Note
della traduttrice:
Quinto
capitolo di questa long di Eryiss
che potete
trovare qui in lingua inglese: AO3
- Fanfiction.net
- Tumblr.
Ricordo
che titolo, immagine introduttiva,
storia e note d’autore sono sue, mentre io mi occupo solo di
tradurre.
Se
volete lasciare un commento, provvederò a tradurlo per
l’autore <3
Note
dell’autore:
Ciao
a tutti, grazie di essere di nuovo qui. Ricordate di dare
un’occhiata a Fuckyeahfraxus che ha organizzato il Fraxus Day. Andate a
visitare la pagina per scoprire quali altri contenuti sono stati
prodotti in occasione di questo evento. ATTENZIONE, in
questo capitolo sono presenti scene di sanguinamento e discussioni sul
bullismo nell’ambiente scolastico.
Vi ringrazio per qualsiasi commento vogliate lasciarmi. Per me significa molto. Spero che la storia vi piaccia e grazie per la lettura.
Capitolo 5 – La ferita
Malinconia
non era
la parola giusta, no.
Freed
non era un tipo malinconico, anzi, non
si era mai lasciato trasportare minimamente dalle emozioni. Non
rimuginava sul
passato in modo nostalgico e non era solito sentirsi triste quando una
fase
della sua vita giungeva al termine. Certo, c’erano cose in
grado di destare la
sua sensibilità, ma comunque non era il tipo da sprofondare
nella tristezza. Se
la vita proseguiva velocemente, lui doveva fare lo stesso. Era questa
la sua
razionale filosofia di vita.
Era
un mantra che Freed, quel giorno, si era ritrovato
a ripetersi mentalmente più e più volte man mano
che si avvicinava alla casa.
La
casa quasi finita.
Non
era certo una casa esemplare, ma perlomeno
ora funzionava adeguatamente. Le finestre erano state aggiustate,
l’impianto
idraulico e l’impianto elettrico erano stati riparati, la
struttura rinforzata.
Le pareti conservavano ancora i resti di una carta da parati antiquata
e le
assi del pavimento erano ancora scoperte, ma nel complesso
l’edificio era
tornato abitabile come nelle intenzioni iniziali e poteva chiamarsi
nuovamente casa.
Aveva solo bisogno di amore, attenzione e miglioramenti da parte di
chiunque
volesse viverci. Ora, seguendo la sua filosofia di vita, Freed avrebbe
dovuto
vendere la casa all’istante, tornare ad Era e lavorare al suo
prossimo caso.
Era il passo più logico, esattamente ciò che
avrebbe dovuto fare.
Ciò
che però non stava facendo. Nonostante
fosse in contrasto con il modo in cui aveva sempre vissuto, Freed si
sentiva
riluttante a doversene andare. Aveva esitato parecchio di fronte al
numero
telefonico di Gildarts e alla fine si era rimesso il cellulare in tasca
con un
lamento infastidito.
Era
davvero patetico.
Cercò
di razionalizzare la cosa, di trovare
una spiegazione pragmatica a ciò che sentiva. Si convinse
del fatto che la casa
rappresentasse un suo traguardo personale, qualcosa che aveva
realizzato con le
sue stesse mani, un risultato pratico che reputava
degno di nota per il
semplice fatto che era abituato a svolgere la maggior parte del suo
lavoro con
la mente. Insomma, chi non avrebbe
reagito così in una situazione
del genere? Quella casa era una specie di monumento a ciò
che era in grado di
fare se si applicava, e lui ne era orgoglioso.
Ma
questa era una bugia, Freed lo sapeva. Il
vero motivo per cui non voleva vendere la casa era il fatto che si
trattava
dell’unica cosa in grado di trattenerlo a Magnolia, e lui non
era ancora pronto
ad andarsene.
Certo,
non aveva bisogno di possedere una casa
per recarsi a Magnolia. Il fatto di aver stretto una solida amicizia
con Laxus
e di aver conosciuto i suoi amici era un ottimo motivo per far loro
visita di
tanto in tanto. Si era ormai abituato a tornare a Magnolia ogni weekend
e non
voleva smettere.
