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Autore: crazyfred    16/02/2021    1 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 25 - 39 + 4 o quando nasce un genitore




 


Ore 8.00
 
Quella era una mattina come le altre da due settimane a quella parte. Gli stessi ritmi, gli stessi gesti, eppure non era affatto un peso di cui i Neri avrebbero fatto a meno. Era una routine che tutti e tre avevano voluto, cercato, una routine che li univa e li rendeva famiglia.
Il caffè, le corse in bagno, preparare lo zainetto del bambino, abbottonargli il grembiulino, allacciare le scarpe a lui e anche ad Emma che ormai non ci riusciva più, essere pronti per uscire di casa ad un orario decente per far arrivare Leonardo puntuale a scuola senza essere costretti a correre - non si sa mai cosa può succedere per strada.
Mentre Francesco faceva salire il bambino in auto, Emma indugiava sulla porta di casa, appoggiata allo stipite. Una contrazione. Era da qualche settimana che le contrazioni preparatorie le facevano compagnia, sintomo che il parto era davvero vicino. Il dolore, come un indurimento della pancia, partiva dal basso e si irradiava verso l'alto, ma erano molto simili ai crampi mestruali per intensità e durata e non aveva avuto alcuna intenzione di farsi intimorire. Aveva deciso di continuare la sua vita normalmente, fino all'ultimo giorno: basta seguire le indicazioni della ginecologa, ripeteva a chi la guardava con sospetto ogni volta che la vedeva in movimento.
Ripresasi salì in auto e, accomodatasi, iniziò a respirare in maniera lenta e ritmata per rilassarsi.
"Perché mi devi far preoccupare?" domandò Francesco, prendendola per mano "Non credere che non mi sia accorto prima che stavi piegata in due sulla porta di casa…"
"Ma piegata in due cosa? Devi sempre esagerare" lo tranquillizzò Emma "ho avuto cicli ben più dolorosi. Dai parti." "No che non parto. Mancano tre giorni al termine … perché non te ne stai a casa oggi, fai un bel bagno e ti riposi un po'? Così anche io sto più tranquillo…" "Amore sto benissimo, non sono mai stata meglio negli ultimi due mesi …"
Negli ultimi giorni, infatti, la pancia si era abbassata e senso di oppressione che sentiva sul torace era diminuito lasciando il posto ad una meravigliosa sensazione di alleggerimento: il respiro era tornato ad essere facile e sentiva persino il cuore e lo stomaco lavorare meglio. In ospedale il tracciato fatto due giorni prima non aveva registrato alcuna attività contrattile significativa, se non quella tipica della fase prodromica: non si sarebbe fatta fermare da "false" contrazioni.
Ma mentre lo pensava, l'addome si indurì una seconda volta. Poteva sentire il bambino muoversi all'interno e questo le rendeva il dolore più sopportabile, la rassicurava che tutto procedeva al meglio: nelle ultime settimane la sua incubatrice naturale era diventata un po' stretta e i movimenti erano diminuiti; portava il conto con il fiato sospeso: arrivata a 10 calci tirava un sospiro di sollievo.
Tirò fuori uno sbuffo d'aria e alleggerì la presa alla mano di Francesco che non si era accorta di aver stresso con più forza. "Che succede?" domandò Leonardo, facendo capolino dal sedile posteriore. "Niente, piccolo" lo rassicurò Emma, accarezzandogli il visino preoccupato "sto bene, papà è un po' ansioso questa mattina"
Francesco alzò gli occhi al cielo: sapeva che qualunque cosa avesse detto, se Emma aveva un piano nulla l'avrebbe fatta desistere. L'unica cosa che poteva fare, per entrambi, era mantenere la calma e vegliare su di lei. Mise in moto e partirono in direzione del paese.
Mentre Francesco accompagnava Leonardo in classe, Emma messaggiava sul telefonino con Valeria. Forse per senso di colpa nei confronti dell'amica messa un po' da parte, la forestale stava tentando di recuperare informandosi delle sue condizioni e facendo il tifo perché il parto fosse imminente. Ogni volta che Emma le rivelava di avere qualche doloretto, lei andava in brodo di giuggiole, nella speranza che fosse il momento buono. Tra suo marito e la sua migliore amica, toccava sempre a lei mantenere la calma.
 
"Se proprio vuoi stare tranquillo" riprese la donna,  sulla strada verso la caserma "oggi ho intenzione di fare una camminata tutta in discesa. Parto dal lago e scendo giù verso la frazione di San Vito, fino alla chiesa. Quando arrivo ti chiamo e mi vieni a prendere. Non è un gran dislivello e ad andare piano ci vogliono al massimo 40 minuti. Che dici? Mmh? Poi magari passiamo a salutare Marco…" "Veramente?" "Certo che sì." Si trovava costantemente a disagio a chiedere ad Emma di accompagnarlo al cimitero da suo figlio, nella convinzione che potesse crearle imbarazzo a far visita anche alla tomba di Livia così, il più delle volte, aspettava che fosse lei a proporlo. Ogni volta, in qualche modo, questa iniziativa comunque lo stupiva. Lei, dal canto suo, non aveva conosciuto suo figlio ma, per quanto poteva, spronava suo marito a raccontarle del bambino, dei suoi ricordi più belli, incoraggiandolo a tenere sempre vivo quel legame, ricordandogli che non si può e non si deve dimenticare mai chi ci ha amati.
Il forestale rispose affermativamente, tentando di nascondere la sua commozione.
 
