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Autore: Verfall    03/02/2021    6 recensioni
Sappiamo bene come si siano svolti i due incontri del 26 marzo, ma cosa è avvenuto subito dopo entrambi? In questa serie di missing moments cercheremo di ripercorrere i pensieri e le azioni non solo di Ryo e Kaori, ma anche di altri personaggi che nell’opera non hanno avuto modo di esprimersi tanto quanto avrei desiderato. Un intimo viaggio corale alle origini della storia che tanto amiamo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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3. 28 marzo 1983 – Ryo

Si ritrovò carponi nel fango, il respiro sempre più pesante e un fastidioso formicolio lungo le membra. Gli mancò il fiato e in un gesto disperato aprì la bocca per cercare di incamerare quanta più aria possibile. Dietro di lui avvertì distintamente un fruscio di stoffa e un sussurro quasi impercettibile:
«Mi spiace Ryo, non ho avuto scelta. Ti sentirai meglio tra poco»
Sentì il cuore perdere qualche battito, poi una confusione infernale lo travolse.
“Uccidere. Nemico. Uccidere. Nemico” erano le uniche parole che gli ronzavano in testa mentre il battito cardiaco accelerò a un ritmo di guerra inesorabile. Subito dopo si susseguirono immagini sfocate di corpi dilaniati e urla laceranti lo avvolsero in una morsa glaciale. Sarebbe finita? L’odore ferroso del sangue misto a quello della terra e polvere da sparo gli perforò le narici, nauseandolo.
“Uccidere. Nemico. Uccidere. Nemico.”
Dolore e smania di sangue, non era capace di sentire altro. Sarebbe mai finita?  Poi, improvvisamente, venne l’oblio.
 
Ryo spalancò gli occhi. Il cuore gli martellava all’impazzata e il sudore gli imperlava la fronte. Fece un respiro profondo e cercò di ritrovare la calma. Erano alcuni anni che non faceva quel tipo di incubo e si era dimenticato quanto lo fiaccassero i risvegli da quell’inferno. Si portò le mani tra la nuca e il cuscino, guardando distrattamente il soffitto lievemente rischiarato dal sole nascente. Perché quell’inferno tornava a infestare i suoi sogni? Credeva di aver rinchiuso quel capitolo della sua vita negli abissi del suo animo, di essere riuscito a incanalare i ricordi secondo i suoi desideri. Evidentemente non aveva fatto i conti con il suo cuore ribelle, che imperterrito seguitava a scalpitare, tentando in tutti i modi di svincolarsi dalla sua rigida ragione.
“Non puoi dimenticare chi sei stato, non devi dimenticare ciò che hai fatto, non dimenticare affinché tu non rifaccia lo stesso errore” sembrava ordinargli quell’ostinata vocina interiore.
Allungò pigramente la mano verso il lato esterno del materasso, prese il pacchetto di sigarette e lentamente ne accese una; ne aveva bisogno per rilassarsi e svegliarsi definitivamente.
Ultimamente le cose non gli stavano andando così male e il lavoro procedeva bene, anche se un po’ gli dispiaceva l’assenza di casi particolarmente pericolosi. Negli anni ci aveva preso gusto a sfidare la morte, una sorta di scommessa tra lui e la sua buona stella per vedere fino a che punto sarebbe riuscito a farla franca; una sfida che gli dava la forza necessaria per affrontare ogni nuovo giorno e non darla vinta ai demoni che infestavano la sua anima. Una piccola parte dentro di lui, però, aveva iniziato a stancarsi di quelle azioni avventate e la sua solitudine glaciale si era fatta un fardello sempre più pesante da sopportare. Eppure si era ripromesso, mentre lasciava Long Beach accucciato nella stiva di una nave mercantile, che non avrebbe più commesso l’errore di lavorare in coppia con qualcuno; l’epilogo avuto con Kenny lo aveva svuotato enormemente, lacerando ulteriormente quel poco che restava del suo cuore, e neanche la collaborazione con Mick era riuscita a rimarginare quella ferita sanguinante. Intravedendo l’immensità dell’oceano si era convinto che non ci fosse speranza per lui: era destinato a essere lasciato solo e ferito dal prossimo. Eccezion fatta per il Professore, ma lui non faceva testo. Gli doveva la vita ed era soprattutto per l’enorme rispetto che nutriva nei suoi confronti che aveva mantenuto quel minimo di autocontrollo per non lanciarsi in imprese suicide.
E poi era arrivato Maki a scalfire le sue certezze. Gli sembrava ancora incredibile pensare come colui che prima rappresentava formalmente il nemico fosse diventato il suo partner lavorativo.
Socchiuse le palpebre quando ricordò la gelida notte dei primi di gennaio di due anni prima in cui, dopo un inseguimento serrato, se l’era ritrovato di fronte in uno squallido vicolo cieco nella zona ovest di Shinjuku.
 
«Vorrei dirti due parole City Hunter prima che tu decida di far cantare la pistola»
 
Visualizzava ancora bene gli occhi che lo avevano fissato dietro le ampie lenti a goccia; erano occhi privi di paura o rabbia, illuminati solo una serena determinazione. Erano anni che nessuno gli aveva rivolto quel tipo di sguardo, perciò aveva abbassato l’arma, decidendo di ascoltarlo.
 
«So bene che facciamo parte di mondi agli antipodi. Io lavoro alla luce del sole, cercando di ristabilire l’ordine e la giustizia, mentre tu ti muovi nell’illegalità, nelle ombre di questa nostra società. Io sono il buono e tu il cattivo, questo pensavo prima di vederti all’opera. Ho studiato attentamente i tuoi movimenti in queste settimane di appostamenti, ho visto come eliminavi a sangue freddo persone per denaro. Che razza di uomo farebbe una vita del genere?»
Il detective, dopo aver reclinato lievemente il capo continuò.
«Osservando nel dettaglio le tue azioni, però, mi sono reso conto che le tue vittime rientravano sempre nel gruppo della feccia, non facevi altro che ripulire le strade dalla criminalità più o meno organizzata e allora ho capito. Chi fa un lavoro del genere deve per forza avere in sé un profondo senso della giustizia»
In quel momento alzò nuovamente lo sguardo e Ryo fu certo che il poliziotto riuscì a captare il suo stupore.
«Immagino come potresti controbattere, diresti che un killer di professione non sia meglio dei criminali che uccide. Io ritengo che non sia così: tu rappresenti l’ultima speranza per chi è disperato ed è affamato di giustizia. Se la gente arriva a te vuol dire che la legge ha fallito, che io ho fallito in qualità di suo rappresentate. La verità è che certi compiti sono sempre troppo “sporchi” per poter essere svolti dalle istituzioni, ma queste ultime non sono certo più pulite»
Il poliziotto fece due passi avanti e si inginocchiò accanto al corpo esanime di un uomo di mezza età, trapassato da un colpo di pistola all’altezza del cuore.
«Ti abbiamo inseguito insieme io e Mizukami, pedinandoti per tutta la giornata e braccandoti in questo vicolo. Era sicuro di farti un’imboscata il povero illuso, non aveva idea di chi tu fossi in realtà, i suoi capi non sono stati molto precisi con lui. Eppure, quando ci siamo ritrovati qui, non hai avuto nessuna esitazione a sparargli un colpo mortale mentre ti sei limitato a disarmarmi. Potevi uccidermi ma non l’hai fatto. Questa è la prova che non sei paragonabile agli esseri ignobili che mandi all’altro mondo. Sapevi bene che Mizukami si era venduto alla yakuza e fungeva da spia in centrale, aiutando così i suoi compari a smerciare indisturbati la droga in città. Ammetto di essere disgustato e deluso da questi sotterfugi e da una legge falsata a causa della criminalità che si annida al suo interno»
«Temo tu non abbia capito niente di me poliziotto, non sono certo il giustiziere di questa misera città. Io non mi lego a nessuna ideale, faccio solo quello che ritengo giusto e accetto gli incarichi che più aggradano. Mi è stato chiesto di sgominare la banda di cui il tuo collega faceva parte. Tu non eri un mio obiettivo ecco perché sei ancora vivo»
Nonostante avesse usato il tono e lo sguardo più freddi possibili fu sorpreso nel vedere come quell’uomo mantenesse una calma e un controllo fuori dal comune. Sicuramente doveva essere un osso duro. Il detective fece un mezzo sorriso e, mettendo le mani nelle tasche del soprabito, iniziò ad allontanarsi.
«Non dovresti arrestarmi sbirro?»
L’uomo si fermò e girando la testa su un lato disse semplicemente «Gli uomini come te sono più utili qui che dietro le sbarre»
 
