. Ah che delizia, che musica per le orecchie!
“Sì, fammelo sentire!”
Lo incitò Leona, fiero di se stesso per quella reazione che gli stava provocando.
A nulla servì il tentativo di Vil di coprirsi la bocca col braccio, il bisogno di gridare era troppo forte, il piacere che stava provando era troppo potente per riuscire a resistere. E lui lo odiava. Odiava quel piacere che si impossessava di lui, che lo trasformava in un’altra persona, che lo controllava fino a fargli perdere la dignità. Ma soprattutto, odiava se stesso perché non riusciva a farne a meno. E allora, se non poteva opporsi, l’unica cosa che gli restava da fare era assecondarlo. Come sempre. Ed ecco che il suo corpo prese volontà propria, la schiena si sollevò fino a creare un arco perfetto, il capo rivolto all’indietro, le braccia andarono a distendersi sul cuscino, coi palmi rivolti verso l’alto, una gamba si sollevò con grazia col piede a punta come in un passo di danza classica. Non a caso, ovviamente. Il suo modo di vivere l’orgasmo era singolare, come se fosse realmente la Prima Ballerina in posa dopo l’ultimo passo di danza di un balletto, quando le luci sono puntate sulla figura al centro del palco, l’orchestra esegue le ultime potenti note al comando del Maestro e poi cala il silenzio prima che parta lo scroscio di applausi. Ecco, per Vil l’orgasmo era proprio quell’istante di silenzio, quel frammento di tempo in cui l’artista raggiunge la consapevolezza di aver donato ogni fibra del proprio essere e attende che il pubblico lo elogi. La stessa durata di un orgasmo, per l’appunto. I suoi occhi si chiusero e assaporò il momento senza emettere alcun suono, anzi limitandosi a trattenere il respiro. Solo allora si abbandonò alla dolce sensazione di benessere e si rilassò sul materasso per deliziarsene. Sentì il corpo caldo e sudato di Leona spostarsi e ricadere accanto a lui, il suo respiro pesante e bollente arrivargli fino all’orecchio. Un rumore ancora più gradevole degli applausi, per lui. A volte si sorprendeva per i sentimenti che provava per quel selvaggio. Non solo aveva un carattere orrendo, anche il suo aspetto non era certo degno di lode tanto era trasandato. Ma nonostante tutto gli piaceva. Si girò sul fianco in modo da poterlo guardare. Cos’è che gli piaceva esattamente? I suoi occhi di un verde brillante, in cui spesso adorava specchiarsi, sembravano prati lussureggianti dove avrebbe voluto correre a perdifiato; l’ammasso incolto dei suoi capelli lunghi e disastrati erano una sfida quotidiana a cui doveva dedicarsi per dargli un aspetto decente, ma era pur vero che nonostante tendessero ad essere secchi a causa della lunga esposizione al sole della Savana, gli piaceva infilarci le dita e sciogliere i nodi uno ad uno; inoltre non poteva negare di essere pazzo dei suoi muscoli scolpiti e della sua pelle abbronzata che gli ricordava il caramello tostato, tanto che a volte non riusciva a resistere dal leccarlo ovunque; poi c’erano le sue orecchie leonine, che era solito accarezzare sul retro quando aveva voglia di coccolarlo ed infine la coda...con cui quel sadico lo “frustava” se era in vena di rendere più piccanti i loro incontri. Ancora si chiedeva com’era stato possibile che un essere così rude fosse riuscito a conquistare il suo cuore. Forse non c’era una risposta, era accaduto e basta e da allora non riusciva ad immaginare nessun altro al proprio fianco. Se solo fosse riuscito ad insegnargli un minimo di educazione e rispetto delle regole, sarebbe stato fantastico. E invece… Anche se Leona ora aveva gli occhi chiusi per riposare dopo la fatica amorosa, lui gli lanciò un’occhiataccia, quindi con movimento rapido si alzò e si mise seduto sul bordo del letto. In un gesto abituale aprì il primo cassetto del comodino, nascosto tra il grande letto e lo specchio a figura intera, e recuperò un paio di salviette umidificate con cui ripulirsi un po’ le parti intime e anche l’addome dove era schizzato il suo stesso seme durante l’orgasmo.
Probabilmente disturbato dal movimento repentino sul materasso e poi dal rumore della plastica stropicciata del contenitore delle salviette, Leona riaprì gli occhi. Il suo sguardo da predatore andò inevitabilmente a posarsi sulla splendida “gazzella” che era lì accanto, nonostante l’avesse assaporata fino a poco prima. La schiena di Vil era liscia e levigata e i suoi fianchi snelli erano semplicemente adorabili, peccato che potesse vederli bene solo quando lui era nudo, cosa di fatto impossibile quando indossava la stravagante veste indaco del dormitorio o la divisa scolastica con la giacca che li copriva, anche se forse poteva accontentarsi della tenuta sportiva giusto perché la giacca era aderente e lasciava intravedere abbastanza le forme al di sotto. Ma di certo, nudo era molto meglio! A guardarlo da dietro era impossibile dire che Vil fosse un ragazzo, a dirla tutta anche il suo viso era molto femminile e la sua pelle avrebbe fatto invidia a qualunque ragazza, senza contare che sul suo corpo non si poteva trovare un pelo nemmeno cercandolo con la lente d’ingrandimento. Perfino sul suo viso non c’era la minima traccia di barba tagliata, anche se Vil aveva diciotto anni. Che fossero doti naturali, che fosse lui molto bravo a nascondere i segni di pubertà dal proprio corpo o che usasse la magia, il risultato era lodevole. Le uniche due cose che lo catalogavano come maschio erano la voce e, ovviamente, i genitali.
“La mia bella ragazza non riesce proprio a stare a letto il sabato mattina!”
La buttò lì, tanto per stuzzicarlo. Di conseguenza Vil voltò il capo e gli lanciò un’occhiata glaciale.
“Veramente nemmeno tu dovresti stare nel mio letto al sabato mattina. Te l’avrò detto un milione di volte.”
Di nuovo si volse, appallottolò le salviette sporche e le gettò dentro il cestino che era sotto il tavolo della toeletta poco più in là.
Leona si stiracchiò i muscoli esausti, facendo una smorfia.
“Visto che non mi hai mandato via ho pensato che mi volessi qui. E poi stanotte abbiamo dormito molto poco, non mi andava di alzarmi all’alba per tornare al mio dormitorio.”
“Tsk.”
Infastidito, Vil continuò a dargli di spalle, mentre armeggiava coi propri capelli arruffati per dargli un po’ di tono dopo la focosa notte di passione trascorsa, poi prese una molletta da sopra il comodino, una di quelle che portava quasi sempre, dorata e a forma di cuore trafitto da un pugnale. Nessuno lo sapeva, ma lui oltre alla forcina e alla corona, possedeva un intero set di accessori con quel simbolo, come ad esempio bracciali, ciondoli, fermacravatta e via dicendo, e li conservava dentro un cofanetto in legno dipinto che come chiusura aveva anch’esso un cuore dorato trafitto da un pugnale. Per un qualche motivo lo conservava gelosamente come un tesoro.
“Dopo, quando uscirai, vedi di prestare molta attenzione a non farti vedere. Non voglio che qualcuno del dormitorio ti veda uscire dalla mia stanza.”
Leona sfoggiò un’espressione piuttosto sinistra.
“E anche se mi vedessero? Siamo una coppia, è assurdo che continuiamo a nasconderci.”
“Sarebbe un disastro per la mia immagine pubblica, lo sai.”
Disse Vil senza mezzi termini. Si alzò e indossò una vestaglia di seta rosa chiaro che teneva appesa ad un appendiabiti a forma di albero che era all’angolo tra lo specchio e la toeletta.
“Vado a preparare la vasca per farmi un bagno.”
Nel dirlo si voltò a tre quarti verso di lui. Anche così, coi capelli raccolti alla bell’e meglio e il corpo sudato avvolto da una vestaglia, era di una bellezza ammaliante.
Guardò Leona di sbieco.
“E anche tu ne hai bisogno. Quando sudi puzzi di selvatico.”
Leona lasciò una risata prima di rispondere in modo provocante.
