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Autore: Ghen    20/02/2021    0 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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65.2 Riscatto: La nuova società 


Oggi

I telefoni sulle scrivanie non facevano che squillare. Un ragazzo che era stato fermato da una loro volante per rissa era ammanettato a fianco di una scrivania e non faceva che sbottare e ricercare attenzioni. Un gruppo di novellini, nonostante il lavoro da fare, se ne stava in cerchio a bere caffè e a chiacchierare e Maggie assottigliò gli occhi, fissandoli: erano alcuni di quelli che sarebbero stati ammessi nell'organizzazione? Gonfiò le guance, tornando alle sue scartoffie. Aveva ancora chiare nella mente le immagini della sua sfuriata a Charlie Kweskill la notte che si erano precipitati in ospedale per John Jonzz e non sapeva neppure come avrebbe fatto a guardarlo di nuovo negli occhi, adesso; si era pentita di aver detto quello che le passava per la testa. Doveva continuare la sua indagine, non poteva lasciarsi sopraffare. Accidenti, quanto avrebbe voluto restare un po' più a casa, sotto le coperte. Stava scrivendo qualcosa che una pila di fogli pinzati le coprì la visuale e Maggie alzò gli occhi, trovando un Charlie particolarmente contento che ne teneva stretta un'altra per sé. Allungò lo sguardo sulla pila mentre il ragazzo si andava a sedere alla scrivania di fronte. Un caso di persona scomparsa… Strinse i fogli, indicandoglieli con lo sguardo.
«Che ne dici? Credevo fosse quello che volevi. Se lo vuoi ancora, verremmo assegnati al caso con il detective Prisco», scrollò le spalle e glielo indicò dall'altra parte delle scrivanie, così la ragazza sospirò.
Quello che voleva… «Sì… lo era». Di certo avrebbe voluto diventare detective, un giorno, e fare gavetta col detective Prisco sarebbe stato l'ideale, ma… Lo sarebbe stato in un giorno normale in una centrale normale sapendo che, se il test fosse andato bene o male, non avrebbe dovuto sospettare di essere stato truccato da un'organizzazione che stava sopra la burocrazia e avrebbe deciso il suo esito. Il sergente li richiamò appena prima che la situazione potesse diventare imbarazzante e nascose la pila in un cassetto, pronta per andare di pattuglia.
«Scusa», la guardò lui di straforo, girando il volante davanti a un incrocio, «avrei dovuto chiedertelo, prima». Le lanciò un'altra occhiata, ma Maggie fissava fuori dal finestrino e, dopo qualche secondo di completo silenzio, appoggiò il gomito contro la portiera e così la testa tra le dita. «So che pensi che dovremmo…», deglutì, «essere nemici, ma non è vera questa cosa», forzò un sorriso. «Se lo fosse, allora non sarebbe successo perché non avrei lasciato che accadesse, no?». Altro silenzio e il ragazzo deglutì di nuovo, facendosi nervoso: «Dimmi qualcosa, però… perché… preferirei che fossi arrabbiata con me e almeno proverei ad aggiustare le cose, ma ignorarmi è… è qualcosa a cui non so approcciarmi. Puoi urlarmi contro di nuovo, se pensi che… è okay», sventolò la mano destra, riprendendo poi il volante, «ma non-».
«Non è per quello che ti ho detto l'altra sera».
Lui fece una smorfia, annuendo. «Bene… è un primo passo. Allora cosa…?».
«Sai da quanto tempo desidero diventare detective?», si voltò e sospirò, tirando giù il gomito dalla portiera. «Mio padre riusciva ancora a prendermi in braccio», sorrise amaramente. «E adesso non posso pensare di affidare il mio sogno nelle mani di un uomo che può decidere se avverarlo o no in base a come potrei tornargli utile». Lo guardò e non si aspettava affatto che si mettesse a sogghignare di gusto.
«No, no, aspetta, c'è stato un malinteso», sventolò di nuovo la mano destra. «Se è quello che ti preoccupa, puoi fare sonni tranquilli: hai inquadrato il Generale, non lasciarti prendere da supposizioni fini a loro stesse solo perché è il presidente dell'organizzazione, Mags! Non posso credere che tu-», si fermò, ricominciando a ridere,
«E il detective Prisco non è…?».
«Cosa? Credo abbia origini italiane…».
«Nell'organizzazione?!».
«Ti prendevo in giro, avevo capito, ma no. Non ogni persona che ci circonda è nell'organizzazione», ridacchiò. «Questa cosa è divertente! Il Generale non ci avvantaggerà in alcun modo», sogghignò ancora, facendo una smorfia. «Anzi», tornò serio di colpo e deglutì, «ho paura che se non dovessi passare, quando sarà, se la legherà al dito. Ha molte aspettative, sai… non si scherza su queste cose», sventolò di nuovo la mano e Maggie rise un poco, fissandolo e mettendo la testa di lato. «Ma è carino che tu lo abbia pensato… credo», concluse il ragazzo.
«Posso chiederti…?».
«Cosa?».
«Ho come una strana… sensazione», scrutò il suo sguardo, parlando piano, «come se… è una cosa stupida, ma-».
«No, no, continua», si fece curioso e batté le dita sul volante, guardando verso il marciapiede.
