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Autore: zorrorosso    27/01/2021    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 25

Querelle des femmes


L’arrivo inaspettato del Re, nelle stanze della Regina, sembrò non creare troppo scompiglio. 

Per quanto fosse una cosa inusuale, era altrettanto eccezionale che i due non passassero insieme più tempo. In particolare, senza un erede in vista. 

Da quando le voci di Corte erano sempre pronte a confermare amanti, alleanze e sospetti, sia vere che false, era invece diventato un modo per mettere certi dubbi a tacere.

 

“Mia adorata Regina, mi chiedo ancora della vostra collana. Di nuovo non vi adorna! E solo domani, il ballo comincerà! Non vi siete preparata? Allora le voci erano vere?”

 

“Affatto, Sire!”

 

“Vi darò il beneficio del dubbio per questo breve tempo! Purtroppo, ricordate che c’è chi a Corte crede che quella collana sia nelle mani di qualcuno, come un pegno d’amore segreto”.

 

“Non è vero! Non mi credete? Nel tempo in cui la Dea Francia mi prese per mano, così come la Spagna prese quella di vostra sorella, giurai a voi eterna devozione”. 

 

La Regina prese un lungo sospiro. Ricordò quel suo ritratto nei corridoi di Palais de Luxembourg, a fianco alla sorella del sovrano. Sentì il fiato degli zefiri sospirare con lei. Udì gli spruzzi d’acqua delle ninfe offrire lei un’altra collana, di perle bianche come la bianca e brillante era la purezza del suo giuramento. Lei ed Elisabeth, due bambine che, con quel giuramento avrebbero portato finalmente la Pace. 

 

Pensò al momento nel quale gioia, innocenza, o inconsapevolezza, l’avevano motivata nelle sue scelte future. In quell’immagine di ideale speranza, di armonia, sogno e distacco, cercò di ritrovare se stessa. Ancora un giorno: c’era ancora speranza.

 

“Non temete, diamanti così belli andavano puliti! La mia cara damigella Constance, li ha solo portati a far lucidare”- disse lei, in un calmo sorriso.

 

Re Luigi XIII, lasciò le stanze della sovrana in silenzio e da solo. Rifiutò di essere accompagnato nei suoi appartamenti e prese un’altra strada. 

 

Però erano i gli affari che il Cardinale aveva messo di fronte a lui ad avere avuto la meglio: il fatto che, a dispetto delle giustificazioni di Anna, da quando il Duca aveva fatto visita a Palazzo del Louvre, la collana era davvero sparita.

 

Il sospetto di tradimento strisciò con lentezza dagli angoli della bocca e prese, con la stessa calma, testa e cuore. Le parole di Richelieu risuonarono nelle sue orecchie come un viscido e velenoso presagio: le sue paure erano alimentate e provocate da ogni singola sua parola, dal suo bell’accento, dalla sua voce apparentemente calma e tranquillizzante. 

 

________________________

 

Spronato dagli ordini e l’incitamento dei tre combattenti, D’Artagnan accorse verso il Palazzo del Louvre e le stanze della Regina al disperato inseguimento di Constance.

 

Come si sarebbe aspettato, si trovava già a Corte e, faticosamente, riuscì ad arrivare a lei tramite gli altri membri della servitù, ma fu fermato al momento di incontrarla: qualcos’altro stava succedendo mentre cercò di farsi annunciare. Cercò di inviare un messaggio, tramite gli uomini e le donne di Corte, ma nessuno riuscì a raggiungere la dama, così da dover attendere ancora di più per un loro incontro. 

 

Purtroppo, la corsa contro il tempo, non aveva portato alcun risultato. 

 

Ancora una volta, D’Artagnan rivide scorrere di fronte ai suoi occhi una scena a lui del tutto familiare: Constance in lontananza, porgere segretamente la collana di diamanti tra le dita della Regina, vide quei diamanti brillare alla luce del tardo e mite pomeriggio di sole e, seppur non poteva ascoltare le parole della ragazza rivolte verso la sovrana, si aspettò esattamente cosa avrebbe potuto dire.

 

Il ragazzo, forse proprio ingannato dalla bellezza e la grazia di Constance, dalla sua apparente onestà, era stato soltanto uno strumento per il suo personale arrivismo! Con un solo gesto, tutto il suo sforzo era divenuto completamente inutile. 

 

Il trionfo dei suoi passi affrettati si spense dietro quel gesto, apparentemente così umile. Una semplice serva che obbediva agli ordini di una Regina, a seguito una lunga conversazione, ma in quel preciso secondo, D’Artagnan non vide la Regina Anna, non vide Constance, la serva di Corte. 