Non
voleva smettere nonostante sapesse che
tutta la gente del paese avrebbe cominciato a spettegolare sul motivo
per cui
lui continuasse a tornare. Ci avrebbe visto chiaro e tondo, cosa che
Freed non
era certo di poter gestire.
Non
era bravo a sentirsi imbarazzato, non lo
era mai stato.
C’erano
state alcune situazioni nella sua vita
in cui si era sentito veramente imbarazzato
– sfortunati episodi della
sua adolescenza che di tanto in tanto gli tornavano in mente di notte
– ma comunque
erano state situazioni volute. Si era sempre sforzato di evitare
qualsiasi fonte
di imbarazzo. Nel complesso era sempre andata bene, ma ora Magnolia
stava seriamente
mettendo a dura prova le scelte di vita che lo avevano aiutato a
mantenere una
certa sanità mentale fino a quel momento.
Freed
scosse la testa. Non doveva provare malinconia,
ma soprattutto non doveva rimuginare sul passato.
Prese
una piccola spugna e cominciò a passarla
lentamente sul tavolo della cucina di Villa Albion. Quel tavolo era
lì da
quando Freed aveva ereditato la casa, e dopo che Laxus
l’aveva grattato e
ripulito era tornato utilizzabile così come il resto della
casa. Proprio quella
sera, il tavolo di Villa Albion avrebbe svolto per la prima volta la
sua reale
funzione, dato che Freed e Laxus avrebbero cenato insieme.
E
questo non migliorava affatto la situazione.
Chiaramente
c’era qualcosa di più.
Magnolia era sicuramente un bel posto e i suoi abitanti erano brave
persone, ma
nessuno si sarebbe lasciato sopraffare dalla malinconia
all’idea di abbandonare
un gruppo di edifici. Sfortunatamente per Freed, la
malinconia poteva essere
causata solo dal pensiero di dover abbandonare altre persone.
E
certamente Laxus era una brava persona. Era
divertente, schietto e sapeva fronteggiarlo senza battere ciglio, ma
era anche
gentile e disponibile: quando gli aveva insegnato a installare le prese
elettriche o a collegare i tubi del bagno, era stato paziente e si era
assicurato di metterlo a suo agio, perfino quando Freed era stato sul
punto di
rompere la porcellana con la chiave inglese. Era un bravo ragazzo e
sapeva come
prendere Freed in qualsiasi situazione.
Oltretutto,
era davvero bello. Freed
aveva sempre evitato di ammetterlo, ma dal momento che presto si
sarebbero
separati voleva essere onesto almeno con se stesso. Spalle ampie, petto
muscoloso, capelli biondi e occhi luminosi: Evergreen aveva ragione,
Laxus era proprio
un Adone.
E
il suo fascino rustico, un fascino in
grado di attirare Freed più del dovuto, non lo aiutava di
certo.
In
ogni caso, non avrebbero potuto conoscersi
più a fondo e forse era meglio così. Freed non
era un tipo romantico, aveva
cose più importanti da fare e la sua attrazione per Laxus
era dovuta
semplicemente alla stretta vicinanza con lui. Laxus era un uomo
attraente,
certo, ma in fin dei conti non era l’unico. Entro un anno
Freed l’avrebbe
dimenticato e sarebbe tornato alla sua vita di sempre.
E
con un po’ di fortuna, anche i suoi sogni su
Laxus sarebbero svaniti, sia quelli disgustosamente teneri, sia quelli
più… intensi.
“Ehi”
una voce allontanò Freed dai suoi
pensieri. “Penso che sia pulito ora”.
Freed
si accigliò guardando il tavolo: in
effetti, c’era una zona del legno che brillava più
delle altre. Il tono
scherzoso di Laxus lo aveva fatto sussultare, ma Freed si era subito
rimproverato mentalmente. Laxus non poteva aver
capito a cosa stava
pensando semplicemente osservandolo pulire il tavolo.
“Una
curiosità” disse con cautela. “Da quanto
sei qui?”
“Quindici
minuti”. Laxus sorrise scuotendo un
po’ le due confezioni di cibo cinese. “La cena si
sarà raffreddata”.
