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Autore: Ellenw    28/01/2021    1 recensioni
La fiction è ambientata nel Mu, dove L e Light, o meglio le loro anime, si ritrovano dopo la morte e dopo aver superato il Rito di Espiazione, e anche se le loro anime sono destinate ad andare in due direzioni diverse, non riescono a stare l'uno senza l'altro.
E nonostante le tenebre, trovano la luce.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito | Coppie: L/Light
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sento il marmo freddo del pavimento sotto di me, e da sdraiato mi metto lentamente seduto e mi guardo intorno. Alla mia sinistra vedo il tavolo con sopra di esso quattro computer, spenti e silenziosi, di fronte a me a pochi centimetri c’è una sedia da scrivania con le ruote, nell’angolo in fondo a sinistra scorgo le scale che portano al piano di sopra, mentre alla mia destra vedo la grande sala del quartier generale.
Mi sollevo lentamente in piedi, incerto. Se quello che ha detto il guardiano è esatto, ora mi trovo nel Mu, che ha lo stesso aspetto del mondo reale, tranne per il fatto che è completamente deserto. Ad eccezione forse delle anime che una persona ha conosciuto quando era ancora in vita, e che quindi qui possono riconoscerla.
Se mi trovo qui è perché ogni anima si risveglia nel luogo dove è morta, ma ciò non significa che non mi possa spostare a mio piacimento.
Decido di fare un giro di perlustrazione, e mi avvio verso l’appartamento al piano di sopra, dove nel modo reale si trovava la suite di Misa Amane, il secondo Kira, libera di vivere la sua vita privata e di lavorare ma allo stesso tempo controllata notte e giorno da videocamere ed infrarossi di sorveglianza.
L’appartamento è identico a come lo ricordo, i mobili in legno e i colori pastello dei due divani, la cucina intatta e di fronte a me vedo il corridoio per accedere alle camere. Proseguo al piano di sopra, dove alloggiavamo io e Watari, e, mentre era ammanettato a me, anche Light. Anche qui sembra tutto perfettamente integro e immutato, come se fosse rimasto disabitato per anni.
Dopo essere salito sul tetto dell’edificio mi ritrovo sul terrazzo più alto, al trentatreesimo piano, dove si trova ancora l’antenna parabolica e il magazzino all’interno del quale si trova l’elicottero. Intorno a me Tokyo è immobile e silenziosa, totalmente irreale, illuminata da un tenue sole oltre le nubi. La sensazione che provo è quella di essere l’ultima persona rimasta sulla faccia della Terra, dopo una rapida estinzione di massa.
Mi trovo al bordo della ringhiera del terrazzo, e sporgendomi verso l’esterno vedo il quartier generale in tutta la sua altezza. Senza pensare troppo a quello che sto facendo decido di scavalcare il parapetto, e, sorpreso di non aver perso la mia agilità, mi ritrovo oltre la recinzione, i miei piedi a pochi centimetri dallo strapiombo.
Anche se dovessi cadere, o buttarmi di sotto, non morirei. Forse in questo nulla eterno non esiste nemmeno la gravità. Ma decido che non è il momento adatto per fare esperimenti, e, con un salto, ritorno al sicuro al di là della ringhiera.
Dopo essere tornato al piano di sotto, nella sala computer dove mi sono risvegliato, ho un sussulto nel sentire dei rumori provenire dal corridoio.
Rimango immobile per qualche secondo, ma la sensazione che ci sia qualcun altro oltre a me trova nuovo fondamento nel fatto che i rumori non cessano, anzi si amplificano. Quello che sembrava lo spostamento di oggetti ora appare come il suono di passi che si avvicinano nella mia direzione.
Mentre sto decidendo se nascondermi oppure attendere qui impalato, una figura compare nel mio campo visivo, e il mio cuore sobbalza.
“Watari?”
“Lawliet!”
Ci guardiamo per quelli che paiono minuti, e nessuno dei due sembra avere nulla da dire. Watari ha lo stesso aspetto dell’ultima volta che l’ho visto, anche se sembra passata un’eternità. Indossa lo stesso completo scuro del suo ultimo giorno, i baffi bianchi e la sua espressione commossa non sono alterati.
“Non avrei mai pensato di rivederti, figlio mio, ma se esiste un Dio in tutto questo, allora con questo regalo mi ha reso felice”
Mi sorride, come se non fosse successo nulla, come se fossimo ancora vivi e mi rivedesse dopo uno dei miei lunghi viaggi in giro per il mondo, a risolvere casi insolvibili per il resto del pianeta.
