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Autore: adrienne riordan    01/02/2021    0 recensioni
[La calaca de azùcar]
La vita a Esqueleto sembra tranquilla ma non lo è affatto. A farne le spese saranno i suoi abitanti, quelli nuovi, quelli vecchi e... quelli antichi.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Piccoli avvisi: questa storia è Mictlancihuatl centric ma ambientata in un tempo in cui ancora non era Mictlancihuatl. Gli autori della Calaca de azucar nel primo volume hanno spiegato che era stata una bambina sacrificata al Mictlan e in questo sito https://archaeus.it/il-giorno-dei-morti/ viene detto anche che sarebbe nata in una tribù pre-umana di esseri viventi, quando il mondo era nuovo, per questo motivo l’ho collocata nell’Era del Quarto Sole. Nella mia versione, però, non è una bambina (bambina lo è nelle fic ambientate nel 2012): se avete letto le altre fanfic che ho scritto avrete già capito che ho fuso la sua storia con quella di una donna umana senza nome che, secondo un mito, aveva ricambiato l’amore di Quetzalcoatl dopo che egli aveva fatto dono all’umanità della capacità di amare – e pare abbia fatto altro, in altre versioni, ma questa è un’altra storia, anche perché tradotte dall’italiano potrei aver preso fischi per fiaschi. La sua morte, nella mia versione, era diventata un dispetto di Tezcatlipoca e di altre divinità complici per cercare di allontanare l’interesse di Quetzalcoatl dalle sorti degli umani.

Mictlancihuatl, prima del fumetto già ne avevo la fissa dato che sembra essere l’origine della Santa Muerte, non vedo l’ora di scoprire chi è nel fumetto, anche se mezza idea già mi è venuta e non vedo l’ora di scoprire se è vera. Ma intanto vado di fantasia!

Wikipedia in italiano e Focus.it non sono proprio il massimo delle fonti, ne convengo, ma sembra che le festività in onore delle divinità del Mictlan cadessero in agosto, quindi agosto sia. In teoria, le festività sembrano essere anche, secondo alcuni siti web addirittura solo, in onore di Mictlancihuatl (povero Dorian) ma, essendo lei (per ora) viva e vegeta, le festività citate diventano solo del Signore del Mictlan. E diamogli una gioia (?).

Altra nota: nella storia si accenna alla raccolta di miele e la storia è ambientata in agosto. In Italia, a luglio si raccoglie miele di castagno mentre nella seconda quindicina del mese di agosto è possibile smielare, ossia togliere il miele dai favi. Non so se esistono piante o fiori da cui ricavare miele nel Mesoamerica dei tempi degli aztechi che sbocciavano in tardo luglio (il miele però ce l’avevano, eh) quindi boh, spero di non aver scritto un’imprecisione madornale.

***

 

Non si comporta da brava figlia… il suo comportamento ti disonora e getta scandalo sulla tua famiglia… se non vuole rendersi utile alla società con un buon matrimonio, che si renda utile ai sacerdoti.

Le parole sussurrate dal dio degli inganni assunsero forma di pensieri che avevano occupato la mente di un padre frustrato e arrabbiato per comportamento di sua figlia maggiore. L’uomo non seppe riconoscere l’estraneità di tali pensieri ma gli erano sembrati così giusti…

***

La vita è strana. Una mattina ti svegli piena di progetti su cosa fare durante la giornata – tipo pensare a come comprare da sola quella deliziosa stoffa rossa che avevi trovato al mercato per farci un nuovo vestitino ma che tua madre si era categoricamente rifiutata di acquistare, andare a cercare e raccogliere del buon miele per farci dei dolci da condividere durante le festività che sarebbero iniziate l’indomani e che sarebbero durate almeno un mese, oppure andare a litigare con quella gallina di Cihuātōn che ti aveva pubblicamente infamato solo perché avevi rifiutato la proposta di matrimonio di quello “splendore” suo fratello maggiore – oltre che con la speranza di rivedere lui..!

Al pensiero del mio amore, mi sciolsi come burro di cacao lasciato al sole, ma subito mi imbronciai: era da diversi giorni che non avevo sue notizie, chissà dov’era finito?

Poi tra faccende domestiche, pensare al tuo amore, uscite di nascosto per evitare tuo padre che ti tiene il muso, pensare ancora al tuo amore e mattina passata a recuperare dei bei favi, non fai nemmeno in tempo a realizzare che… sei già morta.