“Quindici
minuti!” esclamò Freed incredulo.
“Sono
arrivato ora, stupido”. Laxus ghignò
avvicinandosi al tavolo e poggiandoci le confezioni. “A cosa
stavi pensando per
essere così concentrato?”
“A
un caso di cui mi sto occupando” mentì
Freed. In realtà non stava lavorando a nessun caso, ma
probabilmente ne avrebbe
preso uno quando sarebbe tornato in città. Tornato in
città definitivamente.
“Non è difficile. È un caso piuttosto
semplice in realtà, ma si tratta di un
cliente di alto profilo che potrebbe rivolgersi nuovamente a noi in
caso di
bisogno, quindi dobbiamo essere amichevoli”.
“Non
mi sembra che essere amichevole
sia il tuo forte”. Laxus ghignò.
“Probabilmente sei fuori allenamento”.
“Se
è così, credo che ti farò pagare
l’intera
cena” disse Freed sedendosi al tavolo e aprendo la propria
confezione.
“Questo
dimostra che ho ragione”.
Freed
sorrise portandosi le bacchette alle
labbra. Sembrava proprio una cena d’addio,
il che non lo aiutava affatto
a sentirsi meno malinconico: non solo quella cena lo costringeva a
confrontarsi
con il fatto di dover partire, ma gli ricordava anche che era proprio
Laxus a
rendere l’intera situazione così difficile. Il
problema era che, quando il
biondo gli aveva proposto di cenare insieme, a Freed era parso
così
tremendamente affascinante con quel sorriso sincero stampato sul volto
che non
era proprio riuscito a dirgli di no.
Bastardo.
Magari
l’aveva fatto apposta.
“Ho
incontrato Cana mentre aspettavo dal
cinese” disse Laxus guadagnandosi nuovamente
l’attenzione di Freed. “Mi ha
accennato che suo padre non vede l’ora di vedere la casa.
Sembra molto
entusiasta”.
“È
interessato ad acquistarla?” chiese Freed
inarcando le sopracciglia per la sorpresa.
“È
il tuo agente immobiliare, Freed” rispose
Laxus atono, trattenendo chiaramente un sorriso. “Dovresti
saperlo. È
preoccupante che tu non lo sappia”.
“Gildarts
è il padre di Cana?” chiese Freed
incredulo. “Hanno cognomi diversi”.
“Cazzo,
è vero, a volte dimentico che non sei
di qua”. Laxus rise sonoramente poggiando la schiena alla
sedia. “Ci sono un
casino di cose che non sai… Forse dovrei partire proprio dal
passato di
Gildarts, anche se sarebbe più appropriato chiamarlo
Gildarts il puttaniere”.
Fu
così che Laxus cominciò a raccontargli le
avventure giovanili di Gildarts – in effetti, quel soprannome
sembrava
calzargli a pennello – per poi deviare verso altre storie
riguardanti Magnolia.
Parlò del suo paese con un tale livello di entusiasmo che
Freed ne fu
assuefatto, tanto da sentirsi piacevolmente avvolto dal mondo che Laxus
descriveva. Nonostante il biondo non fosse particolarmente eloquente,
la sua risata
chiassosa e quell’inusuale dose di allegria nel raccontare
storie imbarazzanti
sui suoi amici furono capaci di intrattenere Freed per tutto il tempo.
E
riuscirono quasi a distrarlo da ciò che
Laxus aveva detto prima di mettersi a raccontare: “A
volte dimentico che non
sei di qua”. Era una semplice frase e molto
probabilmente Laxus l’aveva
pronunciata quasi senza pensarci, ma per un attimo Freed si era sentito
incredibilmente accolto. Come se fosse stato accettato
nella
piccola comunità di Laxus.
Che
idea ridicola.
Sbatté
le palpebre per scacciare quei pensieri
e tornò a concentrarsi sulla storia riguardante Elfman, il
quale da ragazzino era
stato obbligato dalle sue sorelle a travestirsi da mostro per andare ad
una
fiera del fumetto. Elfman aveva odiato ogni singolo momento di quella
fiera e
Laxus aveva trascorso gli anni successivi a mostrargli alcune sue foto
con quel
costume addosso ogni volta che poteva. Per dargliene prova, Laxus
tirò fuori il
cellulare e mostrò le foto a Freed.