“Anche io sono felice di vederti, Watari” sussurro.
Anche se preferirei non essere qui.
Probabilmente, essendo deceduto nella stanza accanto alla mia, e pochi minuti di tempo prima di me, anche lui si è risvegliato qui, e non da molto direi.
“Non sai quanto mi dispiace, Lawliet. Avrei tanto voluto un destino diverso per te”
Non sono abituato ad essere chiamato con il mio vero nome, e anche se ora non ho più motivo di nascondere alcuna informazione personale, mi fa comunque uno strano effetto sentirlo pronunciare, come se avessi convissuto con due diverse identità fino ad ora.
In un certo senso, è così. Ma ora non ha più importanza.
Niente ha più importanza.
Dovrei essere qui per trovare la pace, per lasciarmi alle spalle la mia vita e il mio passato, per trascorrere l’eternità nel riposo e nell’armonia. Eppure, nonostante abbia superato il Rito di Espiazione e la mia anima abbia ottenuto la cosiddetta redenzione eterna, ho la sensazione che la pace di cui parlava il guardiano sia ancora molto lontana.
Mi sento perso, vuoto.
Ad essere sincero, non credo che la mia esistenza qui abbia alcun significato.
“Anche io l’avrei sperato, Watari”.
“Ma perché lo ha fatto? Perché lo Shinigami avrebbe dovuto ucciderci? Pensavo fosse neutrale” mi chiede afflitto.
“Evidentemente non lo era, ma è inutile arrovellarsi il cervello ora.”
Nel dire questo, mi volto e lentamente mi incammino fuori dalla sala in cui ci troviamo, imbocco la porta d’uscita nella scala antiincendio interna ed inizio a scendere le scale.
“Dove stai andando?” sento la voce perplessa di Watari pochi metri dietro di me.
“Fuori” dico.
E sento i suoi passi che, dopo alcuni secondi di titubanza, iniziano a seguirmi.
Dopo essere usciti alla luce del sole, noto che la strada annessa al vecchio quartier generale è completamente deserta, nonostante nel mondo reale si trovasse oltre la svolta della via principale di uno quartieri più popolati e centrali di Tokyo.
Non incontriamo anima viva oltre a noi, e dopo quelle che paiono ore di cammino, decidiamo di retrocedere e di ritornare al quartier generale.
Tutto in città è immobile ed intatto: i manifesti pubblicitari, i grandi schermi appesi come quadri alle facciate dei grattacieli, i negozi illuminati ma completamente deserti, i semafori e le automobili parcheggiate ad ogni angolo. Ma le strade, le vie pedonali e gli appartamenti paiono abbandonati.
E poi un’intuizione mi attraversa il cervello: forse questo posto non è affatto deserto come sembra, anzi, visto l’ultimo censimento della popolazione, le persone decedute in questa città saranno probabilmente milioni. Il fatto che io non le veda non significa affatto che non ci siano. Infatti, dato che in teoria nel Mu posso vedere solo le anime che ho conosciuto durante la mia esistenza da umano, e viceversa loro possono vedere me, sono quasi certo del fatto che in questo momento la città mi pare deserta semplicemente perché nessuna di quelle anime si trova qui.
Se la mia supposizione è esatta, allora vicino a me, in ogni strada e casa che mi circonda, ci sarebbero milioni, forse miliardi, di anime che vagano sole o in compagnia dei loro cari, in una landa che sembra desolata ad ognuna di loro, ma che in realtà è una babele caotica.
La mia ipotesi trova fondamento qualche tempo dopo, quando durante una delle nostre passeggiate, Watari si arresta di colpo, e con il dito mi indica un punto lontano, di fronte a noi.
“Lo vedi anche tu, Lawliet?” mi chiede con una voce quasi stridula.
Io seguo la direzione da lui indicata e mi focalizzo su quel punto. Ci troviamo nel parco pubblico di Ueno, in vicinanza del famoso Zoo, lungo uno dei tipici viali alberati che lo caratterizzano. A circa un chilometro da noi, in linea d’aria si trova il famoso santuario Toshogu. E di fronte ad esso è appena visibile ad occhio nudo una figura in movimento, sicuramente un uomo o una donna, che pare dirigersi lentamente verso di noi.
Mi fermo di colpo. Sgrano gli occhi e mi porto d’abitudine un dito alle labbra.
Se entrambi vediamo quella persona, significa che entrambi l’abbiamo conosciuta durante la nostra vita passata, e soprattutto significa che quasi sicuramente, tra pochi minuti anche quell’anima si accorgerà di noi.
