Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Hitchris    16/02/2021    0 recensioni
Una ragazza entra nelle vite dei giovani giocatori di basket del liceo Seirin. Hikari entrerà con forza nelle loro vite e giocherà al loro fianco, come membro della squadra. Il suo obiettivo è solo uno: fare luce nel suo passato, riconquistare la fiducia di una persona cara e cercare di capire sé stessa.
Il percorso sarà lungo, duro e fatto di molte sorprese. Sorprese che, forse, cambieranno le carte in tavola.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daiki Aomine, Nuovo personaggio, Taiga Kagami
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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« Va bene, papà. Sì, ti chiamerò non appena arrivo. Grazie, papà. Ti voglio bene ».
Hikari attaccò. Sorrideva. Spense il telefono e se lo infilò in tasca. Rivolse lo sguardo fuori dal finestrino: erano ancora sulla pista e i passeggeri entravano lentamente e sedevano al posto assegnatogli, accompagnati dalle hostess.
Kagami era visibilmente a disagio. Hikari gli aveva domandato se avesse paura di volare, ma lui le aveva risposto che no, non era per quello. Ora continuava a muoversi, cambiare posizione, stendere le braccia, incrociarle, in una guerra spietata all’ultimo sbuffo di impazienza. La ragazza cercò di ignorarlo finché poté, ma alla fine dovette intimargli di darsi pace.
« Ti hanno messo una patata bollente sotto al sedile? » chiese, cercando di mantenere un tono pacato e tranquillo.
« Non dire cavolate. È che questi posti sono… » fece una pausa. Hikari lo vide cercare le parole adattate « …troppo comodi ».
Appunto, adatte.
« Troppo comodi » ripeté lei.
« Sì »
« E ti lamenti per questo? »
« Non mi sto lamentando » ribatté lui, scocciato « dico solo che non c’era bisogno che tuo padre pagasse per entrambi la prima classe ».
Hikari sorrise leggermente.
« E’ questo che ti mette a disagio? Non ti preoccupare, mio padre l’ha fatto volentieri »
Kagami la guardò di sottecchi, ancora più in imbarazzo.
« Non sono a disagio » disse.
« Sì che sei a disagio » ribatté la rossa.
« No »
« Sì »
« Avevo già il biglietto per me. Ti dico che non c’era bisogno »
« Ma così possiamo stare vicini con i sedili »
« Non c’era bisogno »
Hikari sbuffò e guardò di nuovo fuori dal finestrino per nascondere l’irritazione.
« Pensala come ti pare, ma ora smettila di muoverti. Sembri un gorilla con le coliche ».
« Cosa sembro…?! »
L’annuncio delle hostess interruppe bruscamente la loro conversazione. Hikari rifletté seriamente sulla sua decisone, presa di getto, di qualche giorno prima. Pensò che ormai era fatta e le sarebbe toccato partire, anche se era abbastanza sicura che sarebbe tornata con la gastrite.
Prima di imbarcarsi in quella che sarebbe stata una fervida avventura, aveva parlato con Kuroko e poi con Riko. Aveva messo al corrente entrambi della decisione di partire con Kagami, e a entrambi aveva detto che non avrebbe giocato nella prima partita di campionaoa. Questo avrebbe dato modo a Riko di strutturare delle strategie senza che lei ne fosse coinvolta.
La decisione era stata sua e, quando alla coach aveva spiegato il motivo, si era trovata d’accordo. Quella non era la sua battaglia; lei non c’entrava niente con la Too e con Aomine Daiki. Vincere con il suo aiuto non avrebbe giovato all’umore della squadra, per quanto adesso la accettassero. Era una questione in cui lei non voleva entrare. Ovviamente sarebbe scesa in campo, se fosse stato strettamente necessario. Voleva lasciare la vittoria alla Seirin, ma non voleva rinunciare a scontrarsi con suo cugino.
Aveva un buon presentimento, però. Di solito il suo istinto non sbagliava, per cui si era sentita abbastanza sicura quando aveva rassicurato Kuroko. Gli aveva detto che avrebbe aiutato Kagami a migliorare, e che doveva pensare anche lui a qualcosa che potesse agevolarlo nella tecnica. Si erano salutati con la certezza che, tra un mese, sarebbero stati più forti.