Era
un costume migliore di quanto Freed si
sarebbe mai aspettato, ma rivelava decisamente
troppo per il giovane e
timido Elfman di allora.
Per
tutta la durata del racconto Freed era
riuscito a distrarsi, ma non era stato comunque abbastanza: mentre
ascoltava,
infatti, si era ritrovato a disegnare cerchi con le dita sul palmo
della mano
sinistra al di sotto del tavolo e forse non si sarebbe accorto del
ritorno di
quel tic nervoso se non fosse stato per… la cicatrice.
Si
trattava di una cicatrice piuttosto recente
e, quando Freed la toccò ripensando a come se
l’era procurata, abbandonò ogni
tentativo di non lasciarsi travolgere dalla malinconia.
___________________________
“Merda” sibilò
Freed avvertendo un forte
dolore che si irradiava dalla mano sinistra fino al braccio. Fece un
passo
indietro strabuzzando gli occhi di fronte al taglio che si era
procurato e al
sangue denso che sgorgava fuori. Sembrava una ferita piuttosto profonda
e Freed
non riusciva a staccare gli occhi da lì.
Laxus, che fino a quel momento se n’era
rimasto
accovacciato per sistemare le nuove assi del pavimento, gli rivolse un
breve
sorriso, salvo poi cambiare espressione quando notò del
sangue gocciolare sul
pavimento. Scattò in piedi e raggiunse Freed prendendogli la
mano ferita con la
propria e lasciandosi sfuggire un verso di compassione. La cosa
ridicola era il
fatto che Freed non poteva fare a meno di notare che quella era la
prima volta
che Laxus gli teneva la mano.
“Sembra brutta”
commentò Laxus.
“Davvero?” mormorò
ironicamente Freed. “Ed
io che pensavo fosse solo un taglietto”.
“Bene. Se riesci a fare il coglione, non
è
poi così brutta”. Laxus sorrise. “Vieni,
ti aiuto a sciacquarti”.
Continuando a stringergli il polso, Laxus
lo trascinò attraverso il salotto fino in cucina. Freed non
si oppose, troppo
concentrato a raccogliere le gocce di sangue piuttosto che lasciarle
cadere sul
tappeto sporcandolo. Era una buona distrazione, sia dal dolore pungente
che
avvertiva alla mano, sia dalla presenza fin troppo vicina di Laxus.
“Ti farà un po’
male” lo avvisò Laxus
aprendo il rubinetto e portando la mano di Freed sotto il getto
dell’acqua.
A quel punto, Freed si rese conto che Laxus
Dreyar era uno stronzo bugiardo.
“Ahia, cazzo! Porca puttana!”
urlò Freed.
Ci fu un momento di silenzio, con Freed che quasi ansimava dal dolore e
Laxus
che lo fissava accigliato. Un attimo dopo, il suono di una risata roca
e
chiassosa riempì la stanza. Laxus si piegò
letteralmente in due dalle risate
sotto lo sguardo attonito di Freed che lo osservava dal lavandino.
“Mi fa piacere che tu ti diverta
così
tanto”.
“Mi dispiace”. Laxus sorrise
trattenendo a
stento un’altra risata. “Mi dispiace
tanto”.
“Non è vero”.
“No, infatti”
concordò Laxus. “È stato
troppo divertente, cazzo. Non ti ho mai visto comportarti in quel modo.
Mi hai
preso alla sprovvista”. Sollevò lo sguardo
incontrando quello di Freed e
scoppiò nuovamente a ridere. “Vado a prenderti una
benda. Scusa, davvero”.
“Grazie” mormorò
Freed. “Tu cerca di non
cadere, infilzarti con un chiodo e morire. Quello sì che
sarebbe terribile”.
“Non preoccuparti. Solo un idiota
potrebbe
farsi male in questo posto”. Laxus rise ancora. Se Freed
avesse avuto qualcosa
a portata di mano, gliel’avrebbe sicuramente lanciata in
testa. Che bastardo.