“Che facciamo?” mi chiede Watari preoccupato. “Chi può essere?”
Non ho la risposta alla seconda domanda, ma per averla, la risposta alla prima domanda è scontata: dobbiamo continuare a camminare come se niente fosse finché non riusciremo a dare un nome e un volto alla figura in lontananza.
“Andiamo avanti, Watari. Dopotutto, abbiamo conosciuto molte persone nella nostra vita e la probabilità che qualcuna di loro sia morta non è poi così remota.”
La mia voce calma lo tranquillizza, e riprendiamo a camminare. Anche se nulla trapela dal mio comportamento o dalla mia voce, percepisco un’inquietudine crescente mentre mi avvicino alla figura misteriosa.
Egli, o ella, non sembra essersi accorta di noi: si dirige verso di noi, ma sembra guardarsi intorno, il suo sguardo pare voltarsi in ogni direzione, come se stesse cercando qualcosa, o qualcuno, o semplicemente non sapesse dove andare.
Tuttavia, man mano ci avviciniamo alla figura ho la sensazione di commettere un errore, e percepisco il forte impulso di allontanarmi.
Ho sempre avuto un istinto formidabile, che, più di qualsiasi prova scientifica, tangibile o dimostrabile, mi ha sempre condotto alla giusta soluzione. È grazie al mio istinto se ho risolto la maggior parte dei casi giudiziari che mi venivano commissionati, ed in questo momento il mio istinto sta cercando di dirmi che dovremmo allontanarci anziché avvicinarci a quell’anima solitaria.
Osservo Watari con la coda dell’occhio e noto che anche lui ha rallentato il passo, come se stesse avvertendo la mia stessa sensazione di timore.
Ma non faccio a tempo ad esprimere i miei dubbi a Watari perché nel momento stesso in cui sto per aprire bocca noto che la misteriosa figura ora ci sta guardando e, dopo un attimo di sbigottimento, si dirige a grandi passi verso di noi. Quando è a ormai poco più di un centinaio di metri da noi, non ci sono più dubbi sulla sua identità.
Io e Watari lo riconosciamo nello stesso instante, ma è lui a pronunciare il suo nome con un urlo. Io apro la bocca, ma all’improvviso ho perso la voce.
“Mello!”
Mello sposta il suo sguardo torvo da Watari a me. “Watari, L.”
Poi sorride, sprezzante. “Ci si rivede” esclama, sarcastico.
Lo osservo attentamente: è vestito completamente di nero, indossa una giacca di pelle attillata decorata sulle spalle con piume nere, i pantaloni attillati lucidi anch’essi neri, una cintura con un simbolo religioso e gli stivali di pelle dello stesso colore di tutto il resto degli abiti. Inoltre, noto che una brutta cicatrice gli divide il volto quasi a metà, all’altezza dell’occhio sinistro: osservandola sembra a tutti gli effetti un esito cicatriziale di una brutta ustione, in cui la pelle in fase di guarigione resta di una tonalità più scura e rosata rispetto alla carnagione naturale del resto del volto.
È più o meno come lo ricordo durante una delle ultime visite alla Wammy’s House, porta lo stesso taglio di capelli, un caschetto biondo, ad eccezione dei lineamenti del volto che paiono più marcati e adulti rispetto all’ultima volta che lo vidi.
Questo mi fa supporre che sia passato qualche anno dalla mia morte, se ora lui è qui.
Lui mi osserva ma dai suoi occhi celesti non trapela nessuna emozione.
È Watari il primo di noi tre a ritrovare la voce.
“Ragazzo mio, anche tu! Ma che ti è successo?” esclama avvilito.
Mello fa spallucce, apparentemente disinteressato.
“Kira, più o meno” dice guardando un punto sul terreno.
A quel nome ho un sussulto e ritrovo immediatamente la voce.
“Mello, devo chiedertelo. In che anno sei morto?” chiedo guardandolo dritto negli occhi.
Lui non distoglie lo sguardo stavolta. “Sono morto il 26 Gennaio 2013”
Trattengo il fiato a quelle parole. Io sono morto nel 2007, di conseguenza nel mondo reale sono passati sei anni. È davvero assurdo come scorre il tempo nel Mu, ero quasi convinto di aver superato il Rito di Espiazione poche settimane fa.
“Ma allora.. quel ragazzo.. è ancora vivo” Watari commenta in un sussurro, tanto che pare stia parlando tra sé e sé.
Sta parlando di Light, senza dubbio.
