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Autore: Little Firestar84    24/01/2021    9 recensioni
A volte, la fine è solo un nuovo inizio.
A volte, anche all'anima più tormentata è concessa la pace del riposo eterno.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Angel Heart
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Questa storia giaceva semi-dimenticata in un floppy dai tempi in cui lessi il primo volume di Angel Heart, ai tempi dell'università- primo e fino al 2020 unico volume di AH letto. Una storiella breve, nata per esorcizzare la morte di Kaori, che adesso- perchè amo Angel Heart come opera distinta da City Hunter, perchè sono cresciuta, perchè ho conosciuto il lutto- mi sono sentita di riprendere in mano, am che forse, non fosse stato per le fanciulle ed i fanciulli dei gruppi facebook, non lo avrei mai fatto- quindi, alla carissima Dandy che ha pubblicato le imamgini del fumetto  amatoriale "Still Love" che narra una vicenda simile a questa, grazie!

 

Freddo. Ryo aveva tanto, troppo freddo, come mai prima di allora, sentiva che gli entrava nelle ossa, che gli permeava i muscoli. Gli occhi erano pesanti, era stanco- stanco, vecchio, stufo, di combattere, di vivere, tutto- e le voci che sentiva intorno erano sempre più ovattate, sempre più lontane. 

Era coricato in uno dei tanti luridi vicoli di Shinjuku, uno di quelli che lui e Maki non erano mai riusciti a ripulire, e aveva freddo e male, tanto, troppo, era insopportabile. 

“Papà!” La voce disperata di Shan In invase la sua mente, e Ryo tentò di farsi forza per lei; mentre Umibozu lo girava per constatare l’entità della ferita, Ryo strinse i denti, e cercò di darsi una scrollata per quella giovane donna che era sua figlia senza tuttavia esserlo davvero. 

Dalle labbra dell’ex collega uscì solo un sibilo, non una parola, e Ryo capì di essere messo male; sorridendo lieve, alzò una mano verso la guancia della sua Shan, e la giovane, piangendo disperata, si gettò nelle sue braccia, stringendolo, colpendolo con i pugni chiusi, supplicandolo di lottare, di non lasciarla. 

Le lacrime di sua figlia gli cadevano, come lieve rugiada, sul volto, e mentre Umibozu scuoteva il capo stringendo la spalla dell’ex assassina in rispettoso silenzio, Ryo venne colpito dall’ironia della situazione. 

In un vicolo proprio come quello, tanti anni prima, aveva quasi trovato la morte, e solo il caso, la fortuna, il fato lo aveva salvato, mettendo Kaori sulla sua strada. 

Tanti anni dopo, sentiva il freddo eterno vincerlo, in quello stesso vicolo, tra le braccia della donna che di Kaori aveva il cuore. 

Sorrise, felice e leggero: aveva salvato sua figlia- la figlia sua e di Kaori- e adesso lei era libera di essere chi voleva, fare ciò che desiderava. Adesso, lei sapeva la verità, aveva un nome, un compleanno… non come lui. 

Dopo tanti anni, lui era ancora Ryo Saeba, nato il 26 marzo- e quello sarebbe stato fino alla fine, perché lei aveva scelto per lui quel nome, prendendo tra tutte quella patente in particolare, perché qualcosa, quasi di ultraterreno, aveva guidato la sua mano, le diceva che quello era lui- che lui doveva avere quel nome e quel compleanno in particolare, e nessun altro. Mai. 

Era il 26 marzo, il giorno in cui Ryo Saeba era nato- ed anche il giorno in cui veniva accolto nell’eterno riposo. 

Una scossa pervase il suo intero essere, diede un colpo di tosse, secco, e sentì il petto andargli a fuoco, mentre un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca. 

E poi, solo il buio. Ed il freddo, come se fosse stato sotto ad una tempesta di neve durante il più rigido degli inverni, colpito da mille stalattiti di ghiccio che gli entravano dentro come aghi. E Ryo chiuse gli occhi, troppo stanco per lottare ancora. 

Si arrese. 

E poi, accade l’impensabile. 

Il freddo sparì, lasciando spazio ad una piacevole sensazione di calore. I muscoli non gli dolevano più, sentì solo una sensazione di benessere che lo riempiva, anima e corpo; sentiva i raggi del sole baciargli il viso, e sospirò, sentendo il cinguettio degli uccellini. Pigramente si stiracchiò, e finalmente si decise ad aprire gli occhi, e stupito, si accorse di essere a casa, con le finestre aperte ed una leggera brezza che faceva danzare delle leggerissime tende bianche nella stanza. 

Era casa, eppure non lo era, perchè gli infondeva una sensazione che ormai da tanto, tropppo tempo lui non provava più: quelle non erano quattro mura, erano casa nel senso più intimo del termine, era un rifugio colmo di amore, di una famiglia. Di lei.
Kaori.

Si tastò il petto, e non avvertì alcuna ferita, non provava dolore, nulla, e Ryo si chiese se fosse morto, e se quello fosse l’aldilà: era il paradiso, dove avrebbe riabbracciato la sua amata, o un’oasi tra le fiamme dell’inferno, l’unico abitante in una landa desolata e solitaria? 

