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Autore: Shadow writer    19/02/2021    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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La corsa

 

Tre anni prima

La spiaggia era buia e l’unica fonte d’illuminazione era luce argentata della luna e quella rossastra del grande falò. In lontananza si scorgevano le mille lampadine del Dolphin, il locale per ricchi che si ergevano sopraelevato poco distante. Era da decenni una regola non scritta quella per cui chi arrivava in auto costose e ben vestito poteva trascorrere una serata all’interno del locale elegante e rinomato, mentre tutti gli altri dovevano accontentarsi dell’alcol scadente e delle feste improvvisate che si tenevano sulla spiaggia.

Nate se ne stava sulla battigia, con l’acqua nera dell’oceano che gli lambiva i piedi nudi e un bicchiere mezzo vuoto in mano, quando la vide. Sarebbe stato difficile non notarla, con quel suo abitino svolazzante, coperto solo da una giacca di jeans. Si aggirava per la spiaggia a disagio, guardandosi attorno nervosamente. Era palese che fosse scappata dal Dolphin, a giudicare dai suoi vestiti, e che fosse alla ricerca di qualcuno.

Nate vide che veniva avvicinata con aria minacciosa da una ragazza piena di piercing, ma lei si sottrasse e capitò per caso di fronte a Mike. I due si salutarono, poi lei chiese qualcosa e Mike si voltò ad indicare Nate.

Gli occhi della ragazza furono su di lui e in un attimo lo raggiunse.

«Non ce la fai proprio a starmi lontana» commentò lui quando se la ritrovò a pochi passi di distanza. Lei teneva ancora le braccia incrociate al petto, difficile dire se per il freddo o per il disagio.
Nate le si avvicinò e l’attirò a sé prendendola per un fianco.

«Mi annoiavo» rispose lei alzando gli occhi verso quelli di lui. «Credevo che qui i ragazzi sapessero come divertirsi».

Nate sorrise e lanciò un’occhiata verso il Dolphin. «Tutti sanno divertirsi più di quei coglioni impagliati dei tuoi amici».

«Non sono i miei amici» replicò lei con un sorriso, poi gli mise le braccia intorno al collo, affondando le mani nei capelli soffici e si alzò in punta di piedi per baciarlo. Lui le circondò i fianchi con le braccia, stringendola ancora di più a sé.

 

Qualche ora più tardi erano stesi nel letto in camera di Nate. 

Lei si muoveva leggermente, come se respirasse appena, ma lo spazio era così piccolo che ogni movimento si percepiva perfettamente.

«Ehi» la chiamò Nate.

«Mm?» Domandò lei con la voce impastata dal sonno.

«Per quanto mi lusinghi pensare che sei venuta da me per il mio fascino incredibile...» Era ancora abbastanza sveglia per rifilargli una gomitata. Lui ridacchiò e proseguì: «Perché lo hai fatto? Sembravi… triste»

«Non è niente di importante» rispose, con aria rassegnata.

Nate sapeva che lei non lasciava mai perdere. Quando doveva rompere le palle, le rompeva fino in fondo, quindi quel tono non era da lei.

«Non me lo vuoi dire?» Chiese, con cautela.

«È che...» Fece una pausa leggera, e lui vide le sue ciglia tremolare. «Te l'ho detto, non è così importante» conclude.

Le accarezzò con disinvoltura i capelli, che scendevano soffici sul suo petto.

«La notte serve a questo. A dire le cose che vogliamo tenere nascoste alla luce del sole.»

Lei sospirò, sollevandosi e lo guardò negli occhi con le sue iridi blu.

«È una cosa piuttosto stupida» cominciò, ma dal suo tono Nate capì che stava già mentendo: «Non so se ricordi quel concorso che ho vinto...»

Annuì. Lei non se lo aspettava, ma lui l'ascoltava sempre.

«Ho scritto un articolo sulla diversità».

«Sì, mi era piaciuto»

Lei si interruppe e lo fissò, con le labbra dischiuse e gli occhi spalancati.

«Ti era… piaciuto?» ripeté perplessa. «Ma se non l'hai mai letto!»

Improvvisamente Nate realizzò le circostanze in cui lo aveva fatto. 

Sfoderò un sorriso smagliante. «Quella volta in cui i tuoi erano fuori casa, qualche mese fa. Ero passato e mi avevi segregato in camera tua "nel caso entri qualcuno". Mentre non c'eri ho visto dei fogli che mi incuriosivano e li ho letti»

Le guance di lei si scurirono velocemente, pronta ad inveire, così Nate si affrettò ad aggiungere: «Di solito, con un tema del genere, la gente scivola in un nauseante moralismo. Invece tu ne hai parlato in modo realistico, senza giri di parole. Mi è piaciuto un sacco»

I complimenti parvero calmarla, così lei decise tornare al proprio racconto.

«Comunque ti dicevo che mi hanno invitata ad una sorta di conferenza venerdì sera proprio perché ho vinto. Probabilmente mi faranno qualche domanda e ci saranno delle discussioni. L'ho detto ai miei genitori» si rabbuiò all'improvviso «Mio padre dice che sarà a New York per lavoro e mia madre ha una cena importante».

