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Autore: Eryiss    03/02/2021    1 recensioni
Freed e Laxus conducono vite incredibilmente diverse. Freed è un avvocato d’ufficio che vive nella capitale, mentre Laxus lavora come tuttofare in un hotel di campagna. Nonostante le differenze che intercorrono tra i due, le loro vite si incroceranno nel momento in cui Freed erediterà una casa nel paese di Laxus e lo assumerà per rendere l’edificio nuovamente abitabile. Ma più si avvicineranno, più comprenderanno cosa possono offrirsi l’un l’altro.
[Modern!AU, Fraxus, capitoli pubblicati: 7/12] [Storia originale di Eryiss, traduzione di Soly_D]
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cana Alberona, Evergreen, Fried Justine, Lisanna, Luxus Dreher
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note della traduttrice:

Quinto capitolo di questa long di Eryiss che potete trovare qui in lingua inglese: AO3 - Fanfiction.net - Tumblr. Ricordo che titolo, immagine introduttiva, storia e note d’autore sono sue, mentre io mi occupo solo di tradurre.

Se volete lasciare un commento, provvederò a tradurlo per l’autore <3

Note dell’autore:

Ciao a tutti, grazie di essere di nuovo qui. Ricordate di dare un’occhiata a Fuckyeahfraxus che ha organizzato il Fraxus Day. Andate a visitare la pagina per scoprire quali altri contenuti sono stati prodotti in occasione di questo evento. ATTENZIONE, in questo capitolo sono presenti scene di sanguinamento e discussioni sul bullismo nell’ambiente scolastico.  

Vi ringrazio per qualsiasi commento vogliate lasciarmi. Per me significa molto. Spero che la storia vi piaccia e grazie per la lettura.

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Capitolo 5 – La ferita

Malinconia non era la parola giusta, no.

Freed non era un tipo malinconico, anzi, non si era mai lasciato trasportare minimamente dalle emozioni. Non rimuginava sul passato in modo nostalgico e non era solito sentirsi triste quando una fase della sua vita giungeva al termine. Certo, c’erano cose in grado di destare la sua sensibilità, ma comunque non era il tipo da sprofondare nella tristezza. Se la vita proseguiva velocemente, lui doveva fare lo stesso. Era questa la sua razionale filosofia di vita.

Era un mantra che Freed, quel giorno, si era ritrovato a ripetersi mentalmente più e più volte man mano che si avvicinava alla casa.

La casa quasi finita.

Non era certo una casa esemplare, ma perlomeno ora funzionava adeguatamente. Le finestre erano state aggiustate, l’impianto idraulico e l’impianto elettrico erano stati riparati, la struttura rinforzata. Le pareti conservavano ancora i resti di una carta da parati antiquata e le assi del pavimento erano ancora scoperte, ma nel complesso l’edificio era tornato abitabile come nelle intenzioni iniziali e poteva chiamarsi nuovamente casa. Aveva solo bisogno di amore, attenzione e miglioramenti da parte di chiunque volesse viverci. Ora, seguendo la sua filosofia di vita, Freed avrebbe dovuto vendere la casa all’istante, tornare ad Era e lavorare al suo prossimo caso. Era il passo più logico, esattamente ciò che avrebbe dovuto fare.

Ciò che però non stava facendo. Nonostante fosse in contrasto con il modo in cui aveva sempre vissuto, Freed si sentiva riluttante a doversene andare. Aveva esitato parecchio di fronte al numero telefonico di Gildarts e alla fine si era rimesso il cellulare in tasca con un lamento infastidito.

Era davvero patetico.

Cercò di razionalizzare la cosa, di trovare una spiegazione pragmatica a ciò che sentiva. Si convinse del fatto che la casa rappresentasse un suo traguardo personale, qualcosa che aveva realizzato con le sue stesse mani, un risultato pratico che reputava degno di nota per il semplice fatto che era abituato a svolgere la maggior parte del suo lavoro con la mente. Insomma, chi non avrebbe reagito così in una situazione del genere? Quella casa era una specie di monumento a ciò che era in grado di fare se si applicava, e lui ne era orgoglioso.

