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Autore: crazyfred    29/01/2021    1 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 23 - Nono mese o Piccoli  grandi traguardi
 



 
"Zia mi presteresti il tuo top rosso?" domandò Isabella, spalancando la porta del bagno, senza chiedere permesso. In foresteria erano rimaste da sole, e Isabella ormai si era sistemata proprio come fosse casa sua in tutto e per tutto, appropriandosi anche della stanza dove prima dormivano Vincenzo e sua figlia. Si trovò davanti la zia, avvolta in un telo da bagno, i capelli raccolti in un turbante e la faccia impiastricciata dall'argilla ancora fresca che passava il rasoio sulle gambe. "Vai da qualche parte?" domandò la nipote, prima che la zia potesse rispondere alla sua richiesta e distrarla dalla sua curiosità. "C'è bisogno di dover andare da qualche parte per coccolarsi un po'?" puntualizzò Valeria "e comunque…che ci devi fare con il mio top rosso? Ne hai uno anche tu!" "Ma il tuo è più carino e stasera Klaus mi porta a ballare, non voglio andarci come una contadinella o la figlia di un taglialegna"
Klaus era cresciuto tra i cavalli e le rigide regole dei völkischen econazisti, la sua massima esperienza di divertimento era un falò durante un campeggio con i genitori o la lettura di Schopenhauer e Nietzche. Da quando era riuscito a staccarsi dall'influenza malsana di suo padre, lavoricchiando e frequentando la scuola, insieme alla sua ragazza si stava avvicinando ad un mondo più adatto alla sua età. Conservando le sue passioni, certo - la lettura e la fotografia - ma senza disdegnare una serata in comitiva con della musica e qualcosa da bere.
"Va bene, prendilo, ma se trovo una macchia sei morta. Patti chiari, amicizia lunga!" "Grazie, zia!" esclamò la nipote, mandandole un bacio con la mano "tanto con Vincenzo è meglio se rimani sul semplice, l'ultima volta che ti sei messa in ghingheri non è andata molto bene"
"E te che ne sai che vedo Vincenzo?" "Perché c'è del vino in frigo … guarda caso del tipo che piace a lui … e qui non se ne beve da quando lui è andato via" "E va bene …." "Qui o da lui?" "Da lui, mi ha invitato a cena" "Ah beh se è così allora se non ti dispiace vado a dormire da Klaus" "Non se ne parla nemmeno. Tu torni a dormire qui signorina, questa sarà pure una foresteria, ma non è un albergo" "Perché tu sì e io no?" "Che significa? Vado solo a cena a fuori."
Per un attimo, i ruoli tra le due si invertirono. Isabella guardò la zia con lo sguardo di chi la sapeva lunga e non si sarebbe mai bevuto quella scusa. Ovviamente voleva solo che sua zia fosse felice: non avevano avuto un inizio facile, quando si erano trovate a vivere insieme dopo la morte della madre, ma Valeria aveva saputo conquistare la sua fiducia. E per l'autorità, nella quale a volte la giovane forestale era deficitaria, c'era Vincenzo; quello era un altro motivo per cui Isabella tifava affinché la situazione andasse al sodo: in lui aveva trovato la figura paterna che le era mancata quando il padre aveva fatto armi e bagagli e se n'era andato in giro per il mondo a scalare montagne lasciando lei, sua madre e una casa distrutta.
"Che c'è?" domandò Valeria, vedendola sorridente mentre usciva dal bagno. "Niente…pensavo…" "A cosa?" "Se fai tanto la misteriosa significa che di questa seratina non sa niente nessuno. L'hai detto ad Emma, vero?" Valeria non rispose, tuffandosi nell'acqua calda con cui aveva riempito il lavandino per togliere via la maschera. "Ah…e così non l'hai detto neanche alla tua migliore amica!!! Oh zia sei in un mare di guai" Isabella gongolava, la voce acuta e dai toni beffardi. "Non ti azzardare a dirle nulla, Isa" le intimò Valeria, seria più che mai. Niente di personale con Emma, non c'era un particolare motivo per cui non volesse renderla partecipe, sentiva però di dover fare questa cosa, qualsiasi cosa fosse, senza che nessuno mettesse bocca o fosse sugli spalti a fare il tifo, mettendole pressione. Lei e Vincenzo non erano attori e quello non era uno spettacolo. Quando fosse stata sicura e pronta, Emma sarebbe stata la prima persona con cui parlare.
"Beh se non vuoi che parli …" "Cosa vuoi?" domandò sua zia, arrendendosi. "Restare a dormire da Klaus, semplice. Così non avrò la più pallida idea del se o del quando rincaserai" "Questo è un ricatto bello e buono, però." La ragazza fece spallucce. Come dire: o mangi questa minestra, o ti butti dalla finestra! La sua non era una famiglia, pensò Valeria, era un'associazione a delinquere. Ma non poteva rischiare e finì per assecondare la nipote, con tutte le raccomandazioni del caso. Odiava fare la parte dell'adulta responsabile e bacchettona, quando, a conti fatti, era la prima ad uscire dai ranghi, ma sapeva cosa si provava, da ragazzi, a fare una cazzata che ti cambia la vita e non voleva che accadesse anche ad Isabella.
