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Autore: tralenuvoleee    24/02/2021    0 recensioni
Luna era solare, coraggiosa, felice. Era, tempo imperfetto.
Adesso si trascina dietro una vita marchiata dal dolore e dalla sofferenza, coronata da un incidente che la segna più sul piano psicologico che fisico. Nonostante la giovane età e gli orrori che ha dovuto vedere e subire, Luna trova sempre la forza di andare avanti perché, seppur spaventata e impaurita, è determinata a vivere.
Nel disperato tentativo lasciarsi il passato alle spalle una volta per tutte, Luna abbandona la sua amata terra natale per riprendere in mano il controllo della sua vita e ricominciare da zero.
E proprio nella nuova cittadina, per sua fortuna o sfortuna, incontra colui che riesce a leggere il profondo dolore che si cela nei suoi occhi. A lui è impossibile mentire, impossibile anche per lei, che ha passato una vita a nascondere segreti. Lui le fa assaggiare la libertà, la dolcezza di ogni piccolo momento, il potere curativo di un abbraccio e, per la prima volta dopo anni, Luna si sente al sicuro.
Ma sarà davvero così? Se c'è una cosa che la vita le ha insegnato, è che non è possibile cancellare il passato e che il pericolo è sempre dietro l'angolo, pronto a renderle un agguato.
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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La nonna mi stampa un dolce bacio sulla guancia, augurandomi di fare buon viaggio. Il nonno è sceso dalla sua piccola auto grigio metallizzato e mi aiuta a scaricare le due valigie, che sono parecchio pesanti. Contengono tutto quello che ho, tutto quello che mi resta. Sento le lacrime pungermi gli occhi e, per la quinta volta in questa giornata me lo asciugo con uno scatto secco della mano; nonostante io mi rifiuti di piangere, le lacrime se ne fregano e cercano in ogni modo di sfuggire al mio controllo. Un singhiozzo strozzato mi si dibatte in gola, ma sono abile a ingoiarlo prima che possa uscire.

Fisso intensamente il cartello di fronte a me per concentrarmi su qualcosa che non sia il pianto liberatorio che mi attende al varco, con il sorriso tronfio di chi è certo che, prima o poi, ce l'avrà vinta. Recita "Catania International Airport, terminal B" a caratteri grandi e ben visibili.

Volgo lo sguardo all'Etna, un'enorme montagna di roccia lavica che, indifferente ai miei pensieri e al vuoto che sento dentro nel lasciare questo posto, mi osserva dall'alto con sguardo vacuo, quasi annoiato. Guardo il vulcano con maggiore intensità e penso che sono così vicina alla salvezza da sentirne quasi il sapore sulla punta della lingua.

Mi giro verso il nonno, che mi illumina un po' di più con uno dei suoi sorrisi dolci e buffi insieme. Fa appena in tempo a chiudere il bagagliaio, poi il lunotto posteriore dell'auto implode in una cascata di schegge di vetro.

Grido per la sorpresa e mi tuffo lateralmente, al riparo dai proiettili che mi fischiano accanto. Appena mi volto, le lacrime prendono a scorrermi sulle guance, questa volta senza controllo. Il nodo alla gola si scioglie all'istante e i rubinetti si riaprono, più potenti che mai. Soffoco un singhiozzo terrorizzato per non farmi sentire, perché so che è stato luiLui è venuto per me. Lui è qui, e non se ne andrà finché non mi avrà ucciso.

Mi sporgo appena oltre la fiancata dell'auto, solo per pentirmene all'istante. Vorrei premere la faccia sull'asfalto ruvido pur di non assistere a questa scena che mi dilania il cuore, che mi spezza le costole a una a una e che mi deruba del respiro.

Strizzo con forza gli occhi offuscati dalle lacrime, li riapro. Il nonno è accasciato contro l'automobile, lo sguardo vacuo rivolto al cielo azzurro e senza nuvole che si burla del mio pianto disperato e della mia vita, andata definitivamente in pezzi. La nonna è riversa a terra in una pozza di sangue scuro come inchiostro, che si allarga lento e inesorabile come una marcia funebre sulla strada.