Laxus tornò in cucina con il kit del
pronto
soccorso che si era procurato tempo prima insistendo per tenerlo in
casa. Freed
era certo che, una volta passato il divertimento scaturito dalle sue
imprecazioni, Laxus si sarebbe vantato di quanto avesse fatto bene a
tenere
quel kit in casa.
Il biondo riafferrò la sua mano
allontanandola dal getto dell’acqua e tamponandola
delicatamente con un
asciugamano. Freed sussultò un po’ a causa della
pressione sulla ferita, ma non
disse nulla.
Lentamente, con movimenti attenti e ben
calcolati, Laxus gli avvolse la benda intorno alla mano evitando
accuratamente
di intrappolargli anche le dita. Il tessuto bianco si
macchiò un po’, ma tutto
sommato riuscì a calmare la fuoriuscita del sangue. Anche il
dolore era
diminuito.
Questo permise a Freed di apprezzare quanto
Laxus fosse stato gentile con lui. Non era abituato a vederlo in quel
modo.
“Come hai imparato?” chiese
Freed sedendosi
al tavolo della cucina.
“L’ho fatto un sacco di volte
su me stesso”.
Laxus sospirò un po’ allontanando le mani dalla
benda e ispezionando il suo
lavoro, poi sollevò lo sguardo su Freed che lo stava
fissando leggermente
accigliato. “Da ragazzino facevo sempre a botte.
Ero… un bullo o qualcosa del
genere”.
Freed aggrottò ulteriormente la fronte.
“Davvero?”
“Sì. A quel tempo non credevo
di esserlo, ma
poi ho iniziato ad andare da una psicologa che mi ha aperto gli
occhi”. Laxus
scrollò le spalle. “Me la prendevo con i
più deboli almeno un paio di volte al
mese. Avevo una sorta di complesso di superiorità, volevo
che tutti mi
rispettassero e facessero quello che volevo. Solo che dopo un
po’, quelli che
prendevo di mira cominciarono a stancarsi e a reagire, quindi ho dovuto
imparare le basi del pronto soccorso”.
Freed non poteva fare a meno di scrutare
Laxus con curiosità. Quando il biondo sollevò lo
sguardo, però, Freed capì che non
era quella l’espressione che si sarebbe aspettato.
“È stata la terapia a farti
smettere,
allora?” chiese Freed.
Laxus parve disorientato per un momento.
“Non
esattamente”. Scosse la testa. “C’erano
due ragazzini che mi facevano incazzare
più degli altri, non so perché. Quando le cose
andavano male, io… miravo sempre
a loro. Natsu e Gajeel, è probabile che anche tu li abbia
visti qualche volta in
paese. Natsu è un pompiere, Gajeel un meccanico. Alla fine
si stancarono, mi
saltarono addosso, mi pestarono a sangue e poi andarono dal preside a
dirgli quello
che combinavo. Mi sospesero e mi mandarono da Porlyusica. È
lei la mia
psicologa. Mi ha praticamente sbattuto in faccia tutte le cazzate che
ho fatto
e mi ha reso una persona migliore”.
Freed si prese un momento per riflettere su
ciò che aveva appena sentito; quella era
senz’altro la cosa migliore da fare. A
volte la gente gli confidava i propri segreti peggiori – la
condanna di essere
un avvocato – e i suoi primi pensieri non erano mai
particolarmente d’aiuto.
Quindi preferì rifletterci qualche secondo e alla fine
optò per la domanda che
gli sembrava più prudente.
“Il preside ti sospese senza alcuna
prova?”
“Oh, aveva molte
prove”. Laxus rise. “È difficile
scampartela se il preside è tuo nonno”.
“Makarov?” si
accigliò Freed.
“Sì. Quando la scuola lo
costrinse ad
andarsene in pensione, iniziò a lavorare all’hotel
perché credeva che stare in pensione
fosse noioso”. Laxus sorrise ricordando
l’improvvisa decisione di suo nonno di
comprare l’hotel, poi guardò Freed con aria seria.