“L’odore di un predatore che si è dato da fare per catturare una succulenta preda!”
E gli fece l’occhiolino.
Vil si rabbuiò all’istante, le sue mani che ancora tenevano la fascia della vestaglia, la strinsero tanto da farla stridere.
“Bestia!”
Sibilò tra i denti, per poi incamminarsi con aria offesa verso la stanza da bagno personale. Di tutti i dormitori, quello di Pomefiore era l’unico a cui era concesso al leader di averne una tutta per sé, con tanto di vasca.
Leona rimase a fissare il suo bel culetto ondeggiante fin quando Vil non entrò e richiuse la porta facendola sbattere. Sospirò. Rimasto solo, vagò con lo sguardo per quella stanza dove trascorreva più notti che non nella sua al Savanaclaw. Era un ambiente che metteva disagio, proprio come il suo proprietario, e allo stesso tempo dava l’impressione di sprofondare nel tutto. La tonalità indaco la faceva da padrone e nell’aria aleggiava una leggera fragranza di violetta selvatica. Lo stile raffinato di Vil si vedeva in ogni dettaglio, dall’imponente letto fino alla vetrata colorata. Ogni minima cosa era a posto, compresi gli abiti che la sera precedente si erano tolti e che Vil aveva riposto su una sedia prima di infilarsi a letto con lui. Forse il tappeto da yoga arrotolato e appoggiato contro una parete e i due bilancieri posti accanto alla dormeuse stonavano col resto, ma in fondo lo spazio era quello che era, quindi se si trovavano lì c’era un motivo. Si mosse sul materasso fin troppo morbido per i suoi gusti, con la testa finì in un punto vuoto così che si ritrovò sommerso da cuscini di forme e grandezze diverse, tra federe viola e bianche e rosse. Gli parve di soffocare. Era separato da Vil da una manciata di minuti e già non riusciva più a stare senza di lui, dannazione. Con uno slancio felino si rimise in piedi. Mentre camminava attorno al grande letto, sfilò il preservativo e lo gettò con noncuranza nel cestino prima citato dove giacevano anche gli altri usati durante la notte e, ovviamente, le salviette umidificate usate da Vil poco prima. Non vedendo la necessità di coprirsi, entrò nel bagno nudo com’era.
Si affrettò a richiudersi la porta alle spalle, quasi avesse timore di infrangere la pace di quel luogo che aveva qualcosa di sacro. Dal pavimento al soffitto, ovunque l’occhio si posasse incontrava solamente marmo, che fosse bianco, rosa o beige. L’unica eccezione era una lunga tenda bianca semitrasparente che copriva una finestra lunga e stretta. La luce di una mezza dozzina di candele contribuiva a creare l’atmosfera, come anche la fragranza di gelsomino che queste emanavano. Se non fosse stato per i servizi e la grande vasca, quel luogo avrebbe tranquillamente potuto essere usato come stanza per pregare delle divinità. Un lusso a dir poco esagerato perfino per quel dormitorio. Leona posò lo sguardo sulla figura che se ne stava in silenzio nella vasca, con le braccia incrociate sul bordo e il capo posato su di esse. Vil non stava dormendo, lo stava aspettando. Attraversò la stanza ed entrò nella vasca per accomodarsi nello spazio che lui gli aveva lasciato. Il livello dell’acqua salì fino a raggiungergli oltre la metà del petto. Avvolse Vil in un abbraccio da dietro e lo strinse delicatamente a sé, facendogli posare il capo contro la spalla. Non resistette alla tentazione di stampargli un bacio sul collo, al quale lui non si oppose.
“Potremmo…dire di noi solo ai nostri amici più cari.”
Sussurrò, fra il primo e il secondo bacio. Il suo fiato caldo contro la pelle diede a Vil un leggero brivido di piacere.
“Io non ho amici. E i tuoi sono troppo inaffidabili per confidare loro un segreto così grande.”
A quella risposta, Leona lasciò un lungo sospiro e andò a posare la testa contro il cuscino che era sistemato appositamente sul bordo della vasca.
“Sono stanco di fingere di odiarti. Mi costringi a parlare male di te con chiunque pronunci il tuo nome in mia presenza, come se questo servisse a tenere lontani eventuali sospetti. Mentre invece devo sopportare quello strambo che decanta la tua bellezza ad ogni occasione.”
“Rook è fatto così. E comunque la sua adorazione per me non è un crimine. Spero vivamente che tu non sia geloso.”
Vil aveva aggiunto quell’ultima frase con l’intento di punzecchiarlo. E funzionò.
Leona si infastidì, le sue braccia finirono col stringere il corpo di Vil con più forza.
“Non sono geloso, ma la mia pazienza ha un limite. Noi due ci amiamo, non vedo perché…”
Si fermò, un dubbio gli attraversò la mente.
“O forse è questo il problema. Tu non mi ami. Come potresti amarmi? Un fallito come me, l’eterno numero due. Tsk.”
Vil scattò all’improvviso come una molla per guardarlo in volto, gli occhi carichi di disappunto.
“Non ti azzardare a ripetere ancora una cosa del genere o giuro che te la faccio pagare.”
Non scherzava affatto, era risaputo che lui fosse uno dei ragazzi più forti dell’intero college e scatenare la sua ira poteva avere conseguenze dolorose. Letteralmente dolorose.
Leona liquidò la faccenda con un mezzo sorrido di sfida, senza dire una parola, quindi chiuse gli occhi fingendo di volersi rilassare e godersi il bagno in santa pace. Per fortuna anche Vil lasciò perdere e si risistemò nel suo abbraccio senza più dire niente. Ma non poteva finire così, quella faccenda andava affrontata e risolta una volta per tutte. Doveva pur esserci un modo per spingere Vil ad uscire allo scoperto, per fargli ammettere i suoi sentimenti, per fargli smettere di dare troppa importanza al giudizio altrui. Qualcosa che non gli lasciasse via di fuga. Be’, aveva tutto il giorno per pensarci. E poi la sera si sarebbero visti ancora, magari avrebbe provato a tirare fuori il discorso di nuovo, prima di rotolarsi con lui fra le lenzuola.
“Cos’è che ti fa ridere?”
Quello di Vil voleva essere un rimprovero, ma la voce gli uscì talmente spezzata che risuonò più come una supplica. Nemmeno corrugare le sopracciglia servì, visto che i suoi occhi lucidi rispecchiavano ben altro.
“Niente. Ti amo.”
Al contrario, lui aveva preservato la solita voce dura e ferma nonostante le parole appena pronunciate fossero sincere e sentite. Ma ora basta con le riflessioni, era il momento di fare sul serio.
Fissò meglio i gomiti e le braccia sul materasso e vi fece pressione per sostenere meglio il proprio peso, quindi inarcò i fianchi e si diede in vigorose spinte dentro il corpo caldo che lo stava accogliendo. Vil, colto dalla sorpresa, per un istante spalancò gli occhi e un gemito piuttosto acuto gli uscì dalle labbra. Un istante soltanto, poi si sforzò di resistere all’ondata di piacere stringendo i denti e serrando gli occhi. Una lacrima gli rigò il viso. Visto il buon risultato, Leona procedette con quel ritmo, incurante delle unghie di lui che ormai si erano conficcate nella carne e delle gambe che si dimenavano nel tentativo di scacciarlo. Non esisteva proprio.
“AH!”
Questa volta Vil non poté fare nulla per trattenersi. Ah che delizia, che musica per le orecchie!
“Sì, fammelo sentire!”
Lo incitò Leona, fiero di se stesso per quella reazione che gli stava provocando.