Qualcosa di freddo entra in contatto con la mia nuca e la puzza nauseante della polvere da sparo mi avvisa che lui è qui, che ormai è troppo tardi. Alle sue spalle, il vulcano sembra essersi risvegliato dalla sua trance e osserva la scena con interesse. Per sottolineare il suo gradimento, erutta dal cratere una cascata di lapilli ardenti.

Mi sveglio di soprassalto, sudata e scossa da brividi incontrollabili. Ho la gola stretta in un nodo doloroso, il respiro mozzo e gli occhi inumiditi da lacrime che si rifiutano di scendere.

Era solo un sogno, Luna, mi ripeto, cercando di respirare il più a fondo possibile. Un sogno terribile, che mi impedisce di dormire la notte e che mi spaventa a morte. Talmente realistico da darmi l'impressione di vivere davvero questi incubi, anche se fortunatamente sono solo un pessimo frutto del mio subconscio. 

Fisso lo sguardo al soffitto, prendo grandi respiri e conto mentalmente fino a venti, poi trenta, poi quaranta, nell'attesa che il battito cardiaco diminuisca e il sudore cessi di imperlarmi la fronte.

Quando smetto di ansimare e i miei polmoni riprendono a immagazzinare la giusta quantità di aria, mi lascio andare sul materasso, sfinita dall'ansia che ancora non mi ha lasciato. Eppure, dopo qualche minuto avvolta dal buio, mi sento lucida come non mai e mille pensieri, uno più terribile dell'altro, mi infuriano nella testa. So per certo che in queste condizioni non riuscirò più ad addormentarmi, ma ci provo comunque: mi corico su un lato e cerco di pensare ad altro, ma è tutto inutile. 

Dopo aver cambiato almeno venti posizioni diverse, decido di alzarmi dal letto. Non so bene che cosa fare, non mi sento ancora del tutto a mio agio in questa casa che non è la mia, ma di certo non posso svegliare Samantha: ha già i suoi mille problemi ed è giusto che dorma tranquilla, senza doversi preoccupare ulteriormente anche per me e per i miei dannati incubi.

A casa, quando mi svegliavo terrorizzata dagli incubi, mi mettevo una giacca e uscivo sul terrazzo. Era una cosa abituale, una costante che mi porto dietro da anni. 

Da piccola mi svegliavo urlando ogni notte; per molti anni la zia è stata costretta ad alzarsi nel cuore della notte per prendermi in braccio e portarmi in camera con sé. Ci coricavamo insieme nel suo grande letto matrimoniale, da parecchio tempo vuoto per metà, ma io non riuscivo mai a dormire perché il pensiero di occupare il giaciglio dello zio, morto alcuni anni prima, mi dava il tormento. Eppure avevo troppa paura anche solo per mettere il naso fuori dal lenzuolo, quindi rimanevo lì per ore, vigile e sveglia, a percorrere la stanza buia con gli occhi per accettarmi che non ci fosse nessuno in grado di portarmi via anche lei, la zia Angela, una delle poche persone che mi rimanevano.

Quando sono cresciuta un po' e ho iniziato a fare caso alle occhiaie violacee che le circondavano perennemente gli occhi e a quanto fosse provata dopo gli interminabili turni di lavoro, ho capito che era il caso di smetterla di approfittare della sua bontà d'animo per intrufolarmi nel suo letto ogni notte.

Sapevo che lei non se ne sarebbe mai lamentata, ma vedevo chiaramente quanto le facesse male sostenere quel ritmo di vita, quindi passavo le ore della notte con la testa affondata sotto il cuscino per soffocare le lacrime finché, stremata, non mi facevo inghiottire da un sonno di piombo che mi teneva prigioniera nelle sue spire fino al mattino dopo.

Poi, gradualmente, il terrore aveva iniziato a scemare con il passare del tempo. Avevo imparato che se mi alzavo e uscivo sul terrazzo per prendere un po' d'aria mi tranquillizzavo più facilmente, così passavo ore e ore ogni notte con lo sguardo fisso sull'acqua appena increspata della piscina interrata che si trovava giusto sotto al balcone.