Ma questa era una bugia, Freed lo sapeva. Il vero motivo per cui non voleva vendere la casa era il fatto che si trattava dell’unica cosa in grado di trattenerlo a Magnolia, e lui non era ancora pronto ad andarsene.

Certo, non aveva bisogno di possedere una casa per recarsi a Magnolia. Il fatto di aver stretto una solida amicizia con Laxus e di aver conosciuto i suoi amici era un ottimo motivo per far loro visita di tanto in tanto. Si era ormai abituato a tornare a Magnolia ogni weekend e non voleva smettere.

Non voleva smettere nonostante sapesse che tutta la gente del paese avrebbe cominciato a spettegolare sul motivo per cui lui continuasse a tornare. Ci avrebbe visto chiaro e tondo, cosa che Freed non era certo di poter gestire.

Non era bravo a sentirsi imbarazzato, non lo era mai stato.

C’erano state alcune situazioni nella sua vita in cui si era sentito veramente imbarazzato – sfortunati episodi della sua adolescenza che di tanto in tanto gli tornavano in mente di notte – ma comunque erano state situazioni volute. Si era sempre sforzato di evitare qualsiasi fonte di imbarazzo. Nel complesso era sempre andata bene, ma ora Magnolia stava seriamente mettendo a dura prova le scelte di vita che lo avevano aiutato a mantenere una certa sanità mentale fino a quel momento.

Freed scosse la testa. Non doveva provare malinconia, ma soprattutto non doveva rimuginare sul passato.

Prese una piccola spugna e cominciò a passarla lentamente sul tavolo della cucina di Villa Albion. Quel tavolo era lì da quando Freed aveva ereditato la casa, e dopo che Laxus l’aveva grattato e ripulito era tornato utilizzabile così come il resto della casa. Proprio quella sera, il tavolo di Villa Albion avrebbe svolto per la prima volta la sua reale funzione, dato che Freed e Laxus avrebbero cenato insieme.

E questo non migliorava affatto la situazione.

Chiaramente c’era qualcosa di più. Magnolia era sicuramente un bel posto e i suoi abitanti erano brave persone, ma nessuno si sarebbe lasciato sopraffare dalla malinconia all’idea di abbandonare un gruppo di edifici. Sfortunatamente per Freed, la malinconia poteva essere causata solo dal pensiero di dover abbandonare altre persone.

E certamente Laxus era una brava persona. Era divertente, schietto e sapeva fronteggiarlo senza battere ciglio, ma era anche gentile e disponibile: quando gli aveva insegnato a installare le prese elettriche o a collegare i tubi del bagno, era stato paziente e si era assicurato di metterlo a suo agio, perfino quando Freed era stato sul punto di rompere la porcellana con la chiave inglese. Era un bravo ragazzo e sapeva come prendere Freed in qualsiasi situazione.

Oltretutto, era davvero bello. Freed aveva sempre evitato di ammetterlo, ma dal momento che presto si sarebbero separati voleva essere onesto almeno con se stesso. Spalle ampie, petto muscoloso, capelli biondi e occhi luminosi: Evergreen aveva ragione, Laxus era proprio un Adone.

E il suo fascino rustico, un fascino in grado di attirare Freed più del dovuto, non lo aiutava di certo.

In ogni caso, non avrebbero potuto conoscersi più a fondo e forse era meglio così. Freed non era un tipo romantico, aveva cose più importanti da fare e la sua attrazione per Laxus era dovuta semplicemente alla stretta vicinanza con lui. Laxus era un uomo attraente, certo, ma in fin dei conti non era l’unico. Entro un anno Freed l’avrebbe dimenticato e sarebbe tornato alla sua vita di sempre.

E con un po’ di fortuna, anche i suoi sogni su Laxus sarebbero svaniti, sia quelli disgustosamente teneri, sia quelli più… intensi.