Lei sorrise. «Come aveste una specie di rapporto padre e figlio». Lui si voltò subito e Maggie non si lasciò scappare la sua reazione sorpresa. «Forse mi sbaglio?».
Gli angoli della bocca di Charlie si sollevarono un poco, poi si schiarì la gola, girando il volante per una curva. «No, emh… Ti ho mai parlato», prese fiato, «di mio padre?». La inquadrò con la coda dell'occhio, intenta a scuotere la testa. «Avevo sedici anni quando… quando mio padre», si fece nervoso, trattenendo il fiato, «pensò di sbattermi fuori di casa».
«Cosa?», lei spalancò gli occhi e qualcosa le si attorcigliò dentro, ricordando quando anche suo padre si era deciso a chiudere tutto con lei. Inutile chiedergli il perché, era ovvio.
«Mia madre non si oppose», deglutì. «Mia sorella, Chloe, era morta solo quattro anni prima ed era devastata, non voleva perdermi, ma non fece niente. Non ho altre sorelle o fratelli, perciò…», fece spallucce. Guardò attentamente verso il marciapiede, diede un'occhiata all'ora impressa sulla radio e poi di nuovo batté le dita sul volante. «Allora mi sono rivolto a un'associazione, non avevano posto, ho vissuto in strada per un periodo».
«Mi dispiace molto, Charlie».
Lui scrollò le spalle, serio. «Non ero solo. Ti sorprenderesti a sapere quanti minorenni vivono in mezzo a una strada. Quando ho conosciuto il Generale Zod ero ospite di un rifugio, ci stavo da qualche giorno… Lo so che pensi», sorrise, lanciandole un'occhiata, «che l'organizzazione sia il male puro e chissà che altro, ma se non fosse stato per lui, per quelle persone, io non sarei qui ora. Hanno aiutato tanti di quei ragazzi, hanno aiutato me…», s'indicò e riguardò l'ora, di sfuggita. «Il Generale mi ha permesso di seguire un'istruzione, ho fatto tanti di quei lavori per cercare di ripagarlo», abbozzò un altro sorriso. «E puoi pensare che mi abbia costretto a unirmi a loro ma non è così. Io mi sono unito all'organizzazione per fare quello che lui ha fatto con me con altri ragazzi che avevano bisogno di aiuto. E se pensi che tra noi sembra esserci un rapporto padre e figlio… beh», scrollò le spalle ancora, «ne sono contento. Perché lui è proprio come avrei voluto averlo, un padre», annuì orgoglioso e Maggie si lasciò scappare un sorriso malinconico.
Se metteva a confronto suo padre e il Generale comprendeva perché Charlie Kweskill lo considerasse tale. Anche suo padre aveva deciso di volerle meno bene perché omosessuale e non importava quanto si sforzasse ora per tenere allacciati i rapporti, qualcosa si era rotto e non sarebbero mai tornati come quelli di un tempo. La bambina che accoglieva suo padre a braccia aperte e sognava di essere come lui era cresciuta e, disillusa, forse aveva anche lei trovato in quel capitano severo, che si occupava della centrale e di ognuno di loro come una famiglia, ciò che le mancava.
«Sono davvero felice che mi abbia concesso di mostrarti ciò che l'organizzazione fa per National City», riprese lui, entusiasta. «Voglio dire, non tutto, non sarebbe possibile in qualche ora, ma-», si interruppe quando ricevettero una segnalazione dalla centrale e Maggie rispose, così calcò l'acceleratore, accendendo la sirena.
Rapina a mano armata. Due uomini a volto coperto e in pieno giorno in un piccolo market. Il cassiere aveva fatto partire la chiamata al nove uno uno e, quando arrivarono con la volante, i due erano già in fuga e si misero a rincorrerli per le stradine posteriori, saltando secchi rovesciati di spazzatura puzzolente. Una mattina come altre, Maggie Sawyer non poteva immaginare cosa avrebbe atteso lei e Charlie Kweskill seguendo quei due che li avevano appena separati.
Maggie si fermò davanti al portone posteriore di un esercizio commerciale chiuso. L'uomo, con una cuffietta nera in testa e una kefiah a coprirgli metà del viso, le dava le spalle. Aveva ancora la pistola stretta in una mano e lei gli ordinò di metterla a terra. Non sapeva dov'era andato il suo partner, non lo sentiva. Non sentiva nient'altro, in realtà: la colpirono di spalle e cadde sull'asfalto. Qualcuno calciò la sua pistola e qualcun altro calciò lei sullo stomaco. Altri due spuntati dal nulla, non capiva cosa stesse succedendo ma trovò la forza di rialzarsi lo stesso e, poco prima che le arrivasse un altro calcio, fermò il piede e lo tirò a terra, facendo cadere il sospettato e così voltandosi appena in tempo per non essere colpita da uno degli altri due, rotolando fino alla sua pistola. L'uomo del market le schiacciò la mano e gli altri due la sollevarono fino a spingerla allo steccato dall'altra parte.
«Sequenza di identificazione?», le domandò l'uomo del market, puntandole la pistola alla tempia mentre i complici la tenevano bloccata.
Maggie era confusa, aveva il fiato corto e cercava di capire come uscire da quella situazione e in fretta.
«Ho detto… sequenza di identificazione omega?! Parla!».