A nulla servì il tentativo di Vil di coprirsi la bocca col braccio, il bisogno di gridare era troppo forte, il piacere che stava provando era troppo potente per riuscire a resistere. E lui lo odiava. Odiava quel piacere che si impossessava di lui, che lo trasformava in un’altra persona, che lo controllava fino a fargli perdere la dignità. Ma soprattutto, odiava se stesso perché non riusciva a farne a meno. E allora, se non poteva opporsi, l’unica cosa che gli restava da fare era assecondarlo. Come sempre. Ed ecco che il suo corpo prese volontà propria, la schiena si sollevò fino a creare un arco perfetto, il capo rivolto all’indietro, le braccia andarono a distendersi sul cuscino, coi palmi rivolti verso l’alto, una gamba si sollevò con grazia col piede a punta come in un passo di danza classica. Non a caso, ovviamente. Il suo modo di vivere l’orgasmo era singolare, come se fosse realmente la Prima Ballerina in posa dopo l’ultimo passo di danza di un balletto, quando le luci sono puntate sulla figura al centro del palco, l’orchestra esegue le ultime potenti note al comando del Maestro e poi cala il silenzio prima che parta lo scroscio di applausi. Ecco, per Vil l’orgasmo era proprio quell’istante di silenzio, quel frammento di tempo in cui l’artista raggiunge la consapevolezza di aver donato ogni fibra del proprio essere e attende che il pubblico lo elogi. La stessa durata di un orgasmo, per l’appunto. I suoi occhi si chiusero e assaporò il momento senza emettere alcun suono, anzi limitandosi a trattenere il respiro. Solo allora si abbandonò alla dolce sensazione di benessere e si rilassò sul materasso per deliziarsene. Sentì il corpo caldo e sudato di Leona spostarsi e ricadere accanto a lui, il suo respiro pesante e bollente arrivargli fino all’orecchio. Un rumore ancora più gradevole degli applausi, per lui. A volte si sorprendeva per i sentimenti che provava per quel selvaggio. Non solo aveva un carattere orrendo, anche il suo aspetto non era certo degno di lode tanto era trasandato. Ma nonostante tutto gli piaceva. Si girò sul fianco in modo da poterlo guardare. Cos’è che gli piaceva esattamente? I suoi occhi di un verde brillante, in cui spesso adorava specchiarsi, sembravano prati lussureggianti dove avrebbe voluto correre a perdifiato; l’ammasso incolto dei suoi capelli lunghi e disastrati erano una sfida quotidiana a cui doveva dedicarsi per dargli un aspetto decente, ma era pur vero che nonostante tendessero ad essere secchi a causa della lunga esposizione al sole della Savana, gli piaceva infilarci le dita e sciogliere i nodi uno ad uno; inoltre non poteva negare di essere pazzo dei suoi muscoli scolpiti e della sua pelle abbronzata che gli ricordava il caramello tostato, tanto che a volte non riusciva a resistere dal leccarlo ovunque; poi c’erano le sue orecchie leonine, che era solito accarezzare sul retro quando aveva voglia di coccolarlo ed infine la coda...con cui quel sadico lo “frustava” se era in vena di rendere più piccanti i loro incontri. Ancora si chiedeva com’era stato possibile che un essere così rude fosse riuscito a conquistare il suo cuore. Forse non c’era una risposta, era accaduto e basta e da allora non riusciva ad immaginare nessun altro al proprio fianco. Se solo fosse riuscito ad insegnargli un minimo di educazione e rispetto delle regole, sarebbe stato fantastico. E invece… Anche se Leona ora aveva gli occhi chiusi per riposare dopo la fatica amorosa, lui gli lanciò un’occhiataccia, quindi con movimento rapido si alzò e si mise seduto sul bordo del letto. In un gesto abituale aprì il primo cassetto del comodino, nascosto tra il grande letto e lo specchio a figura intera, e recuperò un paio di salviette umidificate con cui ripulirsi un po’ le parti intime e anche l’addome dove era schizzato il suo stesso seme durante l’orgasmo.
Probabilmente disturbato dal movimento repentino sul materasso e poi dal rumore della plastica stropicciata del contenitore delle salviette, Leona riaprì gli occhi. Il suo sguardo da predatore andò inevitabilmente a posarsi sulla splendida “gazzella” che era lì accanto, nonostante l’avesse assaporata fino a poco prima. La schiena di Vil era liscia e levigata e i suoi fianchi snelli erano semplicemente adorabili, peccato che potesse vederli bene solo quando lui era nudo, cosa di fatto impossibile quando indossava la stravagante veste indaco del dormitorio o la divisa scolastica con la giacca che li copriva, anche se forse poteva accontentarsi della tenuta sportiva giusto perché la giacca era aderente e lasciava intravedere abbastanza le forme al di sotto. Ma di certo, nudo era molto meglio! A guardarlo da dietro era impossibile dire che Vil fosse un ragazzo, a dirla tutta anche il suo viso era molto femminile e la sua pelle avrebbe fatto invidia a qualunque ragazza, senza contare che sul suo corpo non si poteva trovare un pelo nemmeno cercandolo con la lente d’ingrandimento. Perfino sul suo viso non c’era la minima traccia di barba tagliata, anche se Vil aveva diciotto anni. Che fossero doti naturali, che fosse lui molto bravo a nascondere i segni di pubertà dal proprio corpo o che usasse la magia, il risultato era lodevole. Le uniche due cose che lo catalogavano come maschio erano la voce e, ovviamente, i genitali.
“La mia bella ragazza non riesce proprio a stare a letto il sabato mattina!”
La buttò lì, tanto per stuzzicarlo. Di conseguenza Vil voltò il capo e gli lanciò un’occhiata glaciale.
“Veramente nemmeno tu dovresti stare nel mio letto al sabato mattina. Te l’avrò detto un milione di volte.”
Di nuovo si volse, appallottolò le salviette sporche e le gettò dentro il cestino che era sotto il tavolo della toeletta poco più in là.
Leona si stiracchiò i muscoli esausti, facendo una smorfia.
“Visto che non mi hai mandato via ho pensato che mi volessi qui. E poi stanotte abbiamo dormito molto poco, non mi andava di alzarmi all’alba per tornare al mio dormitorio.”
“Tsk.”
Infastidito, Vil continuò a dargli di spalle, mentre armeggiava coi propri capelli arruffati per dargli un po’ di tono dopo la focosa notte di passione trascorsa, poi prese una molletta da sopra il comodino, una di quelle che portava quasi sempre, dorata e a forma di cuore trafitto da un pugnale. Nessuno lo sapeva, ma lui oltre alla forcina e alla corona, possedeva un intero set di accessori con quel simbolo, come ad esempio bracciali, ciondoli, fermacravatta e via dicendo, e li conservava dentro un cofanetto in legno dipinto che come chiusura aveva anch’esso un cuore dorato trafitto da un pugnale. Per un qualche motivo lo conservava gelosamente come un tesoro.
“Dopo, quando uscirai, vedi di prestare molta attenzione a non farti vedere. Non voglio che qualcuno del dormitorio ti veda uscire dalla mia stanza.”
Leona sfoggiò un’espressione piuttosto sinistra.
“E anche se mi vedessero? Siamo una coppia, è assurdo che continuiamo a nasconderci.”
“Sarebbe un disastro per la mia immagine pubblica, lo sai.”
Disse Vil senza mezzi termini. Si alzò e indossò una vestaglia di seta rosa chiaro che teneva appesa ad un appendiabiti a forma di albero che era all’angolo tra lo specchio e la toeletta.
“Vado a preparare la vasca per farmi un bagno.”
Nel dirlo si voltò a tre quarti verso di lui. Anche così, coi capelli raccolti alla bell’e meglio e il corpo sudato avvolto da una vestaglia, era di una bellezza ammaliante.
Guardò Leona di sbieco.
“E anche tu ne hai bisogno. Quando sudi puzzi di selvatico.”
Leona lasciò una risata prima di rispondere in modo provocante.
“L’odore di un predatore che si è dato da fare per catturare una succulenta preda!”
E gli fece l’occhiolino.
Vil si rabbuiò all’istante, le sue mani che ancora tenevano la fascia della vestaglia, la strinsero tanto da farla stridere.
“Bestia!”
Sibilò tra i denti, per poi incamminarsi con aria offesa verso la stanza da bagno personale. Di tutti i dormitori, quello di Pomefiore era l’unico a cui era concesso al leader di averne una tutta per sé, con tanto di vasca.