“Ehi” una voce allontanò Freed dai suoi pensieri. “Penso che sia pulito ora”.

Freed si accigliò guardando il tavolo: in effetti, c’era una zona del legno che brillava più delle altre. Il tono scherzoso di Laxus lo aveva fatto sussultare, ma Freed si era subito rimproverato mentalmente. Laxus non poteva aver capito a cosa stava pensando semplicemente osservandolo pulire il tavolo.

“Una curiosità” disse con cautela. “Da quanto sei qui?”

“Quindici minuti”. Laxus sorrise scuotendo un po’ le due confezioni di cibo cinese. “La cena si sarà raffreddata”.

“Quindici minuti!” esclamò Freed incredulo.

“Sono arrivato ora, stupido”. Laxus ghignò avvicinandosi al tavolo e poggiandoci le confezioni. “A cosa stavi pensando per essere così concentrato?”

“A un caso di cui mi sto occupando” mentì Freed. In realtà non stava lavorando a nessun caso, ma probabilmente ne avrebbe preso uno quando sarebbe tornato in città. Tornato in città definitivamente. “Non è difficile. È un caso piuttosto semplice in realtà, ma si tratta di un cliente di alto profilo che potrebbe rivolgersi nuovamente a noi in caso di bisogno, quindi dobbiamo essere amichevoli”.

“Non mi sembra che essere amichevole sia il tuo forte”. Laxus ghignò. “Probabilmente sei fuori allenamento”.

“Se è così, credo che ti farò pagare l’intera cena” disse Freed sedendosi al tavolo e aprendo la propria confezione.

“Questo dimostra che ho ragione”.

Freed sorrise portandosi le bacchette alle labbra. Sembrava proprio una cena d’addio, il che non lo aiutava affatto a sentirsi meno malinconico: non solo quella cena lo costringeva a confrontarsi con il fatto di dover partire, ma gli ricordava anche che era proprio Laxus a rendere l’intera situazione così difficile. Il problema era che, quando il biondo gli aveva proposto di cenare insieme, a Freed era parso così tremendamente affascinante con quel sorriso sincero stampato sul volto che non era proprio riuscito a dirgli di no.

Bastardo. Magari l’aveva fatto apposta.

“Ho incontrato Cana mentre aspettavo dal cinese” disse Laxus guadagnandosi nuovamente l’attenzione di Freed. “Mi ha accennato che suo padre non vede l’ora di vedere la casa. Sembra molto entusiasta”.

“È interessato ad acquistarla?” chiese Freed inarcando le sopracciglia per la sorpresa.

“È il tuo agente immobiliare, Freed” rispose Laxus atono, trattenendo chiaramente un sorriso. “Dovresti saperlo. È preoccupante che tu non lo sappia”.

“Gildarts è il padre di Cana?” chiese Freed incredulo. “Hanno cognomi diversi”.

“Cazzo, è vero, a volte dimentico che non sei di qua”. Laxus rise sonoramente poggiando la schiena alla sedia. “Ci sono un casino di cose che non sai… Forse dovrei partire proprio dal passato di Gildarts, anche se sarebbe più appropriato chiamarlo Gildarts il puttaniere”.

Fu così che Laxus cominciò a raccontargli le avventure giovanili di Gildarts – in effetti, quel soprannome sembrava calzargli a pennello – per poi deviare verso altre storie riguardanti Magnolia. Parlò del suo paese con un tale livello di entusiasmo che Freed ne fu assuefatto, tanto da sentirsi piacevolmente avvolto dal mondo che Laxus descriveva. Nonostante il biondo non fosse particolarmente eloquente, la sua risata chiassosa e quell’inusuale dose di allegria nel raccontare storie imbarazzanti sui suoi amici furono capaci di intrattenere Freed per tutto il tempo.

E riuscirono quasi a distrarlo da ciò che Laxus aveva detto prima di mettersi a raccontare: “A volte dimentico che non sei di qua”. Era una semplice frase e molto probabilmente Laxus l’aveva pronunciata quasi senza pensarci, ma per un attimo Freed si era sentito incredibilmente accolto. Come se fosse stato accettato nella piccola comunità di Laxus.