 
Ore 11.00
 
Dopo il maltempo della settimana precedente, il sole era tornato a splendere, baciando le cime dei monti su cui la neve aveva iniziato a fare capolino e le valli, ancora risplendenti nel loro verde acceso. L'estate volgeva al termine, ma mattine come quelle lo facevano dimenticare facilmente. I turisti, sul sentiero, ancora pullulavano; approfittando della calma dopo la calca del mese di agosto e dei prezzi calmierati, coppie di mezza età e giovani famiglie con i bambini in spalla, passeggiavano pacificamente e rispettosamente sui sentieri, salutandosi anche se sconosciuti, anche se stranieri: una parola per il rispetto e per la condivisione della passione comune. Emma era rimasta sempre affascinata da questa abitudine tra gli escursionisti e non ci aveva messo nulla ad adottarla lei stessa. L'autunno da quelle parti, dicevano gli anziani del posto, non era mai uguale a quello dell'anno precedente: arrivava d'improvviso, durava troppo poco per accorgersene, e le sue tinte sono fugaci ed imprevedibili; bisognava goderne quanto più si poteva, ed Emma aveva preso in parola quell'invito. Il sentiero le scorreva sotto i piedi, permettendole di bearsi della frescura e dell'ombra che gli alberi le garantivano; non le sembrava nemmeno di percorrerlo: il suono dei campanacci di qualche mucca al pascolo in lontananza, il tedesco di qualche abitante del luogo o turista e la sua voglia di stare in silenzio se non per un fugace saluto, immobile dentro di sé, anche se in movimento. Era totalmente concentrata ad ammirare la natura che la circondava: i larici, le montagne innevate, il cielo azzurro delle altitudini, la luce che riempiva ogni spazio, come a voler regalare più calore possibile, prima dell’arrivo di quell’inverno che già faceva capolino tra le nude rocce.
D'improvviso, ferma a bere un sorso d'acqua dalla borraccia, ebbe una sensazione strana. Piccole perdite di urina non erano una cosa insolita, a volte le bastava uno starnuto o una risata per far premere l'utero sulla vescica; quando le capitava camminando, aveva smesso di dargli importanza. Ma in quel momento avvertiva una sensazione di bagnato più insistente del solito. Sbuffò, al pensiero di dover di chiedere a Francesco di portarle un asciugamano e dei suoi te l'avevo detto, riprendendo il cammino. Percorsi una decina di metri si rese conto che quella perdita non era più di poche goccioline, ma un flusso continuo, come se una tazza d'acqua le si fosse riversata sugli slip. Si guardò intorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno e per, sicurezza, andò a ripararsi tra gli alberi. Prese un fazzoletto dallo zaino e passo tra le gambe: incolore ed inodore. Non era pipì. "Oh cazzo!" esclamò "Cazzo! Cazzo! Cazzo!" Erano le acque. Era in un bosco e le si erano rotte le acque. "E adesso chi se lo sente …" bofonchiò tra sé e sé, posando lo zaino a terra ed estraendo la ricetrasmittente: con il cellulare nemmeno ci provava.
 
"Mamma papera a mamma aquila." Francesco interruppe la lettura di alcuni documenti non appena la voce di Emma squillò alla radio, regolando la frequenza per sentirla meglio "Mamma papera a mamma aquila mi senti?" "Mamma aquila a mamma papera. Ti sento forte e chiaro. Passo." Rispose premendo il pulsante per registrare il messaggio "Emma possiamo finirla con questa stronzata per cortesia? Passo." "Sei con qualcuno? Passo." "Negativo. Passo." "E allora lasciami fare. Senti …" Francesco controllò l'ora sull'orologio da scrivania che aveva davanti a lui. Erano passati 27 minuti esatti da quando Emma aveva lasciato la caserma e non sapeva se essere sollevato che l'avesse chiamato o preoccupato che lo avesse fatto con almeno 10 minuti di anticipo sulle previsioni "… devo dirti una cosa ma non ti devi allarmare. Passo." "Emma è proprio quando mi dici che non mi devo allarmare che io mi allarmo." Impensierito dalla notizia che stava per ricevere, dimenticò di seguire le regole base della conversazione alla radio. "Io sto bene, solo che potrebbe esserci un problema …" "Emma mi vuoi dire cosa succede per favore?" "Credo di aver rotto le acque. Passo." "Che significa credi di aver rotto le acque?!" urlò, letteralmente, saltando in piedi dalla sedie e dalle vetrate dell'ufficio si accorse che, nonostante la porta chiusa, aveva attirato l'attenzione dei colleghi. La voce di sua moglie, per quanto si potesse recepire da una ricetrasmittente, era serena; ora toccava a lui mantenere la calma. Fece un respiro profondo e riprese la conversazione. "Domanda. Sapresti dire dove sei?" "Sono quasi arrivata alla frazione di San Vito. Il bosco si apre qualche metro più avanti verso la strada asfaltata e ci sono dei tronchi ammassati. Passo." "Credo di sapere dove sei. Non ti muovere da lì" le intimò "stai tranquilla. Passo e chiudo."
Chiuse la radio e, uscendo dall'ufficio, corse su per le scale della foresteria salendole due a due e bussando energicamente alla porta chiusa. Aprì Isabella, sconvolta nel vedere Francesco, di solito sempre freddo e tutto d'un pezzo sul luogo di lavoro, così smanioso. "C'è tua zia?" chiese, facendo quasi irruzione nell'appartamento. "Eccomi Francesco" disse Valeria, uscendo dalla stanza da letto in tuta. Erano rientrate da poco e aveva deciso di provare a raggiungere l'amica sul sentiero con una corsetta. Glielo doveva, visto che l'aveva trascurata un po'. "Che succede?" domandò, vedendolo agitato. "Emma ha rotto le acque…" "Oddio! Ma non è …" "Nel bosco? Sì" "Chiamo un'ambulanza?" "No no, vado io, faccio prima … ho bisogno di … non lo so…qualcosa per tamponare…" spiegò, la voce tremante. "Ci penso io…" la giovane corse in bagno a prendere degli asciugamani e un assorbente. Aspettando Valeria, Francesco iniziò a fare avanti e indietro nel lungo salone comune della foresteria, strofinando le mani nervosamente. "Dai Francesco, stai tranquillo" Isabella cercò di calmarlo come meglio poteva una ragazzina la cui massima esperienza in fatto di nascite era stato un puledrino nell'allevamento del suo ragazzo "pensa positivo: stai per diventare papà!" Francesco emise uno sbuffo ironico: paradossalmente non ci aveva pensato; ora, al terrore che qualcosa fosse successo ad Emma, si aggiunse l'adrenalina nel sapere che stava scoccare l'ora in cui avrebbe finalmente conosciuto suo figlio.
"Non so mica se così mi aiuti?!" le disse "E comunque, tu non dovresti essere a scuola?" "Questioni di famiglia…vuoi la giustificazione?" Francesco rise, dimenticando per un'istante quello che stava accadendo, ma il ritorno di Valeria lo riportò a prendere il controllo.
"Grazie mille!" "Ci mancherebbe, da quando Adriana non c'è più, voi siete la mia famiglia" ammise la giovane. Non era abituata a certe confessioni, tanto meno con Francesco, ma in quel momento sentì il bisogno di aprirsi a lui. "Per qualsiasi cosa, conta pure su di me." "So che prendi servizio nel pomeriggio ma … è un problema se inizi ora? Poi puoi uscire prima, è chiaro. Sei la più alta in grado dopo di me e almeno mi sostituisci" "Agli ordini capo. Ora corri da tua moglie."
 