Leona rimase a fissare il suo bel culetto ondeggiante fin quando Vil non entrò e richiuse la porta facendola sbattere. Sospirò. Rimasto solo, vagò con lo sguardo per quella stanza dove trascorreva più notti che non nella sua al Savanaclaw. Era un ambiente che metteva disagio, proprio come il suo proprietario, e allo stesso tempo dava l’impressione di sprofondare nel tutto. La tonalità indaco la faceva da padrone e nell’aria aleggiava una leggera fragranza di violetta selvatica. Lo stile raffinato di Vil si vedeva in ogni dettaglio, dall’imponente letto fino alla vetrata colorata. Ogni minima cosa era a posto, compresi gli abiti che la sera precedente si erano tolti e che Vil aveva riposto su una sedia prima di infilarsi a letto con lui. Forse il tappeto da yoga arrotolato e appoggiato contro una parete e i due bilancieri posti accanto alla dormeuse stonavano col resto, ma in fondo lo spazio era quello che era, quindi se si trovavano lì c’era un motivo. Si mosse sul materasso fin troppo morbido per i suoi gusti, con la testa finì in un punto vuoto così che si ritrovò sommerso da cuscini di forme e grandezze diverse, tra federe viola e bianche e rosse. Gli parve di soffocare. Era separato da Vil da una manciata di minuti e già non riusciva più a stare senza di lui, dannazione. Con uno slancio felino si rimise in piedi. Mentre camminava attorno al grande letto, sfilò il preservativo e lo gettò con noncuranza nel cestino prima citato dove giacevano anche gli altri usati durante la notte e, ovviamente, le salviette umidificate usate da Vil poco prima. Non vedendo la necessità di coprirsi, entrò nel bagno nudo com’era.
Si affrettò a richiudersi la porta alle spalle, quasi avesse timore di infrangere la pace di quel luogo che aveva qualcosa di sacro. Dal pavimento al soffitto, ovunque l’occhio si posasse incontrava solamente marmo, che fosse bianco, rosa o beige. L’unica eccezione era una lunga tenda bianca semitrasparente che copriva una finestra lunga e stretta. La luce di una mezza dozzina di candele contribuiva a creare l’atmosfera, come anche la fragranza di gelsomino che queste emanavano. Se non fosse stato per i servizi e la grande vasca, quel luogo avrebbe tranquillamente potuto essere usato come stanza per pregare delle divinità. Un lusso a dir poco esagerato perfino per quel dormitorio. Leona posò lo sguardo sulla figura che se ne stava in silenzio nella vasca, con le braccia incrociate sul bordo e il capo posato su di esse. Vil non stava dormendo, lo stava aspettando. Attraversò la stanza ed entrò nella vasca per accomodarsi nello spazio che lui gli aveva lasciato. Il livello dell’acqua salì fino a raggiungergli oltre la metà del petto. Avvolse Vil in un abbraccio da dietro e lo strinse delicatamente a sé, facendogli posare il capo contro la spalla. Non resistette alla tentazione di stampargli un bacio sul collo, al quale lui non si oppose.
“Potremmo…dire di noi solo ai nostri amici più cari.”
Sussurrò, fra il primo e il secondo bacio. Il suo fiato caldo contro la pelle diede a Vil un leggero brivido di piacere.
“Io non ho amici. E i tuoi sono troppo inaffidabili per confidare loro un segreto così grande.”
A quella risposta, Leona lasciò un lungo sospiro e andò a posare la testa contro il cuscino che era sistemato appositamente sul bordo della vasca.
“Sono stanco di fingere di odiarti. Mi costringi a parlare male di te con chiunque pronunci il tuo nome in mia presenza, come se questo servisse a tenere lontani eventuali sospetti. Mentre invece devo sopportare quello strambo che decanta la tua bellezza ad ogni occasione.”
“Rook è fatto così. E comunque la sua adorazione per me non è un crimine. Spero vivamente che tu non sia geloso.”
Vil aveva aggiunto quell’ultima frase con l’intento di punzecchiarlo. E funzionò.
Leona si infastidì, le sue braccia finirono col stringere il corpo di Vil con più forza.
“Non sono geloso, ma la mia pazienza ha un limite. Noi due ci amiamo, non vedo perché…”
Si fermò, un dubbio gli attraversò la mente.
“O forse è questo il problema. Tu non mi ami. Come potresti amarmi? Un fallito come me, l’eterno numero due. Tsk.”
Vil scattò all’improvviso come una molla per guardarlo in volto, gli occhi carichi di disappunto.
“Non ti azzardare a ripetere ancora una cosa del genere o giuro che te la faccio pagare.”
Non scherzava affatto, era risaputo che lui fosse uno dei ragazzi più forti dell’intero college e scatenare la sua ira poteva avere conseguenze dolorose. Letteralmente dolorose.
Leona liquidò la faccenda con un mezzo sorrido di sfida, senza dire una parola, quindi chiuse gli occhi fingendo di volersi rilassare e godersi il bagno in santa pace. Per fortuna anche Vil lasciò perdere e si risistemò nel suo abbraccio senza più dire niente. Ma non poteva finire così, quella faccenda andava affrontata e risolta una volta per tutte. Doveva pur esserci un modo per spingere Vil ad uscire allo scoperto, per fargli ammettere i suoi sentimenti, per fargli smettere di dare troppa importanza al giudizio altrui. Qualcosa che non gli lasciasse via di fuga. Be’, aveva tutto il giorno per pensarci. E poi la sera si sarebbero visti ancora, magari avrebbe provato a tirare fuori il discorso di nuovo, prima di rotolarsi con lui fra le lenzuola.
*
Per Jack, la cosa più bella dei giorni liberi, era avere molto più tempo per fare jogging. Quella domenica mattina si era alzato all’alba come sempre, ma con l’intenzione di correre seguendo un percorso diverso dal solito, facendo un’unica breve sosta per dissetarsi e magari aggiungendo qualche ostacolo durante il tragitto giusto per mettersi alla prova. Non per niente era il più muscoloso dell’intero campus! Era stata una gradita sorpresa incontrare Vil lungo il viale principale. Loro due facevano jogging insieme da molto tempo, si alzavano quando ancora tutti dormivano e andavano a correre prima dell’inizio delle lezioni, mentre nei giorni liberi correvano anche per l’intera mattinata. Solo che ad un certo punto, improvvisamente, Vil aveva smesso di correre nel fine settimana oppure lo faceva ad orari decisamente insoliti. Non aveva mai spiegato il perché. Fatto sta che quella mattina era lì ed aveva perfino accettato di unirsi a lui in quel nuovo duro allenamento. La contentezza era via via scemata quando si era accorto che Vil stava correndo solo per sfogare la rabbia. Non che fosse un male, assolutamente, però vederlo così rabbuiato smorzò un po’ il suo entusiasmo. Durante la pausa aveva provato a chiedergli cosa fosse successo, ma lui aveva risposto bruscamente che qualcuno gli aveva fatto perdere la pazienza con richieste idiote e dopo una nottata in bianco la rabbia gli era salita alla testa ancor più e così aveva pensato di sfogarsi correndo. Punto. Niente di strano, conosceva Vil fin da quando erano bambini e sapeva quanto fosse complicato il suo carattere. Anzi si poteva dire che frequentarlo gli era stato di grande aiuto in seguito, quando aveva conosciuto Leona e si era ritrovato ad aver a che fare col suo pessimo carattere. Pensandoci, Leona la sera prima era tornato al dormitorio molto presto e di pessimo umore. Che coincidenza. Ad ogni modo l’allenamento era andato a buon fine, lui aveva accompagnato Vil fino al dormitorio Pomefiore e ora stava tornando al proprio, sempre di corsa. Si fermò giusto nei pressi dell’ingresso, dove Ruggie stava poltrendo steso per terra. Lo sorprese giusto nel momento in cui si stava mettendo in bocca un dente di leone che aveva sgraffignato dal campo. La sua espressione compiaciuta nel gustare quel fiore che tanto gli piaceva, era qualcosa di meraviglioso.
Jack si chinò sulle ginocchia, sfinito, il respiro così pesante che i polmoni quasi gli bruciavano.
“Leona non si è ancora svegliato.”
Disse Ruggie, così di punto in bianco.
“Strano. Per una volta che non fa tardi andando chissà dove, credevo che si sarebbe alzato prima del solito.”
