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Autore: Ksyl    20/02/2021    3 recensioni
La storia prende spunto dalla fine della 8x08, ma le cose non sono andate esattamente come nel telefilm.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Castle aveva saggiamente deciso che si sarebbe goduto ogni singolo minuto che gli era rimasto ancora da trascorrere in compagnia di sua moglie.
Mancavano poco meno di ventiquattro ore al momento in cui sarebbe dovuta salire sull'aereo che l'avrebbe riportata a casa, questo significava che avevano quasi un intero giorno da vivere insieme. Aveva grandi progetti, li aveva sempre quando c'era di mezzo lei.
Avrebbe trovato qualcosa di strepitoso per rendere speciale l'ultima sera del loro strano viaggio, le cui premesse erano state sovvertite dall'arrivo di uno straordinario regalo di Natale anticipato. E da tutto il resto. Gli sembrava di aver vissuto più pienamente in quei giorni trascorsi in Italia che in tutto il resto della sua vita, che, per inciso non era mai stata monotona.

Preferì lasciarla da sola, quando gli annunciò con voce tesa che sarebbe salita a preparare i bagagli. Si era detto che lo faceva perché di certo lei non avrebbe desiderato averlo tra i piedi durante un'incombenza così noiosa. La realtà era che non avrebbe sopportato di vederla impacchettare oggetti che si era abituato ad avere intorno e che presto sarebbe scomparsi, facendogli sentire ancora più acutamente la sua mancanza.
Gli ricordava quella sera di mesi prima, quando la borsa appoggiata a terra aveva confermato i suoi peggiori timori; da allora non era stato più in grado di sopportare la vista di qualsiasi cosa segnalasse una sua possibile partenza.

Rimase per lunghi minuti in piedi davanti alla portafinestra, guardando l'orizzonte senza vedere niente, gli occhi appannati, il cuore pesante, in attesa che lei terminasse i suoi doveri.
La sentì scendere le scale e si girò verso di lei, ostentando un sorriso che era più di forma che di sostanza. Non doveva farsi vedere triste. Erano le ultime ore che gli erano rimaste.

Aveva immaginato tante cose, ma non trovò il modo di dirgliele. Avrebbe voluto comporre un discorso grandioso che l'avrebbe lasciata senza fiato e che, soprattutto, l'avrebbe convinta che lui non aveva nessuna intenzione di lasciarla. Non gli era necessario nemmeno pensarci o prendersi del tempo per capire se il loro matrimonio avesse un futuro. Non ne aveva bisogno perché non poteva vivere senza di lei. Punto.
Avrebbe voluto fare tante cose. Divertenti, romantiche, indimenticabili. Non fece niente. Niente frasi d'amore da incidere sulla pietra e niente gesti simbolici pieni di speranza per il loro futuro. Era così affranto che riusciva a malapena a spostarsi da una parte all'altra della casa senza accasciarsi a terra. Continuava a sospirare. Anche Kate sembrava assorta in riflessioni che non dovevano avere niente di piacevole.

Capiva le sue ragioni ma, a un livello più profondo, comprendeva anche che non c'era altra soluzione che non fosse lo stare insieme, anche se riconosceva di aver agito in modo troppo impulsivo, accusandola ancora e ancora senza motivo. Non significava però che non l'amasse, ma questo lei lo sapeva, glielo aveva ripetuto più volte, senza riuscire a convincerla. La tenne tra le braccia tutta la notte, fingendo di dormire. Fu l'unica cosa che riuscì a portare a termine.

Quando il giorno dopo uscirono di casa per tempo – il viaggio verso l'aeroporto sarebbe stato piuttosto lungo -, Castle ebbe voglia di girarsi verso di lei e dirle che era tutto sbagliato. Lei non doveva partire, loro non dovevano più separarsi.
Non lo fece. Qualcosa che lesse nei suoi occhi smarriti lo convinse a lasciar perdere, senza saperne il motivo.
Il volo era in orario, ma loro arrivarono con molto anticipo. Presero un caffè, mangiarono qualcosa, chiacchierarono. Discorsi che stentavano a decollare, seguiti da sguardi bassi e silenzi dilaganti. Castle si rendeva conto che stava sprecando tempo prezioso, ma non sapeva che cosa fare, cosa dire.