Espirò pesantemente il fumo mentre si passò il dorso della mano sulla fronte. Dopo quell’incontro si era informato sul conto di quello strano poliziotto e aveva scoperto che faceva generalmente coppia con una donna – davvero bellissima, su di lei si era soffermato ampiamente – e che erano considerati gli elementi di punta per quanto riguardava le indagini più rischiose. Era certo che quell’uomo avvolto in un impermeabile sformato non si sarebbe mai più messo sulla sua strada, non potendo minimamente immaginare che quello era solo l’inizio.
Nel dicembre dello stesso anno, mentre usciva dall’ennesimo strip club del suo giro notturno, con sua somma sorpresa se l’era ritrovato davanti, ma notò subito qualcosa di diverso in lui. Il poliziotto sembrava la brutta copia consunta di quello che era stato solo qualche mese prima; alla solida fermezza si era aggiunta un’ombra nera di mesta angoscia nei suoi occhi cerchiati.
 
«Saeba» il tono di chi non ammette repliche «Lasciami lavorare con te»
Ryo non poté essere più sorpreso.
«Sei impazzito detective?»
«Forse» e abbassando lo sguardo triste e vitreo continuò «L’uomo che ti ha parlato di ideali e di giustizia poco meno di anno fa, in buio vicolo cieco, è quasi morto. Ho fallito come poliziotto, mi sono fidato troppo dei mezzi a mia disposizione e a causa della mia avventatezza una collega ha perso la vita. E l’aspetto più amaro è che sia morta inutilmente; non sono riuscito a catturare i bastardi che gestiscono il traffico di donne da destinare alla prostituzione. Se, però, lasciassi la divisa, se potessi usare metodi meno leciti, se avessi modo di muovermi e conoscere meglio l’ambiente dei bassifondi, forse potrei non rendere vano il suo sacrificio»
«Non ho bisogno di nessun partner» gli rispose in modo secco, per nascondere il lieve turbamento che quelle parole e quello sguardo gli avevano trasmesso.
«Non mi aspetto che tu decida così su due piedi, ma almeno rifletti sulle mie parole. Non voglio intralciare in alcun modo la tua vita privata e professionale, per ora mi basta che tu possa introdurmi nell’ambiente, lasciarmi immergere in questo mondo. Non sono uno sprovveduto e, considerando che continuo ad avere un aggancio in polizia, forse col tempo inizierai a considerare una nostra collaborazione vantaggiosa anche per te. Inoltre, potrei agevolarti per quanto riguarda i contatti con i clienti, così da non doverti esporre in continuazione e mantenere la tua identità riservata»
Disse il tutto senza perdere fiato, quasi come se avesse così tanto pensato a quelle parole da volersene sbarazzarsene quanto prima. Fece due passi verso di lui, ora erano davvero vicini e Ryo ebbe modo di cogliere con maggior cura la luce di quegli occhi. Avvertì una strana sensazione, gli sembrò quasi di specchiarsi e per il fastidio chiuse le palpebre in due fessure.
«Domani darò le mie dimissioni formali, non sarò più un poliziotto. Da domani e per una settimana ti aspetterò dal tramonto all’alba in questo posto; se dopo il settimo giorno non ti sarai fatto vedere non insisterò oltre»
«Ti fidi così tanto di me da voler diventare mio partner, perché? Non mi conosci per niente»
«Ti sbagli» e scrollando le spalle concluse «Ti conosco abbastanza da aver capito che siamo due facce della stessa medaglia. Finora abbiamo agito in ambiti distinti ma in realtà perseguiamo lo stesso obiettivo. In due sicuramente faremmo molta meno fatica. Ti aspetto» e così dicendo sparì nel buio della notte.
 
Si era arrovellato a lungo su quella strana proposta e la sua parte razionale gli aveva gridato a gran voce di non perdere altro tempo e ignorare completamente quella richiesta. Però… però il cuore sembrava voler dare un’occasione a quell’uomo singolare. Da quando si era trasferito in Giappone aveva sempre lavorato da solo, scartando qualsiasi idea di collaborazione; se voleva sopravvivere non doveva legarsi a nessuno. Si era autoimposto di buon grado quella disciplina ferrea, tuttavia non si era mai sentito così combattuto come nei giorni seguenti quell’incontro. Infine, esausto a seguito dell’ennesima battaglia interna tra le sue parti, aveva deciso di affidarsi totalmente all’istinto, che gli rispose facendogli visualizzare quegli occhi così stanchi ma fermi, così terribilmente simili a quelli che vedeva ogni giorno riflessi nello specchio del bagno. Aveva preso la sua decisione.
In poco tempo si era convinto di aver fatto la cosa giusta, Makimura era preciso e puntuale in tutto, e con lui il lavoro aveva acquisito una regolarità e metodica mai avute prima. Era discreto, proprio come aveva sperato, non facendogli mai domande scomode sul suo conto, e allo stesso tempo si trovava bene in sua compagnia. In un certo senso creavano una buona accoppiata: Maki, dietro il suo aspetto schivo e dimesso, celava una solidità e fermezza d’animo ammirevoli; lui, invece, dietro una corazza di impenetrabile sicurezza e continuo scherzo, cercava di tenere insieme un uomo totalmente a pezzi. In pratica nessuno dei due si mostrava per quello che era davvero.
Un gorgoglio prepotente lo strappò dalle sue elucubrazioni. Il suo stomaco decise che aveva rimuginato fin troppo e che era ora di pensare a cose ben più materiali e urgenti.
Pigramente si alzò e completamente nudo si affacciò alla finestra. La giornata sembrò promettere bene e ciò significava che non avrebbe perso troppo tempo a causa del traffico, che tendeva a diventare fuori controllo nelle giornate di pioggia.
“Così non dovrei fare troppo ritardo al ritorno. Non mi va proprio di sentire i suoi continui rimbrotti e le sue lezioni edificanti sulla virtù della puntualità, non mi dà mai tregua quell’uomo” pensò mentre osservava il lungo viale che iniziava a riempirsi di vita brulicante. Indugiò con lo sguardo su una cabina telefonica posizionata sul marciapiede di fronte, vicino l’incrocio.
"Mmmh nessuna traccia di Nobu" si disse piano. Nobu era un omuncolo piccolo e allampanato, dal colorito abbronzato e dalla dentatura marcia; guardandolo lo si poteva prendere per uno dei tanti miserabili che affollavano i vicoli della Tōkyō malfamata rovistando tra i rifiuti. In realtà era uno dei suoi migliori informatori e dei più efficienti. Ssolo lui riusciva a tener sotto controllo qualsiasi evento succedesse nella caotica Kabukichō e grazie al suo aspetto agiva indisturbato. Da quando si era trasferito nel nuovo appartamento, la mattina si faceva trovare accanto a quella cabina nel caso in cui avesse avuto notizie interessanti da riferirgli, una sua assenza, invece, significava nessun evento degno di nota.
"Meglio così, vuol dire che potremo andarcene più tranquilli stamattina" aggiunse occhieggiando il suo amico che svettava ancora ben sveglio.
A lunghi passi si affrettò in bagno per farsi una doccia fredda e decise di prendersi qualcosa d’asporto per mangiarsela durante il viaggio, non voleva perdere altro tempo.
 