“Ho appena ammesso che facevo
il bullo e picchiavo i miei coetanei. Perché non sei
turbato?”
“Alcuni dei miei clienti abbassano
intenzionalmente gli stipendi dei loro dipendenti per aumentare i
propri e se
la ridono pure”. Freed scrollò le spalle, ma Laxus
lo esortò a continuare
capendo che c’era qualcos’altro. “E poi
nemmeno io ero un ragazzino esemplare
ai tempi della scuola” ammise infatti Freed.
“Eri un bullo anche tu, eh?”
scherzò Laxus.
“Be’, non proprio, ma di certo
non ero il
più gentile”. Freed si poggiò alla
sedia. “Ero il migliore della classe e
volevo che tutti lo sapessero. Parlavo dei risultati delle verifiche
solo per
assicurarmi che tutti sapessero che avevo preso il massimo dei voti. E
poi c’era
un ragazzo che si sedeva accanto a me durante la maggior parte delle
lezioni.
Non era particolarmente intelligente, per cui tendevo a…
trattarlo con superiorità.
Forse, sotto sotto, avevo una cotta per lui. Era solo un modo contorto
per
gestire la cosa”.
“Ma ora non sei
così” commentò Laxus. “E se
ti comporti in quel modo, lo fai solo per scherzo.
Cos’è che ti ha fatto
cambiare?”
“Evergreen e Bickslow mi dissero che se
non
mi fossi dato una regolata, avrebbero smesso di essere miei
amici”. Freed
sorrise. “Oltre a loro, avevo solo i miei genitori. Non
potevo perderli”.
Freed ripensò in silenzio ai tempi
della
scuola e forse Laxus fece lo stesso. Era una strana sensazione stare
seduto
accanto a qualcuno che, come lui, si vergognava della persona che era
stato, ma
era comunque passato avanti. Era bello sapere che c’era
qualcuno capace di
comprenderlo veramente.
Ed era bello poter confessare a Laxus di essere
omosessuale senza che lui battesse ciglio.
“Ti avrei preso a calci in culo se
fossimo
andati a scuola insieme” dichiarò Laxus sorridendo.
“Ci avresti provato,
vuoi dire” lo corresse Freed cercando di smorzare la
tensione. “Da bambino
facevo scherma ed ero anche piuttosto bravo, quindi ti avrei trafitto
ancora
prima che tu potessi colpirmi”.
“Difficile trafiggere qualcuno quando
sei
stato messo K.O.”. Laxus ghignò spavaldamente
mimando un pugno, ma questo fece
flettere il suo bicipite e Freed dovette spostare lo sguardo.
Si sorrisero a vicenda, nonostante non ci
fosse nulla di particolarmente divertente. Freed pensò che
fosse rilassante
stare con Laxus e che con lui poteva essere molto più onesto
che con altre
persone, forse perché Laxus era la prima persona che Freed
aveva imparato a
conoscere davvero oltre a Evergreen e Bickslow. Forse
perché, cosa più
importante, Laxus gli piaceva veramente.
“Andiamo” disse Laxus.
“Non mi fido della
mia benda, è meglio che ti fai controllare da un dottore.
Non voglio che ti
venga un’infezione o qualcosa del genere”.
A quelle parole, il cuore di Freed fece una
capriola.
___________________________
“Sei
proprio distratto oggi, sai?”
Freed,
che nel frattempo aveva riportato la mano
sul tavolo giocherellando con l’altra, sollevò lo
sguardo su Laxus. Il biondo
aveva un’espressione strana, divertita e riflessiva al tempo
stesso. Freed
aggrottò la fronte.
“Hai
ragione” concordò. “Scusami, sono di
pessima compagnia. Cosa stavi dicendo?”
“Non
era importante”. Laxus scrollò le spalle.
“Vuoi dirmi cosa c’è che non
va?”
“Come
ho detto, mi sto occupando di un caso
che potrebbe risultare vantaggioso per la mia
società” mentì Freed. Non poteva
assolutamente dirgli la verità. “Ma non
è niente di complicato, devo solo ragionarci
un po’ ”.
