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Autore: Cronus    31/01/2021    2 recensioni
World Youth. Finale contro il Brasile. Le mani di Genzo sono ridotte a brandelli dopo lo scontro ravvicinato con Natureza.
In casa Giappone c’è parecchia tensione: i cambi sono finiti perché anche Ishizaki ha dovuto lasciare il campo; per fortuna al suo fianco c’è Yukari. Chi si prenderà invece cura di Genzo?
Genere: Generale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E se poi m'innamoro?






 

 

Le pareti dell’infermeria tremano. Il pubblico, lassù negli spalti, è in delirio. Se ne percepisce il boato dopo ogni azione eclatante della partita. Ma non sono solo le pareti a tremare: tremano le luci dei neon incastonati nel soffitto, trema l’acqua nel suo bicchiere, creando increspature concentriche che si allargano fino al bordo, tremano le sue mani, che, come lembi agonizzanti, piangono sangue vermiglio.
 
I suoi guantoni giacciono sul pavimento, abbandonati come steli di guerra.

Il suo berretto invece, sporco e logorato, lo fissa da sopra il tavolino.

Mi dispiace amico. Anche questa volta non ce l’abbiamo fatta [1], sembra dire.

Genzo tira un lungo sospiro, cercando di regolare la respirazione.

È un supplizio. Un supplizio che dura da parecchio ma al quale non ha mai voluto arrendersi.

Le sue mani sono a brandelli, così come il suo orgoglio. Quel tiro, che quasi sembrava provenire dal sole stesso, ha spazzato via la sua leggenda, la sua tanto chiacchierata imbattibilità da fuori area.

Un rumore lo risveglia dai suoi pensieri. Al di là della tendina il medico sta tamponando il naso di un Ishizaki ancora incosciente. Lo sente muoversi dietro di lui, poi eccolo nuovamente davanti a sé, pronto per l’ennesima fasciatura.

Ma Genzo gli fa cenno di no.

<< Va bene così. >> sussurra << Torni di là se ha finito, io posso aspettare. >> dice.

L’uomo esita fissando quelle mani lesionate, ancora avvolte nelle garze che le hanno protette durante la partita, ma sa bene che Genzo ha ragione. Per lui il tempo è scaduto, non si può fare più niente. La gamba di Misaki, invece, è una bomba a orologeria e il Giappone ha finito i cambi.

<< Abbi cura di te ragazzo. >> sospira dandogli una pacca sulla spalla, poi lascia la stanza e torna in superficie, laddove si sta ancora combattendo una battaglia.

La porta però si apre nuovamente e questa volta entra Yukari. La ragazza si fionda sul letto di Ryo, prendendogli la mano e il difensore finalmente si sveglia.

<< …allora è proprio vero che sei innamorata di me, eh Yukari? >> biascica mezzo intontito.

Genzo fissa la parete bianca davanti a sé, sorride amaro di tanto in tanto, origliando cosa hanno da dirsi quei due. Ishizaki non delude mai, non c’è limite al sarcasmo del compagno di squadra, anche nelle condizioni peggiori trova sempre il modo di sdrammatizzare.

<< Cosa dici, me lo concedi un vero appuntamento? Sai, ho sempre voluto sfoggiarti davanti agli altri… >>

È forse il vuoto che sente all’altezza del cuore, un vuoto pesante come un macigno, a farlo parlare.

Si decide a palesare la sua presenza, alzandosi in piedi e squadrandoli da sopra il separatore << Allora voi due! La smettete di flirtare? Vi ricordo che stanno giocando la partita più importante là fuori. >> fa in tono autoritario.

<< Ha ragione. >> sussurra Ryo a Yukari, improvvisamente serio << Non vorrei mai perdermi il momento in cui Tsubasa segnerà il gol della vittoria. Forza andiamo! >> si tira su a fatica e lascia l’infermeria scortato dalla giovane.

La stanza ripiomba nel suo silenzio fatto di tremolii e boati.