 

Ciò che si presentò ai suoi occhi stanchi era soprattutto l’immagine di due giovani donne, vissute nel pericolo e nel tradimento, completamente sospettate e minacciate di morte a qualunque loro gesto. L’affare di stato ed il rischio della vita erano comunque scampati. 

Donne deboli in un certo senso indifese, e così forti nella loro determinazione di salvare l’una dalle disgrazie dell’altra. Così intente nella loro missione da dimenticare che, in quella folle corsa, qualcun altro, lui stesso, era stato travolto, usato e abbandonato...

 

Agli occhi di D’Artagnan, il tradimento era stato compiuto: la Regina prese la collana e la nascose, Constance chinò la testa e le due donne cominciarono a conversare come se nulla fosse accaduto.

 

Neanche in quel momento, alcun onore reale lo attendeva. Proprio come qualche tempo prima, fermo ad aspettare, davanti ai cancelli delle caserme del Palazzo del Louvre. Ancora una volta, qualcun altro si era preso gioco di lui, si era preso i meriti delle sue azioni! 

Come se fosse stato davvero l’oggetto di quel terribile tradimento da parte di Constance, il ragazzo non si avvicinò e ritornò verso i giardini circostanti, da dove era arrivato.

 

Calciò l’erba, passando inosservato tra i vialetti di quella parte dei Giardini Reali, ferito nell’animo, quando la visione surreale, come un riflesso, specchio di se stesso e delle sue angosce si presentò di fronte a lui.

 

L’uomo di fronte, non sembrò dimostrare lo stesso impeto. Le scarpe di velluto e le calze di seta, non riflettevano i suoi vecchi stivali, le vesti ricamate d’oro, nulla avevano a che fare con la sua mantella. La parrucca poco si confrontava con i suoi capelli lunghi, scompigliati, dal vento, dal cappello e dal lungo viaggio. Tuttavia, gli occhi castani, tristi e preoccupati, sembrarono distrarlo brevemente dalle sue stesse inquietudini.

 

Il ragazzo trattenne il respiro e lentamente riconobbe l’uomo di fronte a lui, mentre si fermò ad osservarlo, cinse una mano ai fianchi e, con un fare non sembrò aver niente a che vedere un con capo di stato del suo rango, sbuffò. 

 

“Prego, dopo di voi”- disse con un gesto di insofferenza. 

 

Preso dall’emozione e lo stupore, D’Artagnan non avanzò. Si tolse il cappello e si chinò verso l’uomo con la più sentita reverenza.

 

“Le mie più sentite scuse! Non vi avevo notato. Non vedo nessuno accompagnarvi ed io... Mi scuso immensamente della mia maleducazione!”- disse senza guardarlo.

 

L’uomo alzò le spalle, mostrando una certa indifferenza ai suoi rigori improvvisi.

 

“Charles De Batz? Ancora voi?”

 

“Mi scuso immensamente, Sire”.

 

“Rialzatevi”- disse lui.

 

D’Artagnan seguì gli ordini del sovrano in silenzio e si diresse verso il viale. Il Re lo seguì.

Camminarono fianco a fianco per diverso tempo, senza che nessuno dei due si rivolse all’altro. Il sovrano era solo ed il ragazzo sapeva che non avrebbe mai potuto aprire una conversazione con lui, senza essere prima interpellato.

 

“Posso chiamarvi Charles?”- D’Artagnan sussultò alle parole del Re ed annuì.

 

Il sovrano sembrava voler dire qualche cosa, prese una lunga pausa e D’Artagnan attese, in un primo momento di pazienza, che il sovrano facesse la sua domanda.

 

“Bene, cosa ci fate nei giardini di palazzo reale? Un segreto appuntamento? Una questione di donne?”

 

Le spalle del ragazzo si abbassarono in un gesto di sollievo, mentre ricominciò a respirare. 

 

“Sì, in un certo senso. Tuttavia, con certe donne le cose non sono mai come sembrano...”

 

“Infatti. Potete proprio dirlo! Tutto sembrava così semplice quando... Una semplice firma ed un contratto. Io ero suo e lei era mia, sotto il volere di Dio, del Re straniero e della Regina Madre. Tutto sistemato!”- il sovrano prese una breve pausa, chiuse gli occhi e sorrise, al ricordo di un tempo lontano, innocente, dove tutte le cose erano come sembrano essere e dove nessun complotto o sotterfugio aveva ancora preso atto.

