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Autore: FrenzIsInfected    19/02/2021    1 recensioni
Sequel di "Sangue su Chernobyl".
L'UAZ di Feodor, Olga, Anatoli e Vassili è arrivato a Pripyat. Dell'Honker dove viaggiavano Svatok, Irina, Sergei e Boris, però, è scomparso. Un'esplosione fa presagire il peggio.
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Primo capitolo

4

 

 

Pripyat, Ucraina.

8 Novembre 2009.

Stazione di Yanov.

11:47.

Anatoli Zelenko, Vassili Karavaev.

 

L’urlo fece sobbalzare Vassili, che si voltò.

«ANATOLI!»

Il vecchio, che aveva sporto la testa all’interno dell’ufficio del bigliettaio, era stato morso alla spalla, lasciando cadere l’AK-74 per il dolore. Anatoli fece fuoco con la Makarov, uccidendo lo zombie.

«Maledizione…» fece il contadino, guardandosi la spalla sanguinante.

Lo sparo fece alzare una serie di ruggiti all’interno e fuori dall’edificio. Il poliziotto gli prese il fucile d’assalto, e lo aiutò a uscire dalla stazione.

«Forza, andiamocene!» esclamò.

«No, Vasya! Salva i ragazzi.» rispose il contadino, strappandogli dalle mani l’arma. «Io rallenterò questi bastardi.»

Il poliziotto continuò a guardare impietrito il contadino.

«Anatoli...»

 

 

«ATTENTO, ALEKSEY!»

La macchina centrò la station wagon bianca che gli aveva tagliato la strada. Nell’impatto, l’agente Aleksey Petrovskij perse la vita. Al suo fianco, il collega Vassili Karavaev era riuscito a cavarsela con una ferita alla testa.

Il poliziotto uscì dall’auto quasi totalmente imbambolato. A rallentatore, attorno a sé, vide Kiev nel caos più completo. I non morti erano arrivati.

Lo sguardo gli cadde sull’uomo intrappolato nella station wagon, precipitandosi come meglio poté a soccorrerlo. Aprì la portiera, e vide un uomo sui cinquantacinque anni sanguinare anch’egli dalla testa, cosciente.

«Signore, sta bene?»

«Un aiutino non mi farebbe male, agente.» rispose lui.

Vassili lo aiutò, e fece per tornare in macchina, ma non appena rivolse lo sguardo verso il mezzo, vide Aleksey trasformato.

L’agente restò come immobile. Smise di pensare. Tutto intorno a lui si fece ovattato. Lo sguardo fisso su chi fino a pochi minuti prima era un suo collega, e ora rappresentava la morte in vita.

Lo scossone dell’uomo lo fece tornare in sé.

 

 

«VAI!»

Il poliziotto si scosse, e sparò qualche colpo verso alcuni zombie che si erano avvicinati troppo, uccidendoli. Iniziò poi a correre via, verso ovest.

Anatoli si voltò, guardando gli zombie. Alcuni erano turisti, altri gente del posto. Vide perfino qualcuno dei samosely che fino a poco tempo prima aiutava al costo di essere catturato dalla Militsiya.

«Cosa dev’essere il destino. Una vita ad aiutare questa gente, e ora mi vogliono mangiare vivo.» sorrise amaramente.

Cercando di resistere come meglio poteva al dolore, iniziò a sparare.

 

 

 

«Hai sentito?»

Boris rizzò la testa, annuendo.

Delle raffiche di colpi, assieme a dei ruggiti e delle urla, interruppero la quiete. I due, senza dirsi niente, iniziarono a correre in direzione del rumore, fin quando, mezzo minuto dopo, videro finalmente un volto familiare.

«Vassili!»

Il poliziotto quasi non li riconobbe, puntando la pistola contro il ragazzo.

«Non sparare, sono io, Boris!»

L'agente era paonazzo, ansimava e aveva gli occhi spalancati. Irina gli abbassò il braccio armato.

«Che sta succedendo, Vassili?» chiese la ragazza.

«Non ora, ragazzi! Di qua!»