 
Valeria parcheggiò l'auto di fronte al condominio di Vincenzo. Tirò su il freno a mano violentemente, aggrappandosi con tutte le sue forze alla leva come se da quello dipendesse la sua vita. Tirò su un gran respiro. "Non fare la cretina!" si rimproverò, controllando il trucco allo specchietto dell'aletta parasole. Non doveva finire come l'ultima volta che avevano trascorso una serata insieme, stavolta ce l'avrebbe messa tutta. Bisognava solo che fossero sé stessi, senza finzioni o ipocrisie: si conoscevano e non avevano bisogno di recitare alcuna parte per convincersi di poter funzionare.
Prese la bottiglia di vino - non aveva perso nemmeno tempo a metterla in un pacchetto - e s'incamminò verso il portone. In lontananza, sull'altopiano che si stagliava alle spalle del palazzo, gli alberi assumevano diverse ombreggiature, a seconda di come i raggi del sole, al tramonto, si posavano su di loro; qua e là, nel verde cupo dei boschi e quello brillante dei prati, si poteva già scorgere un accenno del goldener Herbst, come lo chiamavano da quelle parti, l'autunno dorato che li aspettava di lì a breve, con i larici che si tingono di giallo a fare da contrasto al bianco delle cime e al blu del cielo. Non c'erano molte cose che le erano mancate di casa, ma la magia della natura che vive tutt'intorno, quello sì.
 
"Ma come, non dovevi portare la birra?" domandò Vincenzo, prendendo la bottiglia di vino dalle mani di Valeria. "Non volevo correre il rischio di trovarmi tua madre alla porta" fece notare Valeria, scherzosa, ricordando la battuta fatta dall'uomo "hai detto tu che per certe cose ha un sesto senso da paura" "E pure tu tieni ragione … vieni, accomodati!"
C'era tensione tra i due, ma si percepiva che era positiva e non quell'imbarazzo ostile che frena ogni buona intenzione. Entrando nell'appartamento, infatti, si erano scambiati un bacio fugace, forse un po' goffo, a metà tra le labbra e le guance, incerti o meno se dare seguito a quanto accaduto un paio di giorni prima. Valeria aveva ancora impressi nella memoria quei pochi minuti che le erano parsi un'eternità, il contrasto tra le labbra morbide e la barba pungente e il calore delle braccia che l'avevano accolta. Si era sentita su una nuvola ed era pronta a provare ancora quella sensazione di benessere.
Vincenzo, dal canto suo, si sentiva libero da ogni preoccupazione o timore come non gli era mai capitato. Aveva sbottonato la camicia e arrotolato le maniche, ma non era solo per praticità ai fornelli: sciolto da ogni vincolo e da ogni pressione, non sentiva più l'affanno di dover provare a meritarsi quello che stava vivendo; com'era Valeria lo sapeva, tutto - pregi e difetti - era finito sul piatto e Valeria era pronta a prenderlo con sé.
"Mmm che profumino …" si complimentò la forestale, sedendo allo sgabello della penisola da cui osservava Vincenzo all'opera davanti ad una padella di vongole che aspettavano solo di ricevere gli spaghetti al dente "dove lo hai trovato tutto questo ben di Dio? Il mare non è esattamente dietro l'angolo …"
"Ho scoperto che gli alberghi qui intorno sono pieni di cuochi napoletani … mi sono raccomandato ad uno di loro. Essere il commissario ogni tanto ha i suoi vantaggi" ammise, un po' imbarazzato. "Ma sì, dai! Ogni tanto ci sta … e poi l'hai pagato, mica hai chiesto una fornitura gratis in cambio di uno sconto su una multa!" Vincenzo tacque, guardandola, ambiguo. "Non mi dire che veramente non l'hai pagato?" Vincenzo scoppiò a ridere, non poteva credere di avergliela fatta
Era piacevole scherzare e prendersi in giro apertamente, senza paura di offendere, ridere anche di fronte alle battute più stupide di cui di solito ci si vergogna o per le quali si sorride per forza, per non sembrare sgarbati.
Fu una serata a misura loro, senza affannarsi a piacersi, perché sapevano già che era così, senza cercare di apparire migliori, perché non dovevano temere il giudizio dell'altro. Erano totalmente concentrati sul presente, godendosi ogni minuto che trascorrevano insieme, ogni brindisi, ogni risata, ogni boccone, persino il bisticcio per chi dovesse sparecchiare la tavola a fine pasto; sapevano che sarebbe arrivato un momento in cui pensare a cosa fare nel dopocena, se salutarsi, darsi un nuovo appuntamento oppure continuare la serata; ma non era il loro pensiero fisso: l'unico obiettivo, per entrambi, era stare bene insieme.