Hikari non ne aveva parlato con Kagami. Aspettava di arrivare in America e allenarsi, appurare i suoi miglioramenti e quelli dell’amico. Avrebbe atteso un momento tranquillo e gli avrebbe spiegato perché quella non era la sua battaglia; era abbastanza certa che, nonostante gli screzi che avrebbero sicuramente avuto, lui avrebbe capito.
La rossa prese le cuffie dentro lo zaino e se le mise intorno al collo. Si voltò verso la hostess che le chiese di allacciare le cinture e guardò Kagami di conseguenza. Era ancora imbronciato, ma adesso pareva aver trovato pace. Entrambi si scambiarono un’occhiata. Si accorsero di avere lo stesso modello di auricolari. Dello stesso colore.
Fecero entrambi una faccia strana, tra l’allibito, l’imbarazzato e l’irritato. Entrambi guardarono dalla parte opposta.
Dopo mezz’ora, finalmente, l’aereo decollò.
 
« Kagami-kun… ».
La voce rotta, soffocata. Le mancava il fiato. 
« Ka-Kagami-kun ».
I muscoli del suo corpo si tesero; una scarica d’energia le inondò il corpo, convergendo proprio nel punto in cui il ragazzo la stava toccando. I polmoni reclamavano ossigeno, ma non poteva averne. Seguiva i movimenti di lui, lenti e impacciati, e non faceva altro che essere in balìa dei suoi gesti.
« E’ troppo stretta ».
Inerme.
« Kagami… è… troppo stretta ».
Incapace di reagire.
« Kagami, brutto idiota, non mi farai circolare il sangue se non la smetti di stringere quella stramaledetta fasciatura! »
« Fasciatela da sola la tua stramaledetta caviglia, allora! »
Taiga, che fino a quel momento era stato talmente concentrato sul suo lavoro con le bende da non fare caso a quello che stava dicendo Hikari, aveva rischiato di perdere qualche anno di vita quando, improvvisamente, la ragazza aveva urlato e l’aveva colto alla sprovvista. La reazione era stata sbraitare, cosa che faceva da più o meno una settimana.
Le uniche volte in cui non battibeccava con Hikari era quando giocavano a basket e si allenavano con Alex. Persino lei, che era stata subito calorosa – fin troppo – con Hikari aveva notato l’attrito che c’era fra due; allo stesso modo, aveva fatto presente a Kagami l’incredibile sintonia che si andava a creare quando giocavano o si allenavano. Avevano smesso di accapigliarsi durante il training perché erano entrambi proiettati in avanti, verso gli stessi obiettivi. Spesso collaboravano, e Hikari si ritrovava spesso a far notare qualche aspetto interessante delle giocate di Kagami, incentivandolo al miglioramento. Di contro, e a modo suo, Taiga la stimolava a fare sempre meglio e a dare sempre il massimo, in ogni occasione. Ovviamente la sua caviglia ne aveva di nuovo risentito, per cui aveva dovuto rallentare la durata delle partite e del tempo che passava a correre o a saltare. Alex le aveva dato precise direttive e Hikari non aveva potuto fare altro che rispettarle. Una di queste comprendeva fasciarsi la caviglia prima e dopo il training, cosa in cui di solito l’aiutava Taiga.
« Non rispondere in questo modo, piuttosto cerca di controllarti! » urlò di contro Hikari.
« Sei veramente acida. Uno cerca di essere gentile e tu gli urli contro! »
« Gentile non significa amputarmi una caviglia, idiota »
« Hikari… ripetimi perché ti ho chiesto di venire in America con me… » borbottò Kagami, indecentemente inferocito.
« Perché sei una pippa » risposte Hikari, con calma.
Alex intervenne qualche secondo più tardi, evitando che i due si accapigliassero davvero.
« Va bene, guys, per oggi basta così. Hikari, se la caviglia non ti fa molto male tra due giorni potrai seguire di nuovo lo stesso allenamento di Taiga. In questo arco di tempo, starai ferma, così la caviglia si riprenderà una volta per tutte. Che ne diresti di affiancarmi durante il training delle mie squadre? E tu, Kagami… » Alex incrociò le braccia al petto e guardò il suo allievo con durezza « …tu dovresti imparare a trattare meglio le ragazze ».