«Omega…?», sibilò. Conosceva quella parola. L'uomo davanti a lei scambiò uno sguardo con gli altri due: Maggie riusciva a vedere, dai suoi occhi rossi, una certa incertezza. Allora lui le si avvicinò e ne sentì il sudore, e l'agitazione.
«Stanne fuori, sbirro… questo non ti riguarda».
La lasciarono. Le puntarono le armi addosso solo pochi altri istanti e scapparono. Maggie poteva restare ferma a reggersi un fianco dolorante o rincorrerli prima che le sfuggissero. «Kweskill?», provò a chiamarlo e afferrò la radio, massaggiandosi la zona colpita solo un attimo, mettendosi a correre e chiamando i soccorsi. Cercò di seguire i tre ma erano scomparsi, si fece dare indicazioni e continuò a correre. Li perse e provò ancora a chiamare lui. Omega… Credevano fosse un'omega dell'organizzazione? Cosa avrebbero fatto a Charlie? Era un'imboscata? Poi lo sentì. La sua voce stanca, probabilmente dalla corsa, elencava i diritti al sospettato. Svoltò una curva e lo vide ammanettare il secondo uomo del market spinto contro una serranda abbassata. Ma non erano soli: Maggie spalancò gli occhi quando altri tre sospettati che prima erano coperti uscirono dai loro nascondigli. Ognuno di loro era armato. Solo quando li vide alzare le braccia in direzione della testa del suo partner capì che, a lui, non avrebbero chiesto alcuna sequenza di identificazione. «Mani in alto! Polizia», si mostrò a tutti e Charlie, sorpreso e spaventato, si abbassò appena in tempo per evitare il proiettile di uno dei tre. E a quel punto che scoppiò il caos: l'uomo ammanettato lo fece cadere e gli altri spararono in direzione di Maggie che si coprì svoltando dall'altra parte. La ragazza insisté con l'arrivo dei rinforzi alla radio e chiamò il suo partner, ma non poteva rispondere: Charlie colpì con un pugno il sospettato ammanettato e prese la pistola in tempo per per farsi da scudo e andare a ripararsi dietro un bidone dell'immondizia. Non era la prima volta che Maggie Sawyer finiva in mezzo a una sparatoria, ma non aveva mai sentito tanto la tensione come in quel momento. Riuscì sparare in direzione dei sospettati, aiutata da Charlie, per avere la copertura necessaria per avvicinarsi e ripararsi dietro un pilastro. «Kweskill? Tutto intero?».
«Grazie a te».
Riuscirono a sparare il tanto per metterli in difficoltà e, con uno di loro che non poteva essere d'aiuto perché ammanettato e un altro che accusava dolori, decisero di fuggire. Maggie e Charlie li rincorsero e si scambiarono uno sguardo rassegnato quando capirono che li avevano persi.
«Conoscono queste strade come le loro tasche, maledizione», Maggie strinse i denti, guardandosi attorno e passando il dorso di una mano sulla fronte sudata.
Charlie, ansimando, afferrò la radio. «Faremo setacciare questo posto», le indicò schizzi di sangue su un marciapiede, «Ne abbiamo colpito uno, non andrà lontano».
Maggie annuì, guardando gli schizzi a terra e dopo Charlie. Dietro Charlie. Riconosceva quella kefiah. Accadde tutto in un attimo e, nell'esatto istante in cui l'uomo del market alzò la pistola per sparargli alle spalle, lei alzò la sua dall'altra parte. Gli occhi di Charlie si spalancarono; non sarebbe riuscito a spostarsi in tempo. Era un membro dell'organizzazione, avrebbero dovuto essere nemici, la sua indagine le imponeva di entrare in quell'organizzazione e non di essergli amica, non di affezionarsi a lui, o a Zod, John Jonzz era in un letto d'ospedale e potevano essere stati loro a ridurlo in quello stato. Cosa le avevano fatto? Avevano delle cose in comune, avevano fatto in modo che si fidasse di loro. Avevano fatto in modo che, in quella situazione, l'unico impulso suscitato fosse quello di proteggere il suo amico. Sparò per prima e l'uomo del market balzò all'indietro, lasciando la presa sulla pistola e sorreggendo la spalla insanguinata. Maggie cercò di raggiungerlo ma i suoi amici lo scortarono via in un attimo, caricandolo su una macchina e, svelti, se ne andarono. Riuscì a leggere soli due numeri della targa, accidenti, questa non se la sarebbe perdonata.
Charlie Kweskill era paonazzo e non riuscì a dirle una parola, girandosi e rigirandosi.
«Ehi… tutto bene?», si avvicinò a lui, toccandosi il fianco dove, sapeva, avrebbe ricominciato a farle male non appena l'adrenalina sarebbe tornata a livelli normali. Non lo aveva mai visto così scosso, ed eppure altre volte si erano trovati in una situazione di pericolo e aveva sempre mantenuto il sangue freddo, era un abile tiratore… Si erano ritrovati in una trappola confezionata apposta per lui e lo aveva appena capito.
«No… Cioè, sì… Sì», assorto, si portò entrambe le mani sui capelli.
«Ti devo parlare».

Avevano cercato di ucciderlo. Di ucciderlo di proposito. Erano appostati per ammazzarlo, quei maledetti… Una volta in centrale pretese subito di poter parlare da solo col capitano e Zod acconsentì, lasciandogli chiudere la porta.