Si spostarono sul terrazzino del salotto che affacciava sulle montagne ormai illuminate dalle stelle che tra impuntivano il cielo in quella serata limpida e gradevole di fine estate. Valeria si accomodò sul divanetto in legno che arredava il balconcino assieme ad un tavolino. Fosse stato per Vincenzo, l'unico arredo sarebbe stata una corda per stendere il bucato, ma - e aveva dovuto convenirne anche lui - l'opzione di Valeria era stata di gran lunga migliore. La giovane donna tolse i sandali e poggiò i piedi, nudi, sul tavolino basso di fronte a lei. Non sarebbe stata una cosa carina da fare, ma si sentiva a casa, sapeva che Vincenzo non avrebbe detto nulla.
L'uomo le porse una coppa di gelato. "Abbiamo anche il dessert …!" enfatizzò Valeria. "Beh l'altra volta non l'abbiamo preso" chiosò Vincenzo, sedendosi accanto a lei. Provò a mostrare nonchalance, ma era difficile restare indifferenti, nonostante il tenue barlume di una candela alla citronella, alle gambe toniche e appena abbronzate in bella mostra davanti a lui grazie ad un abitino a fiori che a lui sembrava più un copricostume.
"L'altra volta non c'era niente per cui valesse la pena chiudere la serata in dolcezza" considerò Valeria, guardando il paesaggio, assorta. Oltre i tetti delle case vicine, sui monti intorno si scorgeva qualche luce accesa dai masi e dai rifugi che coglievano al massimo le opportunità e le ricchezze offerte dalla bella stagione. Ma non era, in fondo, quello che facevano tutti? Fare il pieno di vita nei luminosi e caldi mesi estiva, prima che l'inverno li riportasse nel chiuso delle proprie case e al buio delle giornate sempre più corte. Quello che, sperava, potessero fare loro, magari quella sera stessa.
"E questa lo merita?" domandò il commissario. "Decisamente. Sono stata bene" affermò la giovane "anzi, sto bene. Molto bene."
Quel suo modo di fare, come se quello che accadeva tra di loro fosse la cosa più naturale del mondo, la distratta disinvoltura con cui stava gustando quel gelato, mandava Vincenzo fuori di testa. Sembrava assurdo, ma era esattamente quello che aveva sempre cercato; era bella, da paura, e averla lì a suo fianco, docile e ribelle allo stesso tempo, gli faceva ribollire il sangue, ma non era solo per quello: poteva smettere di affannarsi ad essere chi non era, perché l'uomo migliore ce l'aveva già dentro, bastava che qualcuno lo accettasse per come fosse.
"Uhm non ti ho chiesto…" scattò Valeria, di punto in bianco "poi com'è andata con Eva?" "Tutto bene, come ti ho detto" Vincenzo tagliò corto. Quando si erano sentiti per l'invito, dopo che Eva e la bambina erano partite, lui le aveva detto di stare tranquilla, che Mela non gliel'avrebbe portata via nessuno, ma non aveva approfondito perché voleva che capisse che, per lui, Eva apparteneva al passato.
"Quindi non torna in Italia?" "Sì che torna, ma la bambina rimane qui" "E tu ti fidi?" "Vale" la fermò risoluto, il dito indice che premeva sulle labbra di lei "dobbiamo parlare di Eva?" Valeria tacque, scuotendo la testa. Aveva ragione, stavano andando così bene, non c'era alcun motivo per rovinare tutto.
In quel momento però, non aveva margini per far spaziare il suo pensiero. Tutta la sua concentrazione puntava a quel dito che ancora si soffermava sulle sue labbra. Non era un'educanda e non avrebbe fatto finta che la cosa non la eccitasse. Ma doveva andarci piano perché lei era Valeria e Vincenzo … beh lui era Vincenzo, non sapevi mai cosa aspettarti da lui: un attimo rigoroso, l'attimo dopo pronto a sovvertire ogni sua abitudine. Ma era anche questa dose di imprevedibilità che aveva colto la sua attenzione, del resto.
Vincenzo mosse leggermente il dito verso l'angolo della bocca e con il dorso pulì un piccolo baffetto di gelato che le macchiava il bordo del labbro superiore.
"E cosa dovremmo fare allora?" domandò lei, da finta ingenua. "Io una mezza idea ce l'avrei" confessò l'uomo, la voce roca, calda, come uno dei caffè che lui aveva preparato per lei tante volte in foresteria, mentre con l'altra mano delicatamente le sfiorava la schiena. Valeria. Tolse i piedi dal tavolino, e sentì un brivido lungo tutto il corpo che la incoraggiò a fare la sua parte; alzandosi, prese la ciotolina dalle mani di lui e tornò all'interno, ancora scalza, facendo attenzione a che recepisse, attraverso il suo sguardo e un'andatura leggermente ancheggiante, il suo invito ad entrare in casa. Non fece in tempo ad arrivare al lavandino nella zona cucina che le note marine del profumo di Vincenzo la cogliesse di spalle prima ancora che le braccia dell'uomo la cingessero. Percepiva il viso dell'uomo muoversi lungo il collo tra i ricci del suo caschetto, provocandole una lieve ma piacevole sensazione di solletico che si trasformò in una scossa, non appena le labbra si fermarono a lasciarle un bacio, laddove sentiva forte, per l'emozione, il sangue pompare verso la testa.