Tante, troppe volte avevo immaginato di tuffarmici, di passare attraverso il fondo di piastrelle azzurrine e approdare in un mondo parallelo, dove io ero una ragazza come tante altre, la quale paura peggiore era quella di non ricevere il primo bacio dal ragazzo dei sogni, come era per tutte le mie coetanee.

Scuoto la testa e ricaccio indietro le immagini che mi si sono parate davanti agli occhi, facendole tornare a far parte del passato. Cercando di fare il minor rumore possibile scendo dal letto e, non appena intravedo l'uscio avvolto dall'oscurità, decido di avvicinarmi.

È una strana tipologia di elettricità quella che mi sento addosso, come se il mio corpo sapesse in anticipo che sta per succedere qualcosa. Attratta da qualcosa di invisibile, decido di infilarmi le scarpe e uscire per vedere il mare e tranquillizzarmi.

Apro con cautela la porta, che cigola leggermente nonostante i miei sforzi di non fare rumore; Sam si rigira nel letto un paio di volte e mugugna qualcosa nel sonno coprendosi la faccia con il cuscino, ma non si sveglia. Tiro un sospiro di sollievo e mi lascio stringere nell'abbraccio della gelida aria invernale, avvolgendomi addosso la coperta che ho trovato appoggiata su un bracciolo del divano. 

Il sole ha appena iniziato la sua ascesa verso il cielo e non è altro che una sottile lama di luce aranciata che fa capolino dalla cresta delle onde all'orizzonte e fa talmente tanto freddo che il mio respiro si condensa formando nuvolette di vapore, ma io mi sento già meglio. Sorridendo, mi chiudo la porta alle spalle il più piano possibile e vago per il giardino immersa nei miei pensieri. 

L'idea iniziale era quella di sedermi da qualche parte e inspirare un po' dell'aria fredda della notte, ma il luccichio grave della luna che si specchia nel mare mi strega a tal punto da farmi prendere il coraggio a due mani, aprire il cancelletto e attraversare la strada deserta. Con il naso incollato al cielo, imbocco il lungomare deserto che so mi porterà al piccolo molo dove ieri Sam ha parcheggiato.

Stranamente il cielo è quasi totalmente sgombro dalle nuvole, lasciando le stelle libere di brillare in tutto il loro splendore contro questo incredibile sfondo blu scuro. E poi, in mezzo a tutto questo splendore c'è la luna, regina degli astri, che illumina il mare appena increspato dalle onde e lo fa risplendere come uno specchio d'argento.

Stupita dalla bellezza e dalla quiete di questa scena, mi stendo sul muretto che separa la spiaggia dalla strada e resto a contemplare il cielo, osservando una a una le stelle. E poi ci sono loro, il sole e la luna, due amanti scoperti insieme, ai quali è stata impartita la terribile condanna della distanza; solo all'alba e al tramonto, ai lati opposti del cielo, è permesso loro di lanciarsi uno sguardo colmo d'amore e di rimpianto.

I miei pensieri si calmano quasi immediatamente e piano piano mi perdo nei ricordi più felici che conservo nella mente; tutti i tramonti osservati dal balcone della mia vecchia casa, tutte le giornate passate all'aria aperta, dove l'orrore e la paura sembravano un po' meno reali, e tutte le volte che ho visto il sole nascere sulla spiaggia, in compagnia degli amici, reduci da una nottata passata ad ammirare il luccichio lontano dell'universo.

La pace e la tranquillità mi avvolgono nel loro abbraccio caldo d'affetto, mentre la luna e il sole mi proteggono con il loro amore infinito dal mondo crudele e dai brutti sogni.

Sono nel mio elemento, con il mare accanto e il sole nascente impresso nelle iridi, una promessa e allo stesso tempo una garanzia che il domani sarà un po' migliore di ieri, come un promemoria a non mollare mai, perché dopo la notte spunta sempre un'alba un po' più luminosa della precedente.

Perduta nel mare dei ricordi, mi risveglio da una dimensione nella quale spazio e tempo sono concetti superflui, inesistenti. Esiste solo l'immensità del mare, che si estende davanti a me in tutta la sua gloria, le acque limpide che si protendono invano fino a me nel tentativo di toccarmi. 