Ruggie si passò la lingua sui denti, alla ricerca di eventuali piccoli petali rimasti incastrati.
“Qualcuno dice di averlo visto uscire a notte fonda e tornare poco dopo. Tu ne sai niente?”
“No. In ogni caso dovremmo svegliarlo, anche se di certo si arrabbierà a morte.”
“Shishishi! E’ il motivo per cui mi piace svegliarlo!”
Ruggie era davvero una piccola e adorabile iena che amava fare dispetti tanto quanto ridere, esattamente come voleva la sua natura.
Giusto il tempo che Jack si desse una risciacquata per togliersi di dosso il sudore e poi i due andarono insieme ad affrontare la grande impresa. Nell’afferrare la maniglia della porta, Ruggie se la stava già ridendo sotto i baffi, pur non avendoli, al pensiero di quanto fosse pericoloso ciò che stavano per fare. Aprì la porta lentamente e fece capolino con la testa.
“Leooooona!”
La stanza era in penombra, nonostante le persiane fossero abbassate il sole aveva trovato comunque qualche spiraglio dove imbucarsi ed un raggio aveva osato andare a posarsi proprio sopra la testa di Leona, colpendogli in pieno le orecchie leonine.
Jack sorpassò il compagno e andò dritto fino ai piedi del letto.
“Leona, è quasi ora di pranzo. Dovresti alzarti.”
Nessuna reazione. Aveva addosso la divisa del dormitorio e stava dormendo sopra le coperte in una posizione molto composta, tutti elementi decisamente insoliti per lui. Jack si portò una mano al mento, con fare pensieroso. Era evidente che qualcosa non andava.
“Gli mordo un orecchio?”
Propose Ruggie, affiancandolo.
Jack stava per rispondergli di smetterla con gli scherzi, quand’ecco che accanto al letto si materializzarono delle luci verdi che presero a muoversi alla rinfusa come lucciole impazzite, prima di cominciare a compattarsi e dare forma ad una figura. Pochi istanti e Malleus fu di fronte a loro, avvolto dal suo ampio mantello del colore delle tenebre e con le corna che spiccavano sopra il suo capo come una vistosa corona. I due rimasero giustamente a bocca aperta.
“Una reazione come questa me l’aspetterei dagli Octavinelle, in quanto creature marine, non da voi.”
Il suo tono di voce era vagamente annoiato, ma lo stesso metteva i brividi.
“Cos-? Per-?”
Ruggie poverino non riusciva nemmeno a terminare una parola, tanto era impressionato da quella presenza.
“Sono qui per informarvi che Leona è sotto incantesimo, perciò chiamarlo non servirà a nulla. E nemmeno mordergli l’orecchio.”
Nel dire quell’ultima frase si rivolse esclusivamente a Ruggie, sfoggiando un sorriso tanto bello quanto sinistro.
“Incantesimo? Cosa significa? Sei stato tu?”
“Ovvio. Ma prima che mi accusiate di alcunché, voglio precisare che è stato lui a chiedermelo come favore personale. La scorsa notte.”
Jack e Ruggie si guardarono. Dunque era vero che era uscito. Comunque c’erano ancora molti pezzi da mettere insieme per completare il puzzle.
“Per quale motivo ti ha chiesto di farlo?”
Chiese Jack. La fronte corrugata che gli dava un’aria più minacciosa di quanto non fosse in realtà.
Malleus volse lo sguardo al bello addormentato.
“Perché vuole mettere alla prova il suo innamorato. Col complesso d’inferiorità di cui è vittima, è normale che voglia attenzioni, non credete?”
Essendo una domanda retorica, non ottenne risposta. Comunque anche se uno dei due avesse parlato, lui non gli avrebbe dato retta. Il modo in cui guardava il volto addormentato di Leona tradiva un certo interesse, come se fosse lieto di vegliare sul suo sonno. O forse, più che Leona, stava ammirando gli effetti del suo incantesimo più potente.
“Solo un bacio d’amore può spezzare questo incantesimo.”
Aggiunse, parlando con tono cantilenante come se stesse recitando una poesia. Avvicinò la mano ai folti capelli color cioccolato di Leona, le sue dita si infilarono in una ciocca con cui presero a giocherellare.
“Il vostro leader è stato così premuroso da lasciarvi un indizio su come trovare il suo innamorato, altrimenti, parola sua, ci impieghereste un intero anno a trovarlo!”
Era chiaro che si stava divertendo ad insultarli, pur essendo ben consapevole che nessuno al mondo aveva il coraggio di affrontarlo. Men che meno quei due animaletti addomesticati.
Jack fece un passo avanti, dal suo sguardo si capiva che era infastidito nel vedere quell’essere oscuro toccare Leona. Ma ora non era il momento di fare scenate.
“E quale sarebbe questo indizio?”
Finalmente Malleus si decide a lasciar stare i capelli di Leona, volse lo sguardo. I suoi occhi da rettile erano spaventosi e allo stesso tempo bellissimi per via del verde brillante che li illuminava.
“Colui che possiede il suo cuore si nasconde abilmente, ma voi lo troverete radunando i leader dei dormitori e i membri a loro più fidati.”
Le sue labbra s’incresparono in un sorriso perfido.
“Buona caccia, cuccioli!”
Spalancò le braccia come fossero state ali, il suo intero corpo s’illuminò e un istante dopo svanì in un turbinio di luci verdi.
“Che cosa facciamo, Jack? I leader non accetteranno mai di radunarsi se glielo chiediamo noi! E poi, se si spargesse la voce di quello che sta accadendo, potremmo finire con l’essere espulsi dal college!”
Ruggie era sinceramente preoccupato. Era raro vederlo in quello stato, proprio lui che di solito affrontava ogni situazione col sorriso sulle labbra o sghignazzando.
Jack sospirò. La faccenda era seria, dovevano risolverla alla svelta e senza dare troppo nell’occhio. Perciò…
“Chiederò aiuto a Vil. Siamo amici d’infanzia, mi fido di lui più di chiunque altro e so quanto sia affidabile e discreto. Sono certo che ci lascerà usare la lounge del suo dormitorio, il posto più sicuro del campus.”
Volse lo sguardo a Ruggie.
“Sarà lui ad invitare i leader e i loro membri più fidati, dichiarando che si tratta di un’emergenza, e solo quando saremo nella lounge spiegheremo loro la situazione.”
*
Entrando nella lounge del dormitorio Pomefiore, più che in una sala comune di ritrovo dei membri, si aveva l’impressione di trovarsi all’interno di una corte reale. L’enorme tappeto che riempiva la sala e faceva pendant con divani e sedie rivestiti di pesanti stoffe color fiordaliso, i raffinati mobili di legno intagliato su cui erano vasi colmi di fiori e candelabri a cinque bracci, gli incredibili lampadari composti di centinaia di cristalli e anche la stessa poltrona del leader che si presentava davvero come un trono con tanto di schienale raffigurante un pavone in argento e oro…chi mai avrebbe creduto di essere in un dormitorio? D’altronde, nemmeno gli ospiti che lo occupavano in quel momento sembravano dei normali studenti adolescenti viste le loro divise alquanto stravaganti. Come suggerito da Malleus, si erano radunati lì i leader dei dormitori, i quali avevano portato con sé le persone a loro più fidate. Tranne per il dormitorio Ignihyde, poiché Idia aveva categoricamente rifiutato di partecipare sostenendo che qualunque cosa fosse successa a Kingscholar, non lo riguardava. Gli altri invece avevano accettato l’incontro principalmente per curiosità. Perciò, radunati a formare una sorta di cerchio, avevano ascoltato l’incredibile racconto di Jack senza fiatare e senza battere ciglio.
“E questo è tutto.”
Concluse Jack con aria grave, prima di scambiare uno sguardo con Ruggie che gli sedeva alla sinistra.
