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Autore: aimakoriai    01/02/2021    0 recensioni
"Non sapevo chi fossi, quanti anni avessi, o quale fosse il tuo colore preferito.
Non sapevo come fosse fatto il tuo volto e, un po’, non lo so neanche adesso."
Storia partecipante al contest "La colonna sonora della mia storia", indetto da Anatra.Valeria sul forum di EFP.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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DIPENDENZA


Ricordo il giorno in cui ti incontrai la prima volta; avevi i capelli d’oro, gli occhi brillanti e una maglietta scolorita dei Rolling Stones.
All’inizio, non mi impressionasti più di tanto, perché, sai, di ragazze mezze rock mezze alternative come te ne avevo viste a bizzeffe, negli affollati corridoi del nostro patetico e triste liceo classico.
Non sapevo chi fossi, quanti anni avessi, o quale fosse il tuo colore preferito.
Non sapevo come fosse fatto il tuo volto e, un po’, non lo so neanche adesso.
La seconda volta che ti ho vista, quella è stata la volta importante, la volta decisiva.
Era un triste sabato sera come ce ne sono tanti e avevo l’umore di uno che sapeva benissimo che avrebbe passato il giorno dopo a cercare di recuperare le ore di sonno perse a scapito dei compiti per casa. Insomma, avevo la testa china e le mani ficcate nelle tasche ed ero appena entrato in un vicolo grigiastro tristissimo.
Ero da solo, perché, quel sabato sera, di stare in discoteca con gli altri, proprio non me la sentivo.
E poi, poi sei arrivata tu, con gli stessi occhi brillanti della volta prima e i capelli di un altro colore.
Quella sera, con te, fu la prima volta, anche se non te l’ho mai detto per non farti sentire troppo in colpa.
Non sai quanto vorrei che sia stata anche l’ultima.
Ricordo che non parlammo quasi per nulla; niente parole, niente discorsi.
Quelli vennero dopo, con il sapore agrodolce di tutto quello che dicono le persone con la data di scadenza.
Mi ricordo una volta, in particolare, che ce ne stavamo seduti contro il nostro solito sudicio muretto a fumare erba e tu avevi gli occhi grandi e il sorriso più stupido che io avessi mai visto.
“Sai” mi dicesti, senza guardarmi. “Sai… A volte penso che ci sia un filo che unisce le persone, tipo come dicono nelle storie…”
Le tue parole si perdevano nell’etere, mentre tutto quello che riuscivo a pensare mentre sproloquiavi era che, nonostante tutto, non ti avevo mai baciata.
Vorrei poter dire che la nostra è stata una storia d’amore da sogno, con i regali, le cene e gli abiti da sera.
Vorrei poter dire che era tutto dolce e romantico e fatto di miele, ma, a essere onesto, non ricordo neanche un granché.
Quando abbiamo fatto sesso la prima volta?
So che l’abbiamo fatto; me lo ricordo perché, a volte, sento ancora la tua pelle che mi brucia addosso.
Ricordo vagamente gli orgasmi, il tuo corpo fragile steso di fianco al mio e il respiro affannoso.
Io ti amavo, sai, anche se mi hai rovinato e hai reso la mia vita un Inferno.
Io ti amavo.
Ricordo che, a volte, ti prendeva una strana voglia di fare discorsi filosofici e, allora, uscivano solo casini psichedelici senza capo né coda.
Ricordo anche che, a volte, ci mettevi dentro qualche bella frase da Bacio Perugina e qualche sospiro a effetto da donna vissuta.
Ricordo che, a volte, quando non eri in te, dicevi di amarmi e mi piaceva crederti.
Mi piacevi tu.
Ma forse eravamo solo due anime sole in cerca di qualcuno con cui annegare per illuderci di poterci salvare.
Eppure, più il tempo passava, più mi dimenticavo come si fa a vivere.
Non ricordo quando abbiamo deciso che quello che avevamo non era più abbastanza, ricordo solo che è stato come puntarmi una pistola carica alla tempia.
Ogni volta che ci vedevamo, sapevamo che saremmo potuti morire.
Lo sapevamo e ci dicevamo “non oggi”, “non ancora”. 
A pensarci adesso, non ne valeva la pena, neanche un po’.
Con te, ho perso tutto; famiglia, amici, futuro, umanità e, alla fine, te ne sei andata anche tu.
Quella sera me la ricordo bene, portavi una vecchia canottiera color ciminiera e avevi lo sguardo perso.
Nulla a che vedere con la ragazza dagli occhi brillanti che eri stata un tempo.
Nulla a che vedere con la ragazza che mi aveva fatto innamorare.
Tenevi le labbra strette l’una contro l’altra, forse per la vergogna di mostrare il tuo sorriso sporco e bucherellato, forse perché eri troppo stanca anche per parlare.
I tuoi capelli unti erano di un azzurro fluorescente che poco si addiceva alla tua aria da morta vivente e le tue vene scure si abbinavano bene alle occhiaie violacee.
Ormai, ci vedevamo solo per quel breve attimo di felicità e spensieratezza che compravamo a un prezzo troppo alto.
Avevamo smesso con tutto, con l’amore, con la vita, con il sesso.
L’unica cosa che ci rimaneva era lei.
La droga.
Un po’ ti ringrazio per essere andata in overdose, quella sera, perché, senza saperlo, senza volerlo, mi hai regalato una possibilità.
A pensarci ora, morire è stata l’unica cosa buona che tu mi abbia mai fatto, giuro.
E non dovrei pensarlo, ma se, quel sabato sera, in quel vicolo grigio, non mi avessi offerto un po’ di roba, se non mi fossi mai visto riflesso nei tuoi occhi di vetro, forse, e dico forse, le cose non sarebbero andate così.
Sai, una volta sentii che, in questo mondo terrificante, l’unica cosa che ci resta sono i legami che creiamo.
Eppure, il mio filo, il nostro filo, si è spezzato.
E adesso, adesso che cosa mi resta, dopotutto?
   
 
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