Il senso del dovere lo sta divorando.

Sa bene che non ha bisogno di vedere il continuo del match, lo ha visto negli occhi del suo Capitano, il momento in cui ha dovuto lasciare la porta nelle mani di Wakashimazu, che il Giappone vincerà. Non ha dubbi a riguardo, eppure la curiosità lo logora. Ma c’è qualcosa, qualcosa che lo ferma. Tornare là fuori significherebbe ammettere la sua sconfitta personale e lui, Wakabayashi Genzo, orgoglioso fino al midollo, non vuole dare agli avversari la soddisfazione di vederlo fragile, vulnerabile.

Si china in avanti, coi gomiti sulle ginocchia, e si guarda le mani, quelle mani che tante volte lo hanno salvato e che poche volte lo hanno tradito; le guarda, mentre con gesti lenti e calibrati si decide ad allentare le fasciature che scivolano giù come foglie in autunno.

Un bussare sommesso tuttavia lo riscuote, si volta sulla sedia e la vede.

Ayako lo sta guardando dall’alto verso il basso, ferma sulla soglia, con i piedi ben piantati a terra e le dita strette attorno alla tracolla.

Gli sembra di aver appena visto un fantasma.

<< Ho visto uscire il medico e Ishizaki ma non ho visto uscire te, ho pensato avessi bisogno di aiuto. Yukari mi ha detto che eri qui. >>

Precisa. Risoluta. Dritta al punto.

Peccato solo che Genzo si aspettasse chiunque tranne che lei.

<< Che ci fai qui, ragazzina? >> inizia con tono duro, forse cercando di farla desistere con il suo caratteraccio.

<< Ancora con questa storia… >> sbuffa lei avvicinandosi e posando la borsa sul tavolo << … sono passati quasi dieci anni e ancora ti ostini a chiamarmi ‘ragazzina’ per ripicca. Sei proprio uno sbruffone Wakabayashi! >>

Gli si siede di fronte, del tutto indifferente al fatto che lui sia senza maglietta, madido di sudore, con solo un piccolo asciugamano a coprirgli le spalle e due mani insanguinate.

Sa bene che non è né il momento né il luogo per scherzare eppure non riesce a trattenere un sorriso sghembo.

<< Strano. Non ti ricordavo così combattiva. >> ironizza.

Non può fare a meno di lasciarsi trasportare dai ricordi, fino ai tempi delle elementari, quando Ayako si ostinava a non voler attaccare l’onorifico al suo nome.

Da buon Wakabayashi sapeva bene che era solo uno stupido capriccio il suo, ma dopotutto aveva le sue ragioni: era il miglior portiere della nazione a livello giovanile, era un rappresentante degli studenti e suo padre era uno dei principali benefattori della Shutetsu. Il “-san” sarebbe stato d’obbligo ma lei era tanto orgogliosa da rifiutare qualsiasi compromesso. Era sempre stata una ragazzina impertinente, che adorava mettergli i bastoni fra le ruote, infischiandosene sonoramente delle sue origini altolocate. Per ben cinque anni si erano contesi il ruolo di “sportivo dell’anno”, un premio scolastico che veniva assegnato all’alunno più meritevole dal punto di vista sportivo. Era a causa di ciò che erano sempre stati cane e gatto.

<< Che ci fai qui? >> si ripete, e nel dirlo non può fare a meno di lasciar scivolare gli occhi sul quel corpo.

Pochi incontri sporadici, sparsi nel divenire degli anni, di certo non erano bastati per lasciare un solco nella sua memoria.

Indubbiamente era cresciuta, si era fatta donna, così come lui si era fatto uomo. Sotto sotto però, alcuni atteggiamenti non cambiavano mai. Dal canto suo poteva dire che la Germania lo aveva plasmato, placandone alcuni tratti, inasprendone altri. Che cosa ne era stato invece del caratterino di Ayako?