Sulla strada verso la chiesa, Francesco individuò il punto che corrispondeva alla descrizione di Emma. Di fianco alla strada principale, una piccola strada sterrata con dei tronchi d'albero impilati l'uno sull'altro: come immaginava lui, era arrivata quasi al maso della famiglia Santer. Fermò l'auto alla buona, facendo attenzione a non prendere il fossato che c'era sul ciglio della strada e avrebbe bloccato l'auto e, aperta la staccionata che impediva l'accesso alla strada forestale ai non addetti, entrò con il fuoristrada fin dove la larghezza della strada gli consentiva. "Emma!" urlò, scendendo dall'auto "Emma!" "Sono qui!" Emma però era seduta poco più indietro, sulla base di un albero che era stato abbattuto, tranquilla. "Che ci fai là? Non eri nel bosco?" indagò Francesco, avvicinandosi a lei di corsa. "Shhh non urlare! Vuoi attirare l'attenzione dei turisti? … Ho pensato che qui ci avresti messo di meno a trovarmi" "Dio amore, mi hai fatto prendere uno spavento!" esclamò Francesco, inginocchiandosi di fronte a lei; le mani, febbrili, correvano lungo il corpo della moglie, come a voler controllare che fosse tutto apposto. "Come stai? Hai dolore?" "No, sto bene, non ho contrazioni. Solo questa bruttissima sensazione di bagnato." "Ma cosa è successo? Sei caduta?" Emma, serenamente gli spiegò come era andata. "Dai, faccio marcia indietro e ti porto in ospedale…" "No, andiamo a casa" "Come a casa? No, non se ne parla. Non ti sei sbucciata un ginocchio cadendo Emma, hai rotto le acque. È pericoloso" dichiarò l'uomo concitato ma risoluto. "Ecco, grazie per avermelo ricordato, non ce l'avrei mai fatta senza di te"
La sua Emma, riusciva a mantenere un tono spiritoso persino in circostanza come quelle. Era anche per quello che l'amava, perché riusciva ad affrontare tutto con leggerezza. "Testona, ti amo, ti darei la luna, ma per favore" la pregò "non corriamo rischi e andiamo in ospedale".  "Ascoltami bene Francesco Neri, sei pregato di non fare il melodrammatico quando non serve. Voglio lavarmi e prendere la borsa, e bisogna trovare qualcuno che si occupi di Leo. Poi andiamo in ospedale, come è giusto che sia. Va meglio così?" L'uomo sospirò, capitolando. "Tanto se non ti porto a casa saresti capace di tirare il freno a mano e metterti tu alla guida…" Emma sorrise, soddisfatta. Le piaceva sapere che la conosceva così bene.
Si misero in auto e, arrivati a casa, Emma contattò la ginecologa. Con somma gioia, la dottoressa le disse di stare tranquilla, mangiare per fare rifornimento di energia e magari fare una doccia: vista l'assenza delle contrazioni, poteva andare con calma in ospedale. Francesco non era dello stesso avviso, tant'è che sua moglie fu costretta a mettere in vivavoce la conversazione con la ginecologa per convincerlo che le parole venivano direttamente dalla specialista.
Nell'attesa, il forestale, al quale si era invece chiuso completamente lo stomaco per la tensione, aveva contattato il suo migliore amico Vincenzo per affidargli Leonardo, sicuro che Valeria sarebbe comunque andata a dargli una mano nel pomeriggio.
"Però vai a prenderlo tu a scuola" sentenziò Emma, quando il marito le ebbe spiegato la soluzione che aveva trovato "devi spiegargli tu cosa succede e voglio che sia tranquillo quando rimane da solo da Vincenzo." Seduta sul letto di Leonardo, sistemava il suo pigiamino, un cambio e altre cose per la notte in uno zainetto. Per quanto le dispiaceva doverlo affidare a qualcun altro, sperava davvero che il travaglio iniziasse il prima possibile e che il bambino potesse tornare a casa sua. Si fidava di Vincenzo, ma il timore che quella separazione di qualche giorno potesse percepirla come un nuovo abbandono era più forte. Aveva una paura folle che tutta la preparazione, tutti i discorsi, tutte le spiegazioni non erano servite a nulla. "Amore, non ti posso lasciare sola in ospedale, e se succede qualcosa mentre sono via?" "Amore qual è l'indirizzo dell'ospedale?" Francesco fece per domandare cosa c'entrasse l'indirizzo in quel momento, ma Emma rimbeccò con un laconico "Rispondi". L'uomo sbuffò, va bene assecondare una partoriente ma così sarebbe stata davvero una lunga giornata. "Via Freising 2" "E la scuola di Leo?" "Via Freising … 15" pronunciò, a voce strozzata, capendo dove voleva arrivare sua moglie. "Appunto. Quindi non è che se vai a prendere Leo all'asilo e lo porti da Vincenzo a 2 isolati di distanza io nel frattempo partorisco" "Sicura? Io mi preoccupo per te" "Lo so e ti ringrazio, ma stai tranquillo che mi ritroverai di sicuro ancora molto incinta. Te lo prometto. E adesso fammi controllare se nella borsa per l'ospedale c'è tutto che andiamo" sentenziò, risoluta, alzandosi per spostarsi nella loro camera da letto.
La sua Wonder Woman, era ufficiale: neanche il travaglio l'avrebbe fermata.
 