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Tra il traffico di Tōkyō, precisamente sull’autostrada metropolitana C2 in direzione Tohoku, una Mini Cooper sfrecciava violando ogni limite di velocita, ma il suo proprietario non ne se curava affatto. Sebbene fossero passati otto anni dal suo arrivo in Giappone, Ryo ancora non riusciva ad abituarsi al ritmo di guida degli autoctoni, che riteneva troppo lenti, indecisi e impediti nelle manovre più semplici. Per questo odiava percorrere lunghe distanze, tendeva a innervosirsi e non erano poche le occasioni in cui urlava dal suo abitacolo qualsiasi vituperio contro lo sfortunato che si era permesso di rallentarlo. Naturalmente lo faceva solo in spagnolo o inglese, sia perché così nessuno l’avrebbe capito e anche perché gli veniva più naturale esternare le emozioni più forti e dirette con le lingue che aveva padroneggiato sin dalla tenera età – che di tenero, per lui, non aveva avuto niente –. Involontariamente iniziò a tamburellare le dita sul volante, riproducendo il ritmo di Las Dos Puntas, canzone che canticchiava spesso durante l’infanzia assieme a Carlos, il corpulento cileno con cui preparava il rancio serale, prima che il loro villaggio venisse attaccato.
“Ah, si vede che oggi è la giornata dei ricordi… vediamo di farla passare presto” si disse e in un attimo bloccò le mani sul volante, fissando intensamente la strada per alcuni istanti. Si concentrò sul battito cardiaco contando fino a dieci, poi espirò rumorosamente, quasi a voler buttar fuori quei fantasmi che si ostinavano a fargli compagnia quella mattina. Gli era costata molta fatica ma, con gli anni, era riuscito a sviluppare quel metodo infallibile e rapido per sgombrare la mente da ogni tipo di pensiero, sia per una questione lavorativa – la lucidità e la fermezza erano essenziali per un professionista del suo calibro – e anche per sopravvivere al suo passato, per non tornare nuovamente sotto il giogo dell’odio e dell’amarezza che lo avevano reso alla stregua di un morto vivente.
Allungò lo sguardo verso la sua sinistra e, mentre osservava il placido scorrere del fiume Arakawa sotto di sé, l’occhio gli cadde sul sedile accanto, in cui giacevano accartocciate le carte della colazione. Cercò di riconcentrarsi alla guida ma un visetto con dei capelli arruffati e due occhi vispi e dolci tornò prepotente nella sua mente. Il mattino precedente, nel vederla dormire così serena sul sedile, totalmente abbandonata al sonno e così priva di difese, aveva sentito farsi strada dentro di sé un sentimento che poteva definire, a mente fredda, come tenerezza. Quanti anni erano passati da quando era stato coetaneo di quella ragazzina? Non ne aveva idea, sicuramente molti, ma era certo che lui non si fosse mai permesso il lusso di mostrarsi così indifeso in compagnia di uno sconosciuto. Anche quando si stava tra amici non bisognava mai abbassare la guardia, gli anfibi sempre addosso e la pistola tra le mani… chissà, se fosse stato un ragazzo normale avrebbe conosciuto una vita diversa, forse migliore? Ebbe un senso di vertigine a quel pensiero: era inutile immaginarsi diverso e quelle erano solo sciocche speculazioni. La sua vita era quella e non sarebbe riuscito a immaginarsela diversamente; gli andava bene, ora più che mai visto che stava riuscendo a far pace con se stesso grazie principalmente a due persone: il Professore e Makimura naturalmente.
Solo in quel momento si rese conto di quanto lo avesse davvero sollevato il sentirgli dire che la collaborazione sarebbe continuata, e ringraziò il cielo che quella sua sorellina testarda si fosse mostrata ragionevole. Ora che ci pensava, in realtà aveva sospettato che lo Sugar Boy potesse essere proprio lei per quel suo modo accorato di parlare del fratello. Quando, però, aveva avuto l’occasione di osservarla meglio mentre dormiva, si era convinto dell’impossibilità della sua idea. Era un eccellente fisionomista e quella ragazzina non aveva la benché minima somiglianza con il suo partner. No, si trattava sicuramente di una coincidenza, ormai ne era convinto. Comunque, nonostante quell’incursione inaspettata l’avesse inizialmente seccato, doveva ammettere che tutto sommato era stato un piacevole incontro e quella compagnia atipica gli aveva portato una ventata di freschezza; non gli capitava mica tutti i giorni di relazionarsi con persone così ingenue e totalmente estranee al suo ambiente. Sorrise lievemente.
“Ti auguro buona vita Sugar Boy, spero per te che le nostre strade non si incrocino mai più” pensò mentre lasciava l’autostrada per immettersi sulla statale 463. Nel frattempo gli alti palazzi erano stati sostituiti da villette con giardino e piccoli campi coltivati, segno che si stava avvicinando a destinazione. Sperava davvero di farcela entro tempi accettabili, ma sapeva anche che, ogni volta che si recava dal Professore, tendeva a fare tutto con molta più calma del norma, perdendo la cognizione temporale; forse era colpa di quella casa così bucolica o forse semplicemente la presenza dell’uomo aveva su di lui un effetto calmante.
“Ah, ho bisogno di un po’ di svago” si disse mentre osservò sognante la bella modella sul cartellone pubblicitario. Aveva saltato il classico giro dei locali per ben due sere di fila, che negligenza imperdonabile era la sua! Poteva già pregustare il bel programmino che aveva in mente e al solo pensiero accelerò di scatto, riuscendo a malapena ad evitare di tamponare la macchina che proseguiva placida davanti a lui.
“Devo cercare di controllarmi” pensò tra un’imprecazione e l’altra “Ma è così difficile quando penso a tutto il ben di Dio che mi attende! Sei d’accordo anche tu, vecchio mio?”
Non ebbe bisogno di guardare in basso per capire che qualcun altro era più che entusiasta, segno che era riuscito a mandar via i pensieri malinconici che lo stavano attanagliando dal risveglio.
Ryo non amava indugiare sugli eventi passati, specialmente quelli più dolorosi; nonostante tutto la sua indole era rimasta quella di un uomo a cui piaceva scherzare, preferendo nascondere le preoccupazioni dietro a un sorriso. Le donne…beh, loro rappresentavano il massimo del divertimento per lui e doveva ringraziare proprio il Professore per avergli introdotto quella filosofia di vita. Indubbiamente era stato un adolescente atipico, avendo avuto ben altro per la testa che pensare a stupide storielle d’amore e, durante gli anni di guerriglia, aveva considerato le donne una debolezza di cui poteva fare a meno. Solo negli ultimi mesi di riabilitazione – periodo che rappresentava l’inizio della sua seconda vita – aveva scoperto come l’altro sesso fosse il migliore dei diversivi per risollevare il suo animo e svuotare la mente dalle preoccupazioni. Nei momenti in cui faceva il deficiente gli sembrava di recuperare la spensieratezza che non aveva avuto possibilità di godere a tempo debito e proprio la maschera del maniaco era quella che lo divertiva maggiormente. Le reazioni sconvolte delle donne erano davvero spassose a vedersi – un po’ meno a subirle, ma era abituato ad attacchi ben peggiori. Sebbene potesse dar l’impressione di essere il peggiore dei maniaci, non era mai serio nel voler molestare le donne, no aveva visto coi suoi occhi cosa fossero le vere violenze e lo avevano scosso nel profondo quando era ragazzo. D’altro canto, se fosse stato più serio e affascinante non avrebbe avuto difficoltà a portare a letto la maggior parte delle donne che incrociava per le strade di Shinjuku, ma era proprio l’essere serio l’aspetto che voleva evitare a tutti i costi. Ciò avrebbe significato il dover stringere dei legami affettivi… no, troppo rischioso per lui, il suo lavoro non gliel’avrebbe mai permesso. Anche il Professore era stato molto chiaro con lui, prima della sua partenza per gli Stati Uniti:

«Ricorda Ryo, le donne possono essere creature angeliche, ma possono anche trasformarsi in un enorme problema appena credono di avere il tuo cuore. Divertiti, inebriati di loro purché tu lo faccia sempre senza impegno; fai il cascamorto mentre passeggi ma cerca il piacere solo nei locali notturni, dove non ci possono essere conseguenze. Non c’è spazio per l’amore in questo mestiere, intesi?»

E lui aveva seguito quel consiglio diligentemente per tutti quegli anni, e non dubitava che sarebbe stato così per sempre, non poteva permettersi di pensare all’amore nella posizione che ricopriva. Durante gli anni in California si era divertito molto, raggiungendo l’apice con le memorabili scorribande assieme a quel pazzo di Mick. Sull’argomento donne si erano trovati sulla stessa lunghezza d’onda e, se avessero avuto modo di lavorare insieme più a lungo di quella manciata di mesi, sicuramente sarebbe degenerato a livelli indicibili. Nella smania di piacere e sangue di quel periodo aveva cercato il modo per dimenticare sia l’esperienza con Kenny che le continue minacce di morte, che si susseguivano incessantemente dal giorno del fatidico duello. Da quella spirale infernale che, ne era certo, l’avrebbe portato allo morte in brevissimo tempo, l’aveva salvato il Professore con il suo provvidenziale invito a raggiungerlo in Giappone.
Sospirò gravemente. Nell’intimo del suo animo, però, Ryo avvertiva una certa amarezza per quel destino di solitudine; la parte più silente del suo essere considerava abbastanza inutili le rincorse ai bei fondoschiena, desiderando qualcosa di più, ma ne aveva paura al solo pensiero. Da quel punto di vista invidiava Makimura; il suo partner alla fine di ogni giornata, buona o brutta che fosse stata, poteva contare su una famiglia, per quanto ridotta, che espettava il suo rientro a casa. Poteva contare su un affetto stabile e incondizionato, poteva condividere risate, litigi e scherzi. Poteva amare e sentirsi amato. Lo sweeper sapeva bene, a suo malgrado, che i grandi assenti della sua vita fossero una vera famiglia e quel sentimento che aveva definitivamente bollato come la peggiore delle debolezze. Eppure per un periodo l’aveva assaporata quella sensazione e proprio grazie all’amore era riuscito a barcamenarsi negli anni di guerriglia continua. Tuttavia, e questa volta era il Ryo lucido a riportarlo sulla retta via, non era stato a causa del suo amore e fiducia incondizionati che era stato a un passo dalla morte?
“Finisce sempre così” pensò mestamente mentre rallentò e iniziò ad accostarsi al margine della carreggiata. I suoi pensieri contrastanti lo lasciavano in una condizione di impasse perenne e, se una parte di lui voleva provare a cambiare qualcosa, l’altra parte gli urlava a gran voce di lasciare tutto com’era. E vinceva sempre quest’ultima. Certe volte non si capiva nemmeno lui e odiava profondamente il suo aspetto più riflessivo, che lo portava a soffermarsi troppo sulle cose che voleva dimenticare.
Con un sospiro rumoroso spense l’auto e con poche ampie falcate attraversò la strada, dirigendosi verso il cancello di un’enorme villa in perfetto stile tradizionale. Citofonò con tre colpi secchi, un segno distintivo che il Professore doveva cogliere ma che immancabilmente si divertiva a non fare.

«Chi è?» gracchiò una voce dal citofono.

«Sapeva che sarei passato in questi giorni» rispose Ryo in tono allegro.

«Purtroppo speravo di ricordar male. Mai una volta che arrivi una bella donna da queste parti» seguì il rumore metallico della serratura aperta «Sono nello studio Ryo» concluse prima di mettere giù.

Lo sweeper sorrise lievemente; da quando era ritornato in quello che doveva essere il suo Paese d’origine, il Professore era l’unico a pronunciare il suo nome accentando la “y” a differenza di quanto si facesse in giapponese – dove era la “o” ad essere accentata – e la cosa non gli dispiaceva affatto. In un certo senso, quella pronuncia atipica rappresentava il solo elemento tangibile di un periodo della sua vita che nessuno conosceva lì. Aprì le due parti della cancellata, poi ritornò verso la Mini.
Ormai erano alcuni mesi che si chiedeva se fosse il caso di raccontare a Maki qualcosa sul suo passato, ma l’inevitabile bisticcio interiore tra le sue parti perennemente contrastanti lo aveva esasperato a tal punto da decidere di tacere del tutto, convincendosi che per l’ex detective integerrimo sarebbe stato un duro colpo apprendere la verità. Non era del tutto improbabile che avrebbe iniziato a considerarlo alla stregua di una bestia; niente più sguardi di stima e gesti di ammirazione per lui e, sinceramente, quella prospettiva lo angosciava.
Con una sgommata sterzò l’auto, facendola entrare nel posto auto coperto, dopodiché richiuse accuratamente il cancello. Attraversò il vialetto lastricato con la sicurezza di chi conosceva bene il posto e i suoi occhi si soffermarono sui bonsai posizionati in grossi vasi ai lati della piccola gradinata che conduceva al porticato d’ingresso della villa. Restava sempre estasiato nel ritrovare, nella cura dei piccoli dettagli di quella imponente tenuta, la stessa perizia che il Professore impiegava nelle sue attività. Lo percepiva come un ordine ristoratore; ogni ambiente, dal giardino agli interni, sapeva trasmettergli una tranquillità corroborante. Nulla a che vedere con il suo appartamento che aveva le sembianze di un campo di battaglia, e si ricordò di doverlo riordinare al più presto; per quanto non fosse un fanatico dell’ordine la situazione attuale era troppo anche per un uomo incasinato – in ogni senso – come lui.
Superato l’ampio ingresso, Ryo si ritrovò in un esagerato disimpegno quadrato dalle dimensione di un salone delle feste; ai suoi lati vi erano quattro porte di legno massiccio, due a destra e due a sinistra, mentre frontalmente, oltre alla scalinata che conduceva al piano superiore, vi era situato l’ampio finestrone scorrevole che conduceva al giardino zen, il punto focale dell’intera abitazione. Si diresse verso l’ultima porta sulla desta, l’unica che fosse aperta, e subito venne travolto dall’odore intenso di carta e inchiostro. Lo studio era una vera e propria biblioteca, con una possente libreria di mogano che correva lungo tutte le pareti e dotata di un mezzanino dove vi era posizionato un tavolo completamente ricoperto da pile ordinate di volumi rilegati. Nella sala principale, invece, erano disposti altri quattro tavoli di legno massello, tutti di notevoli dimensioni e occupati da decine di libri dall’aspetto molto antico. La luce, che filtrava a fasci sottili, sembrava farsi strada a fatica tra quella mole di legno e carta che inglobava integralmente quattro finestre disposte su tre lati; il riverbero particolare e il pulviscolo sospeso davano un aspetto imponente a tutto l’ambiente, creando un potente contrasto con l’estetica esterna dell’edificio. In fin dei conti erano quei due opposti a rappresentare il Professore al meglio: a una facciata giapponese tradizionale faceva da contraltare uno spirito britannico e accademico. Non era un caso, infatti, che quell’ambiente fosse una riproduzione in scala della biblioteca del King’s College di Cambridge, luogo in cui il vecchio aveva speso gli anni migliori della giovinezza, rincorrendo quella bramosia di sapere che non l’aveva mai lasciato. Ryo sapeva solo quello, il Professore non aveva mai voluto dilungarsi sugli eventi che l’avevano portato da essere un ricercatore brillante a diventare il medico di un manipolo di guerriglieri in Centro America; intuiva, però, che anche lui nascondesse una storia fatta di sofferenza e delusioni.
Giunto di fronte al settore dedicato alle pubblicazioni di biologia, Ryo infilò un dito sotto la terza mensola, facendo scattare una serratura nascosta. La libreria-porta girò su se stessa, rivelando una stanzetta dall’aspetto asettico, con una scrivania di modeste dimensioni su cui troneggiava un computer. Lungo i muri erano sistemati degli schedari, sovrastati a loro volta da orologi indicanti i vari fuso orari terresti mentre, accucciato dietro al monitor, vi era il padrone di casa avvolto nel suo immancabile camice bianco.