« Ma… cosa?! Adesso la difendi anche? »
Visibilmente provato dalla solidarietà femminile delle due donne, Kagami non trovò altre argomentazioni con cui far valere la sua parola. Decise di girare i tacchi e andarsene, allontanarsi il più veloce possibile. Hikari e Alex rimasero da sole. La coach la guardò prepararsi, infilarsi la felpa con lentezza e stiracchiarsi con altrettanta pigrizia.
« Tu e Kagami siete tremendi, ma giocate molto bene insieme. Siete molto affiatati, anche quando vi ritrovate ad essere rivali ».
Alex esordì, seria ma con l’aria bonaria di chi era soddisfatta di ciò che vedeva. Hikari si limitò a sorridere leggermente, attendendo che continuasse.
« E’ strano che lui abbia preso il coraggio di chiederti di venire » aggiunse « di solito con le ragazze è un disastro »
La rossa si ritrovò a grattarsi la testa, in un gesto che faceva spesso quando era imbarazzata. In questo caso si aggiungeva anche uno strano senso di disagio.
« Non credo che mi consideri proprio come una ragazza normale » sbiascicò.
« Non lo sei, infatti » ribatté Alex « non ho mai visto niente di simile in tutta la mia carriera. I ragazzi del campo non riescono a tenere il passo di Kagami, ma tu sì. Sei fossi stata una mia avversaria quando giocavo nella sezione professionistica femminile, mi sarei chiesta se fosse umanamente possibile raggiungere i tuoi risultati ».
Alex aveva ponderato le parole, le aveva scelte con cura, tuttavia Hikari non aveva la più pallida idea di dove volesse andare a parare. Quello che aveva detto le sembrò quasi un complimento, ma lo sguardo serio e attento di Alex tradiva una preoccupazione e un’apprensione che le chiudeva lo stomaco.
« Se ti stai chiedendo come faccio, la risposta è che non lo so. Lo faccio e basta » esordì Hikari, alzando le spalle. Alex non tradì lo stupore che provò al sentirla pronunciare quelle parole; decise di continuare il suo discorso.
« No, non era questo ciò che intendevo » rispose « volevo solo dirti di stare attenta ».
« Attenta? »
« Sei giovane, hai talento, sei decisamente fuori dal comune. Tuttavia, temo che quando raggiungerai il tuo limite, quando sarai in grado di arrivare alla vetta e giocare al pieno delle tue potenzialità, il basket non avrà più nulla da offrirti ». Alex si aggiustò gli occhiali sul naso.
« Il fatto è che se puoi giocare nella sezione maschile è solo grazie a un colpo di fortuna. Nella sezione femminile saresti troppo al di sopra delle altre giocatrici. Oserei dire che sarà quasi impossibile trovare un’altra donna al tuo livello. Se tu continui a giocare ora, rischi di non trovare più nulla di interessante nel basket in futuro. Potrai annoiarti, non trovarlo più stimolante »
Hikari era seria, mortalmente seria. Alex si sentì in colpa, pensò di aver detto troppo. Si affrettò dunque ad aggiungere:
« Questo non vuol dire che devi mollare o che andrà sicuramente nel modo che ti ho esposto. La mia era solo una considerazione… tuttavia ho creduto fosse doveroso metterti al corrente della questione ».
Hikari rimase immobile, gli occhi puntati in un punto indefinito vicino ai suoi piedi. Rifletté, poi afferrò la borsa e sorrise.
« Non preoccuparti, Alex. Rinuncio volentieri a diventare una professionista, se vuol dire andare avanti con la squadra. E poi il basket non potrebbe mai annoiarmi, e sono sicura che non lo farà. Ho chi mi tiene testa. ».
Se ci fu una cosa che stupì Alex, al di delle parole pronunciate da Hikari, fu l’assoluta naturalezza con cui le proferì. Anche se la sua espressione risultò un po’ tesa e sicuramente poco allegra, riconobbe in lei lo spirito sincero di chi possiede la certezza lampante, chiara, logica che si esplicita solo quando si è presa una decisione definitiva. Sebbene fosse circondata da un’aura di mistero e chiunque la vedesse provasse una strana sensazione, come una calamita che attrae verso il proprio centro, come se fosse circondata da una forza impalpabile che spingeva le persone a temerla o a provare affetto, attrazione e curiosità, Alex comprese in quell’istante che tipo di persona fosse Hikari e l’apprezzò.
« Bene bene » disse alla fine, sorridente « allora tra due giorni inizieranno i giochi ».
Hikari ricambiò il sorriso e annuì.