Ore 13.00
 
"Leonardo ha già mangiato all'asilo" "Va beh ma non dirmi che un po' di pasta al ragù napoletano di zio Vincenzo non te l'assaggi adesso, eh uagliù?" chiese Vincenzo, chinandosi di fronte al bambino e facendogli l'occhiolino. Prese il giubbino, il grembiulino e gli zainetti del bambino che Francesco aveva ancora tra mani e li poggiò sbrigativamente sul divano. Il piccolo rimaneva stretto alla gamba del padre, scrutando timidamente Mela che, seduta nel seggiolone, tamburellava una posata di plastica sul piano d'appoggio. "Come sta?" domandò il commissario all'amico, porgendogli il bicchiere d'acqua che gli aveva chiesto. "Una favola … sono io il cencio tra i due" ammise il comandante "sono un fascio di nervi. Non oso immaginare se questa cosa dovesse andare avanti fino a domani come ci arrivo alla nascita del bambino" "Devi stare calmo France' … fai un bel respiro e concentrati su Emma. Io stavo così nervoso il giorno che è nata Carmela che non mi sono goduto niente. E ho completamente perso di vista Eva. Non fare il mio stesso errore" "Ci proverò …"
Il forestale si inginocchiò davanti al bambino, per salutarlo come si deve. "Piccolo io devo andare, Emma mi aspetta" "Sta male?" "No, tranquillo. Sta benissimo, per adesso è solo tanto annoiata. Te l'avevamo spiegato che sarebbe successo. Per far nascere il bambino bisogna andare in ospedale, perché i dottori sanno come si fa" era un terreno scivoloso e Francesco aveva una paura di matta di dire cose che poi non avrebbe saputo spiegare: tra i due, in queste cose, era Emma la più brava. "Ti prometto che appena nasce il bebè che c'è nella pancia di Emma ti vengo a prendere e ti porto a conoscerlo, va bene?" Il bambino annuì. "Non mi lasci qua tanto, papà?" domandò Leo, a bassa voce, un tono quasi implorante. "Per questa sera dormi qui, domani ci vediamo però" disse, con la fronte appoggiata alla testolina del bimbo e facendogli l'occhiolino, pregando tutte le divinità che conosceva affinché potesse tenere fede a quell'impegno "e poi c'è zio Vincenzo, c'è Mela e più tardi viene anche zia Valeria. Sono sicuro che ti divertirai un sacco … se dici che non vuoi stare con loro neanche un po' poi si dispiacciono" "Va bene" rispose il bambino, mogio mogio. Francesco gli posò un bacio sulla guancia e lo lasciò con lo zio Vincenzo che tentava di distrarlo proponendogli di scegliere un cartone da vedere alla tv.
Rientrando nel reparto di Ostetricia dell'ospedale, un'infermiera accompagnò Francesco nello stanzino dove Emma era stata fatta accomodare. Entrando la trovò distesa su un lettino, le fasce elastiche per la cardiotocografia allacciate alla pancia, una mano dietro la testa e le gambe incrociate che battevano ritmicamente. Era annoiata. "Sei qui da tanto?" "No, ho appena cominciato … meno male che sei arrivato, o mi aspettava un'ora di noia" Francesco si lasciò andare ad un sorriso: non c'era molto che potesse fare ma gli faceva piacere poter essere anche di un minimo aiuto. "Quando in tv fanno vedere donne che partoriscono è tutto un aggrapparsi a qualsiasi cosa e contorcersi in agonia. Invece qui è tutto così noioso …" lamentò Emma "il tempo non passa mai" Entrambi scoppiarono a ridere. "Non ti ricordavo così iperattiva …" commentò Francesco, posandole una carezza sulla guancia "di solito ti piace stare le ore allungata su un prato a non fare nulla" "Appunto, su un prato, all'aria aperta…"
Passarono quei sessanta minuti chiacchierando alla maniera loro, confidandosi le paure per le ore che avevano davanti e le aspettative verso ciò che, ormai era solo questione di quando, stava per accadere. Sarebbe dovuto essere ormai scontato, ma si stupivano ancora di provare le stesse emozioni, vacillare di fronte alle stesse paure. La loro unica certezza era che si sarebbero sorretti a vicenda, come avevano promesso quel giorno di quasi un anno prima.
Nel corso di quell'ora, Emma avvertì tre contrazioni. Poteva giurare da quelle che aveva provato fino a quel momento, più dolorose, ma ancora non così dolorose, più lunghe e soprattutto le sentiva concentrate, questa volta, al pube e nella zona lombare. Cercò di non mostrarsi a disagio, per quanto potesse: non voleva dare false speranze a Francesco.
"Stavo pensando ad una cosa incredibile" esordì Emma. "Cosa?" "Se nasce domani, sarà ad un anno esatto dal mio intervento. Sarebbe una cosa…" "Potente" completo la frase suo marito. Sì, ci aveva pensato anche lui. Emma annuì. Quale modo migliore per buttarsi alle spalle tutto quello che di brutto avevano passato, tutte le lacrime versate, se non con la coronazione del loro amore.
Le loro mani corsero ad intrecciarsi, forti e doloranti come quel mattino di dodici mesi prima quando vennero a prenderla nella sua stanza d'ospedale per portarla in sala operatoria. Allora le era rimasto vicino con il pensiero, con il cuore; stavolta le avrebbe stretto la mano, asciugato la fronte, sorretto la schiena. Concretamente, era l'ultima battaglia che avrebbero combattuto insieme prima di siglare la tregua definitiva.
"Emma, insomma, che scherzetti ci fai?" la porta dello studio medico si aprì, rivelando la ginecologa che l'aveva seguita passo passo durante la gravidanza e che aveva appena preso servizio. Hai tempo per nascere fino alle 22, amore della mamma, pensò la donna, in un dialogo con la sua creatura, non voglio partorire di fronte ad un estraneo.
"Eh, dottoressa, io stavo solo facendo una passeggiata innocente … si vede che questo piccino ha fretta"
La dottoressa visitò Emma per controllare che tutto fosse a posto, che il corpo si stesse preparando al parto in maniera corretta e che il bambino fosse in salute.
"Allora Emma, dai che forse ci siamo!" spiegò, sorridente, mentre rimuoveva guanti "c'è una piccola dilatazione di circa un 1 cm e il collo dell'utero di sta mettendo in asse, il che è positivo. Il tracciato evidenzia delle contrazioni, ancora irregolari e non molto forti" "Quanto ci vorrà dottoressa?" "Ah voi uomini … sempre tutto e subito, non è così? È un parto, non c'è cosa più imprevedibile, soprattutto se è la prima volta. Diciamo che se tutto va bene prima di mezzanotte avrete il vostro cucciolo tra le braccia, ma potremmo anche essere ancora in alto mare …"
"Ha visto dottoressa, alla fine ho avuto ragione io … parto naturale e senza neanche l'induzione"
"Non cantare vittoria Emma. I patti sono patti." Durante la gravidanza la ginecologa aveva chiarito ad Emma che, con il problema di salute che aveva avuto, non aveva alcuna intenzione di rischiare complicazioni con un parto naturale. Alla ferma volontà di Emma di provarci, avevano raggiunto un compromesso. "Al primo segno di sofferenza tua o del bambino andiamo in sala operatoria" continuò il medico "Io con la tua storia clinica non voglio correre rischi." Francesco lanciò uno sguardo di approvazione alla ginecologa, che d'improvviso era tornata ad essere competente ed affidabile dopo che avergli impedito di portare Emma in ospedale a sirene spiegate come avrebbe voluto lui. "Anche per questo non ti rimando a casa" continuò la donna "inoltre per via della rottura delle membrane dobbiamo monitorare eventuali infezioni. Se la temperatura o la frequenza cardiaca dovessero salire ti somministreremo degli antibiotici. Non è detto che succederà di sicuro, ma io sono tenuta ad informarti. Quindi state entrambi tranquilli e tu pensa solo a risparmiare le forze per le prossime ore" "Non si preoccupi dottoressa"
 