«Non hai perso tempo a tornare, eh Baby Face?» gli chiese l’uomo senza distogliere gli occhi dallo schermo.

«Anche per me è un piacere rivederla Professore» rispose Ryo con malcelata ironia «Ho la mattinata libera, non potevo non approfittarne per andare avanti con il lavoro» e lanciandogli un’occhiata eloquente aggiunse «Siete riuscito a risolvere le anomalie del segnale?»

Il rumore di dita che si muovevano frenetiche sulla tastiera fu la sola risposta che ricevette. Decise di essere più incisivo. Si avvicinò silenziosamente e con uno scatto fulminio afferrò il monitor e lo girò ma, nell’impeto del momento, il cavo di alimentazione si staccò spegnendo lo schermo.

«Professore» disse mentre si stendeva di peso sul computer «Ho fatto tanta strada per venire a trovarla, preferirei che guardasse il mio bel viso piuttosto che quell’ammasso di vetro e plastica»

Il vecchio non si scompose, socchiuse gli occhi e toccando con le dita la stanghetta degli occhiali – un vezzo più che necessità – rispose con una serietà totalmente fuori luogo.

«Vedi Ryo, si dà il caso che tu abbia fatto tanta strada non tanto per amor mio, ma per i tuoi comodi, sebbene riconosca che quel tuo cervello bacato ogni tanto partorisca qualche idea decente. Perciò sarebbe buona educazione aspettare che io finisca il mio lavoro prima di darti soddisfazione. E poi» fece una pausa che riuscì a far temere il peggio al povero sweeper «Anche se non mi si alza più da alcuni anni questo non vuol dire che abbia cambiato gusti, e preferirei mille volte fissare uno schermo nero piuttosto che il tuo volto ripugnante. Ah che ragazzo impossibile! Fai il bravo e non stressarmi!» e così dicendo, tra un rimbrotto a mezza voce e uno ad alta voce riprese possesso dell’apparecchio.

Ryo si arrese: era meglio fare come voleva, non era certo nel suo interesse indispettirlo. Sbuffò e mettendo le mani nelle tasche dei jeans si voltò verso l’uscita.

«Questi maledetti database americani mi stanno dando filo da torcere» sentì dire in tono bonario «Fatti un giro Ryo, ti raggiungo subito. E il tuo marchingegno l’ho sistemato tranquillo»

«D’accordo Professore, sa dove trovarmi» e visibilmente rilassato chiuse la porta-scaffale.

“Sempre il solito burlone, si diverte nel vedermi sbiancare facendomi credere che l’abbia fatto incazzare” si disse scuotendo lievemente il capo, dirigendosi lentamente verso l’enorme giardino posteriore, dove raggiunse un laghetto fin troppo perfetto per essere naturale, cinto da massi di diversa grandezza e circondato da siepi verdeggianti. Quell’angolo era diventato per lui una sorta di sala d’aspetto. Si sedette su un masso sufficientemente liscio e guardò distrattamente le carpe nuotare a pelo d’acqua, sperando che l’uomo fosse di parola e quel subito non si rivelasse l’esatto contrario. Dall’ombra che il sole proiettava sullo steccato vicino intuì che dovevano essere le undici e abbassò la testa sconsolato.
"Mi sa che anche oggi non sarò così puntuale Maki" disse in un sussurro mentre appoggiò il mento sul palmo della mano, il gomito ben piantato nella coscia destra.
Chiuse gli occhi e si concesse qualche minuto di silenzio interiore, concentrandosi su ciò che il suo corpo percepiva. Il timido calore del sole che lo avvolgeva dolcemente, il fruscio delle foglie nelle occasionali folate di vento, il lieve suono liquido dello sguazzare dei pesci nel laghetto, tutto gli dava quel senso di pace che gli era completamente estraneo nella vita quotidiana, dove doveva guardarsi continuamente le spalle. Se il Professore avesse tardato sicuramente si sarebbe addormentato così, in quella posizione scomoda, perciò riaccese il cervello, non sarebbe stato degno del suo nome farsi trovare a russare in pieno giorno. Sempre ad occhi chiusi, Ryo lasciò andare la mente a briglia sciolta, e questa lo sorprese riportandolo nello stesso posto in cui sedeva in quel momento, in una calda giornata primaverile di otto anni prima.
Ricordò perfettamente il senso di frustrazione che aveva avvertito quel giorno, mentre fissava quei fogli fitti di kana che a prima vista gli erano sembrati degli insetti schiacciati; per quanto si sforzasse non riusciva a memorizzarli, tutti così dannatamente simili tra loro.

«È normale ragazzo mio, ma vedrai che con un po’ di tempo ed esercizio riuscirai a leggere il giapponese» disse una voce alle sue spalle «Dopo pranzo riprenderemo le lezioni di conversazione; per quanto tu riesca a capire gran parte di ciò che ti viene detto sei ancora troppo bloccato nel parlato. Prima saprai padroneggiare la lingua e prima potrai metterti seriamente a lavoro»
«Credo che non ci riuscirò mai» rispose frustrato, stringendo i pugni e accartocciando i fogli «Non sono intelligente come lei, non ho mai frequentato la scuola e se non sono analfabeta è solo perché…» gli mancò il fiato per continuare.
A distanza di anni non riusciva a pronunciare il nome di chi aveva considerato suo padre. Emise un verso frustrato.

«Questa… questa è davvero una lingua infernale!» e con rabbia gettò via i fogli appallottolati «Temo non sia stata una buona idea venire qui»

“Che strazio è stato quel periodo” si disse mentre tamburellò le dita sulla guancia, ancora perso nel vivido ricordo.