I tre lasciarono i binari, procedendo a passo svelto in direzione nord ovest. Un paio di minuti dopo, raggiunsero quella che sembrava una strada asfaltata. Nelle vicinanze, un paio di edifici probabilmente adibiti alla riparazione di locomotive. Rimasero in ascolto per pochi secondi, sentendo soltanto silenzio.

«Mi mancherai, vecchio...» sussurrò l'agente.

«Che succede, Vassili? Perché sei qua fuori e non a Pripyat?» proferì il ragazzo, preoccupato dall’espressione nel volto del poliziotto.

«Anatoli… siamo stati mandati a cercarvi, non appena abbiamo visto alzarsi del fumo. Eravamo arrivati alla stazione di Yanov, lui ha voluto controllare all’interno… ma uno zombie lo ha morso. È rimasto indietro per rallentarli. Non ce l’ha fatta. Ha atteso per anni l’arrivo del treno con cui arrivava la sua ex moglie… ora è lui ad aver preso l’ultimo treno della vita.»

Boris portò una mano alla bocca, lasciando cadere qualche lacrima. Da quando avevano lasciato Stolyanka, aveva sempre visto il contadino stalker come uno “zio adottivo”. Era stato lui ad avergli insegnato a sparare, assieme a Vassili e nonno Yuri, e il vecchio lo aveva sempre trattato come un figlio. O meglio, un nipote.

«Dove sono Sergei e Svatok?» chiese poi Vassili.

Irina abbassò lo sguardo.

«Svatok ha passato una granata a mio padre per lanciarla addosso agli zombie, ma non appena ha tolto la sicura, ha impattato contro il cadavere di un alce circondata da zombie, e la bomba è caduta nell’Honker. Boris e io ci siamo gettati immediatamente, papà non è uscito in tempo. È morto assieme a Svatok mentre quest’ultimo si lanciava contro gli zombie con l’Honker.»

All’improvviso, qualcuno da Pripyat li contattò.

«Squadra di ricerca, parla il soldato Pyatov del “Checkpoint ‘Pripyat’”. Chiediamo un aggiornamento sul vostro status, abbiamo sentito degli spari. Passo.»

Vassili prese la radio.

«Qui Vassili Karavaev della squadra di ricerca. Abbiamo incontrato degli zombie alla stazione di Yanov. Anatoli Zelenko è caduto. Ho recuperato Boris Volkov e Irina Kabakova, il soldato Svatok e Sergei Kabakov non ce l’hanno fatta. Passo.»

«Dove vi trovate, squadra di ricerca? Passo.»

«Sembra una zona di riparazione per le locomotive, o qualcosa del genere. Ci sono un paio di edifici e dei garage. Passo.»

Un fruscio attirò la loro attenzione.

«C’è qualcosa là dietro.» fece Boris, puntando la pistola verso un cespuglio. Un’altra voce si propagò dalla radio di Vassili.

«Squadra di ricerca, parla il soldato Zubkov del ‘posto di blocco sud-ovest’. Abbiamo una buona e una cattiva notizia per voi. La buona è che siete a poco più di cinquecento metri dalla nostra posizione. La cattiva è che nella vostra zona girano cani randagi. Ne abbiamo anche in città, ma sono amichevoli. Quelli della Zona sono imprevedibili. Dalle nostre informazioni i cani sono immuni al virus ma possono trasmetterlo. A meno che non abbiate cibo da dargli, non esitate ad aprire il fuoco non appena si avvicinano troppo. Proseguite oltre lungo la strada, e non appena incontrate delle tubature del gas, seguitele verso ovest. Dovreste arrivare qui in circa cinque minuti. Passo e chiudo.»

Vassili ripose la radio.

«Avete sentito, ci siamo quasi. Proseguiamo a passo svelto e allontania...»

Dal cespuglio indicato da Boris uscì un cane, che, non appena li vide, iniziò a ringhiare.

«Non sembra molto amichevole.» fece.

«Avanziamo lentamente. Magari si spaventa e scappa.» suggerì Irina.