<< Un mio ex compagno di scuola si gioca un mondiale giovanile… ero venuta ad assistere. >> e mentre lo dice il suo sguardo ricade su quelle bende << Si è infortunato. È un tale testone… io lo so bene! Sono venuta ad accertarmi che fosse tutto a posto. >> raccoglie le sue mani e finalmente le aiuta a liberarsi da quelle costrizioni, lasciando nuda la pelle livida.

<< Tsubasa ha la sua Sanae, Ryo ha la sua Yukari, mi sono chiesta chi si prendesse cura di un tale musone… so che ci vogliono gli attributi per uno come lui e allora eccomi qua. Per caso sei tu Wakabayashi Genzo? Perché a guardarti così non sembrerebbe proprio… >> civetta scrutandolo di sbieco.

Quelle parole lo colpiscono come un proiettile, vorrebbe ridere, ma quelle mani gli ricordano che non c’è proprio nulla di divertente nella sua vita in quel momento. Il suo record è appena andato in frantumi davanti a migliaia di persone, proprio nella partita più importante. Il dolore alle dita è lancinante; inutile negarlo, questa volta non sarà un recupero facile, starà lontano dai campi da calcio per un bel po’.

<< Ayako non sono in vena di … >>

<< Lo so. Ho capito. Dà qua! >> lo interrompe e, imbevendo del cotone nel disinfettante, inizia a passarglielo sulle ferite.

Cala un silenzio surreale, le pareti non vibrano più, il pubblico ammutolito.

Man mano che avanza sulla pelle la vede scuotere la testa, sconsolata << Guarda come ti hanno conciato… >> sospira.

<< Non è una bella visione. Dai, lascia stare… >> cerca di dissuaderla, ma lei insiste prendendo le bende pulite.

<< Non meritano il tuo dolore Genzo. Mettitelo in testa, adesso tu esci da quel tunnel a testa alta e li guardi ad uno ad uno negli occhi, mi hai capito?? Devono tremare al tuo cospetto. >>

Il tono è greve e lei parla con voce rotta, senza guardarlo in faccia. Sul suo volto non c’è più traccia di quella spavalderia che l’ha sempre contraddistinta. C’è invece un sentimento nuovo, che forse è sempre stato lì, nascosto nell’ombra, ma a cui Genzo non ha mai prestato troppa attenzione.

C’è preoccupazione. Sì. Preoccupazione.

Quella che non lo fa dormire la notte. Quella che come un disco rotto gli ricorda che potrebbe anche essere stata la sua ultima partita. La sua ultima parata di una carriera non ancora sbocciata. E la vede lì, la preoccupazione, sull’ultimo volto su cui avrebbe immaginato di scorgerla.

È un attimo: ha un sussulto al livello del cuore, come una stilettata, e di colpo ha la certezza che forse non è proprio così vuoto come aveva creduto.

<< Non ti starai mettendo a frignare eh? >> sdrammatizza.

Lei alza lo sguardo e quelle ciocche di capelli troppo corte sfuggono dalla coda e le ricadono sul viso. Genzo vorrebbe spostarle, mettergliele dietro l’orecchio, ma le sue mani… le sue mani non…

<< Non pensarlo neanche per scherzo! >> si inalbera un poco.

Finalmente riesce a scorgere i suoi occhi, e sono umidi, certo che lo sono.

Classico meccanismo di difesa, pensa. I forti mangiano, i deboli sono carne [2].

Mai farsi vedere vulnerabili Ayako, anche se si è feriti a morte.

<< Hai detto che mi serviva una Sanae… o una Yukari… >> si lascia sfuggire in un sussurro.

<< Sì beh, io… >>

<< … ma venendo qui non hai minimamente pensato alle conseguenze. >> le parole scivolano fuori senza attrito, come se non stesse veramente parlando di sé.

<< Quali conseguenze? >> chiede lei, presa in contropiede.

<< Insomma… E se… >>

<< E se? >> lo incita.

 << … e se poi m’innamoro? >>

Ayako si blocca. Le bende nuove ben strette sui polsi. Esita, mentre lo fissa in quelle iridi ossidiana. È solo un attimo, ma la vede vacillare.