Ero rimasta sorpresa ma non troppo quando, dopo essere tornata a casa con un bottino di miele più che dignitoso e un paio di punture, trovai un inserviente del tempio ospite a casa nostra. Non era raro che i sacerdoti si servissero dell’aiuto delle donne della città per preparare feste particolarmente grandi o importanti e avevo sempre collaborato, anche in quell’occasione, ma che ci faceva l’inserviente a casa nostra? Non si respirava l’aria tesa che avevo percepito in mattinata anzi, tutti risero alla battuta scema dell’inserviente circa le punture sulle mie braccia che avrebbero fatto onore persino a Xipe Totec. Ah ah, che risatone, davvero. Ma ridacchiai anch’io per non sembrare maleducata. Alla vista dei favi recuperati durante la spedizione mattutina, mio padre aveva decantato all’ospite le mie capacità non solo di raccolta ma anche di preparazione di alimenti con il miele. Mi aveva ordinato di servire all’inserviente l’idromele che avevo fatto in precedenza e mi era parso estremamente strano che mi avesse invitata ad assaggiare il liquore in loro presenza.

Quando bevvi… venni colta da una strana e improvvisa sonnolenza. Mentre l’inserviente mi spingeva cautamente fuori di casa con una mano appoggiata sulla schiena, presi mentalmente nota: non reggevo gli alcolici, nemmeno quelli con gradazione ridicola. Che vergogna.

Non seppi dire quante ore passarono, ma ogni tanto mi davano qualcosa da bere dicendo che mi avrebbe fatto passare il torpore… beh, avrebbero dovuto cambiare guaritore, visto che mi sentivo sempre più rimbecillita.

Avevo dormito alcune ore, o almeno così mi era sembrato. Mi svegliai con il suono ovattato della musica nelle orecchie. Era già cominciata la festa? Pensai con disappunto. Mi sentivo uno schifo! E come ci arrivavo al luogo di sepoltura dei miei cari? Cercai di alzarmi, per fortuna che c’era una donna che mi aveva aiutato a fare un rapido bagno… ma… era una delle serve del tempio, che ci faceva a casa… no, non era casa mia… ma che cavolo..?

“Oooh, un vestito rosso!” biascicai felice, la mamma si era ricordata la stoffa e aveva fatto un vestito per me, allora non era più arrabbiata con me?

“Grazie mamma! …Mamma, dove sei? Hai visto mia madre? Devo dirle che le voglio tanto bene”.

“Tua madre lo sa già” rispose sbrigativamente la serva, vestendomi e pettinandomi come fossi stata una bambola. Continuavo a sentire la testa pesante ed era un sollievo non dover fare la fatica di vestirmi da sola.

Mi sentivo trascinare via. Le immagini mi passavano confuse davanti agli occhi, familiari e sconosciute allo stesso tempo. Tutti mi guardavano, perché? Iniziai a sentirmi vagamente inquieta.

Mentre ciondolavo, mi ritrovai qualcosa tra le mani. Dei fiori. Ma che tipo erano? Avevano una forma  davvero particolare ed erano di un intenso arancione. “Questi sono solo per te. Li ho creati apposta per te” la voce sembrava gentile ma il suo tono aveva un non so che di… ostile. Allontanai la vista dai fiori per mettere a fuoco colui che mi aveva rivolto quelle parole. Non lo avevo mai visto prima e aveva un aspetto così insolito… la pelle più scura, gli occhi rossi, i capelli bianchi?!

“Che fiori sono?” mormorai. Lui mi sentì lo stesso, malgrado i canti ora assordanti. “Decidilo tu. Sono tuoi, ora”. Stava dicendo tutte cose assurde. Ma tutta quella situazione sembrava assurda che decisi di dargli retta. E per il resto del percorso (ma dove stavo andando?) pensai a come chiamare quei fiori: almeno così avrei tenuto a bada l’inquietudine. Giocai qualche combinazione di lettere assurda: cem-pa-sú-chil, magari suonava bene?

Ma che cos’era questa stanchezza che mi faceva arrancare e appesantiva il mio respiro? Da quanto tempo camminavo? Ero davvero a pezzi quando finalmente mi lasciarono riposare.

Sentii un dolore lancinante ma  svanì rapido come un battito di mani. Mi sentii decisamente meno pesante.

 “Oh, sto meglio! Ma che mi avete fatt..” neanche il tempo di finire la domanda che vidi la risposta. Mi avevano appena… estratto il cuore.

“Ma che significa questo?” esclamai con una nota di puro orrore nella voce.