Ore 16.00
 
Ormai le contrazioni si susseguivano decise e costanti e all'ultimo controllo la ginecologa aveva constatato che il travaglio era ufficialmente in corso, così era stato disposto il trasferimento in sala travaglio. All'ostetrica che si era presentata in stanza per aiutarla nel trasferimento, Emma aveva ribadito il suo fermo rifiuto per la sedia a rotelle, determinata a velocizzare i tempi muovendosi - aveva passato le due ore precedenti salendo e scendendo le scale dell'ospedale, e mentre si avviavano una nuova contrazione la colpi nel mezzo del corridoio. Allungò allora le braccia verso il corrimano del corridoio e lo strinse forte, scaricando tutto il suo peso su di esso. Francesco, che aveva le mani occupate da quelle due o tre cose che potevano portare in sala travaglio le si avvicinò, poggiando la sua fronte sulla spalla della donna: poteva sentirla respirare profondamente, come le avevano insegnato al corso preparto. "Sei bravissima amore, passa subito" le sussurrava, ripetendo quelle parole come una nenia in quei sessanta secondi in cui lei sembrava chiudersi totalmente al mondo esterno, concentrandosi sul mandar via il dolore; non era sicuro che la sentisse, anzi ad ogni nuova contrazione, ad ogni aumento visibile del dolore, la avvicinava con maggior cautela, temendo di venire respinto. Ma le sue paure erano ingiustificate: non c'era nessun altro con cui avrebbe condiviso quei momenti. Passata la contrazione, la giovane lasciò la maniglia e voltatasi verso il marito si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, sorridendo "Anche questa è andata … una in meno".
"Avevate già visitato il reparto durante il corso preparto, vero?" domando Renate, l'ostetrica che aveva preso in carico Emma e, sperava, di poter far nascere il bambino. Il fatto che nessuno sapesse se fosse maschio o femmina - al di fuori probabilmente della ginecologa che aveva l'ordine tassativo di tacere nel caso lo avesse visto - aveva incuriosito un po' tutti nel reparto. Non potevano credere che ci fosse ancora qualcuno disposto ad aspettare la nascita e non farsi prendere dalla tentazione di riempire casa di corredini rosa o azzurri.
Entrambi risposero affermativamente. "Allora non c'è bisogno che vi spieghi altro su tutto quello che c'è qui dentro. Qui siamo promotori del parto attivo quindi, mi raccomando, esplora, usa tutti gli aiuti che vuoi, l'importante è trovare una posizione comoda che ti aiuti a lenire il dolore e quindi a facilitare il parto. Ok?" "Tutto chiaro, dottoressa." Rispose Francesco, mentre Emma si dissetava con un succo, limitandosi ad un pollice in su. "Potete chiamarmi Renate e diamoci del tu, niente formalità in sala parto!" precisò la donna, di mezza età, bruna, magra ma non certo gracile che trasmetteva, dietro alla sua divisa lilla e la simpatica cuffietta con le cicogne, un'aria di dolcezza e affabilità. Era importante instaurare un rapporto confidenziale, seppur in breve tempo così l'ostetrica iniziò a porre domande alla sua paziente, fingendo scaltramente di fare semplice conversazione. "Avete altri bambini?" "Sì." "No … amore credo che Renate voglia sapere se è il mio primo parto" spiegò Emma a suo marito. L'ostetrica annuì, ridendo … non era nuova a queste risposte strampalate da genitori nel panico o stralunati dall'esperienza che stavano vivendo. "Ah ok, scusate … comunque è passato parecchio tempo, penso che da allora siano cambiate un po' di cose"
La ginecologa, gentile, non indagò oltre e Francesco le fu grato: sarebbe stato complicato e anche doloroso spiegarle. Ma alla donna, pensò, non interessavano certo i dettagli della loro vita privata.
"Chiamatemi per qualsiasi cosa, soprattutto se vuoi andare in doccia …"
Rimasti soli, Emma andò a sedere sulla palla che l'ostetrica le aveva preparato con un telo. La stanza era in penombra, la tapparella abbassata per tenere fuori la luce. Come succedeva spesso da quelle parti, il sole del mattino se n'era andato in fretta e furia per fare porto ad un pomeriggio grigio e piovoso. La donna oscillava lentamente su di essa, un po' istintivamente, per trovare sollievo, un po' seguendo le indicazioni che le avevano dato durante il corso preparto. Stava aspettando la nuova contrazione, mancavano un paio di minuti, e il ticchettio costante della pioggia sui vetri era il rumore bianco perfetto su cui focalizzare la propria attenzione per schermare tutto gli altri suoni e lasciarsi cullare delicatamente e l'aiutava a non pensare al dolore fisico che stava per arrivare.