Al contrario di tutti i presenti che avevano ascoltato in silenzio e fermi come statue, Vil per quasi tutto il tempo aveva mostrato segni di nervosismo, tamburellando le dita sul bracciolo foderato della lussuosa e vistosa poltrona su cui sedeva. Era tremendamente inquieto, proprio come i suoi pensieri. Ancora non si capacitava che fosse tutto vero. Insomma, cos’era passato per la testa di quell’imbecille per arrivare a farsi lanciare volontariamente un incantesimo del genere? Aveva perso il senno? Lui e il suo dannato carattere infantile. Che cosa si aspettava? Che si alzasse da lì e gridasse ai quattro venti che lo amava? Ma nemmeno per sogno, dannazione! In effetti l’idea di lasciarlo dormire per l’eternità sembrava allettante. In ogni caso, per ora voleva vedere l’evoluzione dei fatti, prima di decidere cosa fare.
Jack spaziò lo sguardo per guardare tutte le persone presenti. Facendo una panoramica, sulla destra si erano radunati gli Octavinelle e gli Scarabia, di fronte i Pomefiore e sulla sinistra gli Heartslabyul, mentre fuori dal cerchio, in disparte su un divano, c’erano i Diasomnia eccezionalmente capitanati da Lilia, vista l’assenza di Malleus che aveva lanciato l’incantesimo.
“Se qualcuno vuole dire qualcosa…”
Floyd alzò la mano con entusiasmo, come uno scolaretto delle elementari che vuole dire per primo la risposta al quesito della maestra. Attese che Jack gli facesse un cenno col capo e poi parlò.
“Se Malleus lancerà questo incantesimo anche a Riddle, voglio essere io a baciarlo!”
Era tutto eccitato e felice, non riusciva a stare fermo sulla sedia, proprio come un bambino. Peccato che l’oggetto delle sue attenzioni non fu affatto felice di sentire quella frase. Altrimenti detto, Riddle lo guardò in cagnesco e strinse il pugno con fare minaccioso, mentre le vene sulla fronte gli si gonfiarono vistosamente.
“Un giorno ti taglierò quella stupida testa da sardina che ti ritrovi! Grrrrr!!!”
E intanto Floyd continuava a sorridergli come un cretino e a salutarlo con la mano. Accanto a lui, Jade si limitò a scuotere la testa con pazienza, accennando un mezzo sorriso di comprensione. In fondo era abituato alle fanfaronate del suo gemello. All’altro fianco di Floyd, Azul se ne stava a gambe accavallate e con le braccia incrociate al petto. La sua espressione beffarda la diceva lunga, ma lo stesso decise di dare voce a ciò che pensava.
“Sembra di essere all’interno di uno di quei giochi di società in cui c’è una vittima e bisogna indovinare chi è il colpevole!”
Floyd si agitò ancor più sulla sedia.
“Giochiamo, giochiamo! Ah ah!”
Ignorando quest’ultimo, Jack parlò seriamente.
“Vorrei che fosse davvero un gioco, ma non lo è. L’unico modo per spezzare l’incantesimo è che l’innamorato di Leona si faccia avanti e lo baci. Per ora tutto ciò che sappiamo è che questa persona si trova qui dentro.”
“Non potrebbe essere Ruggie? Li vedo spesso insieme e vanno molto d’accordo.”
Intervenne Lilia, guardando il diretto interessato con aria curiosa e puntandogli il dito contro. Allorché Ruggie scoppiò in una grossa risata.
“Ahahahahahah!!! Io e Leona innamorati!!! Shishishishi!!!”
Arrivò perfino a piegarsi in due dalle risate, attirando l’attenzione di tutti. Almeno fino a quando gli sguardi non cambiarono direzione, a causa di un movimento improvviso sulla sinistra della sala.
Deuce si era alzato dalla sedia e sembrava parecchio teso.
“Io me ne tiro fuori! Sono già innamorato di qualcuno!”
“Puoi dimostrarlo?”
Gli chiese Azul, tutto ad un tratto interessato alla faccenda. La domanda non fece che imbarazzare Deuce ulteriormente, si vedeva che era sul punto di sprofondare. Ma ecco che Ace si alzò a sua volta e, col viso rosso più dei suoi capelli, gridò.
“E’ innamorato di me! E io di lui!”
Un momento di silenzio, poi Riddle esplose.
“COSA???”
Ace prese la mano di Deuce, si scambiarono un timido sguardo.
“E’ così. So che tutti ci vedono come rivali, ma in realtà siamo una coppia.”
“Anche noi!!!”
Stavolta a gridare fu Kalim. Tutti gli occhi si puntarono su di lui, sul suo ampio sorriso luminoso e...sulle sue braccia attorno al collo di un Jamil alquanto irritato.
“Anche io e Jamil ci amiamo! Quindi siamo fuori dal gioco!”
Jamil, che stava facendo appello a tutte le sue forze per non strangolarlo lì dov’era, si limitò a fare delle doverose specificazioni.
“E’ già stato detto che non è un gioco. E comunque io non ho mai detto di amarti. Il mio dovere è quello di servirti e proteggerti, nient’altro.”
“Ooh ma io lo so che mi ami! Di notte facciamo tante cose belle insieme! E di certo non ti ordino io di farle! Ah ah!”
Era difficile dire se Kalim davvero non si rendeva conto di quello che diceva o se semplicemente lo facesse apposta per provocare Jamil. Comunque, era così carino che gli si perdonava tutto!
In quel teatrino di assurdità, arrivò Silver a riportare un po’ di ordine.
“Dovreste prendere seriamente questa situazione. Forse non vi rendete conto che Kingscholar potrebbe dormire per sempre. Io dico che il responsabile di tutto dovrebbe sbrigarsi a saltare fuori e basta. Se davvero lo ama, non vedo perché continui a restare nascosto. A meno che non sia un gran codardo.”
A quel punto Vil non poté più resistere, sentendosi punto sul vivo. Batté il pugno sul bracciolo e gli rispose per le rime.
“Non hai pensato che potrebbe avere un motivo per non rivelarsi? Stai solo spuntando sentenze senza conoscere i fatti!”
Silver si alzò dal divano con l’intenzione di andare da lui e dare il via ad un combattimento, fregandosene di Sebek che allungò il braccio per trattenerlo. Si fermò solo sentendo la voce di Epel.
“Vil ha ragione!”
I suoi occhi azzurri erano lucidi e le sue gote color porpora come non lo erano mai state.
“Anche io sono innamorato di qualcuno, ma non posso ancora dichiararmi! Per me è stato amore a prima vista… E’ successo al Vocal & Dance Championship, i nostri sguardi si sono incontrati e lui mi ha sorriso. Ma se gli dicessi che lo amo sono sicuro che mi respingerebbe. Voglio diventare forte…voglio diventare un uomo forte prima di dichiarargli i miei sentimenti!”
“Per caso stai parlando del Roi du Neige, o meglio, Neige LeBlanche?”
Rook lo stava guardando con quello sguardo malizioso che lo caratterizzava. Epel balzò dalla sedia.
“Co-come lo sai???”
“Perché dal giorno del VDC ti sorprendo spesso a guardare il video della sua esibizione su Magicam! E anche i suoi spot pubblicitari! E anche i suoi film e i suoi sceneggiati!”
A modo suo Rook sapeva essere perfido, soprattutto quando sfoggiava quel sorriso affettato che non lasciava scampo.
Vil, che si trovava fra loro, era rimasto come impietrito da quella dichiarazione. Possibile che anche Epel fosse rimasto stregato dalla bellezza innocente di Neige? Era tutto vero? Non si erano nemmeno rivolti la parola, uno sguardo era bastato a farlo innamorare? Quel pidocchio aveva un simile potere? Dopo avergli rovinato la vita, ora voleva fare lo stesso con Epel? Si portò una mano alla fronte, sentendo l’arrivo di un mal di testa. No, non era il momento di pensare a questo. C’era una questione più urgente di cui occuparsi.
Dalla sua postazione, Cater se ne uscì con una frase insolita.
“L’amore a senso unico non è così male! So che il mio smartphone non mi ricambierà mai, ma io sono felice lo stesso!”
E ne approfittò per farsi un selfie, così tanto per. Quando si accorse che nell’inquadratura era entrato anche Trey, cancellò subito la foto.
“Tu sei un esperto in materia, vero Cater? All’inizio dell’anno scolastico hai provato a corteggiare Vil ma non hai avuto successo! Ti ha liquidato subito!”