“Significa che è ora di andare” la voce profonda alle mie spalle mi fece sussultare. Mi voltai e… alla vista di un mostro con la testa di cane nero esclamai a gran voce che non avrei mai più toccato un goccio d’alcool in vita mia.

“Su questo non ho il minimo dubbio” replicò laconico quella creatura.

Passai un’occhiata interrogativa piuttosto eloquente da quell’essere al mio corpo che i sacerdoti stavano tranquillamente squartando e dissanguando.

“Sei stata sacrificata” mi rispose come fosse stata la cosa più ovvia di tutte, cosa che in effetti era anche ai miei occhi, grazie tante.

“Q… quindi tu saresti… Xo…” era difficile riacquistare il dono della favella dopo una rivelazione simile.

Non era facile accettare quell’idea. Agitai una mano davanti ai sacerdoti, che ovviamente non notarono. Xolotl sospirò, probabilmente aveva già visto quella scena molte volte… o forse era la prima volta che vedeva un defunto fare una cosa così stupida.

“Ma ci deve essere un errore… mandano i prigionieri ai sacrifici e… della nostra gente, mandano a morte quelli indesiderati, ma quelli solo dopo averli drogati…” i pensieri giravano veloci nella mia testa, in cerca di una risposta “è stata una delle famiglie che mi aveva chiesto in sposa? Ma mamma e papà non avrebbero permesso…” un dubbio atroce si impossessò di me “Papà…?” ammutolii.

“Andiamo” ripeté Xolotl, impassibile. Che dovevo fare? Andai con lui. Casualmente, vidi nuovamente lo sconosciuto che mi aveva dato quei fiori. Il suo sorrisino beffardo mi avrebbe fatto rabbrividire, se solo avessi avuto ancora un corpo, soprattutto dopo aver realizzato che poteva vedermi anche in quelle condizioni. Strinsi tra le mani quegli strani fiori che sembravano essere davvero miei: dubito che, come spirito, avrei potuto toccare qualcosa del mondo materiale che avevo appena abbandonato.

Il viaggio mi parve interminabile. E, francamente, traumatizzante!

“Che gli dei ti benedicano Xolotl” mormorai con fervore, dopo aver mancato per un pelo lo scontro tra due montagne ed essermi risparmiata tagli dolorosi con quarzi di silicio aguzzi. Senza la guida di Xolotl, sarei rimasta a girare in tondo tra montagne gelate. Torturavo i poveri cempasúchil per il nervosismo e il freddo innaturale che persino un’anima incorporea poteva sentire, al punto da lasciar cadere incautamente dei petali. Briciole di colorata bellezza donate a luoghi così macabri. Ma almeno, tra le terre dell’ Ītzehēcayān e del Pāncuēcuētlācayān (gentile Xolotl a riferirmi i nomi di quei luoghi e la sorte dolorosissima che la mia anima avrebbe subito se fossi rimasta intrappolata dalle minacce ivi nascoste!) si poteva stare un po’ più tranquilli e il rimpianto mi tormentò più forte che mai.

“Non lo rivedrò mai più” mi lamentai. Xolotl non diede segno di ascoltarmi. Beh, aveva pure ragione, perché curarsi dei problemi di cuore di una ragazzina? Ma al silenzio innaturale di quel luogo, preferii sfogarmi a voce alta. “Non ho nemmeno potuto dirgli addio”.

“Quasi nessuno ha questo privilegio” mormorò il dio guardando avanti e proseguendo la sua strada. Arrivati a quel punto del percorso, potevo solo scegliere di tenere il passo, o sarebbe stato peggio per me.

“Naturalmente gli auguro una lunga e serena vita, ma tra quanto lo rivedrò? Venti, quarant’anni? Io lo aspetterò” esclamai convinta.

“Di chi parli?” chiese Xolotl. Mi sorprese constatare che sembrava davvero attendere la mia risposta.

“Del mio amore”.

“Il tuo amore ha un nome?”.

“Non me l’ha mai detto. E io non gliel’ho mai chiesto”.

“… non credo che lo rivedrai”.

Sussultai. “Perché dici così?”

“…”

“Xolotl?”

“Potrebbe cadere in battaglia. Finire nell’Omeyocan”.

Rimasi senza parole. Non ci avevo pensato.

“O affogare e andare nel Tlalocan”

Xolotl non replicò.

“Non è detto che accada. Potrebbe arrivare anche lui nel Mitclan. E io lo aspetterò”.

“Stai attenta” disse Xolotl, scrutando il cielo.