Nate non l’aveva mai sentita dire "mamma" o "papà". Li chiamava "madre" e "padre", come due figure lontane, con cui aveva qualche legame non ben definito.

«Ecco te l'avevo detto» sussurrò interrompendo il silenzio «È una cosa stupida»

Ritornò ad appoggiare il capo sul suo petto.

«No» sussurrò Nate accarezzandola «Non lo è per niente»

 

 

 

 

 

Il giorno della prima corsa arrivò in fretta. Troppo in fretta.

Le giornate trascorsero rapide tra il lavoro in fabbrica e le lezioni la sera e la preparazione per il Devil Wheels nel fine settimana. Si trattava soprattutto di giri in auto con Ross, per prendere confidenza con il mezzo che avrebbe usato durante le corse. Il veicolo era veloce, ma pesante. Questo gli impediva di essere il più scattante nella competizione, ma anche di avere una certa aderenza in strada, il che avrebbe potuto impedire a Nate di perdere il controllo e schiantarsi. 

Quando fu annunciato il primo percorso, Ross mantenne la promessa e si assicurò che il ragazzo imparasse ogni punto di quella strada a memoria. La sfida iniziale si sarebbe svolta in una strada a tornanti su un rilievo poco lontano dalla città. Si trattava di una zona poco frequentata, se non dagli appassionati di trekking che vi si recavano nei weekend estivi. Il rischio di trovare qualcuno era pari a zero dato che la gara si sarebbe svolta in una notte di fine autunno. 

Nate rinunciò alle lezioni e anche al lavoro passò la pausa pranzo e tutti i momenti che gli erano concessi a ripassare il percorso. Rugero gli rivolgeva sguardi preoccupati e apprensivi, ma non si sbilanciò mai a dire nulla. Se Nate sbagliava nella sua mansione, glielo faceva notare o si occupava lui di rimediare all’errore. C’era un che di paterno nel suo modo di fare.

Sebbene Alison non fosse apparsa granché entusiasta della sua partecipazione al Devil Wheels, insistette per accompagnarlo. La cosa faceva comodo a Nate, dato che lei aveva un’auto e lui no. 

Anche Mike si unì a loro e il modo in cui si torturava le mani e la giacca fece intuire a Nate che aveva deciso di seguirlo per assicurarsi che sopravvivesse alla prima corsa. Rimanere in casa ad attendere notizie lo avrebbe reso ancora più ansioso. Per Jay invece funzionava al contrario. Si era rifiutato di accompagnarlo perché sapeva che sarebbe stato agitato per tutto il tempo, mentre stando nell’appartamento avrebbe potuto ignorare il fatto che il suo coinquilino rischiava di spezzarsi il collo in una curva mortale proprio nello stesso momento in cui lui buttava la pasta.

Quando arrivarono alla partenza, c’era già parecchia gente. Dei fari erano stati montati per rischiarare l’ambiente altrimenti immerso nella più profonda oscurità. Alcuni veicoli erano già sistemati ai posti di partenza, mentre Richie attendeva accanto all’auto che avrebbe usato nella corsa. Il proprietario si era occupato personalmente di farla arrivare al luogo della gara.

C’era anche Ross, che salutò Alison con un abbraccio e uno sguardo che richiedeva spiegazioni. Non ebbe tempo di ottenerle, perché dovette dedicare gli ultimi minuti che avevano a disposizione per ripetere con Nate il percorso.

«Durante il pomeriggio ha piovuto, quindi il terreno è un poco scivoloso» lo aggiornò e intanto puntava il dito sulla mappa che aveva disposto su un tavolino improvvisato. «Qui devi rallentare prima, se non vuoi sgommare durante la curva, e qui devi accelerare perché questa parte è coperta dagli alberi, quindi sarà asciutta. Capito?»

Nate annuì, inespressivo.

«Sei pallido» gli mormorò Alison avvicinandosi. Il suo braccio passò sulla schiena di Nate e lui sentì le sue curve aderire al proprio corpo.

«Sto bene» le sussurrò e le lasciò un bacio leggero sulle labbra, scivolando via dalla sua stretta. Mike lo raggiunse a sua volta e gli diede una pacca sulle spalle. «Crediamo tutti in te, amico».

Si strinsero la mano, poi Nate si fece silenzioso e si affrettò a raggiungere Richie che aveva fatto sistemare l’auto al posto di partenza. Ogni veicolo era stato dotato di un GPS dagli organizzatori, così che i tempi di tutti fossero registrati e salvati.

Mentre si avvicinava all’auto, si trovò presto circondato dal clamore e dalle urla della folla. La gente si era disposta tutt’intorno il punto di partenza e, facendo luce con torce e cellulari, gridava e batteva le mani per caricare i concorrenti. Pareva funzionare perché il ragazzo sentì il nodo che aveva in gola sciogliersi a poco a poco e presto si trovò emozionato, impaziente di cominciare la gara. Dopotutto l’ultima volta non era stato così male.