«Non è andata come previsto, suppongo», disse il Generale Zod, appoggiando alla sua scrivania.
Lui prese fiato e si passò di nuovo le mani fra i capelli. «Siamo… in guerra. Siamo in guerra, Generale. La missione è andata a puttane, se mi permette l'esclamazione», cercò di tenere calmo il tono della voce, stringendo un pugno. «Hanno cercato di ammazzarmi per il ruolo che ricopro», si indicò, «si sono rivoltati contro l'organizzazione. Anche Sawyer… ha detto che le hanno parlato, e se solo avesse capito cosa le chiedevano le avrebbero sparato».
Zod sospirò, abbassando lo sguardo. «Li hai riconosciuti?».
«No, erano coperti… Ma stanerò quei topi di fogna ovunque siano. Due di loro almeno sono feriti».
«Temo sia un effetto collaterale dei permessi rilasciati ad Astra Inze», sussurrò il Generale Zod e Charlie lo fissò. «Sta smuovendo le acque per trovare i responsabili dell'assassinio di Lionel Luthor, dovevamo aspettarci che qualche banda non avrebbe apprezzato»
«Con permesso, ero contrario a dare piena libertà a una donna appena uscita di prigione con traumi irrisolti».
«Come tutti, anche lei ha il suo ruolo, Charlie».
Il ragazzo annuì pacato. Non concordava, ma non aveva voce in capitolo e doveva rispettare la scelta del suo superiore. «So che vorrebbe che se ne occupi Inze, ma… assegni a me e Sawyer l'ordine di trovarli, Generale. Come poliziotti. Due di loro almeno sono feriti», ripeté come se potesse in qualche modo aiutare a convincerlo.
Lui lo guardò. «Sawyer ne ha ferito uno?».
«Mi ha salvato, Generale».
Lui socchiuse gli occhi ed emise un piccolo sorriso, breve. «Dopotutto, la missione ha dato comunque esito positivo», incrociò le dita delle mani tra loro, poggiandole su un ginocchio. «Come poliziotti», rispose e Charlie esultò senza fiatare. «Hanno fallito l'agguato, sapranno che li stiamo alle costole».
«Non avranno luogo dove nascondersi da noi, lo sanno».
Il Generale sapeva che, lasciarli in mano ad Astra Inze, avrebbe significato farli sparire invece di averli sottomano per interrogarli. «Formate una squadra, trovateli e portateli qui. Parlerò anche con Sawyer e per il resto, Charlie», lo fissò e il giovane attese, «procediamo come da programma».
Charlie Kweskill uscì e il Generale Zod pensò di aver preso la scelta giusta: accelerare i tempi lo era, mostrare empatia lo era, avere a cuore la centrale come National City lo era, volere Sawyer come sua erede lo era.


1963

Lionel Luthor faceva le bolle con la saliva e si sbavava sul piccolo mento rosa, pronunciato come un'albicocca. La sua mamma lo teneva in braccio e, di tanto in tanto, dondolava per assicurarsi che stesse calmo. Quei grandi occhi chiari, come uno specchio, riflettevano il mondo che lo circondava e Louie pensava, incantato a osservarlo, a come sarebbe stato il suo avvenire. Lionel: un bel nome. Orgoglio, coraggio, forza, rettitudine, nobiltà. Forse era un nome fin troppo altisonante per la loro famiglia al momento, ma donava a quel bambino gli auspici per un futuro migliore. Suo nipote Lionel poteva diventare il cambiamento nel mondo che sperava Louie, se non ci fosse riuscito lui per primo.
«Louie?».
Quella voce femminile lo aveva distratto dal suo immaginare di affidare quel prezioso compito al piccolo, ridisegnando con lo sguardo il suo naso a patata e qualche bolla di saliva.
Kristen lo aveva affiancato, poggiando una mano sulla sedia a rotelle. Stavano poco lontano dai lavori, Louie non voleva perdersi ogni processo sulla costruzione di quella piazza in memoria dei suoi amici. Aveva assottigliato gli occhi, poi, inquadrando suo fratello Levi che parlava coi muratori. Anche sua moglie con il bimbo in braccio non lo perdeva d'occhio, aspettandolo. E così ogni giorno. Sapeva che aveva avuto una complicanza durante il parto, non amavano parlarne. La paura di perdere il suo bambino o di perdere entrambi morendo lei, doveva aver cambiato qualcosa, in quella donna. Louie poteva capirla.
«La signora… emh, tua madre», Kristen aveva attirato la sua attenzione, «mi ha mandato a prenderti. Vuole che torni a casa perché è tardi».
«Non è tardi».
«È tardi… Louie. Devi prendere le tue medicine».
Il ragazzo l'aveva guardata e si era morso il labbro inferiore, già spaccato. «Le avrei prese qui. Potevi portarmele».
Lei aveva scosso debolmente la testa, alzando gli occhi al cielo. «Tua madre vuole che torni-».
«Chi se ne importa di cosa vuole mia madre», si era trattenuto dal non urlare e aveva tossito, così Kristen, abbassando gli occhi, aveva allontanato la mano dalla sedia. Si era accorto che delle persone si erano voltate, compresa sua cognata. Aveva esagerato, accidenti, e si morse di nuovo il labbro. Mark gli avrebbe dato della testa di rapa. «Pe… Perdonami, ti prego. Sono-», si era passato una mano sulla fronte.