"Perché ci abbiamo messo tutto questo tempo?" le sussurrò Vincenzo all'orecchio. "Perché siamo due stupidi, ecco perché…" Valeria si voltò e stavolta si sentì sicura abbastanza da non staccare un attimo lo sguardo dell'uomo, il suo uomo, guardandolo dritto negli occhi, neri come il cioccolato fondente del gelato che avevano mangiato, le insicurezze svanite come gli abiti che di lì a poco avrebbero cosparso il pavimento. Avevano passato mesi a non dirsi nulla, ad ignorare quello che sentivano ed ora, clamorosamente, tutto quello che provavano stava venendo fuori senza dirsi una parola.
Appoggiati al bancone della cucina, stavano stretti l'uno all'altro, incollati quasi, come se non fossero due persone ma una cosa sola; non c'era il rischio che i vicini guardassero lo spettacolo dalle finestre aperte: freneticamente, le loro mani erano corse all'interruttore sulla parete per garantirsi la privacy necessaria, non era della vista che avevano bisogno.  
La tirò a sé, reclamando la sua bocca, avido e intenso, mettendo a tacere tutti i loro pensieri con i loro sapori che si mischiavano. Vincenzo non aveva una fisicità dirompente, di quelle che una donna desidera di poter avere per sé guardando un film o sognando di notte, né lei si sentiva una modella di Playboy; ma avevano giocato troppo con il fuoco perché, alla fine, non divampasse un incendio.
 
La prima cosa che Valeria notò, svegliandosi, prima ancora di aprire gli occhi, fu la fragranza di dopobarba che riempì il suo respiro. Con la testa sprofondata nel cuscino, era come fare il pieno di lui prima ancora di vederlo, sentirlo o toccarlo. Si lasciò scappare un sorriso, serena e appagata.
"Siamo di buon'umore" commentò Vincenzo, entrando in stanza con un vassoio da colazione e poggiandolo sul letto. Valeria si tirò su e iniziò a rovistare tra le lenzuola e il pavimento per cercare gli slip e il reggiseno, ricomponendo quella chioma informe che la notte le aveva lasciato. "Metti questa" le disse l'uomo, sorridendo timidamente mentre le passava una sua maglietta bianca "il reggiseno è di là". Era abbastanza sicura di non essere arrivata vestita in camera da letto, ma era troppo impegnata da altro per ricordare quel dettaglio.
"Grazie" esclamò, ancora un po' sonnacchiosa, stiracchiandosi dopo aver infilato la t-shirt. Vincenzo si avvicinò a lei, poggiandole un bacio sulla guancia. Valeria però non era soddisfatta: accarezzò il viso dell'uomo, grattandogli leggermente la barba ispida, e gli stampò un lungo bacio sulle labbra. Ora che poteva, era ben decisa non fare più tanti complimenti. "Dormito bene?" le domandò sedendosi di fronte a Valeria che aveva portato il tavolino sopra le sue gambe incrociate. Valeria annuì soddisfatta, come una bimba alle giostre. "Ho messo un po' di tutto visto non mangi mai la stessa cosa a colazione" Era vero e quasi si commosse all'idea che lui se ne fosse ricordato. "Se ti va qualcos'altro basta chiedere" "No" scosse forte la testa, accarezzandolo di nuovo, dolcemente "va benissimo così."
Presero il caffè, che per l'occasione aveva fatto come si deve, come diceva lui, alla cuccumella, e un po' di pane tostato con burro e marmellata che era un po' la sua madeleine, il ricordo delle colazioni a casa della nonna con le confetture e il burro che si facevano ancora in casa quando lei era bambina. Mentre facevano colazione, Eva inviò delle foto di Mela in costume da bagno che faceva i suoi primi castelli di sabbia. Si persero a parlare di lei, di come sarebbe stato fare coppia con la bambina; non erano preoccupati: in fondo, lei li aveva sempre visti insieme.
"Non ti sto mica creando problemi a trattenerti qui?" chiese Vincenzo, notando che l'ora della colazione era sforata da un pezzo. "Non finché non lo fai con la forza" ironizzò la giovane, strizzando l'occhio "no tranquillo, sono in ferie per qualche giorno." "E tua nipote? Di sicuro vorrà qualche spiegazione quando tornerai in foresteria … " "Isa? A parte che non c'è bisogno di spiegarle nulla perché sa già tutto quello che c'è da sapere … comunque è rimasta a dormire da Klaus" "E tu l'hai lasciata fare?" "Diciamo che è stato un compromesso necessario per essere qui adesso." "Beh allora…" Vincenzo alzò le mani, in segno di resa. Stava aiutando Valeria nel fare un po' da genitore alla ragazza e anche lui, come lei, sentiva forte il senso di responsabilità nei suoi confronti. Ma sapevano anche che - gusti musicali a parte - lei e Klaus erano quasi noiosamente affidabili e, al di fuori di qualche bagno nel lago fuori stagione o una campeggio in quota, non davano loro grandi preoccupazioni.