«Non lasciarti scoraggiare dalla difficoltà Baby Face» gli rispose l’uomo sereno «Sono certo che entro un anno sarai già ben conosciuto nell’ambiente di Tōkyō e sorriderai nel ricordarti questi momenti»
Una mano, piccola ma forte, si appoggiò sulla sua spalla, irradiando un calore che gli arrivò dritto al cuore; un calore che significava fiducia. Alzando lo sguardo ritrovò quel calore negli occhietti arguti che lo fissavano, parzialmente nascosti dalle piccole lenti. Riabbassò la testa, non riuscendo a sostenere lo sguardo.
«Io… non so se questo è il mio posto. Anzi, credo che nessun posto vada bene per me. Io sono un fantasma, continuo a scappare dalla morte ma per quale scopo? A chi importerebbe se continuassi a vivere o crepassi trivellato da un mitra? Forse ho sbagliato a lasciare gli Stati Uniti, era meglio se fossi restato per vedere quanto tempo ci avrei impiegato prima di andare all’inferno»
La mano sulla spalla diventò all’istante una tenaglia, facendolo sobbalzare. Ne fu sorpreso, ma rimase in silenzio non osando rialzare la testa.
«Non osare dire di nuovo queste sciocchezze Ryo. Non ti azzardare neanche a pensarle. Il senso di appartenenza a un Paese è una mera idiozia nazionalistica, sinceramente l’ho sempre considerato una cazzata. Tu appartieni a questo mondo e la tua vita è preziosa esattamente come quella di ogni altro uomo su questa terra. Capisco i tuoi sentimenti ragazzo mio, ma non lasciare che l’odio e l’amarezza ti soverchino; cerca di concentrarti sui momenti felici, per quanto possa sembrarti difficile. Ricorda quanto hai fatto per gli altri, ricorda la bellezza degli attimi che hai condiviso con persone a te vicine, e pensa a quanto di buono puoi fare ancora negli anni a venire, quante possibilità ci saranno, quante persone incroceranno il loro cammino col tuo. Questo è il gioco dell’esistenza in fin dei conti. Non pensare che ti lasci gettare la tua vita così, dopo tutta la fatica che ho fatto per riportarti in questo mondo. A me importa che tu viva Ryo e sono sicuro importerà ad altri in futuro»
La presa si fece più morbida e Ryo ricominciò a respirare, non si era reso conto di aver trattenuto il fiato; quelle parole lo avevano scosso, il Professore non gli aveva mai parlato in modo così appassionato.
Quando ritrovò il coraggio di alzare lo sguardo, vide il Professore perfettamente sereno e il suo turbamento si trasformò in decisione: si sarebbe impegnato anima e corpo. Non voleva deluderlo. Allungò il braccio di slancio e, una volta raccolti i fogli accartocciati, iniziò a spiegarli e stirarli con cura.
«Entro pranzo memorizzerò l’ultima serie di hiragana. Voglio studiare duramente nei giorni a venire e tornerò in azione prima di quanto lei creda» disse piano, con una nuova risoluzione nel cuore.
«Bravo ragazzo» fu l’unica risposta che ebbe, a cui seguirono dei passi cadenzati.

Ryo percepì quegli stessi passi avvicinarsi, accompagnati questa volta dal suono sordo di un bastone da passeggio. Aprì gli occhi di scatto e per un attimo venne accecato dal riflesso del sole nell’acqua. Quanto tempo era passato? A giudicare dal formicolio lungo il braccio temette fin troppo.

«Eccomi Baby Face, ho fatto il prima possibile» e squadrandolo un attimo aggiunse «Che ti succede? Oggi ci sentiamo romantici?» enfatizzando l’ultima domanda con un sorrisetto.

Lo sweeper intuì di non aver fatto in tempo a indurire lo sguardo e al Professore naturalmente non era sfuggito quel suo attimo di debolezza. Sbuffò mentre si alzò, sentendosi leggermente anchilosato.

«Bah romantico!» esclamò disgustato. Poi aggiunse piano «Mi sembra che oggi sia braccato dai ricordi»

Il Professore rimase un attimo in silenzio, giocherellando col bastone con cui disegnava ampi cerchi in aria.

«I ricordi non sono necessariamente un male, anzi. È sempre un errore volerli sopprimere, anche se è altrettanto pericoloso indugiarvi a lungo. Sei troppo duro con te stesso, però, per quanto tu non lo voglia ammettere, sei umano e hai le tue fragilità, come tutti del resto» e girandosi continuò in tutt’altro tono «Su, sbrighiamoci con il tuo marchingegno… e la prossima volta vedi di portare qualche bella ragazza per sollazzare il mio spirito»

«Non ci penso proprio! Se fossi in così buona compagnia questo sarebbe l’ultimo posto in cui verrei» disse, schivando a stento il bastone che il Professore gli aveva scagliato addosso.

«Sei una vera piaga Ryo! Un giorno di questi inserirò una bella bomba al plastico tra i circuiti del tuo progettino!» gli abbaiò contro, per poi riprendere il bastone che lo sweeper gli allungò sorridendo.

Un’oretta dopo Ryo si ritrovò a maledire con tutto il cuore di aver avuto quell’idea brillante, mentre affondava letteralmente dentro il cofano dell’auto, il motore parzialmente smontato per terra accanto a lui. Il professore aveva voluto a tutti i costi ultimare l’interfaccia di base e fare una prova di funzionamento, però era sfuggito a entrambi che l’alimentazione sarebbe stata fornita dalla batteria dell’auto. Perciò, con suo disappunto, si era ritrovato a fare il meccanico, smontando pezzi del motore e, con l’ausilio di fresa e seghetto, era riuscito a far passare i cavi del monitor attraverso la scocca, collegandoli così alla batteria. Con i lavori manuali non aveva mai avuto problemi e aveva imparato a fare il meccanico quando era un piccolo guerrigliero, ma non era certo piacevole lavorare con la testa tra il grasso, tenendo una torcia fra i denti mentre armeggiava tra bulloncini e cacciaviti con le manone che si ritrovava. Aveva faticato sette camicie per recuperare l’ultimo dado che, sfuggendogli di mano, si era simpaticamente nascosto sotto la vaschetta dell’olio; dopo che anche quello fu fissato, si rialzò emettendo un verso simile al ruggito di un leone in gabbia.
“Ah che faticaccia!» esclamò mentre raggiunse l’officina adiacente, dove trovò il padrone di casa intento a consultare alcuni stradari.

«Professore l’alimentazione ora è collegata, penso possiamo procedere con la configurazione dei comandi e vedere come…» ma una risata acuta lo interruppe, facendolo innervosire.

«Insomma mi dice che ci trova di divertente in quello che ho detto?» sbottò stizzito.

«Ahahah ragazzo!» e cercando di ricomporsi proseguì «Non è divertente quello che hai detto ma con che faccia l’ha detto, ah sei uno spettacolo, sembri uscito direttamente da… non so da cosa esattamente ma sei un vero spettacolo eheh… Ehi sei impazzito?!» gli urlò contro dopo essere stato colpito da uno straccio sporco.

«Io mi spezzo in due per lavorare e in più vengo deriso, roba da non crederci» borbottò a mezza voce, mentre raggiunse la Mini per specchiarsi nel parabrezza.

A stento si riconobbe: il riflesso gli mostrava una versione di se stesso uscita direttamente da un girone infernale, con i capelli scarmigliati e unti alle punte, il viso macchiato di grasso e gli avambracci e le mani erano così neri che sembrava avesse spalato carbone.
“Fantastico, e se penso che devo ancora risistemare le parti smontate temo che per sgrassarmi dovrò farmi un bagno nella soda caustica” si disse amaramente.
In quelle condizioni non poteva certo tornare a casa e men che mai incontrare Makimura al parco, anche se al pensiero della faccia che avrebbe potuto fare il suo partner vedendolo in quello stato pietoso lo fece ridere apertamente; era inutile, anche se ci provava non riusciva proprio ad essere permaloso ed era il primo a prendersi in giro. Con uno sbuffo riprese posto davanti al cofano aperto e velocemente riposizionò le varie parti del motore al proprio posto. Si sentiva leggermente stanco e unto, ma capì la reale entità del suo stato quando, appena poggiò l’avambraccio sulla fronte per detergersi il sudore, lo vide sgusciare come un pesce appena pescato. Decisamente si sentiva una schifezza. Con un colpo secco richiuse il cofano e appena si voltò vide il professore sorridergli.