Che idea ridicola.

Sbatté le palpebre per scacciare quei pensieri e tornò a concentrarsi sulla storia riguardante Elfman, il quale da ragazzino era stato obbligato dalle sue sorelle a travestirsi da mostro per andare ad una fiera del fumetto. Elfman aveva odiato ogni singolo momento di quella fiera e Laxus aveva trascorso gli anni successivi a mostrargli alcune sue foto con quel costume addosso ogni volta che poteva. Per dargliene prova, Laxus tirò fuori il cellulare e mostrò le foto a Freed.

Era un costume migliore di quanto Freed si sarebbe mai aspettato, ma rivelava decisamente troppo per il giovane e timido Elfman di allora.

Per tutta la durata del racconto Freed era riuscito a distrarsi, ma non era stato comunque abbastanza: mentre ascoltava, infatti, si era ritrovato a disegnare cerchi con le dita sul palmo della mano sinistra al di sotto del tavolo e forse non si sarebbe accorto del ritorno di quel tic nervoso se non fosse stato per… la cicatrice.

Si trattava di una cicatrice piuttosto recente e, quando Freed la toccò ripensando a come se l’era procurata, abbandonò ogni tentativo di non lasciarsi travolgere dalla malinconia.

___________________________

“Merda” sibilò Freed avvertendo un forte dolore che si irradiava dalla mano sinistra fino al braccio. Fece un passo indietro strabuzzando gli occhi di fronte al taglio che si era procurato e al sangue denso che sgorgava fuori. Sembrava una ferita piuttosto profonda e Freed non riusciva a staccare gli occhi da lì.

Laxus, che fino a quel momento se n’era rimasto accovacciato per sistemare le nuove assi del pavimento, gli rivolse un breve sorriso, salvo poi cambiare espressione quando notò del sangue gocciolare sul pavimento. Scattò in piedi e raggiunse Freed prendendogli la mano ferita con la propria e lasciandosi sfuggire un verso di compassione. La cosa ridicola era il fatto che Freed non poteva fare a meno di notare che quella era la prima volta che Laxus gli teneva la mano.

“Sembra brutta” commentò Laxus.

“Davvero?” mormorò ironicamente Freed. “Ed io che pensavo fosse solo un taglietto”.

“Bene. Se riesci a fare il coglione, non è poi così brutta”. Laxus sorrise. “Vieni, ti aiuto a sciacquarti”.

Continuando a stringergli il polso, Laxus lo trascinò attraverso il salotto fino in cucina. Freed non si oppose, troppo concentrato a raccogliere le gocce di sangue piuttosto che lasciarle cadere sul tappeto sporcandolo. Era una buona distrazione, sia dal dolore pungente che avvertiva alla mano, sia dalla presenza fin troppo vicina di Laxus.

“Ti farà un po’ male” lo avvisò Laxus aprendo il rubinetto e portando la mano di Freed sotto il getto dell’acqua.

A quel punto, Freed si rese conto che Laxus Dreyar era uno stronzo bugiardo.

“Ahia, cazzo! Porca puttana!” urlò Freed. Ci fu un momento di silenzio, con Freed che quasi ansimava dal dolore e Laxus che lo fissava accigliato. Un attimo dopo, il suono di una risata roca e chiassosa riempì la stanza. Laxus si piegò letteralmente in due dalle risate sotto lo sguardo attonito di Freed che lo osservava dal lavandino.

“Mi fa piacere che tu ti diverta così tanto”.

“Mi dispiace”. Laxus sorrise trattenendo a stento un’altra risata. “Mi dispiace tanto”.

“Non è vero”.

“No, infatti” concordò Laxus. “È stato troppo divertente, cazzo. Non ti ho mai visto comportarti in quel modo. Mi hai preso alla sprovvista”. Sollevò lo sguardo incontrando quello di Freed e scoppiò nuovamente a ridere. “Vado a prenderti una benda. Scusa, davvero”.