"Cosa vuoi fare oggi?" domandò l'uomo "Sono in ferie anche io, sai …" "A parte stare nel letto tutto il giorno a non fare niente?" chiese Valeria, ironicamente, spaparanzandosi di nuovo nel letto. "Potremmo riprendere la mezza idea di ieri sera, che ne dici?" propose.
L'uomo si portò su di lei, togliendo di mezzo il vassoio. Valeria spostò un ricciolo scomposto che gli era sceso sulla fronte; sempre ben pettinato, non si era mai resa conto di quella chioma ribelle, esattamente come la sua. "Mmmm…mi piace fare l'amore con te" confessò l'uomo, tra un bacio e l'altro "ma prima o poi dovremmo lasciarlo questo letto …", rammaricato di dover ricordare l'inevitabile. "Noooo non vogliooooo!!!" esclamò Valeria, imitando la lagna di bambina capricciosa; si aggrappò al collo e ai fianchi di Vincenzo con braccia e gambe, ridendo fragorosamente quando, perdendo l'equilibrio, quasi le cadde addosso, schiacciandola. Per non pesarle addosso, lui rotolò nel letto e fece in modo che Valeria finisse seduta sopra di lui. Rialzandosi, lei posò le mani fermamente sul suo sterno. "Posso chiederti un favore?" "Tutto quello che vuoi…" "Lasciamo le cose così come stanno per un po'." "Che cosa significa?" domandò Vincenzo, perplesso: aveva sinceramente paura che potessero fare 10 passi indietro per quel passo avanti, seppure enorme, che avevano appena fatto. "Non diciamo niente a nessuno … almeno finché non torniamo a lavoro. Poi si vedrà."
Vincenzo tirò un sospiro di sollievo. "Va bene" rispose "ma … ma perché? Lo sai … non sono un tipo romantico, non ho bisogno di passeggiate mano nella mano, né tantomeno andare in centro ad esibirsi … ma penso sia un segreto di Pulcinella che … come dire … ci stavamo provando. L'hai detto anche tu che tua nipote ha capito."
"Sì ma un conto è una persona e un conto sono i tremila sancandidesi che ci conoscono. Tra cui vorrei ricordarti che ci sono Huber, Francesco, Emma …" spiegò, alzando gli occhi al cielo "io non ho dimestichezza con le relazioni a tempo indeterminato e finora ognuno di loro si è sentito in dovere di dire la sua."
Vincenzo lasciò andare un sospiro, pur sorridendo. Era vero che si erano impicciati, ma era anche vero che, senza una spintarella, quella mattina non sarebbero stati lì, lei con una sua maglietta addosso, seduta su di lui, a discutere della loro relazione. Non ci sarebbe stata nessuna relazione, ad essere precisi. "Per un po' voglio provare a camminare da sola." "No" replicò Vincenzo. "Come no?" "Non da sola. Con me."
Valeria gli sorrise, sollevata. Lo prese per il collo della maglietta, nonostante le sue rimostranze, e lo attirò a sé per baciarlo, le mani di lui che le accarezzavano le cosce e risalire su, sotto la maglietta. Finalmente aveva conosciuto anche lei cosa si provava ad avere qualcuno che puoi chiamare tuo. Era una sensazione di perfetta felicità e pienezza, l'avrebbe stretta a sé forte come forti le sue braccia si stringevano al collo del suo uomo.
 
"Pensi che abbiamo comprato mica troppe cose?" domandò Emma, perplessa, mentre Francesco poggiava a terra, nella stanza del bebé, buste di tutine, body, pannolini e quanto altro fosse necessario per un bimbo appena nato, almeno agli occhi di una madre alla prima esperienza.
Era arrivato il momento di preparare la borsa per l'ospedale, visto che, sebbene procedesse tutto regolarmente, nessuno poteva escludere scherzetti come un parto anticipato; Emma a suo dire si era lasciata prendere la mano, ma tra gli scaffali del reparto 0-6 mesi ci avrebbe passato un'intera giornata con gli occhioni a cuoricino e l'imbarazzo della scelta. Non era mai stata una spendacciona, lo shopping era una cosa che faceva per necessità e per passare del tempo con la sua migliore amica, ma ora era tutta un'altra cosa: era un modo per sentire ancora più concretamente, se ce ne fosse bisogno, che stava per diventare mamma.
"Credimi amore, dopo il primo mese ti chiederai se forse non erano troppo poche ..."