Cater, senza scomporsi, prese la palla al balzo e rispose con un colpo sicuro.
“Anche tu, Trey! Hai provato a sedurlo offrendogli del tè e una fetta di torta ma poi è finita lì!”
Ovviamente non era un litigio e nemmeno un bisticcio tra i due, più che altro si stavano prendendo in giro a vicenda tanto per scherzare.
“Uff…perché sono circondato da casi disperati?”
Si lamentò Riddle, convinto più che mai che una volta tornati al loro dormitorio avrebbe dato a tutti e quattro i suoi compagni una punizione esemplare. Quei tipi erano davvero troppo indisciplinati.
Kalim, preso da un improvviso entusiasmo, come gli accadeva molto spesso, balzò in piedi e sollevò le braccia in aria con trasporto. I numerosi bracciali d’oro che indossava tintinnarono.
“Allora è vero che Vil ha molti spasimanti qui al college!!! Però lo capisco, è così bello!”
Non fece in tempo a riabbassare le braccia che subito si sentì afferrare. Abbassò lo sguardo e vide Jade in ginocchio praticargli un elegante baciamano. Quando questo riaprì gli occhi e li sollevò su di lui, gli lanciò uno sguardo seduttore e gli parlò gentilmente.
“Sarei onorato di rivestire il ruolo di tuo spasimante, se lo desideri.”
Il rossore sulle guance di Kalim era una prova che certe attenzioni non gli dispiacevano affatto. E Jamil muto!
Visto il modo in cui stava degenerando la situazione, Jack fu costretto ad intervenire e porre fine a quelle buffonate. Si alzò dalla sedia, ignorando Ruggie che per tutto il tempo aveva continuato a ridere a crepapelle, e parlò con voce potente per sovrastare la confusione generale.
“Non dobbiamo perdere di vista il motivo per cui ci siamo radunati. Leona si deve risvegliare oggi stesso. Domani comincia una nuova settimana e se sarà assente dalle lezioni, i professori non ci metteranno molto a capire che qualcosa non va. E allora saranno guai.”
Per la seconda volta quel pomeriggio passò lo sguardo su tutti i presenti, col preciso scopo di intimidirli e richiamarli alla serietà.
“Non voglio giudicare nessuno e non mi interessa sapere il motivo per cui Leona ha preso una decisione così stupida. Voglio solo che la persona legata a lui venga al dormitorio Savanaclaw a spezzare l’incantesimo entro il calare del sole.”
Detto ciò lasciò la sala. Inutile dire che la riunione era terminata.
*
Vil si era sempre fidato di ciò che lo specchio gli mostrava. La lastra rifletteva la sua immagine per ciò che era, gli permetteva di vedere i difetti così da poterli eliminare, gli suggeriva ciò che si poteva migliorare. In un certo senso si poteva dire che lo specchio fosse il suo più intimo amico, colui che lo conosceva meglio di chiunque altro e che gli diceva sempre e solo la verità. Una presenza silenziosa ma fidata su cui sapeva di poter sempre contare. Ma pur sempre qualcosa che non trasmetteva alcun calore umano… In quel momento, di fronte allo specchio a figura intera della sua stanza, Vil fissava la propria immagine riflessa, scrutandola con attenzione. Era perfetta. Ogni minimo dettaglio, ogni singola piega della lunga veste indaco, ogni capello, ogni ciglia, tutto era assolutamente perfetto. Eppure, ogni volta che faceva la fatidica domanda all’applicazione del suo smartphone, ossia “Mira, Mira, in questo momento chi è il più bello del mondo?”, questa eseguiva una rapida ricerca e poi rispondeva meccanicamente “Neige LeBlanche”. Solo una volta aveva udito il proprio nome, subito dopo l’esibizione al VDC, ma si era trattato di una breve vittoria, una stella che brilla per poi cadere lasciando una scia presto svanita. A chi doveva credere? Allo specchio su cui si stava riflettendo o a Mira? Sollevò lentamente la mano, l’indice sfiorò per primo la fredda lastra e poi fu seguito dalle altre quattro dita. Quel contatto gli procurò un brivido che dal braccio si estese e gli scese lungo la spina dorsale. Freddo. Gelo. Era questa l’unica sensazione che quel suo amico gli trasmetteva, nient’altro. Vide il proprio sguardo tremare. Non era quel dannato specchio il compagno di vita che desiderava. Chiuse gli occhi. Leona era un ragazzo pieno di difetti, era arrogante, sfacciato, complessato e aveva un gran brutto carattere, eppure lui aveva disperato bisogno del calore del suo corpo, di sentirsi protetto stando fra le sue forti braccia, di sentirsi adorato dai suoi occhi, di udire le parole d’amore che gli diceva con quella sua voce dura e allo stesso tempo passionale. Aveva bisogno…di LUI.
Riaprì gli occhi e incontrò di nuovo la sua figura riflessa.
“E’ così, dunque.”
Era questa la verità, non aveva più senso negare o fuggire.
Ritrasse la mano di scatto come se si fosse scottato, in realtà si era reso conto che dietro di lui era riflessa la luce arancio del tramonto, il limite di tempo imposto da Jack per rivelarsi e spezzare l’incantesimo. Doveva affrettarsi.
Epel e Rook stavano camminando per il corridoio, senza una meta precisa, mentre parlavano di quanto accaduto durante il pomeriggio. Quando Epel vide Vil, fece per chiamarlo, ma lui svoltò l’angolo prima che potesse farlo.
“Dove sta andando?”
L’istinto da cacciatore di Rook gli suggerì qualcosa. Afferrò Epel per la manica e se lo trascinò dietro dicendo solo una parola.
“Seguiamolo!”
Vil non si accorse della loro presenza, era tremendamente concentrato sui propri passi. Tanto meglio!
Nei pressi del dormitorio Savanaclaw, nel frattempo, i soliti quattro scemi con dipinti sul viso i quattro simboli delle carte, ossia Cuori, Quadri, Fiori e Picche, erano nascosti dietro ad un ampio cespuglio in attesa di vedere chi si sarebbe recato al dormitorio a spezzare l’incantesimo.
Trey, l’unico che in genere dava segni di intelligenza, stava guardando i tre compagni con sospetto.
“Capisco Ace che ha un talento naturale per cacciarsi nei guai. Capisco Deuce che si fa sempre coinvolgere da lui. Capisco Cater che è ansioso di scattare una foto compromettente da mettere su Magicam. Ma io, che accidenti ci faccio qui?”
Dai suoi occhiali si levò un luccichio sinistro.
Ace afferrò una fetta di torta al cioccolato arricchita di pezzi di pera e se la mise tutta in bocca.
“Gnam gnam… Tu sei il responsabile delle provviste! Gnam… Ma ora che ce le hai portate puoi andartene, se vuoi!”
Trey sospirò rassegnato, in effetti, si era fermato lì con loro senza essere invitato, pur sapendo di dover preparare una nuova torta che Riddle gli aveva esplicitamente richiesto per il dopocena.
“Allora…credo che andrò.”
Fece per rimettersi in piedi, ma Cater lo trattenne buttandoglisi praticamente addosso, mentre teneva lo smartphone alto e direzionato in un punto preciso.
“Ragazzi, sta arrivando qualcuno con la divisa dei Pomefiore!”
Ace e Deuce, per non rischiare di essere visti, ma volendo assolutamente vedere di chi si trattava, si infilarono letteralmente dentro al cespuglio, facendosi strada spostando rami e foglie.
“Ma…quello è Vil!”
La voce di Ace uscì così acuta che Deuce fu costretto a tappargli la bocca con la mano, senza curarsi che assieme a questa vi finì anche una foglia!
Trey placò il loro entusiasmo con una frase sensata.
“Forse ha scoperto qualcosa e vuole dirlo a Jack. Non passate a conclusioni affrettate.”
Inutile dire che le sue parole vennero ignorate completamente, e anzi, non appena Vil varcò la soglia del dormitorio, Ace e Deuce uscirono dal cespuglio portandosi dietro una scia di foglie, mentre Cater lo afferrò per un braccio e lo obbligò ad andare con loro.