“Grazie” mormorò Freed. “Tu cerca di non cadere, infilzarti con un chiodo e morire. Quello sì che sarebbe terribile”.

“Non preoccuparti. Solo un idiota potrebbe farsi male in questo posto”. Laxus rise ancora. Se Freed avesse avuto qualcosa a portata di mano, gliel’avrebbe sicuramente lanciata in testa. Che bastardo.

Laxus tornò in cucina con il kit del pronto soccorso che si era procurato tempo prima insistendo per tenerlo in casa. Freed era certo che, una volta passato il divertimento scaturito dalle sue imprecazioni, Laxus si sarebbe vantato di quanto avesse fatto bene a tenere quel kit in casa.

Il biondo riafferrò la sua mano allontanandola dal getto dell’acqua e tamponandola delicatamente con un asciugamano. Freed sussultò un po’ a causa della pressione sulla ferita, ma non disse nulla.

Lentamente, con movimenti attenti e ben calcolati, Laxus gli avvolse la benda intorno alla mano evitando accuratamente di intrappolargli anche le dita. Il tessuto bianco si macchiò un po’, ma tutto sommato riuscì a calmare la fuoriuscita del sangue. Anche il dolore era diminuito.

Questo permise a Freed di apprezzare quanto Laxus fosse stato gentile con lui. Non era abituato a vederlo in quel modo.

“Come hai imparato?” chiese Freed sedendosi al tavolo della cucina.

“L’ho fatto un sacco di volte su me stesso”. Laxus sospirò un po’ allontanando le mani dalla benda e ispezionando il suo lavoro, poi sollevò lo sguardo su Freed che lo stava fissando leggermente accigliato. “Da ragazzino facevo sempre a botte. Ero… un bullo o qualcosa del genere”.

Freed aggrottò ulteriormente la fronte. “Davvero?”

“Sì. A quel tempo non credevo di esserlo, ma poi ho iniziato ad andare da una psicologa che mi ha aperto gli occhi”. Laxus scrollò le spalle. “Me la prendevo con i più deboli almeno un paio di volte al mese. Avevo una sorta di complesso di superiorità, volevo che tutti mi rispettassero e facessero quello che volevo. Solo che dopo un po’, quelli che prendevo di mira cominciarono a stancarsi e a reagire, quindi ho dovuto imparare le basi del pronto soccorso”.

Freed non poteva fare a meno di scrutare Laxus con curiosità. Quando il biondo sollevò lo sguardo, però, Freed capì che non era quella l’espressione che si sarebbe aspettato.

“È stata la terapia a farti smettere, allora?” chiese Freed.

Laxus parve disorientato per un momento. “Non esattamente”. Scosse la testa. “C’erano due ragazzini che mi facevano incazzare più degli altri, non so perché. Quando le cose andavano male, io… miravo sempre a loro. Natsu e Gajeel, è probabile che anche tu li abbia visti qualche volta in paese. Natsu è un pompiere, Gajeel un meccanico. Alla fine si stancarono, mi saltarono addosso, mi pestarono a sangue e poi andarono dal preside a dirgli quello che combinavo. Mi sospesero e mi mandarono da Porlyusica. È lei la mia psicologa. Mi ha praticamente sbattuto in faccia tutte le cazzate che ho fatto e mi ha reso una persona migliore”.

Freed si prese un momento per riflettere su ciò che aveva appena sentito; quella era senz’altro la cosa migliore da fare. A volte la gente gli confidava i propri segreti peggiori – la condanna di essere un avvocato – e i suoi primi pensieri non erano mai particolarmente d’aiuto. Quindi preferì rifletterci qualche secondo e alla fine optò per la domanda che gli sembrava più prudente.

“Il preside ti sospese senza alcuna prova?”

“Oh, aveva molte prove”. Laxus rise. “È difficile scampartela se il preside è tuo nonno”.

“Makarov?” si accigliò Freed.