« Oh cacchio! » esclamò subito dopo, dandosi un colpetto sulla fronte « mi sono dimenticata di dare una cosa a Bakagami ».
Frugò velocemente nella borsa e ne tirò fuori un dischetto. Si disse che forse, se avesse si fosse sbrigata, avrebbe potuto raggiungerlo prima che prendesse l’autobus per tornare a casa. Salutò velocemente Alex, uscì dal campo e cominciò a correre. Almeno, quella fu l’intenzione; invece s’imbatté in Kagami subito dopo essere uscita dal campo e aver svoltato l’angolo. Per non rendere le cose troppo piacevoli, ci andò a sbattere contro. Non cadde a terra solo perché aveva un buon equilibrio.
« Aia. Mi sono schiacciata il naso » borbottò « ma non te ne eri andato? ».
« Aspettavo che venissi a prendere l’autobus » rispose borbottando.
« Non c’era bisogno » disse lei, cercando di non sembrare brusca.
« E’ sera. Se ti molestano, tuo padre mi uccide » rispose.
Si stavano guardando. O meglio, Kagami la guardava. In modo strano. Continuava a fissarla con aria assorta, riflessiva.
« Hai sentito tutto? » chiese lei.
« No »
« Ok »
« Andiamo »
« Ok »
Si incamminarono verso la fermata. Hikari si ricordò dei dvd solo perché lo stringeva tra le mani: la sua testa aveva viaggiato, compiuto giri infiniti e poi era tornata alla realtà.
« Ah, a proposito. Questi sono per te ».
La ragazza li porse a Taiga, che li prese.
« Cosa sono? » chiese, confuso.
« I video delle vostre precedenti partite, compresa quella contro Aomine. Riko mi ha detto di darteli e vederli. E questi, invece » Hikari gli passò altri due dischetti « sono alcuni video della Teiko e di altre partite dei membri nelle squadre attuali. Guardali ».
Kagami si rigirò i DVD tra le mani, poi se li ficcò in borsa. Girarono l’angolo della strada e videro entrambi l’autobus in lontananza. Hikari aveva preso in affitto un appartamento a pochi metri dalla casa del ragazzo, cosicché potessero andare insieme sia a scuola sia agli allenamenti. I mezzi erano scomodi e Hikari, all’inizio, era sembrata visibilmente a disagio nel farne uso; Taiga aveva pensato che probabilmente non ne aveva mai preso uno bus e l’idea di perdersi la spaventava. In verità non la dispiaceva averla intorno perché, la maggior parte delle volte, la rossa si limitava a parlare del più o del meno, o a scambiare qualche parola sui compiti o sulla partita che avevano fatto durante gli allenamenti. Per il resto del tempo, quando si accorgeva di aver esaurito tutti gli argomenti di conversazione, se ne stava in silenzio, e tanto meglio così. Non c’era imbarazzo fra loro e Kagami si era ritrovato quasi ad apprezzare quei momenti: soprattutto perché non discutevano, si era detto.
« Dovrei guardarli solo io? » esordì poi, ricongiungendo il filo rosso dei suoi pensieri al momento presente.
« Guardali prima tu, poi li guarderò io » rispose Hikari. Erano arrivati alla fermata. La ragazza si era seduta sulla panchina sotto al gabbiotto, mentre Kagami aspettava in piedi e guardava verso destra, sul fondo della strada. Passarono dieci minuti, e della corsa successiva non c’era traccia.
Kagami guardò per l’ennesima volta l’ora sul telefono. Non sembrava spazientito dall’attesa; pareva piuttosto avesse un’urgenza e non potesse perdere tempo.
« E’ ancora presto. Guardiamoli insieme » esordì.
Hikari guardò l’ora a sua volta in un gesto che voleva avere l’obiettivo di prendere tempo per pensarci. In verità avrebbe voluto guardarli insieme a Taiga per discutere della visione mentre le idee e le osservazioni erano ancora fresche, cosicché non svanissero nel corso dei giorni; d’altra parte, non si sarebbe mai aspettata che glielo domandasse davvero, specialmente dopo il battibecco del giorno.
« Ok » disse « ma è quasi ora di cena ».
« Cucinerò io »
« Ti aiuterò » rispose Hikari.
« Solo se non cucini come la coach » borbottò Kagami, timoroso di scoprirlo.