«Stanco», aveva risposto lei.
«Non sto dormendo…».
«Louie… fai una pausa», lei si era abbassata sulle ginocchia, piegando la gonna, in modo da vederlo negli occhi. «Mark non vorrebbe saperti in questo stato».
Il ragazzo avrebbe voluto replicare ma gli occhi castani di Kristen, seppure molto diversi, gli ricordavano proprio quelli del suo defunto fidanzato. Lui doveva averli guardati spesso così da vicino. «Mark è morto».
«E tu non lo sei», gli aveva sussurrato, «Non è colpa tua».
E di chi era la colpa? Di chi era la colpa se dei ragazzi disabili e poveri erano morti prematuramente? Gli ultimi del mondo, messi in un angolo e dimenticati, non considerati al pari degli altri, inutili e da buttare… Louie non avrebbe permesso che il mondo li dimenticasse anche da morti. Quella piazza doveva essere immensa, maestosa, con un'imponente scultura per rappresentarli. Chiunque passeggiando là doveva sentirsi in pace, in memoria di alcuni angeli ancora troppo bambini che il futuro meritava e non avrebbe avuto.
Kristen lo aveva aiutato a tornare a casa e Louie, sempre più distante, aveva ricercato il volto di suo nipote Lionel. «Mia madre è arrabbiata?».
«Preoccupata».
Il ragazzo aveva deglutito. «Era contraria a usare i fondi per i miei studi». Sapeva che i suoi genitori stavano aggiungendo denaro per quella piazza per cui erano stati contrari, ma non glielo avevano mai confessato apertamente e avevano incaricato Levi di seguire i lavori. «Non so neppure se arriverò a completarli, quegli studi».
«Non dirlo», lei lo aveva subito rimproverato. «Non dirlo mai! Completerai gli studi e diventerai un uomo rispettabile».
Louie aveva sorriso, scuotendo la testa. «E se mi accontentassi di essere un ragazzo rispettabile?».
Lei aveva cambiato espressione, accigliandosi, lasciandogli un buffetto su una spalla. «Louie Benjamin Luthor, tu diventerai un grande uomo rispettabile! Ti starò vicino per assicurarmi che sarà così».
Lui ne era felice. Più tempo passava in compagnia di Kristen e più capiva perché Mark la amasse più di quanto avrebbe mai amato lui: positiva, capiva subito le persone ed era paziente, molto paziente per stare accanto a uno come lui, malato in più modi, e tormentato ancor di più. Ed era seriamente l'unica complice di vita che gli era rimasta, cercando di curarsi a vicenda dopo ciò che era successo alla persona più importante e che avevano in comune. Era dal funerale di Mark e degli altri ragazzi che si erano avvicinati, tanto che sua madre, appena aveva saputo che il suo secondo nome era Laura, aveva iniziato a dire che si sarebbero sposati. Ma per quanto a Louie poteva piacere Kristen, restava la fidanzata di Mark ai suoi occhi.
«So chi sono i colpevoli», le aveva rivelato giorni più tardi, fermi ad assistere i lavori sulla piazza. «Hai detto che non era colpa mia se Mark è morto, se loro sono morti, ma un responsabile c'è e so di chi è». Kristen si era voltata e lui aveva tossito, per poi continuare: «La disparità sociale».
«Anche io vorrei prendermela con qualcuno», aveva abbassato gli occhi, «ma…».
«Ma è così», l'aveva corretta lui, indicando i lavoratori. «Guarda come pendono dalle labbra di Levi».
«Lavorano per lui».
«Esatto. Ma sono io che ho commissionato la piazza», si era voltato, fissandola. «Lavorano per me ma scelgono inconsapevolmente lui, scelgono sempre lui. Io metto a disagio».
«Tu metti a disagio le altre persone quando parli, non per come sei». Non era la prima volta che Kristen lo sentiva parlare in quel modo. «E credi che Mark e gli altri siano morti perché le persone preferiscono tuo fratello a te?».
Lui aveva aggrottato la fronte. «Sono morti perché l'associazione che si occupava di loro non aveva soldi, Kristen. E utilizzavano attrezzature scadenti e autobus vecchi. Come mio padre, come i lavoratori, tutti hanno voltato le spalle a quella che ritengono la classe sociale degli ultimi, che non dà garanzie. Sai cosa comincio a pensare?», si era di nuovo morso il labbro, «Che dovrebbe esistere un'altra società all'interno della nostra società, in modo da cambiarla dall'interno». Aveva sorriso di colpo e Kristen non aveva potuto fare a meno di sorridere anche lei, vedendo come l'idea lo risollevasse d'animo.
«E come pensi che reggerebbe?», gli aveva domandato il giorno dopo, ancora lì ad assistere ai lavori.
«Soldi», aveva risposto di getto. «Sono il motore di quasi ogni cosa».
«E questa nuova società si occuperebbe delle persone… come te? Come Mark?», aveva ripreso parola il terzo giorno, cominciando a essere genuinamente curiosa.
