Piccoli
avvisi: questa storia è
Mictlancihuatl centric ma ambientata in un tempo in cui ancora non era
Mictlancihuatl. Gli autori della Calaca
de azucar nel primo volume hanno spiegato che era stata una
bambina sacrificata
al Mictlan e in questo sito https://archaeus.it/il-giorno-dei-morti/
viene detto anche che sarebbe nata in una tribù pre-umana di
esseri viventi,
quando il mondo era nuovo, per questo motivo l’ho collocata
nell’Era del Quarto
Sole. Nella mia versione, però, non è una bambina
(bambina lo è nelle fic
ambientate nel 2012): se avete letto le altre fanfic che ho scritto
avrete già capito
che ho fuso la sua storia con quella di una donna umana senza nome che,
secondo
un mito, aveva ricambiato l’amore di Quetzalcoatl dopo che
egli aveva fatto
dono all’umanità della capacità di
amare – e pare abbia fatto altro, in altre
versioni, ma questa è un’altra storia, anche
perché tradotte dall’italiano
potrei aver preso fischi per fiaschi. La sua morte, nella mia versione,
era
diventata un dispetto di Tezcatlipoca e di altre divinità
complici per cercare
di allontanare l’interesse di Quetzalcoatl dalle sorti degli
umani.
Mictlancihuatl,
prima del fumetto
già ne avevo la fissa dato che sembra essere
l’origine della Santa Muerte, non
vedo l’ora di scoprire chi è nel fumetto, anche se
mezza idea già mi è venuta e
non vedo l’ora di scoprire se è vera. Ma intanto
vado di fantasia!
Wikipedia
in italiano e Focus.it
non sono proprio il massimo delle fonti, ne convengo, ma sembra che le
festività in onore delle divinità del Mictlan
cadessero in agosto, quindi
agosto sia. In teoria, le festività sembrano essere anche,
secondo alcuni siti
web addirittura solo, in onore di Mictlancihuatl (povero Dorian) ma,
essendo
lei (per ora) viva e vegeta, le festività citate diventano
solo del Signore del
Mictlan. E diamogli una gioia (?).
Altra
nota: nella storia si
accenna alla raccolta di miele e la storia è ambientata in
agosto. In Italia, a
luglio si raccoglie miele di castagno mentre nella seconda quindicina
del mese di
agosto è possibile smielare, ossia togliere il miele dai
favi. Non so se
esistono piante o fiori da cui ricavare miele nel Mesoamerica dei tempi
degli
aztechi che sbocciavano in tardo luglio (il miele però ce
l’avevano, eh) quindi
boh, spero di non aver scritto un’imprecisione madornale.
***
Non si comporta da brava figlia… il suo
comportamento ti disonora e getta
scandalo sulla tua famiglia… se non vuole rendersi utile
alla società con un
buon matrimonio, che si renda utile ai sacerdoti.
Le
parole sussurrate dal dio
degli inganni assunsero forma di pensieri che avevano occupato la mente
di un padre
frustrato e arrabbiato per comportamento di sua figlia maggiore.
L’uomo non
seppe riconoscere l’estraneità di tali pensieri ma
gli erano sembrati così
giusti…
***
La
vita è strana. Una mattina ti
svegli piena di progetti su cosa fare durante la giornata –
tipo pensare a come
comprare da sola quella deliziosa stoffa rossa che avevi trovato al
mercato per
farci un nuovo vestitino ma che tua madre si era categoricamente
rifiutata di
acquistare, andare a cercare e raccogliere del buon miele per farci dei
dolci
da condividere durante le festività che sarebbero iniziate
l’indomani e che
sarebbero durate almeno un mese, oppure andare a litigare con quella
gallina di
Cihuātōn che ti aveva pubblicamente infamato solo perché
avevi rifiutato la
proposta di matrimonio di quello “splendore” suo
fratello maggiore – oltre che con
la speranza di rivedere lui..!
Al
pensiero del mio amore, mi
sciolsi come burro di cacao lasciato al sole, ma subito mi imbronciai:
era da
diversi giorni che non avevo sue notizie, chissà
dov’era finito?
Poi
tra faccende domestiche, pensare
al tuo amore, uscite di nascosto per evitare tuo padre che ti tiene il
muso,
pensare ancora al tuo amore e mattina passata a recuperare dei bei
favi, non
fai nemmeno in tempo a realizzare che… sei già
morta.