<< Impossibile. Tu non ti puoi innamorare. >> si riprende poi, continuando il bendaggio << Tu sei l’SGGK. >> conclude risoluta.

È un’affermazione, una sentenza.

Che cosa c’è davvero dietro quel soprannome? È davvero solo un termine calcistico? Un epiteto di speranza? [3]

Genzo non se lo è mai chiesto, eppure… eppure per lei sembra esserci di più.

La ragazza chiude la medicazione. Con una clip metallica fissa le garze al livello dei polsi.

Pochi minuti e saranno nuovamente intrise di sangue.

Un nuovo boato li riscuote. Deve andare, ha già aspettato troppo. Il tempo sta per scadere.

Si alza e prende la giacca della nazionale, mettendosela sulle spalle.

Improvvisamente gli è venuto freddo.

Prima di uscire dall’infermeria si volta a guardarla un’ultima volta, fermo sulla soglia, come in bilico su un burrone.

<< Dimmi, se entrando da questa porta avessi trovato un'altra donna già intenta a prendersi cura di me, cosa avresti fatto? >> chiede con una leggerezza che non sente sua, forse di Ryo, ma certamente non sua.

<< Nulla, immagino. Mi sarei scusata e sarei uscita. >> replica Ayako come se fosse la risposta più ovvia del mondo.

<< Tutto qui? >> la stuzzica.

<< Tutto qui. >>

Genzo annuisce serio e lascia la stanza senza guardarsi indietro.

Non ha bisogno di altre parole, ha sentito quello che doveva sentire e gli basta, gli basterà per una vita intera.

Cammina lento verso la luce che lo riporterà in superficie. Là, dove il mondo dei morti incontra quello dei vivi.

Trema il suo cuore, ma non tremano le sue mani; quelle, lo sa già, non tremeranno mai più.
 
 
 
 
 




 

 


 
[1] “Mi dispiace amico, anche questa volta non ce l’abbiamo fatta.” Ho scelto queste parole perché anche nelle qualificazioni asiatiche, in particolare contro la Cina di Shunko Sho, Genzo fu costretto a lasciare il campo dolorante. Questa frase può anche essere intesa in un altro modo: sempre contro la Cina Genzo subì un goal da fuori area, esattamente come accade qui contro il Brasile.
[2]「弱肉強食」è un proverbio giapponese usato per descrivere la legge della giungla o comunque la supremazia dei più forti, letteralmente “I deboli (sono) carne, (che) i forti mangiano”.
[3] “Epiteto di speranza” perché è esattamente ciò che intende Mikami quando per la prima volta gli assegna quel nickname. Nelle Memories II viene spiegato come Tatsuo riponga tutte le sue speranze nel talento di Genzo per poter elevare il livello del calcio giapponese.



Ed eccoci qui.
L’altro giorno rileggevo proprio il World Youth, mia serie preferita di Captain Tsubasa, e una cosa tira l’altra quindi ho incominciato a scrivere. Ovviamente non rispetta tutti gli avvenimenti del capitolo ma ho cercato di stravolgerla il meno possibile.
Ryo è sempre the bestTM quando si tratta di flirtare nel modo meno consono possibile ma devo dire che in questo frangente mi ha fatto sorridere di tenerezza 😊
Ayako è un personaggio di mia invenzione; può essere tutte, può essere nessuna. Non mi è mai piaciuto caratterizzare i miei personaggi nei minimi dettagli perché credo che ogni lettore abbia il diritto di potersi immedesimare.
Anche nel finale mi piace lasciare un po’ di suspense. Interpretatelo come più vi piace ;P
Non la reputo niente di che ma dopo il pazzo Natale di 644 – Christmas’ Eve sono tornata a un genere che (forse) più mi si addice.
Spero vi sia piaciuta. Fatemi sapere cosa ne pensate.
La vostra Cronus.
 
 
 
  
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