Vil non incontrò nessuno all’ingresso del dormitorio e la cosa gli fece piacere. Meno gente lo avesse visto, meglio era per lui. Camminò all’interno con passo sicuro, essendo già stato lì altre volte, e proprio quando cominciava a credere che nessuno si sarebbe accorto della sua presenza, ecco che si ritrovò quasi addosso a Jack che stava facendo la guardia di fronte alla porta della stanza di Leona, da bravo lupo. Dannazione.
“Vil? Sei qui per un aggiornamento? Purtroppo non si è ancora presentato nessuno a spezzare l’incantesimo.”
Disse con aria grave, volgendo lo sguardo ad una finestra da cui si vedeva il sole che tramontava.
“Tsk. Lo so bene.”
Lo scostò da dov’era ed entrò nella stanza.
Sulle prime Jack lo guardò sorpreso, ma non gli ci volle molto a capire.
“Vil, ma allora sei tu…?”
Nel momento in cui anche lui entrò, dall’angolo del corridoio fecero capolino cinque teste. Per la precisione, la quinta era quella di Ruggie. Trovandosi nei paraggi aveva visto i quattro Heartslabyul entrare dall’ingresso e si era unito a loro una volta capita l’antifona. Per lo meno Epel e Rook si erano tenuti a debita distanza e avevano evitato di dare nell’occhio. Comunque, fu Ruggie ad uscire da dietro l’angolo e fare segno agli altri di seguirlo, così che si ritrovarono tutti affacciati alla stanza di Leona proprio nel momento clou.
Vil si era avvicinato al letto con passo lento, i tacchi degli stivali che battevano contro il pavimento in pietra producevano un suono quasi fastidioso. Quando si fermò accanto alla figura addormentata, il cuore gli mancò un battito. E se il bacio non avesse funzionato? Da quando erano diventati amanti, lui non aveva fatto granché per dimostrare a Leona il suo amore, a dirla tutta era sempre stato freddo con lui e non aveva mai mancato di dirgli qualcosa di pungente. Il giorno prima Leona lo aveva accusato di non amarlo. Se avesse avuto ragione? Quel sentimento era nuovo per lui, come poteva essere certo di provarlo davvero? Era pur vero che se per colpa sua Leona avesse dormito in eterno, non se lo sarebbe mai perdonato. Strinse i pugni.
“Stupida bestia egoista! Perché mi hai fatto questo?”
O la và o la spacca, in poche parole.
D’istinto allungò una mano su di lui e gli accarezzò il viso con tenerezza. A vederlo sembrava così sereno, proprio come quando dormivano insieme. Leona si addormentava ad una velocità incredibile, perciò lui era solito osservarlo mentre dormiva fino a quando lui stesso non cedeva al sonno. Ma ora era diverso, quello era l’effetto di un potente incantesimo. Doveva farsi coraggio. Fece scivolare la mano fino ad arrivare al petto di lui, lo stesso petto su cui amava dormire cullato dal suo calore e dal movimento del suo respiro. Rivoleva tutto questo. Ora.
Si chinò su di lui, le sue palpebre si chiusero e un istante dopo le labbra si posarono su quelle del suo amato. Bastò sfiorarle per percepirne il calore e provare una sensazione di serenità. Si trattene un po’ più del necessario, come dimentico dello scorrere del tempo. Quando si separò da quelle labbra, una preghiera gli attraversò la mente. Trattenne il respiro.
Ci vollero alcuni secondi prima di ricevere un segnale. Sul volto di Leona si formò un’espressione amareggiata, subito seguita da un lamento, proprio come succedeva quando qualcuno provava a svegliarlo e lui non ne aveva nessuna voglia. Aprì un occhio di uno spiraglio, giusto per vedere chi fosse il seccatore di turno, ma non appena vide Vil lì in piedi, subito gli tornò alla mente cosa era accaduto. Aprì entrambi gli occhi e lo guardò con affetto, accennando un sorriso beffardo.
“Ce l’hai fatta, eh?”
Forse a causa del tono un po’ troppo strafottente, non appena Leona si fu sollevato a sedere, Vil gli piazzò un sonoro schiaffo in faccia!
“Spero tu sia soddisfatto, perché da questo momento tra noi è finit-mh!”
Non poté finire la frase perché Leona lo attirò a sé e gli rubò le labbra con un bacio, avvolgendolo in uno stretto abbraccio. Vil avrebbe potuto divincolarsi, invece, inaspettatamente, gli gettò le braccia al collo e rispose al bacio con grande trasporto. Quando riuscirono a separarsi, avevano entrambi il respiro affannato. I loro sguardi persi l’uno nell’altro.
Leona gli prese una mano e se la strinse al petto.
“Io sono solo un principe, non sarò mai re. Non potrò mai farti diventare una regina. Ma se ti basterà, sarai la mia regina per sempre.”
Vil era sul punto di rispondere, ma venne interrotto da un maleducatissimo sghignazzare. Entrambi si voltarono verso Ruggie.
“Ops! Continuate pure!”
I due sospirarono all’unisono, ormai l’atmosfera era decisamente rovinata.
“Vil, dovresti rispondere! Tutti stanno aspettando!”
Disse Cater, con in mano il suo amato smartphone. Il problema era che la posizione in cui lo teneva era alquanto sospetta…
“Cater! Non dirmi che stai registrando!”
Starnazzò Vil, a buona ragione.
“Non solo! Sto facendo una live! E arrivano commenti a raffica di persone che vogliono sapere cosa risponderai alla proposta di Leona!”
“Spegni subito quel dannato-"
Di nuovo fu interrotto, stavolta dal suono di un messaggio sul suo telefono. Lo sfilò da una tasca nascosta dell’elegante veste ed impallidì nel vedere che il messaggio era da parte della sua manager. Aveva già scoperto tutto, forse stava guardando la live in quel preciso momento. Non ebbe il coraggio di aprire il messaggio. Fece per spegnere il telefono, ma ecco che arrivò un altro messaggio. Sbatté le palpebre da quanto era incredulo nel vedere il mittente. Era Neige. Il suo messaggio diceva “Congratulazioni, Vil! Siete un bellissima coppia! Vi auguro tanta felicità!”. Dolce e onesto come sempre.
“Ragazzi, ora sloggiate. Soprattutto voi Heartslabyul, fareste meglio a tornare prima che il vostro piccolo tiranno rosso vada su tutte le furie e vi tagli la testa.”
Li liquidò Leona, con tanto di gesto della mano come se stesse scacciando degli insetti.
Cater interruppe immediatamente la registrazione, sia lui che i suoi compagni furono attraversati da un brivido di terrore al pensiero della sfuriata che avrebbe fatto Riddle dopo essere stati lontani dal dormitorio fino a quell’ora.
Per dare il buon esempio ai quattro indisciplinati, Rook fece un inchino e uscì dalla stanza. Epel stava per fare altrettanto, ma un suono proveniente dal proprio telefono lo fermò. Lo recuperò anche lui dalla tasca della veste per vedere di cosa si trattasse. Le sue labbra formarono una piccola “o” di sorpresa, i suoi occhioni azzurri si puntarono su Vil. Questi gli parlò gentilmente.
“Ti ho inviato i contatti di Neige. Abbi fiducia in te stesso. Non aspettare a dichiararti, altrimenti rischi che qualcuno te lo porti via.”
Epel gli regalò un luminoso sorriso e gli fece un cenno di ringraziamento.
Uno alla volta uscirono tutti dalla stanza, nel caso di Ruggie bisogna dire che fu preso per la collottola da Jack e portato fuori, comunque alla fine la coppietta rimase da sola.
Leona accarezzò il viso della sua regina, accennando un sorriso.
“Ora puoi rispondermi!”
Vil ridacchiò. Era tutto troppo assurdo. Cosa sarebbe successo poi? La sua carriera era già finita a causa di quella live o i suoi fan avevano capito e accettato i suoi sentimenti? E soprattutto, una volta che suo padre lo avesse scoperto, avrebbe accolto Leona in famiglia o sarebbe stato contrario? Ma non aveva importanza, ora voleva solo stare fra le braccia del suo amato e dargli la risposta che stava aspettando.