Ero
rimasta sorpresa ma non
troppo quando, dopo essere tornata a casa con un bottino di miele
più che
dignitoso e un paio di punture, trovai un inserviente del tempio ospite
a casa
nostra. Non era raro che i sacerdoti si servissero dell’aiuto
delle donne della
città per preparare feste particolarmente grandi o
importanti e avevo sempre
collaborato, anche in quell’occasione, ma che ci faceva
l’inserviente a casa
nostra? Non si respirava l’aria tesa che avevo percepito in
mattinata anzi,
tutti risero alla battuta scema dell’inserviente circa le
punture sulle mie
braccia che avrebbero fatto onore persino a Xipe Totec. Ah ah, che
risatone,
davvero. Ma ridacchiai anch’io per non sembrare maleducata.
Alla vista dei favi
recuperati durante la spedizione mattutina, mio padre aveva decantato
all’ospite le mie capacità non solo di raccolta ma
anche di preparazione di
alimenti con il miele. Mi aveva ordinato di servire
all’inserviente l’idromele
che avevo fatto in precedenza e mi era parso estremamente strano che mi
avesse
invitata ad assaggiare il liquore in loro presenza.
Quando
bevvi… venni colta da una
strana e improvvisa sonnolenza. Mentre l’inserviente mi
spingeva cautamente
fuori di casa con una mano appoggiata sulla schiena, presi mentalmente
nota:
non reggevo gli alcolici, nemmeno quelli con gradazione ridicola. Che
vergogna.
Non
seppi dire quante ore
passarono, ma ogni tanto mi davano qualcosa da bere dicendo che mi
avrebbe
fatto passare il torpore… beh, avrebbero dovuto cambiare
guaritore, visto che mi
sentivo sempre più rimbecillita.
Avevo
dormito alcune ore, o
almeno così mi era sembrato. Mi svegliai con il suono
ovattato della musica
nelle orecchie. Era già cominciata la festa? Pensai con
disappunto. Mi sentivo
uno schifo! E come ci arrivavo al luogo di sepoltura dei miei cari?
Cercai di
alzarmi, per fortuna che c’era una donna che mi aveva aiutato
a fare un rapido
bagno… ma… era una delle serve del tempio, che ci
faceva a casa… no, non era
casa mia… ma che cavolo..?
“Oooh,
un vestito rosso!”
biascicai felice, la mamma si era ricordata la stoffa e aveva fatto un
vestito
per me, allora non era più arrabbiata con me?
“Grazie
mamma! …Mamma, dove sei?
Hai visto mia madre? Devo dirle che le voglio tanto bene”.
“Tua
madre lo sa già” rispose
sbrigativamente la serva, vestendomi e pettinandomi come fossi stata
una
bambola. Continuavo a sentire la testa pesante ed era un sollievo non
dover
fare la fatica di vestirmi da sola.
Mi
sentivo trascinare via. Le
immagini mi passavano confuse davanti agli occhi, familiari e
sconosciute allo
stesso tempo. Tutti mi guardavano, perché? Iniziai a
sentirmi vagamente
inquieta.
Mentre
ciondolavo, mi ritrovai
qualcosa tra le mani. Dei fiori. Ma che tipo erano? Avevano una forma davvero particolare ed
erano di un intenso
arancione. “Questi sono solo per te. Li ho creati
apposta per te” la voce sembrava gentile ma il suo tono aveva
un non so che di…
ostile. Allontanai la vista dai fiori per mettere a fuoco colui che mi
aveva
rivolto quelle parole. Non lo avevo mai visto prima e aveva un aspetto
così
insolito… la pelle più scura, gli occhi rossi, i
capelli bianchi?!
“Che
fiori sono?” mormorai. Lui
mi sentì lo stesso, malgrado i canti ora assordanti.
“Decidilo tu. Sono tuoi,
ora”. Stava dicendo tutte cose assurde. Ma tutta quella
situazione sembrava
assurda che decisi di dargli retta. E per il resto del percorso (ma
dove stavo
andando?) pensai a come chiamare quei fiori: almeno così
avrei tenuto a bada
l’inquietudine. Giocai qualche combinazione di lettere
assurda: cem-pa-sú-chil,
magari suonava bene?
Ma
che cos’era questa stanchezza
che mi faceva arrancare e appesantiva il mio respiro? Da quanto tempo
camminavo? Ero davvero a pezzi quando finalmente mi lasciarono
riposare.
Sentii
un dolore lancinante ma svanì
rapido come un battito di mani. Mi
sentii decisamente meno pesante.
“Oh, sto meglio!
Ma che mi avete fatt..”
neanche il tempo di finire la domanda che vidi
la risposta. Mi avevano appena… estratto
il cuore.
“Ma
che significa questo?”
esclamai con una nota di puro orrore nella voce.
“Significa
che è ora di andare”
la voce profonda alle mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai
e… alla vista di
un mostro con la testa di cane nero esclamai a gran voce che non avrei mai più toccato un goccio
d’alcool in vita mia.