“Certo che ce ne hai messo di tempo ad arrivare, eh?” Appena sentì quella voce che da anni non udiva più, se non nel messaggio della segreteria telefonica che non aveva mai avuto il coraggio di cancellare, Ryo si alzò in piedi di getto, facendo cadere a terra la sedia su cui si trovava. Kaori era lì, appoggiata allo stipite della porta, con in mano una tazza  di caffè che lo guardava con aria birichina, ma colma di amore, e Ryo, con la bocca e gli occhi spalancati per l’incredulità, le corse incontro, muovendo un passo dopo l’altro senza nemmeno accorgersene, e la strinse tra le braccia. Sentì la tazza cadere, senza tuttavia né rompersi né rovesciarsi, mentre lei ricambiava il gesto, con un sorriso dolce e tenero, quasi materno, sul volto, e si aggrappava all'amore della sua vita senza nemmeno lasciare un alito di vento tra i loro corpi, le dita che scorrevano tra i setosi capelli scuri che ricordavano la criniera di un fiero leone. 

In quel momento, Ryo comprese con la mente una realtà che forse il suo corpo aveva già afferrato: era morto. Quello, era l’aldilà, ma non l’inferno a cui aveva sempre creduto di essere destinato, le sue mani macchiate di troppo sangue innocente, ma il paradiso, pace e amore e quiete e serenità accanto all’angelo che lo aveva fatto rialzare, la cui luce aveva purgato la sua anima dai mille e mille peccati che aveva commesso.

“Mi dispiace,  Kaori,” sussurrò nei capelli dai riflessi rossi dell’amata. “Ho lasciato la nostra bambina… Shan…”

Non ebbe la forza di terminare la frase, quando calde lacrime presero a scorrergli dagli occhi, con la stessa prepotenza con cui le aveva versate il giorno in cui l’aveva stretta tra le braccia per l’ultima volta, ormai morente. 

“Starà bene, Ryo,” lo consolò lei, spostando le mani sulle guance dell’uomo, obbligandolo a guardarla negli occhi. “Ha Doc, e Umibozu, e Saeko e tutti gli altri… e anche il suo padre biologico. Tu l’hai portata via dalle ombre come avevo fatto io con te, e adesso lei ha una famiglia che le starà accanto, amore mio. È amata, Ryo, ed al sicuro. Tu hai già fatto abbastanza per lei, adesso puoi riposare - e stare al fianco di chi ha bisogno di te qui ed adesso, io.”

Fece cenno di sì col capo, comprendendo le sue parole, mordendosi il labbro mentre poneva la fronte contro quella della donna- la sua donna- e chiudendo gli occhi sospirò. Continuò ad abbracciarla, ma in quella stretta c’era serenità, sicurezza, e non più un bisogno cieco e disperato. 

“Kaori, ascolta, io….” sospirò, piano, mentre le mani si spostavano ed accarezzavano le braccia, percorrendole per la loro interezza. “Non ho amato nessun’altra come te. Solo lei. Perchè tu avevi detto che avrei dovuto amare e difendere chiunque avesse avuto una parte di te dentro di sé, perché sarebbero stati come figli nostri.”

“Oh, Ryo, lo so…” singhiozzò leggera, perdendosi nel calore che il corpo di Ryo continuava a darle, anche nell’aldilà. “Senza di te, io mi sarei lasciata morire. Ma tu, tu hai saputo vivere. Per lei, e per i nostri amici, e per Shinjuku. Sono fiera di te.”

“Non dovresti,” Sospirò, lui, mogio, prendendo la mano con l’anello di fidanzamento, rimanendone stupito- non aveva mai avuto l’occasione di darglielo. Sorrise,  baciando la gemma centrale del gioiello che, nel mondo terreno, risiedeva sulla mano della loro figlia di spirito. “Ti ho tradita, Kaori.”

“No, Ryo, tu non mi hai tradita. Perchè io ero qui. E poi, io sono stata a lungo con voi, e ti ho guardato attraverso gli occhi di Shan...” Lei scosse il capo, senza mai smettere di guardarlo negli occhi. Scostò una ciocca ribelle dalla fronte dell’uomo, e depositò un leggero bacio sulla punta del naso di Ryo. La mano scese lieve e dolce, scorrendo sulla pelle ruvida e calda di Ryo, e si fermò solo una volta arrivata sul petto, all'altezza del cuore che, anche da morto, batteva per lei. “E lo so, Ryo. Qui, eri solo mio.”

“È sempre stato solo tuo, Kaori- e così sarà per sempre.”

Mentre il sole splendeva su Shinjuku e i passerotti ed i merli cantano spensierati nella brezza leggera che portava il profumo dei ciliegi in fiore, le loro labbra si unirono in un lento, delicato e soffice bacio, mentre, sul balcone, un uomo dai capelli castani e con sul viso una grossa montatura fuori moda fumava una sigaretta e sospirava, contemplando la pace e la quiete di quella città che sarebbe stata la loro casa fino a che lo avessero voluto.

 

Piccola nota da classicista: I campi Elisi sono, nella mitologia greco-romana, il luogo in cui dimorano le anime nobili di color che furono particolarmente cari agli déi. Omero ci fornisce anche una descrizione del luogo: un luogo in cui per i mortali la vita è bellissima, mai toccata da neve o pioggia, né dal freddo, ma con una delicata brezza fresca, un luogo di  immensi campi fioriti, dove si vive perennemente sereni. La mia versione è però un po' "mediata" dalla versione dei campi elisi data nella serie Hdercules- The legendary Journey, in cui il semidio ritrova la sposa ed i figli deceduti, che vivino in una versione "ideale" della loro casa.
   
 
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