"Non mi hai mai raccontato della nascita di Marco…" disse al marito, con noncuranza. "Non c'è molto da raccontare" rispose Francesco, preso alla sprovvista. Lei era sempre stata quella che riusciva a tirargli fuori i rospi con le pinze, tutto ciò che lo faceva star male, lei lo capiva ed era in grado di farlo sfogare; ma mai aveva posto domande precise, lo aveva sempre messo in condizione di aprirsi liberamente, di sua spontanea volontà. "Anche perché io non l'ho visto nascere" rise, nervosamente "è nato con un cesareo". "Ma come? Prima hai detto che hai assistito al parto" "Beh tecnicamente ho assistito al travaglio, ma alla fine hanno dovuto fare il cesareo"
Al di là del pudore che costantemente provava nel parlare di ricordi del suo bambino in cui era coinvolta anche Livia, Francesco non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontarle di quel parto; né a lei, né a qualsiasi donna in dolce attesa. Era stato un'agonia: venti interminabili ore , stressanti, impersonali, in una stanza d'ospedale  con i neon accecanti, i rumori del reparto affollato e le manipolazioni di un personale freddo e stanco avevano finito col rallentare il travaglio al punto da costringe i medici a praticare il taglio cesareo. In quelle difficili ore, solo Rosa era stata un sollievo per Livia: Francesco aveva sempre pensato che la sua rudezza da militare fosse inadatta a quelle circostanze, ma ora si rendeva conto che, tanto per cambiare, anche in quell'occasione la loro mancanza di chimica aveva suonato un campanello d'allarme. "Capito … ahi … eccone un'altra" ansimò Emma, aggrappandosi di peso alla pertica in tessuto che pendeva di fronte a lei, per scaricare la tensione. Gli occhi erano chiusi, stretti stretti, la bocca contorta in una smorfia di dolore, le narici dilatate per modulare la respirazione. Questa, pensò il marito, doveva essere bella forte. Si portò alle sue spalle, in ginocchio, per massaggiarle la zona lombare della schiena e le cosce avanti e indietro; non ricordava se fosse giusto o meno, aveva la testa completamente vuota, tutte quelle informazioni che aveva cercato di assimilare nel corso dei nove mesi precedenti, come volevasi dimostrare, al momento di usarle, erano bruciate come pezzo di carta, ma sembrava che stessero facendo effetto perché Emma poggiò la testa sulla sua spalla, girandosi verso il collo a stampare un lungo bacio. Ricordava vagamente qualcosa a proposito dell'ossitocina e dell'importanza dell'intimità fisica ed emotiva in quelle fasi tanto delicate quanto perfettamente naturali. Sentì il corpo della moglie sciogliersi a ridosso del suo, segno che la contrazione stava via via scemando ed anche il suo respiro si normalizzava. "Questa è stata forte, vero?" le domandò. "Non ne hai idea" commentò Emma, buttando ancora l'aria fuori a soffi. "Sei bravissima" la incoraggiò allora Francesco; anche le sue grandi mani, poggiate sul pancione, si ridimensionavano. "Non è vero" "Sì che lo sei, stai facendo una cosa grandiosa, stai mettendo al mondo il nostro bambino" Emma sorrise, sommessamente. Il modo in cui lui la metteva sempre al centro, in ogni istante ma ancora di più in quel momento, le dava una carica di energia pazzesca, libera da ogni giudizio poteva essere pienamente sé stessa. In quel momento era una donna che partoriva, forte e fragile allo stesso tempo, istintiva e sregolata come quel processo ancestrale richiedeva. Con lui al suo fianco sentiva di potersi rilassare completamente e lasciar fare al suo corpo ciò che sa già da solo come fare.
"Amore, passa qui davanti" Francesco andò a posizionarsi di fronte ad Emma, seduto su uno sgabellino di plastica "siccome credo che la cosa sarà un po' difficile da qui in avanti…penso di doverti delle scuse anticipate" "Che?" "Scusa per alcune delle cose che sicuramente dirò in preda al dolore e che non penso assolutamente" "Tipo?" domandò Francesco, incuriosito. "Non lo so…tipo…che ti odio per avermi fatto questo" spiegò, indicando la pancia "o che la prossima volta che mi chiedi di fare l'amore ti ammazzo" Francesco rifrenò a fatica una risata fragorosa. Era nel bel mezzo del travaglio e sua moglie pensava a certe cose. Ma proprio quei pensieri inconsulti, che venivano fuori come li pensava, senza filtri, di punto in bianco, erano una delle prime cose che lo avevano affascinato di lei, che senza mezzi termini aveva ammesso di aver nuotato in un lago senza saper nuotare solo per il gusto di provarci. "Scuse respinte" le disse, sorridendo sornione "primo perché so che non lo dirai e secondo perché non ci credo neanche se te lo sento dire che non vuoi più fare l'amore con me" Emma si lasciò andare ad un sorrisetto compiaciuto. Tutti erano convinti che Francesco fosse un uomo serioso, posato, irreprensibile, difficilmente incline allo scherzo e alla battuta. Ma non era così. Quello era il vero Francesco, il suo Francesco. Sì, la stava rendendo madre, ma non era la sola cosa per cui lo amava. Lui le diceva sempre che il suo sorriso lo faceva stare bene, ma era per lui che quel sorriso esisteva; se possibile, lui era la ragione stessa che le permetteva di essere la donna che lo rendeva migliore.
 