Alzo lo sguardo e, non appena metto a fuoco lo spettacolo che mi si para davanti, tutto torna a scomparire. Sopra la mia testa il cielo è ancora blu scuro, rischiarato solo dalle stelle, ma a est la luce si sta facendo più forte, tingendo alcune nubi di passaggio di una varietà impressionante di sfumature di arancione, rosa e ocra. Da sotto la linea dell'orizzonte sbuca finalmente uno spicchio più consistente di sole, di una tonalità indescrivibile compresa tra il rosso e l'arancio. Lo spettacolo poi è doppiamente stupefacente, dato che si riflette sulla superficie del mare, calmo e silenzioso come non l'ho mai sentito. 

Mi rialzo dal muretto e giungo fino alla banchina, dove le barche ondeggiano pigre sulle acque placide. Le onde lambiscono con grande calma il muretto incrostato di alghe e conchiglie, come se avessero a loro disposizione tutto il tempo del mondo; avanzano piano, portando sulla cresta sussurri di innamorati e frammenti di discorsi mai terminati.

Una forza invisibile e incontrastabile mi lega all'acqua, come una falena è inesorabilmente attratta dalla mortale luce di una candela; nonostante sia consapevole che quelle lingue di fuoco crudeli sono destinate a bruciarle le ali, vi si avvicina lo stesso perché le danno la vaga illusione di una temporanea salvezza dal buio delle tenebre.

Ed eccola lì, la fiamma che finirà con il bruciarmi le ali, l'acqua cristallina che sciaborda accanto ai miei piedi. L'immagine della libertà, di quello che desidero con tutto il cuore essere, un obiettivo che, probabilmente, non raggiungerò mai.

Quella stessa acqua che, in molti dei miei incubi, mi riempie i polmoni fino a privarmi del respiro. Quella stessa acqua che mi ha salvato la vita dalle fiamme, che ha domato l'incendio nella mia casa.

Incantata, mi chino fin quasi ad accucciarmi per sfiorare l'acqua con le dita già intorpidite dal freddo. Vi immergo un dito e sussultando quando ne percepisco la temperatura gelata, oltre a provare un intenso brivido di emozione pura. Assaggio sulla punta dell'indice qualche piccola molecola di quella libertà che tanto bramo e, istintivamente, chiudo gli occhi, mentre un sorriso appagato mi sboccia sul viso. È come un incantesimo.

So di trovarmi in una condizione di equilibrio fin troppo precario, ma non posso farne a meno. Assorbo avida l'adrenalina che mi pulsa nelle vene e che, attraverso l'acqua, conduttrice dell'elettricità che dal mare passa al mio corpo senza opporre resistenza, mi si insedia dentro.

Gli elettroni passano dall'anodo al catodo spontaneamente, svelti, si spintonano l'un l'altro per passare come una folla in delirio. Come i ricordi che premono per uscire, sgorgare fuori come un gayser islandese. E alla fine lo fanno, gli elettroni penetrano nel catodo e vi si insidiano, con il rischio di ribaltare l'equilibrio tra cariche positive e negative.

I ricordi, un accumulo di carica negativa nel catodo; necessito di un ponte salino per riportare la neutralità nella soluzione, o la pila smetterà di funzionare. Le memorie seguono gli elettroni, finalmente liberi dalla loro prigionia nell'anodo, corrono verso il catodo e io risento la voce di mia mamma risuonarmi nella testa.

La sua voce dolce e melodiosa che, con una nota di risata appena accennata nel tono, mi raccomanda di allontanarmi dal bordo della piscina, che ho appena mangiato e rischio di sentirmi male a fare il bagno nell'acqua gelata. Ma io non le presto ascolto, sono piccola e ho solo tre anni, così mi sporgo, mi sporgo per toccare l'acqua che mi attrae a sé come un magnete, finché non perdo l'equilibrio e finisco sott'acqua senza nemmeno rendermene conto.