 

“Ma la verità è un’altra! I cuori non firmano contratti. Quando ci si trova di fronte a qualcuno in grado di mentire o dire la verità, scegliere tra verità e menzogna, a volte neppure senza sapere quale sia una o l’altra...”- continuò.

 

“Sire! Anche il mio cuore ferito scelse di credere nell’onestà di lei, ma fu accolto soltanto dal tradimento e dalla menzogna!”- disse D’Artagnan.

 

Il sovrano sospirò, come se quella fosse un’ennesima conferma alle sue paure.

 

“Ebbene, se tornaste indietro, scegliereste ancora di credere nella verità?”

 

D’Artagnan esitò. Si sentiva ancora tradito dalle gesta di Constance, da quello a cui aveva appena assistito. Il gesto che aveva bruciato in pochissimo tempo, gli sforzi degli ultimi giorni. Guardò il Re, anche lui tradito da un gesto o da qualcosa che era da poco capitato. La camminata solitaria ai giardini reali era diventata, per i due, un lungo circolo continuo, l’espressione della rabbia di una serie di tradimenti ed emozioni. C’erano ciottoli, tutto quello che la sua attenzione riuscì a cogliere, ma non poteva apprezzare il profumo delle rose.

Rallentò lentamente il passo. 

 

Constance non aveva affatto ragione di mentire o di tradire la parola che aveva preso con lui e gli altri.

 

Però, in quel breve attimo di calma, ripensò alla collana di diamanti, alla sera in cui lei le strinse la mano nella taverna, la notte passata in barca, in viaggio verso Londra, a Dover, a Beaugency, alla macchina fantastica, al suo duello ed i suoi amici.

 

“Dunque? Ora che sapete la verità, tornereste indietro? Rifareste la stessa cosa?”- incalzò il Re.

 

D’Artagnan strinse i pugni, ma sul suo volto non c’era più tristezza, solo decisione. In breve, quel doloroso tradimento, era passato in secondo piano alla realizzazione di cosa aveva veramente portato.

 

“Certo!”

 

Il ragazzo fece un altro inchino di saluto e si congedò troppo velocemente dal Re, mostrando un ampio sorriso.

 

Il sovrano provò a fermare D’Artagnan, ma la sua corsa alimentata da un nuovo entusiasmo, l’aveva già portato lontano.

 

____________________________

 

La sera arrivò anche alla dimora al centro, tra le strade di Parigi.

 

Aramis alzò le gambe sulla pietra del focolare spento e chiuse gli occhi, la stanchezza prese il sopravvento sulla concentrazione. Planchet non si era fatto ancora vivo, ma in cuor suo, e a voce alta, promise a se stesso e agli altri che un giorno gliel'avrebbe fatta pagare.

Il suo falso impeto si spense in breve tempo. Aveva notato come quell’ultimo atto dei suoi compari di motivare D’Artagnan ad andare a Corte, forse non sarebbe stato utile a nulla. Sapeva di come quella poteva essere una strada per ritornare nei favori di personalità importanti, ma anche di quanto sarebbe stato difficile raggiungere un colloquio del genere, senza poi ricevere onori.

 

Nell’indifferenza degli altri, aprì il suo testo sugli scritti di Archimede, ed al suo interno spuntò, misterioso, un libello: soltanto poche pagine, stampate in una carta di scarsa qualità. 

Il Merito delle donne, Moderata di Pozzo da Fonte, sfogliò le dita sul ritratto di quella donna inusuale e lesse in silenzio alcuni paragrafi.

 

Prendendo note con la punta d’argento in una mano, il sonno arrivò quasi inaspettato e qualsiasi cosa avesse stretto tra le dita dell'altra, cadde per terra in un suono metallico, come quello di una catena, che lo risvegliò subito. Qualunque cosa fosse stata, tornò immediatamente nelle sue tasche senza che gli altri potessero notarla.

 

“Dove eravamo rimasti?”- chiese Athos.

 

“Non ricordo”- rispose lui, chiudendo in fretta tomo e libello.

 

“Chevreuse”.

 

“Chevreuse? La verità è che non vi interessa nulla di Madame de Chevreuse. Sapete benissimo quello che avete fatto! Sapete benissimo come vi ho trattato e come sono stato ripagato da voi! State solo cercando di prendermi per le buone!”

 

“E quello che avete fatto voi allora? Sapete della mia ferita, sapete esattamente delle mie debolezze e ve ne siete approfittato non appena ne avete trovato il momento! Non volete il mio bene, ma solo il vostro vantaggio! Meschino!”

