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Autore: Bonni4    11/02/2021    1 recensioni
Uno spaccato di vita di Jango e il piccolo Boba Fett, la loro relazione padre-figlio, la tenerezza, gli insegnamenti. Perché anche un guerriero ha un punto debole.
 
Dal testo:
Eccolo lì che si adattava perfettamente al suo abbraccio.
Quel piccolo fagotto addormentato gli sembrava la cosa più naturale da tenere tra le braccia.
Suo figlio.
Alcuni avrebbero obiettato sul termine “figlio”. No, tecnicamente non era suo figlio, era un suo clone. Uguale, identico, preciso nei minimi particolari.
Non gli importava che sarebbe stato identico a lui di aspetto.
Quel piccolo esserino sarebbe stato il suo compagno, la sua ombra, il suo protettore, insieme apprendista e insegnante di vita.
Avvicinò il viso del neonato, caldo e morbido, al suo, ruvido e segnato da una cicatrice.
 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jango e Boba Fett
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Eccolo lì che si adattava perfettamente al suo abbraccio.
Quel piccolo fagotto addormentato gli sembrava la cosa più naturale da tenere tra le braccia.
Suo figlio.
Alcuni avrebbero obiettato sul termine “figlio”. No, tecnicamente non era suo figlio, era un suo clone. Uguale, identico, preciso nei minimi particolari.
Ma dato che non riusciva ad averne uno, non voleva impegnarsi con una donna e per di più era stato scelto per essere la matrice originale di un esercito di più di un milione di altri individui, perché non chiederne uno tutto per sé?
Non desiderava altri crediti, di quelli ne aveva a sufficienza. Desiderava un figlio, da accudire, da amare, da proteggere.
Avrebbe portato avanti la stirpe dei Fett, le sue origini mandaloriane. 
Non gli importava che sarebbe stato identico a lui di aspetto.
Quel piccolo esserino sarebbe stato il suo compagno, la sua ombra, il suo protettore, insieme apprendista e insegnante di vita.
Avvicinò il viso del neonato, caldo e morbido, al suo, ruvido e segnato da una cicatrice.
Quanta bontà riusciva a infondere una cosina così piccola.
Chi ha detto che i guerrieri non hanno un punto debole?
 
 
 
“Boba?!”
Il cacciatore di taglie urlò allarmato. Non riusciva a trovare il figlioletto nella sua stanza su Kamino.
Quella piccola peste ormai sapeva correre! Un po’ sbadatamente e con qualche inciampo, come tutti i bambini di 3 anni, ma correva!
Jango uscì dalla stanza, percorrendo come un forsennato i corridoi immacolati e antisettici della base scientifica. 
Da un vetro si potevano vedere dei cloni che avevano ormai raggiunto i 6/7 anni grazie all’accelerazione dello sviluppo. Stavano imparando a leggere e scrivere su dei pad, sotto la vigile attenzione di un maestro kaminoano.
“Boba??” urlò ancora, senza ricevere risposta. Non poteva essere andato lontano, era solo un bambino!
Uscì dal portale principale, attraversando sotto la pioggia battente il campo di atterraggio delle astronavi.
‘L’unico posto in cui poteva essersi intrufolato era lì’.
Lo sportellone della Slave I era aperto.
“Ma come diavolo…?” Come diavolo aveva fatto un bambino di 3 anni a sottrargli le chiavi dell’astronave e aprire il portello dello scafo?
“Boba? Sei qui?” disse affacciandosi al portellone con il blaster in mano. Poteva anche essere una trappola. I vestiti erano zuppi e stavano sgocciolando dappertutto. 
“Papà?” rispose debolmente una vocina. A Jango si illuminarono gli occhi.
Percorse lo scafo, arrivando nell’angolino dietro al sedile del passeggero dove si nascondeva il birbante. 
“Che ci fai qui? Lo sai che non hai il permesso di uscire da solo! Devi sempre starmi vicino. Ma che pensavi di fare??” disse prendendo in braccio il bambino, confuso e ammutolito.
“Scusa papà.” Sussurrò Boba accarezzandogli una guancia.
 