Un momento prima che tutto accada, l'ho già realizzato da me. Ero distratta e mi sono sbilanciata troppo in avanti, il resto è appena un attimo: mi agito, mulino le braccia alla disperata ricerca di un appiglio qualsiasi, ma le mie dita afferrano solamente l'aria. Con un grido soffocato, precipito nell'acqua scura, esattamente come è successo molti anni fa, sul bordo della piscina.

Mi si mozza il respiro per l'impatto e immediatamente ho la tremenda sensazione che i miei polmoni non riescano più a riempirsi d'aria. È come nei miei incubi peggiori, ma questa  volta è reale, pizzicarmi con forza un braccio non servirà a svegliarmi. 

L'acqua è tremendamente fredda e crudele, improvvisamente vedo il suo lato più temibile: quello che ha tratto in inganno i marinai incauti, illudendoli di poterla vincere con le loro apparentemente inscalfibili imbarcazioni, per poi capovolgerle come pedine del Monopoli e inghiottirle tutte intere sotto la sua superficie rabbiosa.

Il mare mi addenta e mi imprigiona nelle sue fauci, il mio corpo viene trafitto dalle lame di mille coltelli affilati, gli stessi che in passato mi sono stati puntati alla gola.

Il gelo è indescrivibile, sento ogni singolo muscolo paralizzarsi, tendersi e tirarsi, impedendomi di muovermi. Colo a picco come un masso, a poco servono i miei deboli tentativi di oppormi alla forza sovraumana dell'acqua.

Come il Titanic dopo essersi scontrato con l'iceberg, vengo trascinata verso il fondo dal peso degli strati di vestiti che, impregnati d'acqua, mi impediscono quasi del tutto i movimenti e mi gravano addosso come una ghigliottina.

Davvero deve finire così? Il mio destino è veramente quello di risposare come un relitto spezzato sul fondo dell'Oceano Atlantico? E dire che in questo momento mi ci rivedo molto, in quel transatlantico inaffondabile, che poi tanto inaffondabile non era, che un po' rotta a metà lo sono anche io, almeno per quanto riguarda l'anima, della quale non riesco più a tenere uniti i frammenti seghettati, separati molto tempo fa l'uno dall'altro.

A questo penso con rabbia, a tutti i sacrifici che ho fatto per sopravvivere e alla mia fine ingrata, sul fondo del mare, dimenticata da tutti, mentre lotto con tutte le mie forze per liberarmi dalla morsa dei vestiti, che ora rappresentano la mia condanna a morte.

Ma ogni sforzo è inutile, il mio corpo è come impazzito e non risponde più ai frenetici comandi inviati al cervello, alle grida di aiuto dei polmoni che si stanno riempiendo di qualcosa che non è aria, ai disperati "may day" del cuore, che rischia di scoppiare di paura.

L'oblio mi guarda in faccia com'è già stato in passato, sogghigna e tende le braccia verso di me, mi stava aspettando. Ma io non voglio, non posso farlo.

Lotto, ma sento le forze abbandonarmi a una a una, mercenari che si sono rivelati tutto fuorché leali, che mi lasciano per un migliore offerente. Non ho scampo.

A sorpresa, due braccia forti mi afferrano per la vita e mi riportano di nuovo in superficie, strappandomi la testa dalla morsa gelata dell'acqua. Annaspo e sputo acqua salata ovunque, nel tentativo disperato di inspirare quanta più aria i miei polmoni annacquati riescono a contenere, mentre la tosse mi scuote da capo a piedi, lasciandomi a dibattermi come un'anima in pena tra le braccia della persona che, con bracciate decise, mi sta trascinando verso la salvezza. 

Mi sento sollevare in aria e mordere la pelle dal vento freddo che increspa appena la superficie del mare, quel mare che strega, che affascina e che, alle volte, uccide.

Apro gli occhi di scatto per la sorpresa, solo per trovare a pochi centimetri dal mio viso la faccia di un ragazzo, che mi scruta attentamente con i suoi magnifici occhi blu.

Ho sempre evitato il contatto visivo, o almeno, sempre dopo l'incidente, per paura di rincontrare quello sguardo da predatore che mi terrorizza da quando ero solo una bambina. Ma occhi così belli non li ho mai visti in vita mia. Sono magnetici, con l'iride di un azzurro vivo screziato di una sfumatura di blu talmente particolare, una tonalità di quelle che si ottengono solamente mescolando più sfumature dello stesso colore insieme: zaffiro, cobalto, turchese, ciano, blu acciaio, indaco. 