Ore 19:00
 
Francesco saliva le scale dell'ospedale a grandi falcate. Avrebbe potuto prendere comodamente l'ascensore e tornare in reparto in men che non si dica, ma restare fermo ad aspettare l'ascensore gli dava l'impressione di star perdendo tempo. Si era allontanato per pochi minuti, il tempo Emma che uscisse dalla doccia dove si era rifugiata per alleviare il dolore e venisse visitata dall'ostetrica e dalla ginecologa. Era sceso al bar dell'ospedale per prendere qualche bevanda e snack che non fossero il tè caldo e le fette biscottate offerti dal reparto. Lui non aveva fame, ma Emma doveva fare rifornimento di energie. Non c'era mai stato un momento in cui avesse dubitato della tenacia di sua moglie: fin dal primo momento in cui si erano conosciuti glielo aveva dimostrato; in qualsiasi circostanza, anche quando tutti gettavano la spugna, lei non si arrendeva mai. Eppure rimaneva ancora incredulo nel vedere quanta forza avesse in una situazione che avrebbe messo k.o. in molti, lui incluso. "Chi è?" una voce argentina rispose dall'altro lato del citofono del reparto. "Francesco Neri, mia moglie è -" non fece in tempo a finire la frase che la serratura scattò meccanicamente. Attraversò il reparto guardando con discrezione, mentre passava, le stanze: donne con il pancione in attesa di conoscere anche loro i loro piccoli, mamme con i loro cuccioli tra le braccia. Aveva avuto nove mesi e qualche settimana in più per prepararsi all'idea eppure ancora non gli sembrava vero. L'aveva sentito muoversi, tirare calci e fare capriole quasi nella pancia di Emma, aveva visto come aveva cambiato il corpo della madre - da magro, quasi scarno e sofferente dopo l'operazione a florida e splendente, il ritratto della salute e della pace interiore. Eppure aveva difficoltà a credere che in poche ore - 4 o 10 non faceva differenza - avrebbe tenuto tra le braccia un esserino che avrebbe potuto chiamare suo.
"Oh ecco il papà" esclamò Renate, mentre con la dottoressa uscivano dalla sala travaglio. Francesco, a quelle parole, perse 10 anni di vita, quasi convinto che Emma avesse partorito. Eppure era sicuro di esser stato via meno di 10 minuti. "È tutto apposto, tutto procede a meraviglia" lo tranquillizzò la ginecologa "anzi, in 30 anni di carriera travagli così per il primo figlio ne ho visti veramente pochi". Non cantiamo vittoria troppo presto, pensò, ma ritenne anche che commentare e contraddire la dottoressa non fosse una cosa molto elegante da fare. "Vai da tua moglie, adesso" gli disse l'ostetrica, incoraggiandolo con una pacca sulla spalla "ti cerca".
Entrò e la stanza era ormai praticamente in penombra; con la tapparella scesa e la luce del giorno che scemava all'esterno, era stato necessario accendere una piccola lampada che desse un po' di luce soffusa alla stanza. Emma era a terra, carponi, appoggiata alla palla con la testa e le braccia.
"Amore stai bene?" domandò, inginocchiandosi di fianco a lei, dopo aver poggiato sul tavolino quello che aveva comprato. "Mmmm sì … più o meno" rispose telegrafica "così scarico un po' il peso" "Contrazioni?" "Appena passata una" "Perché non mangi qualcosa? La dottoressa ha vietato cibo pesante, così ho preso una macedonia … è fresca, leggera, zuccherosa … dovrebbe andare bene" "Non ho fame …" "Un succo allora …?! Emma qualcosa devi reintegrare … sei parecchio sudata" le spostò i capelli dal viso, bagnati un po' per il sudore, un po' per il vapore e l'acqua della doccia calda che aveva fatto da poco. "Va bene …"
L'aiutò a sedere su una poltroncina, il tempo necessario per bere velocemente dal brik, perché si vedeva che non gradiva più quella posizione in cui invece era stata fino ad una mezzoretta prima. Per distrarla, Francesco tirò fuori il cellulare. "Mentre ero al bar ho riattivato la connessione … sono stato sommerso di messaggi per te" Emma sorrise, per un attimo, il dolore sembrava lontano. "Lo so. Ho sbirciato il telefono mentre mi asciugavo prima della visita." "Questo non l'hai visto però…" le disse, girando il telefono per farle vedere un video che Valeria aveva appena inviato sul loro gruppo Whatsapp comune. Era il giardino di casa e Valeria stava dando da mangiare alla piccola Luna. Assieme a lei, Leonardo. Insieme salutavano Emma e le mandavano frasi d'incoraggiamento. A vedere quel video, seppure brevissimo, Emma non poté fare a meno di piangere. "No, amore, che c'è?" "Non ce la faccio più … mi fa male la schiena, ho quasi la nausea e mi sento svenire ogni volta che ho una contrazione. E non dirmi pure tu che è normale, perché per me non lo è … voglio tornare a casa!" "Lo so, lo so … ma sei stata bravissima e manca davvero poco …" "No, non manca poco" "Abbiamo aspettato 9 mesi, che saranno mai poche ore" "Parli facile tu …" gli disse, ma sia gli occhi che un angolo della sua bocca suggerivano che non era veramente arrabbiata come poteva sembrare dalla voce. "Facciamo una cosa … adesso torniamo alla palla, e ti massaggio la schiena, ti va?" "Non lo so cosa mi va …" "Shhh … va tutto bene" bisbigliò Francesco, mentre aiutava sua moglie a rimettersi in piedi "adesso con un po' di pazienza troviamo la posizione giusta"
Emma gli si strinse al collo stretta, respirando quel profumo che le piaceva tanto. La calmava, naturalmente. Niente odore di disinfettanti e ammoniaca che le entrava fino dentro ai polmoni e le ricordava dei lunghi giorni bloccata su un letto d'ospedale, con mille tubi attaccati alle macchine, drenaggi e la sensazione che non ne sarebbe uscita mai. Semplice e buono odore di casa.
 