La rossa non lo sentì, ma non ebbe modo di chiedergli di ripetersi. L’autobus arrivò, salirono e trovarono posto in fondo. Venti minuti dopo erano arrivati sulla via di casa. Un’ora dopo, Hikari suonò al campanello di Taiga.
 
« E’ buonissimo! »
La voce di Hikari risuonò squillante e dolce, riecheggiò per tutta la casa e si spense subito dopo, quando si riempì la bocca di zuppa, manzo e riso. Kagami continuava a guardarla sconcertato.
Lei gli aveva detto che, prima di venire da lui, sarebbe passata a casa sua per farsi una doccia e cambiarsi, cambiare la fasciatura alla caviglia e chiamare suo padre per dirgli che andava tutto bene. Kagami aveva fatto lo stesso. Sotto la doccia, mentre l’acqua lo puliva dal sudore e dalla polvere del campo, aveva ripensato alla conversazione che aveva udito poco prima.
« Rinuncio volentieri a diventare una professionista, se vuol dire andare avanti con la squadra ».
Non si era mai premurato di scoprire quali fossero gli obiettivi di Hikari al di fuori della Winter Cup. Tuttavia, sapeva che Alex non era solita fare discorsi del genere. Se aveva deciso di dirle la sua e affrontare un discorso così delicato era perché aveva colto una scintilla, un pericolo che si annidava proprio dietro l’angolo. Ora la cosa cominciava a preoccuparlo.
Neanche lui aveva ben chiaro che cosa avrebbe fatto dopo il liceo. Era ancora presto per pensarci e, per ora, i suoi pensieri erano tutti rivolti all’immediato futuro. Di una sola cosa era certo: se avesse avuto la benché minima possibilità di dedicare la sua vita al basket, di diventare un professionista, l’avrebbe fatto. Sapeva che non si sarebbe mai annoiato, che non sarebbe mai diventato come Aomine Daiki. Non era nella sua natura annullarsi, attaccarsi alla speranza che un giorno sarebbe arrivato qualcuno più forte di lui, rinnegare l’amore per il basket.
« …E poi il basket non potrebbe mai annoiarmi, e sono sicura che non lo farà: Kagami mi terrà sempre testa, e questo tanto basta per avere un avversario stimolante con cui confrontarsi ».
Hikari la pensava come Kagami. Non solo accettava con serenità il fatto che il basket, probabilmente, non sarebbe stato il suo futuro, ma dava per scontato il fatto che tra lei e lui ci sarebbe sempre stata competizione. Una persona che conosceva da così poco, con cui giocava da così poco, che riponeva in lui una fiducia totale nelle sue capacità. Hikari era strana e Kagami continuava a non capirla. Ponderata, calma, logica nei suoi ragionamenti, basava la vita sulle emozioni che provava, sui sentimenti che nutriva nei confronti degli altri e li analizzava, li sviscerava e dava loro una coerenza. Sapeva empatizzare, comprendere l’ottica dell’altro senza che nessuno le dicesse niente: ne coglieva l’emotività e giungeva alle sue conclusioni persino prima che la persona in questione ne fosse consapevole.
Era strabiliante, a modo suo. Nonostante tutto. Nonostante…
« Non ci posso credere, non è possibile… »
« Cosa? » la rossa alzò la testa dalla scodella. Non aveva minimamente sentito le parole di Kagami, che aveva continuato a borbottare per tutto il tempo senza prestare attenzione al cibo.
« Niente. Metto i DVD ».
Il ragazzo si alzò e quasi fece cadere tutto a terra. Hikari non ribatté solo perché era felice e soddisfatta della zuppa dell’amico. Quando Kagami era uscito dalla doccia, si era asciugato e vestito; subito dopo era arrivata lei e avevano iniziato a cucinare. Hikari si era limitata a tagliuzzare le verdure, lui aveva fatto il resto. Non avrebbe mai pensato che…
Infilò il DVD e lo avviò. La TV era poco distante dal basso tavolino su cui stavano mangiando, per cui avrebbero potuto guardarlo senza smettere di cenare. Inoltre, sarebbe stato un ottimo modo per riprendersi dallo shock.