Mello sposta il suo sguardo su di lui, un barlume di interesse negli occhi.
“Se ti riferisci a Light Yagami, Kira, il secondo L, si, lo è. Ma se Near riuscirà a trarre dalla mia morte almeno un indizio, o una sua mossa errata, allora forse riuscirà finalmente a sconfiggerlo e ad arrestarlo.”
“Near..” Watari a quel nome solleva lo sguardo verso Mello. “E se..morirà anche lui? È sempre stato più ingenuo di voi due, meno impulsivo, io… ho paura che non ce la farà”
Nel pronunciare quelle parole, credo sia sul punto delle lacrime. Watari amava noi ragazzi della Wammy’s House più della sua stessa vita, e in generale ogni allievo o ospite dei suoi orfanotrofi in giro per il mondo. Sapere che prima io e ora Mello non siamo più in vita, e che forse a Near toccherà la stessa sorte lo sta distruggendo.
“Io credo che ce la farà, Watari.” Sussurra poi Mello, con una voce malinconica ma sincera.
Lo guardo incuriosito, con un dito poggiato alle labbra. Questa conversazione è la prima cosa per cui provo vero interesse da quando mi sono risvegliato nel Mu.
“Come fai a dirlo?” chiede Watari preoccupato.
Mello fa spallucce “Kira è fin troppo sicuro di sé e del suo piano infallibile per ucciderci tutti, ha sempre sottovalutato Near e non si aspetta che lui possa sconfiggerlo. In effetti, Near da solo non sarebbe mai riuscito a farcela, e a mio parere non è all’altezza di Light. Ma con il mio aiuto proverà la sua colpevolezza di fronte alla sua stessa squadra. L, tu hai sempre saputo che io e Near saremmo stati alla tua altezza solo unendo le forze. E, anche se così non è stato, alla fine il merito della vittoria sarà di entrambi”
Ascolto il suo discorso senza nemmeno accorgermi di star trattenendo il fiato. Tutto quello che ha detto Mello è vero: non avevo potuto scegliere chi di loro due potesse succedermi come L perché nessuno dei due, e allo stesso tempo entrambi, avevano le caratteristiche giuste per prendere il mio posto. Infatti, l’uno di loro compensava i difetti dell’altro, e insieme avrebbero eguagliato il mio livello.
“Mello, ma se dici che Near ha preso il posto di L, perché hai parlato anche di Light come secondo L?” chiede Watari incuriosito.
Anche se dentro di me conosco già la risposta, lascio che sia Mello a parlare.
Mello sospira “Vedi Watari, dopo che sia tu che L siete deceduti, Light, che lavorava nella vostra stessa squadra e di cui nessuno a parte voi sospettava nulla, ha preso il posto di L senza che nessuno alla Wammy’s House e nel mondo in generale sospettasse nulla. Solo il messaggio autocontrollato e programmato da un tuo computer personale ci ha informato della morte di entrambi. Noi soli sapevamo la verità del falso L. La cosa che mi lascia più perplesso è che in questi sei anni Light Yagami è riuscito ad impersonare L, Coin e Deneuve risolvendo i casi che la polizia di tutto il mondo, ignara, gli commissionava, continuando ad essere in realtà Kira e dando la caccia a sé stesso insieme alla sua squadra. Una persona comune non avrebbe mai potuto fare tutto ciò, e questo mi fa pensare che lui, più di me e Near, fosse pari a te, L, anche se di certo non ne era degno”
Oh, lui è sicuramente pari a me.
Era uno dei motivi per cui lo odiavo.
Era all’altezza di L senza la mia stranezza, senza il bisogno di mangiare dolci ad ogni ora, senza aver bisogno di sedersi in posizioni assurde, senza le mie occhiaie o la mia trascuratezza. Se la genialità da me ha dovuto esigere un prezzo, a lui è stata donata gratuitamente, senza alterarne la perfezione.
Era tanto simile a me in molti aspetti, tanto opposto in altri, forse in senso migliore.
Era uno dei motivi per cui lo amavo, anche.
Ad un certo punto, Mello rompe il silenzio che si è creato.
“Devo andare” sussurra. “Devo cercare Matt”
A quelle parole Watari si porta una mano al petto, seguito da un’esclamazione di sbigottimento. “Anche Matt! Non è possibile!”
Mello annuisce, guardandosi la punta delle scarpe.