Ore 22:00
 
"Non voglio stare allungata …" si lamentava la giovane donna di fronte all'ostetrica che la invitava a salire sul letto. Ormai era completamente dilatata e aveva persino lo stimolo a spingere. "No Emma, tranquilla. Puoi stare nella posizione che preferisci, ma perché io possa aiutarti mi devi aiutare anche tu e devi andare sul lettino" "Non ce la faccio…" "Sì che ce la fai" la incoraggiò il marito, prendendole le mani "e poi ci sono io qua, ti appoggi a me"
Se Emma non ce la faceva più fisicamente, Francesco era uno straccio mentalmente. Erano nove ore che assisteva impotente mentre sua moglie si contorceva e il massimo dell'aiuto che poteva offrirle erano le sue mani, qualcosa da bere e delle parole di sostegno che non era sicuro lei avesse sentito. Aveva avuto paura. Di svenire, di non sopportare quanto avveniva sotto i suoi occhi. Paura che qualcosa andasse storto. Per settimane ogni notte aveva sognato quella scena e finiva sempre allo stesso modo: svegliandosi. E lei gli era accanto, con quel pancione che conteneva il più grande dei segreti e dei doni che si potessero custodire. In quel momento provava la stessa impotenza che sentiva quando Emma era riversa su un letto d'ospedale, esanime, e non c'era nulla che potesse fare per svegliarla. Fate partorire me, toglietele questo dolore e datelo a me! continuava a ripetere una voce dentro la sua testa, ma era altrettanto conscio che se fosse toccato a lui non sarebbe durato mezzo secondo. Erano quasi dieci ore che Emma aveva reso quei dolori i suoi migliori amici e a parte qualche piccolo, momentaneo cedimento, non aveva fatto una piega. Nell'ultima ora si era lasciata andare modulando dei vocalizzi, ma quella era stata la sua massima esternazione di dolore.
L'aiutò ad alzarsi e a posizionarsi, ancora carponi, sul letto, le gambe divaricate più che poteva, di spalle all'ostetrica che si preparava ad accogliere il loro bambino seduta ad uno sgabello.
"La dottoressa è in sala operatoria per un cesareo d'urgenza" disse un'infermiera a bassa voce a Renate, ma ad Emma nonostante il dolore e la stanchezza non sfuggì quel dettaglio. "Non posso partorire ora! Non senza la dottoressa!" Nella sua voce tutto lo smarrimento del sentirsi solo di fronte ad un qualcosa più grande di sé, senza la guida dei mesi passati. "Certo che puoi!" esclamò l'ostetrica "Emma hai avuto un travaglio perfetto, la testolina inizia già a vedersi, poche spinte ed è tutto finito. Puoi fare benissimo senza la dottoressa. E poi io e tuo marito siamo qui!" Se quello che le aveva detto non fosse stato già abbastanza convincente, la voce della donna, decisa ma rassicurante, riuscì a riportare la calma in quel momento di concitazione. La sua dolcezza era riuscita a conquistare in poche ore la sua fiducia, la presenza di Francesco era la certezza di avere una roccia a cui aggrapparsi e quelle nove ore trascorse erano una garanzia sulle sue capacità: solo lei poteva mettere al mondo quel figlio e lo avrebbe fatto in quel momento.
"Emma ora ascoltami bene, respiri profondi e lunghissimi appena senti la contrazione vai con la testa verso la pancia e spingi come se dovessi fare gli addominali"
Emma annuiva, in silenzio, aggrappando forte le mani alle staffe sulla spalliera del letto, tirato completamente su per favorirle la presa. Francesco, concentrato, le pinzò i capelli alla buona in una crocchia, accarezzandole a mani nude il volto per asciugare il sudore. Senza dire nulla - che parole usare in un momento come quello - le baciava la guancia, ripetutamente.
Le spinte iniziarono. Chiuse gli occhi: non voleva, non poteva guardare verso l'ostetrica; decise di prendere una mano di Emma e con l'altro braccio cingerla in un abbraccio. Non stava facendo assolutamente nulla eppure il suo cuore batteva come se stesse correndo i metri finali di una maratona. Poi comprese: era il loro momento, il punto più alto del loro essere coppia. Ad ogni spinta la sentiva muoversi, scendere verso il basso per raggomitolarsi e contrarre la pancia. Sentiva la voce dell'ostetrica che scandiva i secondi, le infermiere che la incoraggiavano e lui non era capace di aprire bocca. Ma l'intensità di quel suo silenzio riecheggiava più forte alle orecchie di Emma di quanto non facessero le istruzioni delle donne che l'assistevano. Nonostante il forte dolore fisico, l'odore aromatico e legnoso del suo uomo, la sua terra e le sue radici, le restituiva tutta potenza di quel momento, l'eccitazione intensa e irreprimibile per quell'incontro imminente.
"Un'ultima spinta ed è tutto finito"
Emma spinse forte, come se fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua e con lei anche Francesco, al quale sembrava di aver esaurito l'ossigeno nei polmoni. Un'apnea lunga sette anni, da quando era diventato un padre senza figli. Le mani di entrambi, intrecciate, erano quasi livide per la stretta, ma il loro centro era un altro e sentivano, ma mano che i secondi passavano - lenti come fossero minuti, ore - la gravità spostarsi: stavano diventando due pianeti che giravano attorno ad un unico sole.
"Eccola! È una bambina! Congratulazioni!" esclamò l'ostetrica, tenendo un batuffolo raggomitolato, umido e rossiccio tra le sue mani. Era quella la prima immagine che Francesco ebbe di sua figlia - Figlia! Ho una figlia! Mia figlia! - ma fece a malapena in tempo a buttare uno sguardo a quello scriccioletto che i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Emma si sentiva … non lo sapeva nemmeno lei come si sentiva. Era stanca, era sollevata, era felice, era … una madre. Non era mai stata tipa da piangere per una cosa bella, ma era passata attraverso troppo dolore perché quella felicità assoluta non assomigliasse ad un fiume in piena. L'ostetrica poggiò la piccolina sul piano del letto, tra le sue gambe, affinché potesse prenderla con le sue mani. Un'infermiera l'aiutò a sollevare la camicia da notte che indossava per accogliere la bambina sul suo petto, avvolta ad un leggero lenzuolino per scaldarla.
"Ciao amore! Piccolina mia … sono la mamma, la tua mamma" le baciava la testolina ancora sporca, ma non le importava, non ci faceva nemmeno caso, per lei era solo la sua bambina tanto attesa che sapeva di buono, profumava di lei e di Francesco. Era lei e Francesco, insieme. Si girò verso Francesco, le cui gambe avevano ceduto ed era in ginocchio di fianco al letto che le guardava, ancora con gli occhi pieni di lacrime, come si guarda un miracolo, con stupore ed estasi. Erano il suo miracolo. Si guardarono e sorrisero, ma non riuscivano a smettere di piangere. Francesco allora si fece forza e portò le sue labbra su quelle della moglie, un bacio speranzoso e disperato allo stesso tempo.
Dopo un primo pianto di vita, la piccolina se ne stava buona tra le braccia della mamma. Un braccino usciva fuori dal lenzuolino in cui era stata avvolta per aggrapparsi al seno di sua madre.
"Guarda piccolina" le disse Emma "c'è il tuo papà" "Ciao piccina … benvenuta … sono il tuo papà"
I loro cuori erano pieni d'amore, quell'amore che avevano imparato a ricevere e donare reciprocamente, quello che si era perso per lunghi mesi lontani, quello ritrovato e confessato, quello interrotto dei loro silenzi, quello che non poteva essere nascosto e taciuto nonostante i tradimenti e le offese, quello totale di fronte alla sofferenza e alla paura di perdersi, quello del per sempre che si erano giurati.
   
 
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