Si allontanò per rispondere al telefono e la perse di vista.
La scovò a fissare la vetrina di un negozio, così assorta che non lo sentì arrivare.
"È una bella borsa. Vuoi comprarla?", le domandò con il suo miglior tono da conversatore provetto, senza riferirsi a nessun articolo in particolare. Gli sembravano tutte uguali.
Kate sorrise. "No. Da quando sei esperto di borse da donna, Castle?" Si stava sforzando anche lei, non era difficile da intuire.
"Portami con te a fare shopping e te lo dimostrerò. Potresti perfino rimanere stupita dalle mie vaste conoscenze..."
Non finì di parlare perché Kate si voltò a guardarlo in modo molto serio.
"Devo andare. Hanno chiamato il mio volo".
Castle lo sapeva. L'aveva sentito annunciare agli altoparlanti mentre era al telefono.
Prese fiato per dire qualcosa. Non sapeva che cosa ma sarebbe suonata di certo come l'ennesima implorazione affinché non partisse. Kate dovette rendersene conto perché lo prevenne, appoggiandogli una mano sul braccio.
"Mi accompagni?"
"Certo". Poteva fare altrimenti?

Arrivarono all'area controlli. La fila per i metal detector era pressoché vuota a quell'ora. Sarebbe scomparsa dall'altra parte di lì a pochi istanti e lui non avrebbe potuto lasciarla andare gradualmente, come si era augurato. Avrebbe voluto raccontarle qualcosa di divertente, alzando via via la voce, in modo da costringerla a voltarsi nella sua direzione mentre avanzava lentamente.
Non sarebbe successo niente di tutto questo.

"Posso... posso abbracciarti?", le domandò temendo che avrebbe rifiutato la sua richiesta. Non si erano promessi niente addii strazianti, quindi poteva fare tutte le scenate che voleva. Solo che non le avrebbe fatte.
Kate non rispose. Alzò le braccia a circondargli il collo, inarcandosi contro di lui. Castle affondò la testa nel suo collo, aspirando avidamente il suo profumo, proprio come aveva fatto lei con lui quando era arrivata. Perché era stato così reticente quando l'aveva accolta? Ricordava ancora molto bene come gli si era lanciata tra le braccia al punto da doverla afferrare al volo. E come l'aveva cercato spaurita quando non l'aveva trovato ad attenderla appena oltre le porte scorrevoli. Quanto tempo perso, per colpa sua.
"Fammi sapere quando arrivi".
Kate annuì contro la sua guancia.
"Subito. Appena atterri. Non aspettare di scendere dall'aereo".
Un altro breve movimento della testa.
"Hai abbastanza da leggere? Da mangiare?"
"Castle, hai svaligiato l'aeroporto". Era vero.
Kate fece per allontanarsi, ma lui la tenne stretta contro di sé.
"Non affaticarti".
"Starò seduta per otto ore".
"Devi alzarti ogni tanto, per la circolazione".
"D'accordo".
Non riusciva a farla ridere.
"Sei sicura di sentirti bene? Non sarà troppo stancante? Puoi tornare con me tra un paio di giorni. Aereo privato, tutti i comfort. Puoi anche sdraiarti".
La sentì ridere. Ci era riuscito.
"Non provarci". Che male c'era a provarci?
"Ok. Buon viaggio, allora".
"Grazie".
Non sapeva più cosa dire, ma nessuno dei due, arrivati a quel punto di non ritorno, voleva staccarsi dall'altro.
"Mi mancherai".
Qualcosa che suonò come un soffocato: "Anche tu", provenne da qualche punto avvinghiato a lui.
"Mi stai già mancando".
"Castle, smettila. Ho gli ormoni che mi fanno piangere ogni cinque minuti, non mettertici anche tu", finse di rimproverarlo.
"Scusami. Ho gli ormoni anche io".
La sentì ridere di nuovo, questa volta di gusto. Le sue quotazioni di giullare erano in crescita.
"Sei sempre il solito".
"Faccio il possibile".
Altra pausa di silenzio. Nessuno dei due si scostò di un passo.
Fu Kate la prima a parlare.
"Non ho più nessun motivo per non salutarti e andarmene".
"Nemmeno io per trattenerti".
"Devo andare".
"Devi andare".
Lo dissero insieme, staccandosi nello stesso momento come se avessero concordato un segnale.