“Sì. Quando la scuola lo costrinse ad andarsene in pensione, iniziò a lavorare all’hotel perché credeva che stare in pensione fosse noioso”. Laxus sorrise ricordando l’improvvisa decisione di suo nonno di comprare l’hotel, poi guardò Freed con aria seria. “Ho appena ammesso che facevo il bullo e picchiavo i miei coetanei. Perché non sei turbato?”

“Alcuni dei miei clienti abbassano intenzionalmente gli stipendi dei loro dipendenti per aumentare i propri e se la ridono pure”. Freed scrollò le spalle, ma Laxus lo esortò a continuare capendo che c’era qualcos’altro. “E poi nemmeno io ero un ragazzino esemplare ai tempi della scuola” ammise infatti Freed.

“Eri un bullo anche tu, eh?” scherzò Laxus.

“Be’, non proprio, ma di certo non ero il più gentile”. Freed si poggiò alla sedia. “Ero il migliore della classe e volevo che tutti lo sapessero. Parlavo dei risultati delle verifiche solo per assicurarmi che tutti sapessero che avevo preso il massimo dei voti. E poi c’era un ragazzo che si sedeva accanto a me durante la maggior parte delle lezioni. Non era particolarmente intelligente, per cui tendevo a… trattarlo con superiorità. Forse, sotto sotto, avevo una cotta per lui. Era solo un modo contorto per gestire la cosa”.

“Ma ora non sei così” commentò Laxus. “E se ti comporti in quel modo, lo fai solo per scherzo. Cos’è che ti ha fatto cambiare?”

“Evergreen e Bickslow mi dissero che se non mi fossi dato una regolata, avrebbero smesso di essere miei amici”. Freed sorrise. “Oltre a loro, avevo solo i miei genitori. Non potevo perderli”.

Freed ripensò in silenzio ai tempi della scuola e forse Laxus fece lo stesso. Era una strana sensazione stare seduto accanto a qualcuno che, come lui, si vergognava della persona che era stato, ma era comunque passato avanti. Era bello sapere che c’era qualcuno capace di comprenderlo veramente.

Ed era bello poter confessare a Laxus di essere omosessuale senza che lui battesse ciglio.

“Ti avrei preso a calci in culo se fossimo andati a scuola insieme” dichiarò Laxus sorridendo.

“Ci avresti provato, vuoi dire” lo corresse Freed cercando di smorzare la tensione. “Da bambino facevo scherma ed ero anche piuttosto bravo, quindi ti avrei trafitto ancora prima che tu potessi colpirmi”.

“Difficile trafiggere qualcuno quando sei stato messo K.O.”. Laxus ghignò spavaldamente mimando un pugno, ma questo fece flettere il suo bicipite e Freed dovette spostare lo sguardo.

Si sorrisero a vicenda, nonostante non ci fosse nulla di particolarmente divertente. Freed pensò che fosse rilassante stare con Laxus e che con lui poteva essere molto più onesto che con altre persone, forse perché Laxus era la prima persona che Freed aveva imparato a conoscere davvero oltre a Evergreen e Bickslow. Forse perché, cosa più importante, Laxus gli piaceva veramente.

“Andiamo” disse Laxus. “Non mi fido della mia benda, è meglio che ti fai controllare da un dottore. Non voglio che ti venga un’infezione o qualcosa del genere”.

A quelle parole, il cuore di Freed fece una capriola.

___________________________

“Sei proprio distratto oggi, sai?”

Freed, che nel frattempo aveva riportato la mano sul tavolo giocherellando con l’altra, sollevò lo sguardo su Laxus. Il biondo aveva un’espressione strana, divertita e riflessiva al tempo stesso. Freed aggrottò la fronte.

“Hai ragione” concordò. “Scusami, sono di pessima compagnia. Cosa stavi dicendo?”

“Non era importante”. Laxus scrollò le spalle. “Vuoi dirmi cosa c’è che non va?”

“Come ho detto, mi sto occupando di un caso che potrebbe risultare vantaggioso per la mia società” mentì Freed. Non poteva assolutamente dirgli la verità. “Ma non è niente di complicato, devo solo ragionarci un po’ ”.