 

“Vi ricordo che un traditore avrebbe fatto di peggio”- ribatté Aramis.

 

“Forse. Ma voi dovreste essere dalla mia parte!”

 

“Come faccio ad essere dalla vostra parte, combattere con voi, quando voi stesso non siete in grado di combattere al vostro stesso fianco? Non potete vincere la continua battaglia di avere voi stesso come vostro nemico!”

 

Aramis prese una pausa, inspirò dal naso e, con un senso di ritrovata decisione disse: 

 

“Che questa sia l’ultima volta! Che sia mio ultimo perdono!”.

 

Athos incrociò le braccia e lo guardò.

 

“Quale perdono? Voi non mi avete perdonato. Esattamente come non avete mai perdonato nessun altro. Neppure voi stesso!”

 

“Cosa?”

 

“Combatterò al vostro fianco il giorno in cui voi troverete la forza di perdonare finalmente qualcuno. Voi per primo”.

 

In quel momento, Aramis sentì il colpo delle sue parole. Comprese quanto il perdono non si possa veramente concedere, ma debba essere in un certo senso accettato. Non poteva veramente perdonare.

 

“Così da poter perdonare me...”- Athos tese la mano verso di lui.

 

I due si guardarono negli occhi in silenzio, in ricordo di un tempo nel quale le loro mani strette avevano alleviato dolore ed avevano sostenuto anime in dubbio.

 

“Rifiutate il suo invito”- disse, quasi subito, mentre lo sguardo di Aramis passò da sicuro a sorpreso e sospettoso delle sue parole.

 

“Quale invito?”- chiese con curiosità.

 

“Questo”- l’uomo porse verso di lui una lettera aperta.

 

“Siete nella mia stessa condizione. E come voi avete tirato fuori me, così farò io! Se non volete farlo per voi stesso, fatelo per me, in onore della nostra alleanza... Nessuno si avvelena per diletto, lo avete detto voi!”

 

Aramis si soffermò sui suoi gesti. In un primo momento avrebbe voluto lasciarsi sopraffare dalla rabbia di un brusco risveglio, dalla sgarbatezza delle sue azioni, dalle sue parole ruvide, ma sincere, esitò. In fondo era solo un modo per ricambiare il favore offerto. Sbuffó con insolenza, per poi allinearsi sulla stessa conversazione.

 

“Oh. E siete nel giusto. Tuttavia mi trovo costretto ad incontrarla, per quell’ultimo addio. Però vi faccio una promessa e ne sarò convinto: le dirò addio e non chiederò più di lei.”

 

“Come fate ad esserne così sicuro? Cosa vi fa credere che incontrarla non vi induca di nuovo nelle tentazioni dell’amore?”

 

“Ho le mie ragioni. Tra le tante, le sue alleanze e il suo potere a Corte. Sembra essere d’aiuto ai peggiori nemici del Regno. Dopo il nostro viaggio a Londra, non è più cosa di cui andare fieri!”

 

___________________________

 

Proprio mentre i due chinarono il capo, l’uno verso l’altro in segno di promessa, la porta si aprì su D’Artagnan.

 

“Un brindisi alle nostre avventure! Dobbiamo festeggiare!”- disse il ragazzo, con un bel sorriso.

 

“Oh! Avete dunque parlato con Constance e la Regina?”- chiese Athos.

 

“No! Dimenticate Constance e la collana! Traditrice che non è altro! Ma ho di meglio!”- lo sguardo del ragazzo si illuminò, sorrise di gioia e abbracciò i due compagni con un entusiasmo brillante.

 

“Avete dunque accettato i favori del Re?”- chiese Aramis.

 

Alla domanda di Aramis, una fredda corrente percorse la schiena di D’Artagnan. 

 

Avrebbe potuto davvero chiedere al Re tutti i favori tanto ambìti, ma preso com’era dal pensiero di Constance o dalla realizzazione di tutto quello che era appena accaduto non aveva fatto caso a nulla. Aveva incontrato il Re, avevano parlato, ed era lui stesso ad essere scappato di corsa per raggiungere la dimora di Parigi e ricordare agli altri di tutte le avventure passate insieme! Era stato al suo cospetto e colloquio per tutto quel tempo e... Se ne era completamente dimenticato!

 

Appena Porthos si rese conto del ritorno di D’Artagnan accorse dai piani superiori, lo prese per le spalle e chiese subito:

 

“Siete dunque stato a colloquio del Re?”