“Un
attimo fa ho scritto ad Evergreen e mi ha
detto che non ti stai occupando di nessun caso. Mentiva?”.
Laxus incrociò le
braccia al petto e Freed assottigliò gli occhi.
“Tu
ed Evergreen avete parlato?”
“Puoi
prendermi per il culo quanto vuoi, ma
sappi che so benissimo che c’è qualcosa che ti
turba” disse Laxus ignorando la
domanda di Freed. “Naturalmente non devi dirmi per forza
cos’è, quelli sono
affari tuoi”.
Freed
avrebbe tanto voluto chiedergli perché,
allora, continuava ad insistere.
“Ti
dico solo questo” continuò Laxus. “Non
devi per forza fare qualcosa che non ti va di fare”.
E
in un certo senso era proprio quello che
Freed cercava di ignorare. Perché, anche se da un lato non
voleva lasciare
Magnolia, dall’altro non voleva nemmeno permettersi di
pensare di poter
rimanere. L’obiettivo che si era posto era quello di rendere
la casa nuovamente
funzionante e quindi abitabile, in modo da poterla vendere e poi
tornare alla
sua vita di sempre. Non si trattava solo di un obiettivo da
raggiungere, ma di
una vera e propria regola da rispettare.
Il
suo affetto per quel posto e per Laxus era
cresciuto in modo graduale, di questo Freed era consapevole, ma si era
comunque
imposto di abbandonare il paese una volta terminati i lavori in casa. A
quel
punto, non ci sarebbe stato più nulla in grado di
trattenerlo a Magnolia.
Ma
quella era una bugia. L’unica persona che
gli imponeva di seguire quella regola era se stesso.
“Ho
sempre detto che avrei venduto la casa
dopo aver aggiustato tutto” affermò Freed con quel
tono da avvocato che
negava sempre di avere.
“Allora
di’ qualcos’altro” rispose Laxus, come
se dipendesse davvero da quello. “Senti, non so
com’è la tua vita lì in
città,
ma so per certo che ti piace stare qui. Quindi perché non
continui a
venire?”
“Io–”.
Freed si interruppe, aveva bisogno di
pensare. “La mia vera vita è in città,
non posso–”
“Chi
dice che la tua vera vita sia solo
in città? Vieni qui ogni weekend da mesi ormai, anche questo
è parte della tua
vita” disse Laxus con un sorriso che fece vacillare la
determinazione di Freed.
“Mi
ero detto che una volta aggiustata la
casa–”
“Non
si tratta della casa” insistette Laxus.
“Si tratta di te, idiota! Penso che stare qui ti renda
felice. E se qualcosa ti
rende felice, perché privartene per una stupida regola del
cazzo che ti sei
imposto da solo? Non mi sembra una cosa intelligente da fare”.
Freed
ci pensò un attimo.
Si
sentiva profondamente a disagio a sentir
parlare Laxus in quel modo e non riusciva a capirne il
perché. Be’, forse sì,
ma non era pronto a considerare una simile spiegazione. La
verità era che
l’unico vero motivo per cui Laxus voleva che Freed ritornasse
a Magnolia era il
fatto che voleva continuare a vederlo. Voleva continuare a vedere Freed
nello
stesso modo in cui Freed voleva continuare a vedere lui.
Ma
Freed questo non poteva accettarlo: se l’avesse fatto, avrebbe cominciato a chiedersi il
perché e forse sarebbe
giunto alla conclusione che la sua stupida cotta per Laxus era ricambiata. Semplicemente,
non poteva.
“Forse
potremmo… migliorare ulteriormente la
casa” disse Freed senza pensarci.
“Forse
sì”. Laxus annuì. “Quindi
resterai qui?
Per la casa”.
“Per
la casa”.
Non era per la casa. Lo
sapevano tutti e due.
Note della traduttrice:
Vi
lascio un'illustrazione di jemyart
ispirata alla storia di Eryiss (con l'unica differenza che in questa
immagine Laxus e Freed mangiano una pizza, non cibo cinese). L'autore
stesso dice che si immagina Laxus e Freed in questo modo <3