“Un attimo fa ho scritto ad Evergreen e mi ha detto che non ti stai occupando di nessun caso. Mentiva?”. Laxus incrociò le braccia al petto e Freed assottigliò gli occhi.

“Tu ed Evergreen avete parlato?”

“Puoi prendermi per il culo quanto vuoi, ma sappi che so benissimo che c’è qualcosa che ti turba” disse Laxus ignorando la domanda di Freed. “Naturalmente non devi dirmi per forza cos’è, quelli sono affari tuoi”.

Freed avrebbe tanto voluto chiedergli perché, allora, continuava ad insistere.

“Ti dico solo questo” continuò Laxus. “Non devi per forza fare qualcosa che non ti va di fare”.

E in un certo senso era proprio quello che Freed cercava di ignorare. Perché, anche se da un lato non voleva lasciare Magnolia, dall’altro non voleva nemmeno permettersi di pensare di poter rimanere. L’obiettivo che si era posto era quello di rendere la casa nuovamente funzionante e quindi abitabile, in modo da poterla vendere e poi tornare alla sua vita di sempre. Non si trattava solo di un obiettivo da raggiungere, ma di una vera e propria regola da rispettare.

Il suo affetto per quel posto e per Laxus era cresciuto in modo graduale, di questo Freed era consapevole, ma si era comunque imposto di abbandonare il paese una volta terminati i lavori in casa. A quel punto, non ci sarebbe stato più nulla in grado di trattenerlo a Magnolia.

Ma quella era una bugia. L’unica persona che gli imponeva di seguire quella regola era se stesso.

“Ho sempre detto che avrei venduto la casa dopo aver aggiustato tutto” affermò Freed con quel tono da avvocato che negava sempre di avere.

“Allora di’ qualcos’altro” rispose Laxus, come se dipendesse davvero da quello. “Senti, non so com’è la tua vita lì in città, ma so per certo che ti piace stare qui. Quindi perché non continui a venire?”

“Io–”. Freed si interruppe, aveva bisogno di pensare. “La mia vera vita è in città, non posso–”

“Chi dice che la tua vera vita sia solo in città? Vieni qui ogni weekend da mesi ormai, anche questo è parte della tua vita” disse Laxus con un sorriso che fece vacillare la determinazione di Freed.

“Mi ero detto che una volta aggiustata la casa–”

“Non si tratta della casa” insistette Laxus. “Si tratta di te, idiota! Penso che stare qui ti renda felice. E se qualcosa ti rende felice, perché privartene per una stupida regola del cazzo che ti sei imposto da solo? Non mi sembra una cosa intelligente da fare”.

Freed ci pensò un attimo.

Si sentiva profondamente a disagio a sentir parlare Laxus in quel modo e non riusciva a capirne il perché. Be’, forse sì, ma non era pronto a considerare una simile spiegazione. La verità era che l’unico vero motivo per cui Laxus voleva che Freed ritornasse a Magnolia era il fatto che voleva continuare a vederlo. Voleva continuare a vedere Freed nello stesso modo in cui Freed voleva continuare a vedere lui.

Ma Freed questo non poteva accettarlo: se l’avesse fatto, avrebbe cominciato a chiedersi il perché e forse sarebbe giunto alla conclusione che la sua stupida cotta per Laxus era ricambiata. Semplicemente, non poteva.

“Forse potremmo… migliorare ulteriormente la casa” disse Freed senza pensarci.

“Forse sì”. Laxus annuì. “Quindi resterai qui? Per la casa”.

Per la casa”.

Non era per la casa. Lo sapevano tutti e due. 

 

 

 

 

 

 

Note della traduttrice:

Vi lascio un'illustrazione di jemyart ispirata alla storia di Eryiss (con l'unica differenza che in questa immagine Laxus e Freed mangiano una pizza, non cibo cinese). L'autore stesso dice che si immagina Laxus e Freed in questo modo <3

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