 

La schiena del ragazzo si irrigidì, sgranò gli occhi e annuì. Il bel sorriso aveva lasciato spazio alle labbra tese.

 

“Dunque?”- chiesero i tre all’unisono.

 

“Non-Non ho chiesto niente. Il Re non ha menzionato nulla”.

 

Ci fu un lungo silenzio di comprensione da parte degli altri tre. 

 

Momenti dopo, sbuffarono, alzarono le spalle e portarono le mani al cielo in segno di resa: avrebbero combattuto un altro giorno, trovato un’altra soluzione temporanea... 

 

Proprio mentre gli ultimi attimi di speranza lasciavano la casa nei loro sbuffi e sospiri, la porta, ancora scostata, si aprí lentamente e loro si distrassero verso di essa.

 

“Planchet?”- chiesero tutti e quattro.

 

“No. Constance. Constance Bonacieux...”- rispose la ragazza, timidamente. 

 

“Ah. Non siamo in condizione di ricevere ospiti”- sbottò Athos.

 

“Specialmente voi”- disse Porthos.

 

“Non importa...”- sussurrò lei.

 

“Allora, cosa vi porta forzatamente alla nostra dimora?”- chiese Porthos, ma nessuna cortesia fu espressa al suo arrivo. 

 

“D’Artagnan, come mai non vi siete presentato a palazzo?”- chiese Constance. Il suo volto era dispiaciuto e preoccupato. Con la camminata, così timida e insicura, raggiunse lentamente la tavolata dei quattro senza sedersi. Come un nuovo membro della loro servitù, pronta adesso a lavorare per conto loro.

 

“Beh, non ce n'è stato bisogno”- rispose lui, notando quei modi strani e gentili.

 

“Questo lo credete voi!”- ribatté la ragazza. Abbassò lo sguardo, tese le sue gonne e si inchinò verso i quattro con grazia e movimenti brevi. Loro trovarono quel comportamento curioso.

 

“Quando ho consegnato la collana, mi è stato chiesto da sua Maestà la Regina come abbia fatto ad ottenerla. Così ho fatto vostra menzione. Nella speranza che voi arrivaste”. 

 

“Bene! Che almeno la Regina sappia della nostra esistenza”- sospirò Porthos. 

 

“Bene affatto! Ho menzionato voi, D’Artagnan e i vostri compari, come uomini d'onore e grande prestigio...”

 

D’Artagnan sbottò in un’esclamazione di sorpresa e ripicca. Per quanto fosse sollevato dell’incontro con il Re, era anche certo di come Constance l’aveva tradito.

 

Gli altri tre volsero lo sguardo verso di loro, come se stessero assistendo ad una commedia. Portarono una mano appoggiata al mento, gomiti sul tavolo, quasi in segno di noia e li guardarono emettendo un lungo sospiro.

 

“...Ma nessuno era con me, a dimostrazione di quello che stavo dicendo!”

 

“Perché ve ne siete andata, senza aspettare?”- chiese il ragazzo.

 

“Siete voi che non volevate più partire!”

 

“Sono qui perché la Regina sembra aver trovato una soluzione a questo mio dilemma”.

 

Una vena del suo spirito combattivo si accese in quel breve respiro, ma al ricordo delle parole, della conversazione orribile, la sua furia si spense in terrore. Il volto si fece ancora più atterrito e l’imbarazzo di una proposta, ancora a loro sconosciuta, trapelò dal suo respiro.

 

“Tutto sistemato allora! Perché siete qui?”- disse D’Artagnan cercando conferma negli sguardi degli altri.

 

“La Regina crede di... Vuole chiamare il medico”.

 

“E perché mai? vi trovo in ottima salute!”- disse il ragazzo, cercando di capire quale malattia la affliggesse.

 

“Mai stata meglio!”- Porthos rise sguaiatamente, Athos prese la fronte tra le mani e cercò di nascondere un sorriso sarcastico. Aramis sgranò gli occhi, alzò le sopracciglia nello stupore e portò le mani alla bocca. 

 

Le loro azioni non fecero che aumentare le ansie e le preoccupazioni della ragazza.

 

“Beh vedete: dovete assolutamente presentarvi a questo ballo e dare la vostra parola nei miei confronti!”

 

“Non eravamo noi ad aver bisogno di una buona parola da parte della Regina?”- chiese D’Artagnan, ancora confuso.

 

“Purtroppo non possiamo esservi d’aiuto, visto che avete già consegnato la Collana e i nostri meriti non sono ancora stati celebrati”- aggiunse Porthos.