Louie aveva annuito e, rapido, aveva dato uno sguardo al suo nipotino Lionel, ancora stretto tra le braccia della mamma mentre aspettavano il suo papà per tornare a casa. «La mia società ideale si occuperebbe di tutti, tutti quelli che hanno bisogno di aiuto e lo chiedono! Chi ha fame avrebbe cibo, chi non ha una casa verrebbe aiutato ad ottenerla, chi ha le gambe che non funzionano…», l'aveva guardata e lei aveva sorriso con un accenno di malinconia negli occhi che gli ricordavano Mark, «verrebbe aiutato a credere di essere importante, e utile. Come gli altri».
Il quarto giorno, sua sorella Lara era andata a controllare i lavori anche lei e l'avevano vista discutere con Levi. Doveva aver litigato con il loro padre, Louie ne era sicuro. «Sai cosa serve per fondare quella società?». Kristen aveva scosso la testa e il ragazzo aveva ripreso a fissare sua sorella. «Complici. Per quanto siamo fantastici noi due», aveva sogghignato, «perché nasconderlo, lo siamo», l'aveva sentita ridere, soddisfatto, «siamo pochi. E per costruire una società da zero, come questa piazza, abbiamo bisogno di altre teste e di mani, tanti mani e braccia».
«L'idea mi piace», gli aveva confidato Kristen il quinto giorno. «Ma una società ha bisogno di regole da seguire o sarebbe il caos… Ha bisogno di classi sociali».
Lui aveva spento il sorriso di colpo, deglutendo. «Sono le classi sociali il problema di base, Kristen».
«Sei in errore, Louie», lei aveva portato le braccia a conserte, fingendo una faccia seriosa. «Sono le disparità il problema di base, lo dici sempre».
Lui aveva riso e, dopo aver tossito, sollevato le spalle. «Ma sono le classi sociali stesse a creare le disparità».
«Le classi sociali creano le regole su cui tutto può stare in piedi, zuccone», lo aveva picchiettato sulla fronte ed era arrossito, cercando di sistemarsi i riccioli selvaggi. «Senza come pensi che si sorregga una società? Come pensi di guidare le mani e le braccia per costruirla? Ci sarebbero disparità, sicuramente, ma se studi un modo per cui è possibile passare da una classe sociale all'altra… come… come i punti del latte».
Louie aveva riso di gusto di nuovo, prendendola in giro: «I punti del latte?».
«Sì», Kristen si era imbronciata, avvampando. «Mia mamma raccoglie i punti e li porta al negozio, in questo modo ottiene un set di tazzine nuovo. So… Non prendermi in giro», lo aveva colpito a un braccio e lui si era scansato, trattenendo le risate.
«Sono difettoso e malaticcio, potresti farmi male».
«Solo quando ti è più comodo ti ricordi di essere malaticcio», aveva rimbeccato svelta. «Sostituisci i punti del latte con buona condotta e le tazzine con la classe sociale e capisci cosa intendo. È un esempio».
«Ho capito cosa intendevi».
«E allora dillo subito, zuccone».
«Avevi ragione», le aveva detto Louie il sesto giorno, davanti ai lavori in corso. «Senza regole diventerebbe una situazione insostenibile prima ancora di partire». Gli era piaciuto come Kristen aveva fatto una smorfia compiaciuta muovendo di lato la bocca. «Una società ha bisogno di classi sociali, è inevitabile: l'importante è che tutti si sostengano e si prendano cura a vicenda o non avrebbe alcun senso, tutto questo. Dunque ci sarebbe una specie di presidente-».
«Come il presidente alla Casa Bianca?».
«Come lui, senza Casa Bianca», aveva annuito, gesticolando. «Che ha il compito più importante di tutti: quello di non lasciare indietro nessuno».
Kristen aveva sorriso. «Ora funziona».
«Ora funziona», aveva ripetuto Louie.


***


I due ragazzi avevano continuato a pensarci per tutta la durata della costruzione della piazza. Passavano lì i loro pomeriggi, fantasticando su quella nuova società che avrebbe raddrizzato quella attuale verso il mondo migliore che sognava, dove il suo nipotino Lionel e le persone come i suoi amici avrebbero potuto avere le stesse possibilità. La sua idea stava tanto prendendo forma e diventando ricca di particolari che, dopo essere tornato a casa dalla piazza, Louie aveva approfittato di un momento in cui i suoi fratelli erano con lui per coinvolgerli in quell'utopica visione per il futuro. Louie sapeva che aveva bisogno di loro per realizzarla ma, di certo, anche se non si aspettava un supporto immediato, non si aspettava nemmeno quella reazione: Levi si era messo a ridere a più riprese e Louie si era imbronciato, dopo aver notato come anche Lara, in modo diverso, non sembrava convinta.
«È la cosa più sciocca e ridicola che abbia mai sentito», Levi aveva continuato a ridere, scuotendo la testa. «Quindi ti servono soldi e manodopera… che pagheresti con questi stessi soldi?».
«Non ho ancora raffinato i dettagli».
«E questa manodopera a cosa servirebbe, con più precisione?», aveva continuato a dire sarcasticamente. «Gli omini che andranno in giro a picchiare quelli che saranno cattivi con te?».
«No», Louie aveva stretto i denti, «Non servono a questo! Devono far rispettare l'ordine».
«Oooh, l'ordine», aveva sogghignato, adocchiando Lara che era ancora in silenzio, accanto a una finestra.
«Gli omega non saranno mai degli specie di bulli come li descrivi tu! Devi sempre rovinare tutto».