Decise di limitarsi a darle un casto bacio sulla guancia, ma Kate fu più rapida e appoggiò le labbra sulle sue. Per quanto potesse cercare di resisterle, non riuscì a evitare di abbracciarla di nuovo e salutarla come se stesse partendo per il fronte e lui non fosse certo di sapere quando, e se, l'avrebbe vista di nuovo. O forse aveva solo voglia di baciarla, come era sempre stato.
Fu solo quando la voce gracchiante annunciò di nuovo il suo volo, chiamando a raccolta i passeggeri ritardatari, che furono risvegliati bruscamente dal loro sogno privato.
"Adesso devo andare davvero".
"Certo". Castle annuì convinto.
"Mi stai trattenendo per il braccio, Castle", gli fece notare con un'occhiata eloquente.
"Quale braccio?".
"Vuoi farmi perdere l'aereo, vero?" Alzò gli occhi al cielo, ma di fatto tornò tra le sue braccia, e alzò la testa per farsi baciare di nuovo.
"Mi hai scoperto", mormorò Castle contro le sue labbra. Forse ce l'avrebbe fatta a farla rimanere a terra.
Il risultato di tutto quel procrastinare fu che, dopo un ultimo bacio rapido, Kate si strappò da lui correndo lontano.
"Ehi. Non si saluta così tuo marito", le gridò dietro. Ma lei agitò soltanto una mano mentre si precipitava oltre la linea che segnalava l'area a lui preclusa, oltrepassando velocemente la zona dove erano posizionati i metal detector. Si fermò a guardarlo solo un'ultima volta, come se volesse dirgli qualcosa, ma si limitò a sorridergli e poi gli girò le spalle e scomparve.

Castle aveva cercato di essere coraggioso fino a quel punto. Credeva in buona sostanza di essere riuscito a camuffare il suo stato d'animo agli occhi di lei. Non l'aveva pregata di rimanere, l'aveva fatta ridere e aveva avuto la forza di lasciarla andare. E di rimanere a guardare.
La tristezza però lo colpì a tradimento quando la perse di vista e si rese conto di essere rimasto da solo. Metà della sua famiglia era partita con lei. Sentì la sua mancanza in modo così violento da esserne oppresso fino in fondo all'anima.
Provò a respirare, mentre cercava di ordinare alle sue gambe di piombo di portarlo fuori da lì. Non ce la faceva.
Si avvicinò a passi strascicati fino alla prima poltroncina vuota che trovò e si lasciò cadere pesantemente sopra. Si sfregò il volto con le mani, per risvegliarsi dal torpore.
Voleva andare a riprendersela. Non l'avrebbero fatto passare senza un biglietto, ma lui se ne sarebbe procurato uno, non doveva essere difficile. Non aveva alcun senso che lei fosse su quell'aereo, in procinto di tornare a casa e lui fosse ancora lì. Dovevano stare insieme.
Dopo essersi immaginato diverse scene eroiche, decise che non avrebbe compiuto nessun gesto folle. L'avrebbe fatto solo per placare il dolore sordo che sentiva dietro le costole e non sarebbe stato giusto. Lei aveva posto delle condizioni precise, non poteva fare colpi di testa.
Riempì i polmoni con tutta l'aria che riuscirono a contenere, per poi lasciarla andare di colpo. Si alzò. Non guardò mai l'orologio: non voleva avere la certezza che fosse già partita. Preferì continuare a ricordarla mentre lo salutava per l'ultima volta, prima di scomparire nel labirinto di corridoi.
Uscire all'aria aperta non gli recò il sollievo che si era immaginato. Stava piovendo a dirotto. Non gli diede conforto nemmeno tornare all'auto, metterla in moto e dirigersi verso una casa vuota, che era stata così piena di lei fino a qualche ora prima. Provò ad accendere la radio, cercò qualcosa che gli piacesse, ma la spense subito. Sbirciò il sedile vuoto accanto a lui. Forse Kate aveva dimenticato qualcosa. Sperò di trovare un segno della sua presenza, ma non fu così.

Non memorizzò altro di quel malinconico viaggio di ritorno. Tornò in sé solo quando aprì il portone del casale, e il cuore gli si fermò. Era troppo doloroso, non riusciva a entrare. Non avrebbe sopportato di dormire lì, non ne sarebbe stato fisicamente in grado. Qualsiasi cosa, anche la più banale, gli avrebbe ricordato la sua presenza luminosa.
Salì le scale di corsa, entrò deciso in quella che era stata la loro camera da letto, ficcò un paio di indumenti e altri oggetti a casaccio dentro a una piccola borsa e, imponendosi di non guardarsi in giro, uscì di nuovo nel cortile e risalì in auto. Avrebbe passato la notte altrove. Il giorno dopo, quando fosse sceso a patti con il macigno che gli rendeva difficile perfino respirare, sarebbe tornato a recuperare tutte le sue cose. Avrebbe organizzato il viaggio di ritorno il prima possibile. Forse l'indomani stesso, o, al più tardi, il giorno dopo ancora. Il suo soggiorno italiano, splendido e inaspettato, si era concluso.

...