 

“Sì, ma la Regina ha bisogno di una buona parola per me, da parte vostra... Se vi rifiutaste... È disposta a chiamare veramente il medico!”- rispose la ragazza.

 

“Dunque parlate sul serio?”- chiese Aramis.

 

“Quale medico? Se non abbiamo fatto nulla! Non abbiamo dormito neppure da soli nella stessa stanza!”- D’Artagnan arrivò all’intricata conclusione.

 

“Dite che voi, invece... E quando?”- chiese Porthos verso Aramis. 

 

“C’è sempre tempo per due giovani innamorati...”- disse Athos, cercando di trattenere una risata.

 

“Non abbiamo fatto niente! Constance non avete nulla da nascondere!”- disse D’Artagnan, rosso in volto, gli occhi puntati su Aramis.

 

“Non è questo il punto! Nessuno ha il diritto di decidere per voi! Troveremo il modo di presentarci a Corte! Possiamo... Possiamo presentare la macchina, come un dono per il Re? Che ne dite? È una scusa accettabile?”- chiese Aramis. 

 

“Perché vi affannate così tanto per una serva di Corte?”- chiese Porthos.

 

“Una traditrice!”- brontolò D’Artagnan, nel sottofondo. 

 

“Perché chiedendole certe cose, la Regina viola un suo sacro diritto! Mettetevi nei suoi panni: che diritto avrei nel chiedervi di farmi vedere le vostre... Parti?”- disse Aramis, rivolto agli altri uomini.

 

“Nessuno, ma non avrei assolutamente problemi nel mostrarvele. Niente che non abbiate già visto, che scateni in voi desiderio o che, probabilmente, non possediate voi stesso. Se non in altre, ridotte, proporzioni!”- le parole di Porthos non intimorirono Aramis.

 

“Perché qualcuno dovrebbe venire a guardare le vostre, le mie... Di parti, senza alcun motivo o senza che io lo desideri, se non giustificare ufficialmente qualche cosa di così intimo?”- chiese in un tono quasi esortante.

 

“Nessuno! Siete un uomo, per lo meno, probabilmente lo diventerete un giorno quando... Insieme alla barba e alla voce, altre cose scenderanno a dimostrare la vostra virilità...”- disse Athos, cercando di rimanere serio. Un angolo della bocca si arricciò in un mezzo sorriso.

 

Aramis arrossì.

 

“Perché per una donna non può essere lo stesso, quindi?”- chiese Constance, al silenzio degli altri.

 

“Beh vedetela così: il medico potrebbe mentire e dire che la reputazione di Constance è stata compromessa da uno di noi. Che io, o voi, dobbiamo adesso risarcire per i danni che abbiamo creato alla sua famiglia, caricarsi di oneri che già non ci possiamo permettere, ragion per cui siamo ancora qui, essere padri disonorevoli di figli inesistenti. Vi sembra giusto?”- chiese Aramis.

 

“Avete davvero portato via Constance al povero D’Artagnan?”- gli chiese Porthos, dietro gli sguardi turbati di D’Artagnan.

 

Aramis incroció le braccia spazientito.

 

“Secondo voi?”- chiese in segno di sfida.

 

Porthos alzó spalle e sopracciglia, scosse la testa con indifferenza.

 

“Contate sulla mia parola e su quella di D’Artagnan! Sappiamo di non aver fatto nulla! Saremo con voi al ricevimento!”- disse, inchinandosi ai piedi di Constance.

 

Athos annuí e disse, alla stessa maniera:

 

“Contate sulla mia e sulla parola di Aramis, anche noi sappiamo di non aver fatto nulla”.

 

L'uomo abbassó la testa in una breve reverenza. 

Aramis si soffermó sulla parola che lui stesso aveva dato per suo conto e la grazia dell’amico solo per un breve momento, per poi seguirlo in quel lungo inchino.

______________________

 

Una volta data la sua parola ed annunciati i suoi saluti, Aramis prese l'invito sul tavolo, cappello e mantella, ed in silenzio abbandonò la sua dimora alla volta di Madame de Chevreuse.

 

A notte inoltrata, la luce di lanterna illuminó di poco il riflesso dell’acqua oscura della Senna. Alcuni passanti osservarono la sua schiena dritta ed il passo elegante, ma nessuno osò interromperlo in quella silenziosa veglia notturna. 

 

Una volta all'Auberge de Chevreuse, si assicurò che l'anticamera d'attesa fosse vuota e la porta aperta. Un'altra porta si apriva su un passaggio secondario, un chiostro, dal quale usava entrare spesso da solo ed intrattenere colloqui.