“Su
questo non ho il minimo
dubbio” replicò laconico quella creatura.
Passai
un’occhiata interrogativa
piuttosto eloquente da quell’essere al mio corpo che i
sacerdoti stavano
tranquillamente squartando e dissanguando.
“Sei
stata sacrificata” mi
rispose come fosse stata la cosa più ovvia di tutte, cosa
che in effetti era
anche ai miei occhi, grazie tante.
“Q…
quindi tu saresti… Xo…” era
difficile riacquistare il dono della favella dopo una rivelazione
simile.
Non
era facile accettare quell’idea.
Agitai una mano davanti ai sacerdoti, che ovviamente non notarono.
Xolotl
sospirò, probabilmente aveva già visto quella
scena molte volte… o forse era la
prima volta che vedeva un defunto fare una cosa così stupida.
“Ma
ci deve essere un errore… mandano
i prigionieri ai sacrifici e… della nostra gente, mandano a
morte quelli
indesiderati, ma quelli solo dopo averli drogati…”
i pensieri giravano veloci
nella mia testa, in cerca di una risposta “è stata
una delle famiglie che mi
aveva chiesto in sposa? Ma mamma e papà non avrebbero
permesso…” un dubbio
atroce si impossessò di me
“Papà…?” ammutolii.
“Andiamo”
ripeté Xolotl,
impassibile. Che dovevo fare? Andai con lui. Casualmente, vidi
nuovamente lo
sconosciuto che mi aveva dato quei fiori. Il suo sorrisino beffardo mi
avrebbe
fatto rabbrividire, se solo avessi avuto ancora un corpo, soprattutto
dopo aver
realizzato che poteva vedermi anche in
quelle condizioni. Strinsi tra le mani quegli strani fiori
che sembravano
essere davvero miei: dubito che,
come
spirito, avrei potuto toccare qualcosa del mondo materiale che avevo
appena
abbandonato.
Il
viaggio mi parve
interminabile. E, francamente, traumatizzante!
“Che
gli dei ti benedicano
Xolotl” mormorai con fervore, dopo aver mancato per un pelo
lo scontro tra due
montagne ed essermi risparmiata tagli dolorosi con quarzi di silicio
aguzzi.
Senza la guida di Xolotl, sarei rimasta a girare in tondo tra montagne
gelate.
Torturavo i poveri cempasúchil per il nervosismo e il freddo
innaturale che
persino un’anima incorporea poteva sentire, al punto da
lasciar cadere
incautamente dei petali. Briciole di colorata bellezza donate a luoghi
così
macabri. Ma almeno, tra le terre dell’ Ītzehēcayān e del
Pāncuēcuētlācayān
(gentile Xolotl a riferirmi i nomi di quei luoghi e la sorte
dolorosissima che
la mia anima avrebbe subito se fossi rimasta intrappolata dalle minacce
ivi
nascoste!) si poteva stare un po’ più tranquilli e
il rimpianto mi tormentò più
forte che mai.
“Non
lo rivedrò mai più” mi
lamentai. Xolotl non diede segno di ascoltarmi. Beh, aveva pure
ragione, perché
curarsi dei problemi di cuore di una ragazzina? Ma al silenzio
innaturale di
quel luogo, preferii sfogarmi a voce alta. “Non ho nemmeno
potuto dirgli
addio”.
“Quasi
nessuno ha questo
privilegio” mormorò il dio guardando avanti e
proseguendo la sua strada.
Arrivati a quel punto del percorso, potevo solo scegliere di tenere il
passo, o
sarebbe stato peggio per me.
“Naturalmente
gli auguro una
lunga e serena vita, ma tra quanto lo rivedrò? Venti,
quarant’anni? Io lo
aspetterò” esclamai convinta.
“Di
chi parli?” chiese Xolotl. Mi
sorprese constatare che sembrava davvero attendere la mia risposta.
“Del
mio amore”.
“Il
tuo amore ha un nome?”.
“Non
me l’ha mai detto. E io non
gliel’ho mai chiesto”.
“…
non credo che lo rivedrai”.
Sussultai.
“Perché dici così?”
“…”
“Xolotl?”
“Potrebbe
cadere in battaglia.
Finire nell’Omeyocan”.
Rimasi
senza parole. Non ci avevo
pensato.
“O
affogare e andare nel
Tlalocan”
Xolotl
non replicò.
“Non
è detto che accada. Potrebbe
arrivare anche lui nel Mitclan. E io lo aspetterò”.
“Stai
attenta” disse Xolotl,
scrutando il cielo.