Francesco ricordava come fosse ieri quante tutine non durassero neanche 5 minuti addosso a Marco, per via di un rigurgito o un bisognino più abbondante del solito. Ricordava bene quanta poca voglia, forza o tempo ci fosse, spesso, di lavare tutto subito: meglio allora avere un armadio pieno che, doversi affannare. E poi, su una cosa Emma aveva ragione: i negozi per bambini erano un girone dell'inferno, perché non si riesce a non essere attratti da qualcosa. Erano determinati ad acquistare solo tutine dai colori neutri, visto che non avevano voluto conoscere il sesso del nascituro, ma c'era mancato poco che Francesco non imboscasse, tra le tutine bianche, gialle o con stampe di animaletti, una tutta rosa con la scritta "Sono la principessa di mamma e papà". Si fosse visto così qualche anno prima, probabilmente si sarebbe tirato uno schiaffo da solo. Ti sei rammollito, si sarebbe detto. Ma non si era mai sentito meglio di così, e non avrebbe cambiato di una virgola le cose.
"Dai, ci penso io" le disse, vedendola chinarsi per vuotare le buste "riposati un po' che se sei stata in piedi tutto il pomeriggio" "Tranquillo, devo solo togliere un paio di cose, il resto va tutto lavato, ma lo faccio domani con calma" "Allora vado a sistemare camera di Leo … e domani ti aiuto" la avvertì, con un copione che ormai andava avanti da settimane: Emma provava a convincerlo di essere in grado di … esistere, in sostanza, e lui che la trattava come una fragile statuetta di cristallo.
In meno di una settimana il bambino avrebbe iniziato a frequentare l'asilo ed andava completato il corredino anche per lui. Entrando in stanza, dalla finestra aperta l'uomo sentiva il bambino giocare con Luna in giardino; si affacciò brevemente, per controllare: la cucciolotta era davvero ancora troppo piccola per impensierirlo, ma nei mesi a venire avrebbe dovuto lavorare con lei che, crescendo, avrebbe potuto non controllare la sua forza in quelli che, per lei, sono solo giochi.
Mentre appendeva alle grucce i grembiulini a quadretti azzurri e il giacchino nuovo - il piccolo cresceva e addosso i vestiti gli duravano a malapena una stagione - ebbe un flash, come un déjà-vu; sì, quegli stessi gesti li aveva già compiuti tante volte, o così a lui sembrava, anche se spesso era lontano da casa e il "mestiere" di padre era quello che praticava meno durante l'anno. Ora, passando giorno dopo giorno insieme a Leonardo, si rendeva conto di quanto poco tempo avesse dedicato a Marco, mettendo la sua carriera militare al primo posto. Gli piaceva tornare a casa, le coccole, i giochi, i weekend fuori porta e le sere passate a raccontare quelle che, alle orecchie di un bambino, sembravano le imprese di un eroe. Lo faceva sentire importante e, forse, gli ripuliva la coscienza da quelle che, in realtà, erano pesanti assenze. Forse, in cuor suo, anche allora lo sapeva. I giorni di licenza duravano sempre di più di quanto volesse; adesso, invece, non riusciva ad immaginarsi lontano da casa più delle ore previste dal suo turno di lavoro. La differenza, ormai era chiaro, la faceva la persona che aveva al suo fianco.
Fino a qualche mese prima, sicuramente, a quella considerazione, se ne sarebbe fatto una colpa, ma ora non più: nessuno ti insegna a fare il padre e si va avanti per tentativi, evitando di sbagliare e correggendosi. Non era un tipo da trovare scuse, ma era realistico pensare che, le circostanze in cui era avvenuta la sua prima paternità non lo avevano favorito: tra una licenza e l'altra Livia si era accorta di essere rimasta incinta e, da persona buona ed onorevole quale si reputava, si era sentito in dovere di fare la cosa giusta, sposandola e formando una famiglia. Sentiva forte il suo senso di responsabilità nei confronti di quella creaturina, determinato ad essere per lui tutto quello che, anni prima, suo padre non era stato.
Proprio come nei mesi che precedettero l'arrivo di Marco, Francesco pensava spesso ai suoi genitori negli ultimi tempi. Sua madre se n'era andata troppo presto, la sua dolcezza e la sua guida forse gli avrebbero risparmiato molti degli errori e delle ribellioni dei suoi anni giovanili. Sei tutto tua madre, gli ripetevano sempre, da ragazzo, ma lui, spesso, pensava che fosse sprecato assomigliarle senza averne ereditato il suo buon cuore. Avresti adorato Emma, pensò, sorridendo.