 

Anche quella notte, abbassò la luce della sua lanterna alla vista di una sagoma nera.

 

Una figura femminile si presentò nell'ombra ed alzò la luce sul suo volto pensoso. I loro sguardi si incontrarono, Aramis chinò la testa in un inchino, rivolto verso di lei, le vesti ampie e i capelli striati di grigio, acconciati in una cuffia. La collana e gli orecchini di bianche perle, rievocarono il tempo della sua gioventù lontana, mentre gli occhi color nocciola brillarono di malinconia, sulle le guance segnate dal tempo e i ricordi di un passato glorioso, ma ormai lontano. 

 

“Altezza! Regina Marie!”- sussurrò Aramis.

 

“Mademoiselle, Baronessa Renée D’Herblay. Bentornata al Salone delle Regine”- sotto le mentite spoglie di Madame Chevreuse, si nascondeva in realtà la Regina Madre, Marie de’ Medici. 

 

“Sono qui per denunciare un atto meschino nei confronti dei Sovrani. Qualcuno degli altri vostri ospiti ha minacciato la loro incolumità e chiedo voi consiglio”- disse lei.

 

“Mi dispiace. Sono stata una sciocca, è tutta colpa mia, sono io che ho convinto Buckingham a rientrare in Francia, credevo che in questo modo avrei guadagnato i favori del Re ed avrei messo Richelieu in ridicolo, invece mi sono ritrovata un’altra volta in competizione con le sue bassezze. È arrivato per me, il tempo di lasciare di nuovo Parigi. È difficile vivere in una città così ostile”.

 

La Regina Madre era stata per la giovane un punto di forte alleanza. Grazie al Salon, aveva vissuto i suoi primi anni a Parigi, e tra le schiere, mantenendo la sua riservatezza e indipendenza. Non c’era bisogno di fare domande, quanto tutti davano certe azioni per scontate.

 

“Ostile, per via di Richelieu?”- chiese Aramis.

 

“È tempo di partire”- disse la donna di mezza età.

 

“Come? Non l'avete detto proprio voi? Non avete promesso di portare avanti la filosofia di Marguerite de Valois? Non avete detto che le donne possono fare quanto e più di quello che un uomo, un Re, non riesca a fare?”- chiese la giovane.

 

“Certamente! In fondo, ho governato per tanti anni e voi siete stata Moschettiere per altrettanto tempo. Abbiamo già compiuto il nostro dovere perfettamente. Allo stesso modo di un Re o un Soldato. In fondo, non abbiamo risposto così all'eterna Querelle de Femmes?”

 

Aramis annuì. La Regina Madre aveva già abbandonato la sua reggenza ed aveva soltanto una fievole speranza di ribalta. Forse voleva soltanto prendere tempo e riposo, pianificare con calma la prossima mossa.

 

“Meglio abbandonare questo posto. Se la vostra vendetta è stata compiuta, che ragione avete di rimanere ancora a Parigi? Potreste tornare con me al Salon e, perché no? Ritornare a vivere come una dama di Corte?”

 

La giovane combattente scosse la testa, senza rispondere. 

 

“Tornerete mai a Palais de Luxembourg?”- chiese Aramis.

 

“Non so. In quanto a voi, dove eravate? Cosa ha tardato il vostro ritorno? Cosa vi spinge a non fuggire con me, a non prendere alloggio al mio albergo, sotto il mio Salon, ma a rimanere ancora qui?”- chiese Marie.

 

“Nulla di particolare”- qualche cosa si incrinò nella voce di lei.

 

La Regina Madre si voltò verso la giovane donna nelle vesti di cavaliere. 

 

Rivide in lei lo sguardo di due sposi, due principi, incontrarsi tanti anni prima, rivide in lei lo stesso sguardo di Luigi, pronto a chiedere la mano di Anna. Rivide in lei, se stessa ed il cuore pieno di sogni, in un giovane ritratto di pavoni, alla richiesta di una mano benedetta dagli Dèi dell’Olimpo. Giove e Giunone.

 

“Il vero amore è sempre una situazione difficile, Renée. Forse, questa volta, dovreste chiedere l’aiuto di qualcun altro”.

 

“Addio, Altezza”- disse Aramis, con un ultimo inchino di congedo.

 

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Camminando sulle rive della Senna, a lume di lanterna, Aramis aspettò l’alba arrivare, nella speranza che con lei avrebbe portato lume, nella ragione offuscata. 