Levi allora aveva riso con maggiore enfasi, applaudendo. «Omega… Hai sentito?», aveva di nuovo cercato l'approvazione della sorella. «Omega…».
Louie aveva abbassato lo sguardo. Cosa c'era da ridere? A Kristen era piaciuta l'idea di chiamarli in quel modo.
«Avevi davvero così tanto tempo libero da spendere in bambinate mentre io là fuori lavoravo anche per te?», aveva guardato lui e Lara. «Atterra nel mondo reale, perché è qui che dovrai cominciare a vivere. Ci siamo capiti? Non sei più un bambino, hai sedici anni», si era fatto più serio di colpo ma Louie aveva preferito non rispondere. «Allora? Ci siamo capiti, storpio?».
Il tempo di dire quella parola che Lara, veloce, gli aveva servito un sonoro schiaffo e Levi era rimasto in silenzio, di pietra, stringendo le labbra fini. Louie l'aveva guardata sorpreso: era la prima a chiamarlo in quel modo, lui stesso usava quella parola, ma il tono della voce del loro fratello era…
La giovane si era limitata a scambiare con lui uno sguardo freddo e dopo si era avvicinata al tavolo di cucina che divideva loro dal più piccolo, lasciando le braccia a conserte. «Capisci anche tu che quel che ci stai chiedendo è più un'illusione che qualcosa che si può mettere in pratica, sì?».
Louie aveva stretto i pugni. «È complicato? Sì. È un sogno a occhi aperti? Può darsi. Ne abbiamo bisogno? Assolutamente», aveva indurito il suo sguardo, inquadrando lei e poi lui. «Guerre, fame, povertà, ingiustizie: ne saremo sempre tutti complici se non faremo qualcosa… almeno nel nostro piccolo».
Levi si era fatto avanti di nuovo, sospirando. «E vuoi essere tu il salvatore dell'umanità che decide cosa è giusto e cosa sbagliato? Ci saranno sempre le ingiustizie, da che mondo è mondo».
«È facile parlare, per te», aveva gridato e Lara si era precipitata a portargli un bicchiere d'acqua, vedendo che iniziava a tossire. «Sano, ricco… maschio», aveva guardato sua sorella dopo aver bevuto, ma lei si era voltata. «Ti piace il tuo mondo reale, Levi? È fatto apposta per te! Cosa vuole saperne uno come te di cosa significa essere ultimo. Lara!», l'aveva chiamata, bevendo ancora, «Tu sai di cosa parlo».
«No», lei aveva mosso la bocca appena, lanciandogli uno sguardo di ghiaccio, «Di cosa parli?».
«Sai cosa significa essere scartata», aveva risposto Louie con sicurezza. «Non puoi fingere per sempre che vada tutto bene», si era mosso, portando la sedia a rotelle davanti a lei. «Le manifestazioni in favore delle donne combattono anche per te».
«Quelle donne si rendono solo ridicole», aveva ribattuto con scherno, ma Louie non le aveva creduto: Lara voleva così disperatamente emergere e farsi apprezzare da uomini come suo padre da finire di prendere le loro idee come proprie. Come la loro madre. «Vogliono farsi rispettare dagli uomini? Che stiano a casa invece di dare spettacolo per le strade».
«Sbagli e lo sai! Non importa quanto tu sia geniale; e lo sei, sorellina. Sei forse la più intelligente in questa casa. Nostro padre non ti prenderà mai in considerazione per quanto riguarda la fabbrica solo perché sei femmina e lo sai! Impossibile che tu non lo abbia ancora compreso… Lascerà tutto a Levi. Niente a te, o a me. E-», aveva indugiato all'inizio, ma non era riuscito a fermarsi: «perdi tempo! Passi le tue intere giornate a scrivere e inviare lettere che il destinatario non leggerà mai. Doug ha annullato il matrimonio perché considera il tuo non poter avere dei figli un difetto al pari del mio… Si è risposato, non fingere di non saperlo! Ha due figli, oramai». Lara si era portata una mano sul volto e così aveva preso un gran respiro, battendo le palpebre tanto spesso, Louie lo sapeva, solo per trattenere le lacrime. «Sono questo le donne, Lara… Se non puoi avere figli gli uomini non vogliono sposarti e in ambito lavorativo non ti considerano neanche! Sei uno scarto esattamente quanto lo sono io, con la differenza che io l'ho accettato».
La giovane aveva deglutito e se ne era andata senza dire nient'altro. Levi aveva cercato di fermarla ma lei aveva scacciato con violenza la sua mano, allontanandosi di fretta, così aveva lanciato un'occhiataccia al minore. «Si può sapere che cosa ti prende, uh? Siamo stati pazienti perché i tuoi amici sono passati a miglior vita, ma ora stai davvero esagerando».
«Esagerando? No-».
«Pensi solo a te stesso», gli aveva gridato Levi, sventolando una mano. «Tratti male chiunque, calpesti i sentimenti altrui, non apprezzi le cure di nostra madre e sai bene quale inferno ha passato, non può seppellire un altro figlio. Ma tu no», aveva aggrottato la fronte, «continui a fare di testa tua! Non ti riposi, salti le medicine, spendi il tuo fondo studi per costruire una piazza e ti bruci il futuro, ma non bastano e in questo modo nostro padre, per far contenta nostra madre che accontenta te, deve metterne di tasca sua e sai qual è la parte migliore di questa faccenda? Siamo in perdita».