Con suo padre, invece, era stata tutta un'altra storia: lo capiva di più ora, con gli anni che aveva dietro le spalle, l'esperienza accumulata e anche i dolori che aveva vissuto. Non era facile andare avanti senza una donna al proprio fianco, tanto più con una donna tanto speciale che amava alla follia. Si ricordava di un giradischi e dei genitori che ballavano spensierati, delle torte di compleanno al cioccolato e delle domeniche a Villa Borghese: ma era troppo piccolo perché il ricordo fosse ancora nitido; poi arrivò il lutto e tutto divenne, di giorno in giorno, più diverso e triste. Complici i loro caratteri identici, schivi e poco avvezzi a grandi dimostrazioni d'affetto, i due erano in costante contrasto, nonostante fosse l'ultima cosa di cui entrambi avessero bisogno. Ad ogni desiderio di Francesco faceva seguito un no, ad ogni no una ribellione, ad ogni ribellione una punizione. Sarebbe bastato confidarsi ed invece avevano finito con l'allontanarsi: suo padre voleva per lui una vita sicura, comoda, facile, nei ranghi, lui aveva risposto arruolandosi nell'esercito e finendo nei servizi speciali.
Persino il matrimonio con Livia era nato come un'incomprensione tra i due: quello che per suo padre voleva essere un  invito a riflettere su una decisione che gli avrebbe cambiato la vita, alle sue orecchie suonò come un "Se te la sposi solo perché è incinta non durerete e quando succederà non venirmi a dire che avevo ragione". Ma non gliel'aveva mai potuto dire.
Erano questi silenzi che aveva giurato di evitare a sé e suo figlio, ma aveva finito con togliergli tempo, tempo prezioso che non avrebbe mai potuto recuperare. Tempo e parole che ora non era più disposto a sprecare. Voleva vivere i suoi figli e voleva farlo appieno. Non poteva prevedere che genitore sarebbe stato: nel bene o nel male, ci sarebbe stato, questa era l'unica cosa che sapeva.
Si sarebbe perso ancora a lungo nel viale dei ricordi se Emma non lo avesse richiamato dal piano di sotto.
"Amore scendi ci sono Antonio e Rosa in videochiamata!"
Da qualche tempo avevano preso l'abitudine di far fare a Leonardo delle lunghe chiacchierate con i nonni. All'inizio era stato un po' difficile far prendere pratica ad Antonio e Rosa con lo smartphone e le varie app, ma dopo l'aiuto iniziale dei loro nipoti alla fine erano riusciti a diventare autonomi. "Dai Leo fai riposare Luna cinque minuti e vieni a salutare i nonni!" Emma incalzava il piccolo in piedi all'ingresso di casa, una mano a massaggiarsi la schiena.
Leo sapeva di non essere figlio di Emma e di Francesco, sapeva anche che quelli che per qualche tempo aveva chiamato mamma e papà in realtà non lo erano, dunque i due avevano deciso di essere onesti e aperti con lui. La verità spiegata semplicemente, come un bambino di quattro anni può recepirla, non può fare più danni di una bugia detta per celare cose che non poteva capire. La sua vera mamma e il suo vero papà non c'erano più e Antonio e Rosa erano i genitori della sua vera mamma. Era la verità, non c'era nulla di eclatante e il bambino era felice di avere per sé qualcosa che assomigliasse ad una famiglia come se l'era immaginata.
Leonardo corse verso il salotto dove sapeva che Emma aveva già sistemato il computer sul tavolino di fronte al divano, stringendo tra le braccia la povera Luna che, quasi più grande di lui, si lasciava piuttosto passivamente scorrazzare in giro. Convincerlo a lasciarla andare era sempre un'impresa.
"Ciao! Questo è il mio cane" esclamò, mostrando Luna come un trofeo, mentre i due anziani lo salutavano dallo schermo "si chiama Luna". Meticolosamente, ripeté le stesse parole con cui Francesco gli aveva spiegato perché Luna non era un cane come gli altri e perché bisognava fare con attenzione. Francesco ed Emma lo guardavano dalla porta del salotto, orgogliosi.
"Amore, per favore scusati con Rosa e Antonio" disse Emma, poggiando una mano sul petto del marito "non so quale parte del pupo sta premendo sulla schiena … vorrei stendermi un po'" "Vai pure" le disse, posandole un bacio lieve e accarezzandole la guancia con una nocca.
Francesco sorrise, vedendola incedere verso le scale con la schiena all'indietro e le gambe larghe. Gli piaceva a volte darle sollievo abbracciandola forte da dietro, tenendole la pancia come fosse un peso da portare in due. Andò a sedersi di fianco a Leonardo, liberando la cucciolotta dal suo padroncino. Luna, per tutta risposta, andò ad rannicchiarsi nella sua cesta in corridoio.