L’olio bruciò quasi completamente e la lanterna fu più volte sul punto di spegnersi, ma proprio sul roseo riflesso del sole nascente, Aramis non vide sul vetro annerito il riflesso di se stessa, ma quello della Dea dall’elmo d’acciaio, la donna vestita d’oro e d'azzurro che stringe per mano reali e combattenti, li trasporta e li motiva verso il loro destino.

 

Cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe detto quella coraggiosa Dea al posto suo?

 

Moderata di Pozzo da Fonte non aveva alcun dubbio, Marguerite de Valois non aveva alcun dubbio e, se fosse stato soltanto per lei, anche la stessa Regina Madre, Marie de’ Medici, avrebbe regnato con pugno di ferro, avrebbe tranquillamente portato avanti il lavoro di un uomo, di un Re, con la stessa volontà dispotica. 

 

Guidate dal suo lume e dalla sua volontà tutte loro avrebbero dominato il mondo, oppure dettato la loro vera filosofia per le future donne, future regine, intellettuali, artiste e combattenti. 

In potere e saggezza, ricordate ai posteri come le donne che aprirono la strada a tutte le altre. Esempio per un nuovo futuro di eguaglianza. 

Sarebbero rimaste simbolo di una storia che si stava svolgendo con lei. 

 

Non a caso, la Dea Francia era in un certo senso la sua stessa guida.

Anche lei, sotto la forte mano, si era allenata, aveva viaggiato per regni ed imperi, pregato ed aveva combattuto battaglie di forza e ingegno, aveva cercato in lei una giustizia forse ancora troppo lontana dalla sua realtà.

 

Un sospiro pesante abbandonó il petto della giovane, per raggiungere quell’orizzonte dal futuro per lei così certo, così ovvio e banale. Era sempre vissuta nella vendetta, schiacciata da un obiettivo più grande di lei. 

 

Fino ad allora, tutto era stato preso in modo così temporaneo, un mattino dopo l’altro, un passo su un altro, un giorno alla volta. Però adesso, si era ritrovata a pensare al futuro, a quell’orizzonte lontano. 

 

Neppure Aramis si aspettava quello che stava succedendo, ma i sentimenti non guardano piani, non contano i giorni: al cuore non si comanda...

 

Fermò il passo, contemplando quel sole nascente e, rivolgendosi al riflesso della lanterna ormai spenta come se fosse una donna, la stessa Dea, in carne ed ossa e pronta ad ascoltarla, disse:

 

“Sono sempre stata al suo fianco come un compare inseparabile, dividendo tutto, combattendo insieme, non sono mai stata attratta da lui in questo modo”.

 

“Eppure ora siete qui, con la vostra questione femminile”- gli occhi brillanti e sognanti di quel riflesso, la guardarono senza davvero parlare.

 

La visione sembró interrogarla in un silenzio che non andava giustificato a nessuno, se non a se stessa. Così, dopo un lungo sospiro, come se fosse stata finalmente liberata dalle sue stesse catene, cominciò a parlare al vento, all’alba di una mattina di sole, memorie di un’altra, ormai passata.

 

“Era l’alba di un nuovo giorno, uno come tanti, proprio come oggi, l’aria cominciava a farsi fredda ed un raggio di luce furtivo contrastò il suo profilo. I suoi occhi brillarono, puntando verso l’orizzonte, i capelli scossi dal vento si aprirono sulla fronte, i bei lineamenti del naso e le sue labbra schiudersi in un sorriso istintivo. Chinò di nuovo il capo e proseguì nella sua cavalcata”. 

 

“Non so neppure per quale ragione alzai lo sguardo, ma come vidi il vapore del suo respiro riflettere la luce di quel raggio di sole, vidi in lui una bellezza mai notata prima. In quella nuova luce non era più il compare con cui usavo condividere tutto: era un uomo per cui provavo un altro tipo di emozioni”. 

 

“Non voglio combattere una tale battaglia!” 

 

Aramis si risvegliò da quel momento di sfogo solitario, pronta a riprendere la sua strada verso casa.

 

Nulla.

 

Il sole tramonterà un altro giorno, il sole sorgerà un altro giorno, nuove albe e nuovi tramonti, la vita proseguirà senza che questo segreto venga mai svelato.

 

Noli obsecro istum disturbare! 

 

Come nelle parole di Archimede da Siracusa, in punto di morte, neppure lei avrebbe mai stravolto tutto ciò che la circondava, la sua vita di combattente, di avventuriera, per dare retta alle sue emergenti emozioni.

 

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