Louie aveva indugiato e tossito. «I… In perdita? Vendiamo armi, Levi, cosa-».
Il giovane si era portato indietro le orecchie i lisci capelli scuri, mettendo dritta la schiena e le mani in tasca. «Eri preoccupato che nostro padre lascerà tutto a me? A breve non ci sarà più nulla da lasciare a nessuno. I debiti ci stanno strozzando, non dureremo che altri pochi mesi e dopo… il dopo è incerto. Non avremo di che mangiare, ma ci sarà una grande piazza», aveva alzato le braccia e la testa, accompagnata da un finto sorriso, abbassando il tono della voce, «e il piano puerile di un bambino che non si sa adattare».
Lo aveva lasciato anche lui e Louie Luthor, solo in cucina, si era sentito sprofondare.
Aveva sbagliato tutto? Era davvero così insensibile ed egoista come lo aveva dipinto suo fratello? Forse, per com'era attento e analizzava tutto, aveva finito per avere un pensiero troppo critico e si era distanziato dalla sua realtà? Pensava di conoscere sua sorella e suo fratello, ma aveva perso di vista cosa succedeva intorno a loro. Amava Mark e gli era sopravvissuto. Amava Kristen e al solo pensiero gli si rivoltava lo stomaco. Aveva mancato di rispetto a sua madre. Forse, aveva pensato Louie, doveva aver ragione Levi.


































***

Bentornati!
Questo minicapitolo è più sostanzioso dello scorso, oh sì…
Nel presente abbiamo seguito Maggie e Charlie, amo la loro bizzarra amicizia. Bizzarra perché, come pensa la stessa Maggie, dovrebbero essere nemici e invece bom!, gli ha pure salvato la vita. Anzi… da come Charlie guardava spesso l'ora e dalle parole di Zod, sembra proprio che stessero organizzando qualcosa proprio per capire se Maggie sarebbe stata dalla parte del ragazzo, e il piano, nonostante il pericolo a quanto pare reale, ha funzionato. Non per niente… abbiamo scoperto che cosa vuole Zod da Maggie: che diventi la sua erede. U-Ops.
Nel passato invece abbiamo continuato a seguire Louie Luthor che dopo la prematura scomparsa di Mark e dei loro amici a seguito di quell'incidente con l'autobus ha commissionato la famosa piazza, l'Angel Children's Memorial. Passa il suo tempo con Kristen, quella che era la fidanzata di Mark cui lui capisce di provare qualcosa e lo tormenta il fatto di vederla ancora come la fidanzata di Mark, e dopotutto amava anche lui. Sarebbe stato un bel triangolo in diverse circostanze, suppongo… o una threesome vera e propria, in altre. Ma Mark è morto, non pensiamo a queste cose! E abbiamo potuto leggere com'è nata l'idea di base che ha dato vita all'organizzazione! E woah, Levi, che sappiamo essere stato il presidente dell'organizzazione, all'inizio non ne voleva proprio sapere e aveva preso in giro il suo fratellino. Come sarà andata poi? Lo leggeremo nei prossimi minicapitoli…
Interessante discussione quella tra i tre fratelli! Louie secondo Levi pensa solo a se stesso, ha ferito la sorella maggiore Lara e quasi certamente la loro madre che, per farlo contento, aveva convinto il loro padre a contribuire con i costi della piazza, quando la fabbrica non naviga più in buone acque. Da quanto sembra, hanno perso un altro fratello e questo spiega come la madre sia molto suscettibile ai malori di Louie, e Lara, che già sapevamo da uno scorso capitolo non poteva avere figli →
«Lara Luthor non poteva avere figli», disse, mantenendo gli occhi ben chiusi. «Rhea era per lei come la figlia che non aveva mai avuto».
Zod, capitolo 51. L'erede (un capitolo che vi consiglio di leggiucchiare di nuovo perché, lo noterete, è correlato a questi)
Dicevo, sapevamo che Lara non poteva avere figli, ma non sapevamo che le lettere che scrive erano per l'uomo che amava e da cui è stata lasciata per questo “difetto”, che adesso a quanto pare è risposato e ha due figli. Un duro colpo per Lara, che già cerca in tutti i modi di farsi notare dal loro padre, inutilmente.
E non dimentichiamo, nel presente, di come Charlie sia stato abbandonato dalla famiglia e come abbia trovato il supporto e ciò che gli mancava nell'organizzazione e in Zod. Beh, forse qualcosa del piano originale di Louie per “quella società”, ovvero ciò che poi è diventato l'organizzazione, sul prendersi cura di chi aveva bisogno, è rimasta nel tempo…
Cosa ne pensate?

Piccola parentesi! Our home è diventato parte di una serie. Al momento ne fa parte solo un'altra fan fiction, una one-shot scritta per San Valentino, ma nel futuro ne potrebbero arrivare altre. Le idee ci sono, se poi riuscirò a scriverle sarà un altro paio di maniche. Nel caso, vi farò sapere…

Dunque ci rileggiamo sabato prossimo con il minicapitolo 65.3 Riscatto: Un'azione orribile ~


   
 
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