"Ciao Francesco, come va?" lo salutò Rosa mentre ancora si sistemava sul divano. Lui ricambiò il saluto agitando brevemente la mano "Tutto bene, grazie, stiamo nel pieno dei preparativi ma niente a cui non si possa sopravvivere…" "Com'è che la chiamano" domandò Antonio "sindrome del nido?" "Ah quella? No no…quella è un'altra storia ...io parlavo di un altro grande giorno. Dillo ai nonni cosa devi fare il primo settembre" Francesco lanciò un occhiolino di complicità alla webcam. L'idea di diventare fratello maggiore sembrava divertire Leonardo, che era stato il più piccolo sia a casa dei genitori adottivi che in casa-famiglia, e i piccoli compiti d'aiuto che Emma e Francesco gli affidavano ogni giorno contribuivano a dargli un senso di responsabilità, ma non erano del tutto sicuri che avesse compreso appieno la differenza tra un cucciolo di uomo e quello di cane. Era molto probabile che si aspettasse un esserino capace di giocare con lui fin dal primo momento: dovevano essere pronti a far fronte a quella delusione. Ecco perché cercavano, per quanto possibile, di fargli capire che la nascita del bambino non avrebbe cambiato nulla nei suoi confronti, rendendo speciale ogni suo piccolo traguardo. "Vado all'asilo" proclamò, orgoglioso; i Moser non lo avevano mandato a scuola: oltre alle loro idee, l'ordine era che nessuno potesse avere anche il minimo sospetto che quel bambino non venisse dall'est Europa ma fosse il figlio di un noto criminale della zona.
"Mamma mia Leo, ma ormai sei proprio grande!" lo lodò Rosa, con una espressione di stupore, anche un tantino esagerata, con le mani sulle guance. Anche Antonio dimostrò lo stesso, identico entusiasmo. Il piccolo, seduto sulle gambe del padre, restò intimidito dai commenti dei nonni e finì col rifugiarsi con il viso sul petto di Francesco. "Mi ha detto l'uccellino che ti è arrivato un pacco speciale per l'occasione, vero?" domandò Antonio. "È vero!" disse, Francesco provando a stimolare una risposta dal bambino "dillo tu ad Antonio cosa ti ha portato il corriere ieri." Il bimbo diede la risposta, dando ancora le spalle alla telecamera, ma così a bassa voce che a malapena Francesco riuscì a sentirlo. "Su Leo, cos'è questa timidezza ora, sono nonno Antonio e nonna Rosa! Mica ti mangiano! Dai…ad alta voce!" Il bimbo si girò finalmente, la testolina bassa e incerta, più impegnato a cercare dove fosse Luna che alla conversazione. "Leo!" lo richiamò Francesco. "Lo zainetto di Po Patrò!" Paw Patrol era il cartone animato preferito di Leonardo; da quando avevano scovato Luna, aveva sempre associato a lei il cagnolino protagonista. "E te lo ricordi chi te lo ha regalato? Te lo ha detto Emma" "Tu!" disse il bambino a Francesco, ridacchiando, come se quello dell'uomo fosse uno scherzo. "Io? No! Sono stati i nonni …" "Davvero?" "Certo…anzi, come si dice ai nonni?" "Grazie!" scandì il piccolo "posso andare a prenderlo, papà?" "Gli vuoi far vedere come ti sta?" Il bimbo annuì e, appena Francesco gli ebbe dato il permesso, corse fuori dalla stanza in un attimo, chiamando a sé Luna che passò davanti alla porta del salotto scattante, contenta di seguire il suo compagno di giochi.
"Ci metteranno un po' … Luna ha ancora qualche problemino con le scale e Leo le sta sempre vicino" "Ti chiama papà adesso, eh?" fece notare Antonio. "Sì" ammise Francesco, in difficoltà di fronte all'uomo; non aveva idea di quale potesse essere la sua reazione. "Sono contento" affermò l'anziano, guardando dritto in camera perché Francesco potesse vederlo bene "hai fatto tanto per lui…te lo meriti tu e se lo merita lui, sinceramente." "Grazie"
Forse era la prima volta, da quando si conoscevano, che sentiva Antonio parlargli così onestamente. Quando aveva sposato Livia prima, facendo il suo dovere, come gli aveva detto allora, e quando era nato Marco, poi, i rapporti tra loro si erano appianati, ma la differenza estrazione sociale - il figlio del meccanico che sposava la figlia di un direttore di banca - non mancava mai di fargliela pesare: gli studi di Livia, il tenore di vita di Livia, le amicizie di Livia. Ne era venuto fuori che Francesco si era dannato l'anima per sentirsi accettato e Antonio non era riuscito mai, fino a quel momento, ad apprezzarlo per le sue vere qualità. Era bastato sedersi e, più che parlare, mettersi all'ascolto.
"Emma invece?" domandò Rosa. Francesco scosse la testa, pur restando sereno. "Bisogna dargli tempo" spiegò "gli assistenti sociali e lo psicologo dicono che era molto legato alla madre adottiva. Emma ed io siamo tranquilli, lei dice che non fa differenza, ma io sono sicuro che succederà"
Ormai, Francesco ne era sicuro, non c'era niente che fosse loro precluso. Un tempo non sarebbe stato così positivo, ma aveva imparato a trovare il lato bello delle cose anche nei momenti difficili, perché la vita non è fatta per essere una serie infinita di momenti felici: piange chi ha avuto il bene e non lo ha più, ride chi ha conosciuto il dolore e smette di provarlo. Quello era il segreto. Il sole, ormai lo aveva imparato, splende sempre: bisogna solo imparare a scorgerlo dietro le nuvole.
   
 
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