 
 
“Bene, ora mira al bersaglio alla tua sinistra.” 
Fece Jango indicando verso il campo seminato. Era una bella giornata su Batuu, il sole picchiava forte quel pomeriggio ma ogni tanto una brezza fresca smuoveva le fronde degli alberi, scompigliando i capelli ribelli di Boba.
Il bambino stava impugnando il blaster del padre. Se la cavava bene al tiro al bersaglio, faceva ancora qualche errore di postura del tutto comprensibile per un bambino di 7 anni. La vista era eccezionale, ma d’altronde Jango lo sapeva, era la sua.
Un colpo netto andò a polverizzare il bersaglio di latta posto ad una cinquantina di metri da loro.
“Ottimo lavoro Boba.” Disse il padre.
Boba si girò con un largo sorriso impresso sul volto. Jango, disteso sull’erba con indosso la sua armatura mandaloriana blu e argento, ridacchiò profondamente, allargando le braccia.
Il bambino si tuffò tra di esse, iniziando una lotta corpo a corpo che saprebbe di aver vinto. 
Nessun uomo onesto lascerebbe perdere un bambino in una competizione, figurarsi il proprio figlio!
“Papà, posso farti una domanda?” disse il giovane riprendendo fiato.
“Spara.”
“Quando avrò la mia armatura mandaloriana?” disse tastando la placca in Beskar che copriva il petto del padre.
“Tu non lo sai, ma ne ho una proprio nella Slave I. L’ho conservata per te, era mia una volta. Consideralo un cimelio di famiglia Boba. Nessuno dovrà portartela via, è destinata ad essere indossata solo dai Fett!”
A Boba scintillarono gli occhi per l’ammirazione: “Wow… la posso vedere?”
“No, sarà una sorpresa!”
“Daaaaaiii, ti prego!” implorò il bambino stringendo i pugni.
“E’ fuori discussione giovanotto” disse Jango con un sorriso impietosito “E ora vieni qui, dobbiamo ripassare il tuo Mando’a.”
 
 
 
“Papà, non mi piace molto questo posto.” Disse il ragazzino aggrappandosi al braccio del padre.
“Avanti Boba, devi dimostrarti coraggioso di fronte al conte Dooku. E’ il capo del tuo papà, devi dare una buona impressione!” ammise Jango accarezzando il mento del figlio.
“Sì lo so, ma quelle creature là fuori, nell’arena… non mi piacciono.”
“Dici i Geonosiani? E’ vero, all’apparenza fanno abbastanza ribrezzo, ma non ti faranno niente, tranquillo!” 
Il ragazzino, rincuorato dalle parole del padre, gli lasciò il braccio.
“Pensa solo a divertirti, ci sarà uno spettacolo niente male oggi nell’arena!” fece Jango, fingendosi eccitato.
“Uno spettacolo?” a Boba si accese una scintilla di curiosità.
“Proprio così! Tuo padre ha catturato i Jedi che ci davano fastidio, e ora stanno per essere fatti a pezzi! Ne vedremo delle belle…”
Boba sorrise impaziente.
“Li ucciderai tu?”
“No figliolo, io guarderò dagli spalti, con te e il conte.”
“E perché indossi l’armatura?”
“Non si sai mai. Come dico io, bisogna essere sempre preparati alle avversità. A proposito…” Jango si bloccò per un istante. 
A ripensarci bene forse non era stata la mossa più saggia portare suo figlio con lui. Gli salì un magone in gola, presagio che qualcosa non sarebbe andato bene quel giorno.
Boba lo guardò di traverso. L’irrequietezza si stava impossessando ancora del ragazzo.
“Se ti dico di nasconderti o scappare, tu lo farai. Intesi?”
Boba fece cenno di sì con la testa, aggrottando le sopracciglia.
“E se mi dovesse succedere qualcosa, prometti che non cercherai vendetta. Manterrai alto l’onore dei Fett, proprio come ti ho insegnato.”
Suo figlio rimase zitto. Jango si voltò a guardarlo.
“Sei forte figlio mio. E sono molto fiero di te. Faremo grandi cose assieme, quando sarai pronto.”
Detto ciò abbracciò il figlio come fosse la sua ultima occasione per farlo.
 
 
 
Perché non era rimasto con lui? 
Perché non era fuggito con lui?
Forse perché era un guerriero, e un guerriero non scappa di fronte alle battaglie.
Maledizione, il jetpack è andato. Maledetto Reek.
“Boba spero tu sia al sicuro”. Sussurrò da dentro l’elmo mandaloriano.
Il figlio di Jango Fett si era nascosto in una buca naturale dell’arena. Aveva una perfetta visuale del pandemonio che stava infuriando sotto di lui.
Cercava disperatamente suo padre con gli occhi. Uno scintillio argenteo catturò la sua attenzione. L’armatura!
Jango stava ora sparando ad un uomo, un Jedi con la spada violacea e minacciosa.
“Papà fuggi… dai vattene!” urlò Boba senza essere sentito da nessuno.
Il resto successe in pochi istanti.
Jango cercò di prendere il volo ma il jetpack era rotto. 
Il Jedi avanzò prendendo la carica.
Perse il blaster.
Altro tentativo di fuga.
 
Ner ad, hiibir baatir.*
 
 
 
 *Traduzione da Mando'a (lingua dei mandaloriani): "Figlio mio, prenditi cura di te".


 
  
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