«Direi che adesso il tuo lavoro è finito Baby Face, vai pure a ripulirti mentre litigo un po’ con quest’affare» disse mentre salì in macchina portando con sé una valigetta da cui, una volta aperta, uscirono diversi apparecchi di ignoto uso per lo sweeper.

«La ringrazio» rispose semplicemente mentre si apprestò a rientrare.

«Comunque Ryo» sentì il vecchio urlargli dietro «Sei un povero illuso se pensi non abbia capito quali siano le tue modifiche urgenti sulla planimetria! Hai segnato i love hotel di quasi tutta la città, non penso di aver mai conosciuto uno più porco di te, ehi mi ascolti?» ma lo sweeper non gli rispose, limitandosi a sventolare la mano in un gesto di noncuranza.

“Quel vecchio è impossibile, vuole farmi la morale quando lui è stato il primo a girarli tutti quei posti” si disse con un sorriso sornione.
Gli ci vollero quattro robuste passate di bagnoschiuma e shampoo per non avvertire più la fastidiosa sensazione di unto sul corpo e, con un sospiro sollevato, fu felice di constatare che la parte sporca del lavoro era finita. Rabbrividì appena uscì dalla doccia – difficilmente vi permaneva così a lungo – e si asciugò velocemente prendendo un ampio asciugamano dall’armadietto accanto al lavandino. Gli passarono veloci davanti agli occhi gli anni in cui, non solo si era lavato in quel bagno, ma che aveva vissuto in quella casa. Nel ripensarli, con la sua attuale consapevolezza, avvertì una leggera nostalgia; vivere con il Professore era stato piacevole e mai noioso poiché, a causa dei loro caratteri per alcuni versi simili e per altri opposti, non c’era giorno in cui non si scontrassero, ma senza mai andare oltre il gioco naturalmente. Eppure erano stati anche anni difficilissimi, pieni di incognite e sfide, in cui aveva dovuto riplasmarsi per l’ennesima volta, cercando tenacemente la forza e il coraggio per vivere ogni nuovo giorno. Idealmente si ritrovò ad abbracciare il ragazzo che era stato e gli fu grato per non aver mollato in quel periodo difficile, di essere andato avanti nonostante la voglia di farla finita; non sarebbe stato l’uomo che era in quel momento e non avrebbe vissuto la vita che stava vivendo. Sì, ma fin quando sarebbe durata quella vita? Stava ritrovando un certo equilibrio anche grazie al suo partner che gli riempiva le giornate, prima così solitarie, ma per lui le cose belle non duravano mai a lungo. Decise, però, di non soffermarsi in quelle inutili paranoie, ridendo di se stesso: per il lavoro che faceva doveva concentrarsi solo sul presente, non era mai scontato che ci sarebbe stato un domani.
“Insomma oggi proprio non riesco a non perdermi in queste stupide riflessioni, e questa casa non mi aiuta di certo” si disse mentre scese velocemente le scale, sorprendendosi nel notare alcune scatole di notevoli dimensioni nel grande ingresso. Appena provò ad aprirne una si sentì chiamare dal Professore; la voce proveniva dalla cucina e in pochi passi fu dentro. Lo vide seduto su uno sgabello, appoggiato sull’ampio bancone dell’angolo bar che fungeva da divisorio tra la cucina vera e propria e il tinello, intento a sorseggiare il famoso bibitone che lo sweeper era solito prepararsi a colazione come toccasana per la sua virilità; ma se per lui era poco più che una bevanda leggera, per il vecchio sostituiva il pranzo. Come facesse a non provare appetito era incomprensibile per un uomo vorace come lui, e proprio in quel momento si accorse che aveva un certo languorino.

«Prendine pure Ryo, ne ho preparato anche per te. Certo ce n’hai messo di tempo per lavarti!»

«Lasci perdere, ero in una condizione pietosa» rispose mentre afferrò il contenitore del frullatore e iniziò a trangugiare in fretta il contenuto.

«Sei sempre il solito maiale» disse sconsolato il Professore e, girando la cannuccia nell’intruglio denso, continuò «Sono riuscito a terminare la calibrazione parziale del segnale radio e per ora sembrerebbe funzionare discretamente quando tieni l’auto accesa. Però hai preso dei componenti davvero scadenti Ryo, su queste cose non si risparmia sai? Dovrai tornare tra una settimana più o meno, così potrò verificare se i circuiti sono a posto» concluse tirando su con la cannuccia.

«L’importante è che funzioni, ho già speso un mucchio di soldi, non potevo permettermi di meglio» rispose piccato, rimettendo il contenitore sulla base del frullatore.
«Eppure mi risulta che il lavoro ti stia andando piuttosto bene»

“Sì, ma ci sono modi più piacevoli per spendere il denaro” pensò con un sogghigno che gli si congelò all’istante. Ebbe un momento di panico.

«Professore può dirmi che ore sono?» chiese con una punta di preoccupazione.

«Ancora non ti decidi a comprare un orologio? Roba da non credere» e così dicendo scoprì il polso sinistro dalla manica leggermente lunga del camice, lasciando intravedere metà quadrante. «Precisamente due quarti alle tre» emise soddisfatto mentre ricominciò a bere avidamente il suo frullato.

Ryo, dopo un primo momento di perplessità – trovava astruso quel modo di leggere l’orario –, si sentì sbiancare una volta capito e di riflesso si portò una mano alla fronte. Erano le due e mezza ma avrebbe dovuto incontrare Maki alle due. Mezz’ora di ritardo a cui doveva aggiungere un’altra mezz’ora di strada per tornare… voleva morire, questa volta avrebbe ben meritato le ire del suo partner.

«Che succede?» domandò il Professore, accortosi del suo stato di catalessi.

«Nulla, sono solo mortalmente in ritardo per un appuntamento di lavoro, devo scappare»

«Prima ti saresti catapultato in questo modo solo se ci fosse stato uno stuolo di belle ragazze ad aspettarti» e saltando giù dallo sgabello continuò «Davvero notevole questo Makimura, sta riuscendo a farti rigare dritto»

I due uomini si diressero verso l’ingresso, dove il Professore tamburellò lievemente con la punta del bastone alcuni scatoloni.

«Questa è una piccola parte dei tuoi libri e giornali, dovrebbero entrare in quella macchina minuscola che ti ritrovi. Visto che ora lo spazio non ti manca non ha più senso che tu tenga qui le tue cianfrusaglie, e poi è sempre meglio avere i testi a portata di mano»

«Ha ragione, non ci avevo pensato. Allora quanto tornerò la prossima settimana prenderò l’altro carico» e sollevando i pesanti scatoloni con facilità aggiunse «La ringrazio Professore, per tutto»

«Nulla ragazzo, nulla. Va’ ora» gli sorrise, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
 
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Illuminata dal sole del primo pomeriggio, una Mini Cooper rossa col tettuccio nero sfrecciava per l’autostrada metropolitana di Tōkyō come se fosse stata rincorsa dal diavolo in persona. Ryo teneva il piede pesantemente pigiato sull’acceleratore ma il vento contrario e il peso degli scatoloni rallentavano in modo sensibile la velocità del veicolo.
“Lo sapevo, porca miseria, va a finire sempre così. Chi lo vorrà sentire ora, sarà una iena quando arriverò…ah e questo deficiente qui che fa, va a passeggio sulla corsia di sorpasso? Gli faccio vedere io!” e subito iniziò a premere furiosamente il clacson.