Kate salì a bordo accodandosi agli altri passeggeri. Avanzò tra le file di sedili cercando la sua. Quando lo trovò notò con sollievo che non avrebbe avuto compagni di viaggio, proprio come all'andata. Non era nelle condizioni di fare conversazione con estranei. A ripensarci era strano che un aereo altrimenti tanto affollato avesse conservato un posto vuoto proprio accanto al suo. Forse c'era lo zampino di Castle. Forse aveva prenotato un biglietto solo perché lei non si trovasse ad avere vicini molesti e indesiderati.
Sarebbe stato proprio tipico di lui.
Si allacciò la cintura di sicurezza e chiuse gli occhi. Sperò che andasse tutto bene. Nonostante la sicurezza che aveva dimostrato, era preoccupata che per lei e il suo coinquilino non fosse del tutto indicato farsi un volo transoceanico. Era vero che prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa e non avrebbe certo potuto farlo in nave – rabbrividì al pensiero della nausea che le avrebbe provocato anche il minimo dondolio -, ma si sentiva comunque turbata.

Fu solo quando l'aereo prese la rincorsa e si alzò in volo che si rese conto, all'improvviso, che era partita sul serio. Che lui non ci sarebbe stato nelle prossime ore o giorni. Aveva deciso di tornare a casa dando retta a un'intuizione del momento ed era ancora convinta che fosse la scelta giusta. Doveva riprendere le redini della sua vita, cominciare a fare i conti con una gravidanza che avrebbe fatto nascere un bambino vero di lì a pochi mesi e organizzarsi al meglio. Prendere decisioni. Mettere Vikram di fronte al fatto compiuto e rompere il loro accordo. Forse mandarlo sotto copertura o a rifarsi una vita protetta altrove. Sospirò. Sarebbe stato un discorso molto difficile.
All'atto pratico c'era stato così tanto da fare per pianificare un viaggio deciso all'ultimo - chiamare la compagnia aerea, preparare i bagagli e tutte le incombenze dell'ultimo minuto - che le ore erano volate vie in un'atmosfera onirica e sospesa in cui non aveva realizzato quello che avrebbe significato nella realtà. Che sarebbe stata da sola. Sarebbe tornata nel suo appartamento, senza che ci fosse nessuno ad attenderla. Avrebbe passato altre serate a fissare il brutto quadro appeso alla parete di fronte, tenendo in mano un telefono che forse non sarebbe squillato. Rabbrividì, sentendo un vuoto allo stomaco che attribuì a una variazione di quota.
Si aggrappò all'idea che razionalmente non avrebbe potuto fare altrimenti. Al punto in cui erano arrivati, con la prospettiva di diventare genitori, dovevano smettere di cincischiare e risolvere una volta per tutte i loro problemi.

Le si inumidirono gli occhi, in uno dei consueti accessi di pianto che erano ormai diventati una consuetudine a cui aveva quasi smesso di far caso.
Se li asciugò con le dita. Il gesto provocò un accesso vero e proprio che dovette essere tamponato con risorse meno provvisorie. La borsa le cadde quando rovistò dentro per cercare un fazzoletto, innervosendola e facendola sentire miserabile al tempo stesso. Che cosa ci faceva su quell'aereo?
"Va tutto bene, signora?" Una hostess si era avvicinata senza che lei se ne accorgesse. Ci mancava solo di richiamare l'attenzione di altre persone, proprio ora che si sentiva così fragile e poco padrona di se stessa.
"Sì, sto bene".
La donna non si convinse. Continuò a guardarla dubbiosa, sorridendole con gentilezza. Questo la fece stare peggio. Trovò finalmente un fazzolettino con cui si tamponò gli occhi. Respirò per riprendere il controllo.
"Va tutto bene. Sono solo incinta e continuo a piangere per qualsiasi cosa". La spiegazione sembrò ragionevole agli occhi dell'altra, che le lanciò un'occhiata complice, facendole gli auguri e dichiarandosi disponibile a venire in suo soccorso se avesse avuto bisogno di aiuto. E non doveva dimenticare di alzarsi a intervalli regolari per far ripartire la circolazione.
Kate si chiese se lei e Castle si fossero messi d'accordo o se lei fosse l'unica persona al mondo a sapere così poco di gravidanze e voli aerei.
Si sentì ancora più infelice. Non era in grado di farcela da sola. Voleva avere Castle accanto a sé. Voleva sedersi davanti al camino a farsi preparare quelle tisane imbevibili che lui le porgeva con tanto amore. Voleva essere amata come prima, senza ombre e senza accuse. Strinse il fazzoletto nel pugno.
Doveva smetterla di piagnucolarsi addosso. E doveva esistere un antidoto contro quegli ormoni impazziti che la rendevano estranea a se stessa, o entro la fine dei nove mesi l'avrebbero fatta internare.
O forse non erano gli ormoni ma, semplicemente, il fatto che suo marito le mancava terribilmente.

   
 
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