Ed è in quel momento che mi accorgo di un dettaglio che prima mi era sfuggito: dietro la figura di Mello, all’altezza delle spalle, c’è un’ombra nera opalescente, che sembra muoversi ad ogni suo movimento. Come se sulla sua schiena ci fosse uno dei buchi neri che si studiano in astronomia. Porta questa ombra simil circolare senza una forma o un confine preciso dietro di sé, come uno zaino, e mi domando cosa sia, dato che né io né Watari abbiamo una caratteristica simile, nel Mu.
E mentre osservo quell’ombra l’istinto di allontanarmi da lui diventa ancora più intenso.
E poi ricordo di colpo le parole del guardiano, prima del Rito di Espiazione.
“Alcune anime, definite Inetti, vengono evitate ed isolate dalle anime dei Redenti, ossia quelli che hanno purificato completamente la loro anima, in quanto esse sono portatrici di peccato. Le anime Inette erano persone che, nonostante abbiano superato il Rito di Espiazione, devono completare il processo di purificazione nel Mu.”
Ricordo anche che mi disse che avrei riconosciuto quelle anime in mezzo alle anime purificate, e di colpo capisco cosa significhi quell’ombra.
Probabilmente Mello in vita sua ha compiuto delle azioni non proprio oneste e legittime, ed ora ha un’eternità a disposizione per redimersi completamente. Chissà se quell’ombra è visibile anche a lui oppure solamente a noi. Forse per raggiungere il suo scopo ha dovuto ricorrere a mezzi estremi. Ricordo il suo lato trasgressivo e ribelle sin dall’adolescenza, in effetti, mi stupirebbe se fosse diversamente.
Credo che Watari sia giunto più o meno alla mia stessa conclusione perché con la coda dell’occhio vedo che fissa il punto alle spalle di Mello in cui si trova l’ombra nera, e pare irrigidirsi lentamente.
Mello fa spallucce, come se sapesse quello che entrambi stiamo pensando.
“Troverò la retta via” sussurra. E poi, come se si ricordasse di colpo di qualcosa che ha dimenticato, sussulta. “Ma prima devo trovare Matt”
Detto questo, si volta ed riprende a camminare nella direzione opposta alla nostra. Dopo qualche metro si volta verso di noi e ci guarda con un mezzo sorriso, questa volta sincero.
“Se non ci rivedremo più, addio.”
Io e Watari sorridiamo in risposta, nessuno dei due prova a fermarlo, coscienti del fatto che non ha bisogno di noi per trovare la pace. Forse Matt lo aiuterà, o forse si aiuteranno a vicenda.
Lentamente, ognuno assorto nei nostri pensieri, ci dirigiamo di ritorno al quartier generale, ormai diventato una sorta di casa e di ancora di salvezza in questo nulla.
 
Impossibile dire quante settimane, mesi, o anni siano passati da quando io e Watari ci siamo ritrovati qui, dato che non esiste un alternarsi di giorno e notte, ma solo uno scorrere lento delle nuvole nel cielo.
A volte il sole è coperto, a volte splende solitario, ma non vi è nessun indice dello scorrere del tempo: non c’è alba né tramonto, questo sole irreale non si sposta mai, non scalda, non crea nessuna ombra dietro ai palazzi o alle persone.
Una cosa è certa, se non avessi incontrato Watari, probabilmente sarei impazzito nel restare in questo ambiente immobile e mutacico in totale solitudine.
Quando mi trovo da solo infatti, mi capita di avvertire una sensazione di angoscia e di vuoto, come se dentro di me ci fosse la convinzione di non riuscire a risanare completamente le mie cicatrici.
Come se sapessi già che non troverò una cura, senza nemmeno conoscere la malattia.
Come se mi mancasse qualcosa.
Anche se Watari non ha mai sollevato l’argomento, so che ha capito che qualcosa non va. Non che ci sia mai stato qualcosa di giusto o di normale in me.
A volte, quando sono assorto nei miei pensieri o quando all’improvviso mi allontano senza accennarne il motivo, percepisco il suo sguardo su di me. E quando mi volto verso di lui, lui volge la vista altrove e finge indifferenza.
Mi conosce molto bene e ha sempre avuto la capacità di carpire le mie emozioni, che a stento trapelavano dalla mia espressione.
Un giorno, in uno dei miei tanti momenti di mutismo, mentre sono mentalmente perso nei miei grattacapi, la sua voce rompe il silenzio che pareva tangibile.
“Lo stai aspettando, non è vero?”
Fingere di non capire o cambiare argomento questa volta non funzionerà, e non credo che abbia nemmeno senso. Quando gli rispondo, dopo qualche secondo di troppo, continuo a fissare la finestra di fronte a me.
“Si”
  
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