«Vamos, vamos!» sbraitò mentre continuava a suonare «Muévete hijo de puta! Go right asshole!»

Le sue ire vennero ampiamente percepite dall’incauto automobilista che, evidentemente impacciato, si rimise rapidamente sulla carreggiata di marcia, rischiando di creare un tamponamento a catena. Ryo si rilassò sensibilmente vedendo la strada davanti a sé sgombra da lumaconi.
“Se continuo così dovrei farcela in poco più di un quarto d’ora, speriamo non esca fuori qualche altro imbecille tra i piedi” si augurò stringendo le mani sul volante.
Mancavano pochi minuti alle tre quando Ryo arrivò in volata sull’ampia Kita Dori e, come un provetto pirata della strada, inchiodò violentemente per parcheggiare, infilandosi in uno spazio visto all’ultimo secondo proprio accanto all’ingresso angolare del parco. Vi entrò correndo, diretto verso la scalinata che si affacciava sull’ampia piazzetta circolare con una fontana centrale; era quello il loro punto d’incontro abituale. Dopo pochi minuti intravide l’inconfondibile sagoma di Makimura seduto sugli ultimi gradini, con indosso l’immancabile soprabito beige chiaro e il capo leggermente abbassato. Gli si avvicinò trafelato, buttandosi letteralmente accanto a lui. L’ex detective non si scompose all’arrivo di quella furia e Ryo sapeva che era abituato ai suoi arrivi sempre così rocamboleschi.

«Penso sia inutile dirti che sei in ritardo» la voce era calma come sempre e questo lo lasciò stranito.

«Scusami Maki, ma sistemare il congegno si è mostrato più complicato del previsto e non avevo messo in conto che il Professore fosse impegnato, quindi ci ho messo più di quanto avessi pensato» rispose con ancora un leggero accenno di fiatone «Per recuperare tempo ho spinto la Mini al massimo per strada; non si direbbe ma ha una ripresa niente male»

«Ryo!» esclamò e guardandolo negli occhi serio continuò «Non c’era bisogno di guidare come un pazzo, rischi inutilmente la tua sicurezza e quella degli sfortunati che si trovano in strada quando ci sei tu. Però apprezzo la tua premura, vuol dire che inizi a percepire la puntualità come un qualcosa di necessario»

«In realtà non voglio sorbirmi le tue prediche Maki, sei troppo ottimista con me» rispose, distogliendo la vista da quegli occhi indagatori.

Non capiva come mai il suo partner non fosse furioso come se l’era immaginato. Forse non stava bene? O forse… sì molto probabilmente aveva incontrato qualcuno che gli aveva destabilizzato la giornata, ormai aveva imparato a conoscerlo.

«Trovato qualche messaggio?» chiese mentre si accese una sigaretta.

L’ex detective gli rispose allungandogli un foglietto con su scritto un appunto a matita.

«Mmh» fece mentre leggeva «Sorvegliare l’onorevole Oketo. Quindi il pacco bomba che ha ricevuto nel suo ufficio qualche giorno fa non era un atto isolato ad opera di uno squilibrato?» domandò riporgendo il foglietto.

«A quanto pare no, ha iniziato a scavare un po’ troppo negli affari del partito e qualcuno evidente non ha gradito il suo zelo. Questa, però, è la versione ufficiale; sembrerebbe che il caro onorevole non sia stato davvero sincero. L’attentato potrebbe essere uno specchietto per le allodole per coprire delle importanti infiltrazioni mafiose, che sarebbero già riuscite a sistemarsi molto in alto negli uffici di potere» espose a mezza voce Makimura, sistemandosi con l’indice gli occhiali sul naso.

«Uffa, non mi piace sorvegliare gli uomini» sbuffò lo sweeper esageratamente depresso «Quando hai incontrato il grassone non potevi rifiutarti?»

«Non ne ho avuto modo, anche perché è stata proprio una donna a richiedere il nostro aiuto»

Ryo si ricompose immediatamente.

«Com’è? È bella?»

«Sì, molto. E la conosci bene, così tanto che non ha lasciato scritto nessun XYZ ma si è fatta trovare direttamente accanto alla bacheca» gli disse Makimura guardandolo di sbieco.

Aveva già capito: solo una donna poteva affidar loro un incarico così rognoso e far cambiare l’umore del partner. Si rialzò, infilando le mani nelle tasche della giacca, e si appoggiò al corrimano della gradinata.

«Ah Saeko, mai una volta che ci lasci in pace!» esclamò risentito «Spero vivamente che questa volta voglia pagare i miei servigi» aggiunse nel tono maniaco che gli riusciva così bene.

Maki alzò il volto di scatto, negli occhi un lampo di gelosia e apprensione, ma non disse niente, limitandosi a sbuffare cercando di non far emergere il suo vero stato d’animo. Era inutile, non c’era gusto nel sfotterlo sull’argomento Saeko, quell’uomo era così terribilmente serio quando si trattava di lei e per questo non rispondeva mai alle frecciatine che gli lanciava. Ryo aveva compreso che Maki lo considerava un rivale, e quel solo pensiero lo faceva sorridere per quanto gli sembrasse assurdo. Certo, fisicamente era attratto dall’affascinante detective, ma lo era da qualsiasi degno esemplare di sesso femminile; non nutriva particolari mire nei suoi confronti. Inoltre non era scemo, era chiaro come il sole che Maki fosse totalmente preso da quella donna, sebbene si impegnasse a nasconderlo.  Lui di certo non ne avrebbe mai approfittato; voleva solo donne libere con cui divertirsi e la poliziotta, oltre a essere pericolosa di suo, doveva in un certo modo ricambiare il suo ex collega. Sebbene si divertisse a civettare e a rispondere compiaciuta alle sue esternazioni lascive – anche in presenza di Makimura – sentiva che lei non era del tutto sincera e, sicuramente, si sarebbe tirata indietro se si fosse andati al sodo. Ah con che persone complicate aveva a che fare!

«Domani per le undici dobbiamo essere al Capitol Hotel; lì Oketo ha un appuntamento con i vertici del partito nel ristorante francese al piano terra» disse asciutto l’ex detective «Mi raccomando puntualità e porta il binocolo, ne avremo bisogno» e così dicendo si alzò, scrollandosi di dosso un po’ di polvere.

«Dimentichi che sono un professionista? Sarò puntuale, sebbene l’idea di dover guardare a vista quell’uomo di mezza età mi faccia ribrezzo… spero ci sia qualche bella donna tra le accompagnatrici, o qualche bella cameriera!» esclamò con un sorriso ebete.

«Sei un caso senza speranza» gli soffiò esasperato, dandogli una gomitata sul fianco.

«Va bene, va bene, come non detto. Allora se è tutto io vado, ho alcuni appuntamenti importanti. Ah e fa’ il bravo Maki!» esclamò, salutandolo con un occhiolino malizioso.

«Senti da che pulpito viene la predica!» gli urlò contro il partner, con un tono decisamente più allegro di quando si erano incontrati.

“Beh, ora non sei più così giù di morale caro mio” si disse gongolando, soddisfatto per aver raggiunto il suo scopo.
Ryo con passi ampi e cadenzati ritornò alla vettura, un sorriso sornione sulle labbra. Decise che si sarebbe divertito per il resto della giornata, se lo meritava. Aveva bisogno di un po’ di stupida leggerezza e le ragazze che lo aspettavano nei vari locali lo avrebbe aiutato a rilassarsi. Mise in moto e, dopo una pericolosa inversione di marcia, si diresse verso la sua Kabukichō.
   
 
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