“Attenta a cosa?” chiesi. Il dio rispose spingendomi a terra di malagrazia, proprio mentre una saetta scaricava nel punto dove ero stata io qualche istante prima.

“Benvenuta nel Tēmīmīnalōyān” esclamò piattamente.

“E andiamo!” esclamai con sarcasmo.

***

E dopo bestie affamate, nebbie fitte e fiumi impossibili da guadare da soli (grazie, Xolotl!), finalmente la strada si fece “semplicemente” chiusa e cupa.

“Davvero sono passati solo quattro anni, Xolotl? Perché mi sembra che sia passata un’eternità” chiesi sfinita.

“Dite tutti così” commentò piatto la divinità.

“Ma ora mi aspetta il luogo dell’eterno riposo, il Chiucnahuapan, dove rivedrò i miei antenati e aspetterò i miei cari – e renderò conto a mio padre” conclusi con un ringhio appena percettibile.

“Non esattamente”.

“?”

“Prima devi rendere omaggio al Signore del Mictlan” .

“Giusto, sarebbe una scortesia non farlo”.

“Sarà un delirio”.

“Cosa?” chiesi stupita dal timore nella sua voce. Sembrava non essere sollevato per la fine del viaggio quanto lo ero io. Boh, roba di divinità, supposi.

Avevo supposto davvero male.

Quello fu il giorno peggiore della mia vita, o meglio, della mia morte. No, non era ancora esatto. Come l’aveva definita, il Signore del Mictlan? Una vita nella morte.

Al cospetto del sovrano di quel posto, mi ero sentita come essere tornata al mio primo giorno di scuola alla capitale Tenochtitlán, per la prima volta lontana dalla mia famiglia e al cospetto di un sacerdote davvero temibile agli occhi di una nanerottola di sei anni. L’unica differenza era il luogo, decisamente macabro, e il suo padrone, ancora più inquietante. Ma ero già morta, cos’altro poteva succedere?

Beh, sentirlo masticare a denti stretti “E così sarebbe questa l’arrogante mortale”, che mi guardava con ostentato disprezzo mentre ero inchinata al suo cospetto, non prometteva affatto bene. Arrogante, io? Ma che, mi conosceva? Rimasi in silenzio: era un dio, un sovrano, ovvio che gli sembrassimo tutti dei pezzenti. E soprattutto, faceva paura. Quasi rimpiangevo di non aver sposato uno dei pretendenti scelti da mio padre: una probabile morte per un parto difficile sarebbe stato preferibile e avrei scampato il Mictlan. Ma ultimamente sembravo la candidata perfetta a vincere il titolo “Mai una gioia”.

“Istruiscila ai suoi doveri, mostrale il suo buco, e che non me la trovi tra i piedi a meno che non sia convocata, cosa che vedo assai improbabile”.

In. Che. Senso?!

“Rimarrai nel Mictlan, a vivere una vita nella morte al mio servizio, come del resto accade a chi è sacrificato in mio onore. Imparerai ad abbassare la testa con chi ti è superiore”

“Ma… se resto qui non potrò incontrare la mia famiglia” mormorai attonita nel sentire quella che suonava come una condanna.

L’aria si fece così pesante che poteva essere tagliata con un coltello. L’espressione del Signore del Mictlan, già temibile di suo, si fece ancora più terribile mentre tuonava: “Tu non sei nessuno per obiettare sulle mie decisioni!”

Atterrita, mi prostrai più profondamente che potei. Decisi di non proferire più parola, piuttosto che mettere a rischio le mie ossa. Decisamente, la mia attuale situazione non era delle più rosee ma non aveva senso lamentarsi. Avere della servitù era un diritto del Signore dei morti, servirlo era un mio dovere. Era naturale che fosse così, visto che ero morta.  

Sono morta.

Seppure a malincuore, struggermi per il mio amore perduto per sempre non rientrava più nelle mie priorità.

 

FINE

 

 

Ok, Mictlancihuatl sembra un po’ sciocchina. Ma capitela, era una semplice giovane umana mezza drogata. Avrà secoli davanti per maturare, se riesce a salvare le sue ossa da Mictlantechutli. E no, giuro che Mictlantechutli non sarà come il principe della Bella e la Bestia (oddio ora mi immagino Dorian che canta con la voce della Bestia, avrò gli incubi, addio).

Bel posticino il Mictlan, eh? Link Wikipedia per la strada verso la destinazione finale https://it.wikipedia.org/wiki/Mictlan

  
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