I tre iniziarono a camminare facendo attenzione a non causare rumori bruschi, puntando le loro armi verso gli edifici, dai quali proveniva il suono di una moltitudine di zampe in movimento.

«Non si mette bene, Vassili.»

«Zitti.»

La ragazza stringeva Masha con la mano sinistra, puntando la Makarov ovunque sentisse provenire rumori. Boris faceva altrettanto, mentre Vassili non smetteva di puntare il cane, che li studiava rabbioso in lontananza, quasi come se fosse indeciso sul da farsi.

«Più avanti c’è uno spiazzo. Appena lo raggiungiamo, iniziamo a correre.» sussurrò il poliziotto.

Il randagio continuava a seguirli con lo sguardo, mano a mano che gli estranei si avvicinavano restando a debita distanza. I tre raggiunsero lo spiazzo.

«Ce l’abbiamo fatta.» fece Boris.

Il suo piede urtò una radice spuntata dal cemento, che lo fece inciampare. Il cane non ci pensò due volte, e iniziò a correre abbaiando verso di lui, venendo però freddato da un colpo di pistola dell’agente.

«Quando imparerai a stare zitto, Boris?» sbottò Irina, aiutandolo a rialzarsi.

Ciò che seguì mise le ali ai piedi dei tre. Una serie di ululati, latrati, e poi decine di cani randagi corsero fuori dagli edifici, diretti verso di loro.

«Che cazzo c’era là dentro? Un canile?» fece Boris, iniziando a correre.

«Taci, idiota!» urlò nuovamente la ragazza.

I tre proseguirono la loro corsa svoltando a sinistra non appena videro delle vecchie tubature, percorrendole parallelamente. In lontananza videro delle figure.

«Laggiù!» esclamò Vassili, sparando qualche colpo verso i cani.

Irina quasi sorrise. Non le sembrava vero. Stava per esaudire il desiderio di una vita.

Prese confidenza, e decise di sparare anche lei dei proiettili verso gli inseguitori.

«AH!»

Una pallottola centrò Boris alla gamba, che cadde a terra urlando dal dolore.

«ODDIO, BORIS!»

La ragazza tornò indietro a soccorrere il ragazzo, continuando ad aprire il fuoco verso i cani, che si facevano sempre più vicini. Alcuni di loro, ormai a pochi metri dai due, si preparavano ad azzannare le loro carni.

«Non così, non adesso…» singhiozzò Irina.

Un cane era ormai a pochi metri da loro. I due chiusero gli occhi.

BANG!

Un colpo, e l’animale cadde a terra. Due secondi dopo, una pioggia di proiettili, sparati da due soldati armati di RPK e AK-74, andò ad uccidere i cani, mentre Vassili faceva rialzare Irina e aiutava Boris a rimettersi in piedi, aiutandolo a raggiungere il posto di blocco.

«Forza, ci siete quasi!» li incoraggiò uno dei due soldati, mentre finiva di eliminare la minaccia.

I tre raggiunsero una casetta di legno, dove ad attenderli c’era un terzo militare. Appena vide la gamba di Boris sanguinare, mise mano alla radio.

«Pripyat, parla il soldato Zubkov del ‘posto di blocco sud-ovest’. Ci serve un mezzo di trasporto, abbiamo un ferito da arma da fuoco.» fece un terzo soldato al posto di blocco.

«Ricevuto, ‘posto di blocco sud-ovest’. È in arrivo un Honker dall’ospedale 126. Tempo di arrivo: cinque minuti.»

Irina aiutò Vassili ad appoggiare il ferito a terra, stringendolo a sé.

«Perdonami, Boris, perdonami...»

Il ragazzo vide l’orsacchiotto di lei.

«Portava fortuna, eh?» fece sarcastico.

Irina rise, abbracciandolo, per poi scoppiare in un pianto liberatorio. Poco più in là, Vassili prese la sua radio.

«Parla Vassili Karavaev della squadra di ricerca. Siamo al “posto di blocco sud-ovest”. Missione compiuta.»

  
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