Non poteva immaginare, se lo avesse saputo…
Le empiriche riflessioni cui aveva dato vita sotto la doccia erano sfumate di fronte alla consapevolezza, ritrovata, che Hikari fosse una donna. Ora non pensava più che ci fosse qualcosa di male in questo, perché lei gliene aveva dato larga dimostrazione, tuttavia non aveva potuto fare a meno di rimanere scosso. Durante gli allenamenti non aveva mai dato l’idea…
« Vuoi rimanere impalato di fronte al televisore per tutto il tempo o vuoi sederti e mangiare? »
Kagami strinse forte il telecomando tra le mani e tornò al tavolo con aria funerea, pallido e sconvolto. Non si era mai sentito così. Non era mai stato distratto da una cosa del genere, differentemente dalla maggior parte dei suoi amici. Le uniche questioni che lo interessavano erano il basket, il cibo, e a periodi alterni gli esami. Le ragazze, in generale, non avevano mai catturato la sua attenzione.
« Kagami, ti senti bene? »
La voce di Hikari lo riportò alla realtà. Il ragazzo si sforzò di guardare avanti, verso la televisione.
« Hikari » esordì con tono grave.
« Mh? »
« Infilati la felpa »
« Cosa? » Hikari era confusa.
« Rimettiti la felpa » ribadì Kagami.
La ragazza non disse niente. Si alzò e si indossò di nuovo il largo felpone nero che aveva usato per coprirsi dal freddo.
« Così morirò di caldo » borbottò, scocciata.
« Apriremo la finestra » rispose Kagami.
Lei si risedette e lo guardò solo quando il suo imbarazzo fu scemato e non sentì più le guance in fiamme. Continuò a guardarlo anche quando si alzò per andare a socchiudere la finestra del salone, e lo stava ancora guardando quando cominciò a mangiare, finalmente più rilassato.
Hikari non aveva mai avuto grandi problemi con il suo corpo, ma preferiva indossare abiti larghi e tute per una questione di comodità. Il suo abbigliamento variava con il suo umore, ma da quando era entrata nella squadra di basket aveva preferito non dare nell’occhio e confondersi con i suoi compagni. Tuttavia, ora che faceva freddo e che giocavano all’aperto, aveva smesso di indossare la fascia che le costringeva il seno preferendo sudare dentro la felpa. Se l’era tolta senza pensarci, perché davanti ai fornelli faceva caldo e la stanza aveva finito per riscaldarsi. Non indossava abiti succinti, solo una cannottiera smanicata, comoda. Hikari non aveva riflettuto riguardo alla possibilità di poter turbare Kagami semplicemente perché non aveva mai mostrato interesse per nessuna, neanche a scuola, neanche per l’amica di Aomine, Momoi, per la quale tutti davano di matto. E poi…
« Pensavo fossi gay ».
Kagami si strozzò con il riso. Hikari dovette soccorrerlo passandogli dell’acqua e dandogli piccoli colpetti sulla schiena.
« Sei… veramente… » tossì lui « una… »
« Bellissima, affascinante, irresistibile donna di mondo? »
Dopo aver ascoltato il ragazzo che la insultava tra un colpo di tosse e l’altro e dopo aver riso fino alle lacrime per il tentativo di lui di cercare aggettivi coloriti per descrivere la sua persona, Hikari e Kagami cominciarono a vedere i DVD.
Il primo raccoglieva alcune delle partite ultime partite della Teiko. Giocavano tutti, compreso Kuroko, che nel video venne inquadrato poco e niente. Kagami guardava assorto, tant’è che per i quaranta minuti successivi nessuno dei due parlò, e continuarono a mangiare finché non finì tutto quello che c’era sul tavolo. Alla fine della partita si spostarono sul divano: stavolta fu Hikari a togliere il DVD e a scegliere quale partita vedere.
« Non capisco, perché mi hai fatto vedere questa partita? Non ho trovato nulla di diverso da quello che ho visto sul campo quando abbiamo giocato contro la Generazione » esordì il ragazzo, incrociando le gambe sui cuscini e piegandosi in avanti con la schiena, in una posizione che a Hikari ricordò quella di un vecchio saggio dall’aria meditabonda.
« Non hai visto proprio niente? » chiese lei, infilando il DVD.
« Cosa avrei dovuto vedere? »
Hikari non rispose alla domanda.
« Guarda questa, poi ne parliamo ».
La partita successiva fu quella tra la Shutoku e la Seirin. Per Kagami, guardarsi di nuovo fu quasi imbarazzante; Hikari era invece rilassata, concentrata sulla visione. Taiga si chiese che cosa dovesse cogliere: che cosa aveva in mente Hikari? Su che cosa voleva farlo riflettere?