“Attenta
a cosa?” chiesi. Il dio
rispose spingendomi a terra di malagrazia, proprio mentre una saetta
scaricava
nel punto dove ero stata io qualche istante prima.
“Benvenuta
nel Tēmīmīnalōyān”
esclamò piattamente.
“E
andiamo!” esclamai con
sarcasmo.
***
E
dopo bestie affamate, nebbie
fitte e fiumi impossibili da guadare da soli (grazie, Xolotl!),
finalmente la
strada si fece “semplicemente” chiusa e cupa.
“Davvero
sono passati solo
quattro anni, Xolotl? Perché mi sembra che sia passata
un’eternità” chiesi
sfinita.
“Dite
tutti così” commentò piatto
la divinità.
“Ma
ora mi aspetta il luogo
dell’eterno riposo, il Chiucnahuapan, dove rivedrò
i miei antenati e aspetterò
i miei cari – e renderò conto a mio
padre” conclusi con un ringhio appena
percettibile.
“Non
esattamente”.
“?”
“Prima
devi rendere omaggio al
Signore del Mictlan” .
“Giusto,
sarebbe una scortesia
non farlo”.
“Sarà
un delirio”.
“Cosa?”
chiesi stupita dal timore
nella sua voce. Sembrava non essere sollevato per la fine del viaggio
quanto lo
ero io. Boh, roba di divinità, supposi.
Avevo
supposto davvero male.
Quello
fu il giorno peggiore
della mia vita, o meglio, della mia morte. No, non era ancora esatto.
Come
l’aveva definita, il Signore del Mictlan? Una vita nella
morte.
Al
cospetto del sovrano di quel
posto, mi ero sentita come essere tornata al mio primo giorno di scuola
alla
capitale Tenochtitlán, per la prima volta lontana dalla mia
famiglia e al
cospetto di un sacerdote davvero temibile agli occhi di una nanerottola
di sei
anni. L’unica differenza era il luogo, decisamente macabro, e
il suo padrone,
ancora più inquietante. Ma ero già morta,
cos’altro poteva succedere?
Beh,
sentirlo masticare a denti
stretti “E così sarebbe questa
l’arrogante mortale”, che mi guardava con
ostentato disprezzo mentre ero inchinata al suo cospetto, non
prometteva
affatto bene. Arrogante, io? Ma che, mi conosceva? Rimasi in silenzio:
era un
dio, un sovrano, ovvio che gli sembrassimo tutti dei pezzenti. E
soprattutto,
faceva paura. Quasi rimpiangevo di non aver sposato uno dei pretendenti
scelti
da mio padre: una probabile morte per un parto difficile sarebbe stato
preferibile e avrei scampato il Mictlan. Ma ultimamente sembravo la
candidata perfetta
a vincere il titolo “Mai una gioia”.
“Istruiscila
ai suoi doveri,
mostrale il suo buco, e che non me la trovi tra i piedi a meno che non
sia
convocata, cosa che vedo assai improbabile”.
In.
Che. Senso?!
“Rimarrai
nel Mictlan, a vivere
una vita nella morte al mio servizio, come del resto accade a chi
è sacrificato
in mio onore. Imparerai ad abbassare la testa con chi ti è
superiore”
“Ma…
se resto qui non potrò
incontrare la mia famiglia” mormorai attonita nel sentire
quella che suonava
come una condanna.
L’aria
si fece così pesante che
poteva essere tagliata con un coltello. L’espressione del
Signore del Mictlan,
già temibile di suo, si fece ancora più terribile
mentre tuonava: “Tu non sei
nessuno per obiettare sulle mie decisioni!”
Atterrita,
mi prostrai più
profondamente che potei. Decisi di non proferire più parola,
piuttosto che
mettere a rischio le mie ossa. Decisamente, la mia attuale situazione
non era
delle più rosee ma non aveva senso lamentarsi. Avere della
servitù era un
diritto del Signore dei morti, servirlo era un mio dovere. Era naturale
che
fosse così, visto che ero morta.
Sono
morta.
Seppure
a malincuore, struggermi
per il mio amore perduto per sempre non rientrava più nelle
mie priorità.
FINE
Ok,
Mictlancihuatl sembra un po’
sciocchina. Ma capitela, era una semplice giovane umana mezza drogata.
Avrà
secoli davanti per maturare, se riesce a salvare le sue ossa da
Mictlantechutli. E no, giuro che Mictlantechutli non sarà
come il principe
della Bella e la Bestia (oddio ora mi immagino Dorian che canta con la
voce
della Bestia, avrò gli incubi, addio).
Bel
posticino il Mictlan, eh?
Link Wikipedia per la strada verso la destinazione finale https://it.wikipedia.org/wiki/Mictlan