Raggiunse la propria auto, dalla carrozzeria rossa fiammante – decisione di Richie – e vi si appoggiò, attendendo gli altri piloti.

«Nate!» sentì chiamare e vide Alison, sistemata insieme a Mike su una pendenza poco lontano in modo da avere una vista migliore. Il ragazzo ricambiò il suo cenno di saluto e le sorrise.

«Ehi ragazzino» lo apostrofò qualcuno alle spalle e quando si voltò alla ricerca di chi aveva parlato, Nate trovò un giovane uomo dai capelli corti e scuri e alcuni tatuaggi che gli contornavano il volto affilato. Lo riconobbe come Skull, uno dei concorrenti più agguerriti.

«Hai fegato a presentarti alle gare per grandi» gli disse con un ghigno che pareva puntare ad infastidirlo. 

Nate non abboccò e gli sorrise. «Se sei bravo come dicono, non hai nulla di cui temere». Gli mandò un bacio, poi ci ripensò e gli mostrò il medio.

Skull non ebbe tempo di replicare, perché un fischio informò tutti che era ora di mettersi in posizione. Come un’unica persona, tutti i piloti salirono nelle auto e si sistemarono dietro al volante.

Un uomo illuminato da un occhio di bue era salito su una sorta di torretta improvvisata con una scala. Teneva in mano una luce rossa e un megafono.

Si mise a gridare a tutti di stare pronti e quando la luce che teneva in mano divenne verde, le auto partirono all’unisono con un rombo di motori. 

Nate pigiò l’acceleratore e cercò di infilarsi il più in fretta possibile nella strada stretta che saliva verso la cima della collina. La sua auto gli avrebbe garantito un buon controllo durante i tornanti, ma prima dell’arrivo ci sarebbe stato un rettilineo in cui altri avrebbero potuto facilmente superarlo, così doveva guadagnare in partenza posizione.

Un paio di vetture gli tagliarono la strada prima che lui riuscisse ad infilarsi. 

Fuori dal vetro era buio e l’umidità portata dalla pioggia aveva fatto alzare una leggera nebbiolina che contribuiva a dare un’aria lugubre e oscura all’ambiente circostante. Nate roteò il volante e pensò che Ross aveva ragione. Non avrebbe mai visto quella curva, ma sapeva che c’era. Nonostante avesse studiato bene il percorso, curvò in anticipo e sentì il terreno sconnesso sotto di lui far tremare tutta l’auto.

Un altro concorrente riuscì a superarlo prima che Nate riprendesse pianamente il controllo. Cercò di concentrarsi e azzeccò i tornanti successivi. Qualcuno si scontrò con lui, facendolo finire fuori dalla strada battuta, ma non riuscì a superarlo, perché il ragazzo strinse saldamente il volante e ricambiò la spinta. Sentì uno stridore di carrozzerie che cozzavano, ma schiacciò l’acceleratore e superò l’automobile.

Come previsto, riuscì a rimanere nel gruppo di punta durante la salita e guadagnò perfino una posizione nella fase di discesa, ma quando arrivarono al rettilineo finale, gli altri piloti cominciarono a superarlo.

Fece un rapido calcolo di quante auto aveva alle spalle e il suo battito, se possibile, accelerò ancora di più. Non poteva permettere a nessun altro di sorpassarlo o avrebbe rischiato di trovarsi tra gli eliminati.

Schiacciò l’acceleratore fino in fondo e si piegò sul volante per non perdere il controllo. Quasi senza rendersene conto, tagliò il traguardo e dovette spostare rapidamente il piede sul freno per non rischiare di allontanarsi troppo dalla folla che stava festeggiando il vincitore.

Quando l’auto si fermò, rimase per qualche secondo immobile nell’abitacolo, ascoltando il suono del proprio respiro affannato.

Ce l’aveva fatta. Era sopravvissuto alla prima corsa.

 

 

Non appena ebbe raggiunto Richie e gli altri, venne travolto dalla loro euforia in sordina. Si era piazzato esattamente dove avevano calcolato, ma non potevano dimostrarsi felici per un misero quinto posto. Richie gli diede una pacca vigorosa sulle spalle, Ross si complimentò con un sorriso soddisfatto, mentre Mike si lanciò in un abbraccio appassionato mentre si lamentava dell’ansia che aveva provato per tutta la corsa.

Alison gli si avvicinò per ultima, gli gettò le braccia intorno al collo e lo guardò negli occhi con le labbra rosa tese un sorrisetto malizioso. Lo strinse a sé, sussurrandogli nell’orecchio: «Che ne dici di festeggiare in privato?»

Se fosse stata un’altra circostanza, Nate ci avrebbe pensato un attimo prima di accettare. Le sue paranoie avrebbero preso il sopravvento e lo avrebbero fatto vacillare prima di rispondere. Ma l’adrenalina ancora gli correva nelle vene e gli aveva dato una botta di euforia che avrebbe impiegato del tempo a scemare.

Così le diede assenso premendo le proprie labbra contro le sue e attirandola a sé.

   
 
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