Alla fine della visione fu lei ad alzarsi di nuovo e cambiare DVD, scegliendo tra quelli a disposizione.
« Questa è tra la Too e la Seirin » disse, e si sedette di nuovo. Prima di avviarlo, però, decise di intavolare una discussione con Kagami.
« Allora? »
« Allora cosa? »
Hikari lo vide confuso. Sospirò.
« La partita della Teiko è stata girata poco prima della fine del loro ultimo anno. Quella tra la Seirin e la Shutoko è stata girata sei mesi dopo. Hai notato il miglioramento di Midorima? »
Kagami rifletté, poi annuì. Ricordò che anche Kuroko gli aveva detto che tutti i membri della Generazione erano migliorati, da quando li aveva visti l’ultima volta. Se l’aveva notato anche Hikari, a cui era bastata la semplice visione di un DVD, allora non aveva più dubbi al riguardo. La questione che gli appariva davanti agli occhi riguardava il dover mettersi di fronte a uno scoglio fondamentale.
« Il tuo problema non finisce solo ad Aomine. Se Midorima è migliorato così velocemente, allora ciò che si prospetta alla Winter Cup sarà una battaglia ancora più impegnativa di quella che hai affrontato finora. Tu sei l’asso, Kagami, e in caso di difficoltà la squadra conta su di te. »
Taiga abbassò gli occhi. Sentì il peso di una responsabilità che in quel momento gli pareva molto più grande di lui. Hikari capì e sorrise.
« Non sto dicendo di caricarti tutto sulle spalle » disse « ma non dovresti concentrarti troppo su Aomine. Tu e lui siete molto più simili di quanto pensi. Lui non mi preoccupa, e non dovrebbe preoccupare neanche te ».
Kagami la guardò. Hikari poggiava la testa sul dorso della mano; il braccio posato sullo schienale del divano; le gambe accavallate l’una sopra l’altra. Era rilassata, sorridente, sicura di quello che diceva.
« Come fai a esserne certa? » domandò Taiga. Nel suo tono non c’era ombra di scherno: la sua era pura e semplice curiosità.
« Tu hai una cosa che lui non ha, Kagami, ed è la voglia di vincere per la squadra. Arriverai a raggiungerlo nella tecnica, ma non è questo che ti porterà a superarlo. Sarà la determinazione a farlo, e la determinazione sarà data dall’affetto che provi per la squadra ».
Hikari alzò un dito quando lo vide aprire bocca.
« Se avete perso una volta contro Aomine è stato solo perché ti era superiore nella capacità e nella mente. Sei stato troppo impulsivo, non hai riflettuto sulle mosse che hai compiuto e non sei riuscito ad anticiparlo. Lui gioca a basket con naturalezza, riflette su quello che fa in modo automatico, perché ha anni di esperienza alle spalle e perché considera il basket un’estensione di sé »
La ragazza guardò Kagami seria.
« La tecnica si raggiunge, Kagami-kun. Hai tutte le capacità per farlo. Tuttavia, devi cambiare atteggiamento ».
Il giovane fu turbato dalle parole di Hikari.
« In che senso? » chiese, quasi seccato.
« Intendo che non ti devi far prendere troppo dalle emozioni. So che questo è il tuo punto forte, ma devi riuscire a controllarle, incanalarle ed esprimerle attraverso azioni che sono frutto di ragionamento. Devi valutare Aomine, studiarlo, osservarlo e infine… » Hikari unì le mani e intrecciò le dita « …bloccarlo e sconfiggerlo ».
« Parli come se fosse facile » disse Kagami, ma le parole suonavano lontane e recondite nella sua mente, che era occupata da una questione più pregnante: da dov’era spuntata fuori quella ragazza?
« E’ molto più facile di quanto pensi. Raggiunto Aomine, la vostra sarà solo una guerra di resistenza. E tu combatterai, ne sono sicura »
Hikari sorrise.
« Domani, dopo l’allenamento con Alex, ti farò vedere ».
Hikari aveva una strana luce negli occhi, quel desiderio febbricitante di scendere in campo. Taiga ne intuì la natura e, per la prima volta da quando la conosceva, sentì che erano molto più simili di quanto si sarebbe mai aspettato.
 

 
  
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