Nonostante la temperatura delle acque dalle quali è appena emerso, il suo corpo emana un calore a dir poco divino, potrei paragonarlo a un fuoco ardente. Provo l'impulso istintivo di stringermi a lui, chiunque sia, e di abbandonarmi alla sua presa salda e rassicurante.

Così, stupendo anche me stessa, lo faccio. Io, Luna Madison, quella che stenta a fidarsi dei suoi stessi amici, perennemente in allerta, mi sto lasciando andare tra le braccia di un perfetto sconosciuto. 

Come a scoppio ritardato, un campanello d'allarme risuona nella mia testa e un'onda di adrenalina mi fluisce nelle vene, ridandomi la capacità di muovermi. 

- Mettimi giù! - farfuglio spaventata, lo stomaco pieno di farfalle.

Lui abbassa lo sguardo sui propri piedi, ai quali calza scarpe da ginnastica che al momento sono immerse nell'acqua che gli arriva fino ai polpacci. Con un movimento deciso scaccia un'alga che gli si è impigliata a un laccio e risale lentamente le scalette di pietra che portano a livello del mare, più in basso rispetto alla banchina, dove mi trovavo prima di cadere.

Facendo attenzione a non scivolare con me tra le braccia, il ragazzo fa ritorno al livello strada e solo allora torna a incastrare i suoi incredibili occhi nei miei. Mi osserva a lungo, contemplando il mio viso senza alcun tipo di imbarazzo.

- Ecco, qui va già meglio - annuisce convinto, accennando un sorriso timido. - Sei in grado di reggerti in piedi da sola? - continua premuroso.

- Io... Credo di sì - sussurro, la voce ridotta a un rantolo.

- Dio, sei gelida - mormora sovrappensiero, sfiorandomi la pelle del collo. La sua temperatura corporea va contro ogni legge della fisica, le sue dita sono calde almeno quanto il suo abbraccio. Immediatamente sobbalzo e mi ritraggo al contatto, è istintivo ormai, come se avessi preso la scossa. Lui però non sembra accorgersene.

- Ho visto che ti sporgevi, non capisco come ti sia venuto in mente... Con queste temperature, poi... - dice con voce esitante, parlando più a se stesso che a me.

Fisso per un momento una goccia d'acqua salata che dai capelli biondi e bagnati gli scivola lungo il profilo degli zigomi, accarezza il collo e sparisce oltre l'orlo della maglietta traspirante a maniche corte. Poi torno a guardarlo in faccia, cercando una risposta.

- Non mi sono sporta poi così tanto - rispondo con un fil di voce, tremando come una foglia negli abiti pesanti e bagnati.

- Be', a me non pare proprio. Dovresti stare attenta, è davvero una fortuna che io fossi nei paraggi - ribatte leggermente divertito, un sorriso tenero a increspargli il volto.

- Mettimi giù! - ribadisco ancora, questa volta in tono più deciso.

Il ragazzo si limita a scuotere la testa e fa come gli dico, continuando imperturbabile a osservarmi. Appena poggio i piedi a terra mi coglie un capogiro, che mi costringe ad appoggiarmi a lui per evitare di cadere.

Lui fa un sorriso che vuole chiaramente dire "te lo avevo detto" e mi sorregge senza sforzo fin tanto che ne ho bisogno. Appena ci riesco, mi allontano di qualche passo e trovo ancora il suo sguardo puntato su di me. 

- Hai finito di fissarmi? - gli faccio notare, risultando più acida di quanto avrei voluto.

- Non mi pare di averti mai vista da queste parti, per cui sto cercando di fare mente locale per esserne sicuro - risponde solo, alzando le spalle e sorridendomi a mo' di scusa.
- Hai bisogno di qualcosa? -

- No, grazie - sussurro, mentre a poco a poco realizzo quanto io sia vulnerabile in questo momento, quanto sarebbe facile per qualcuno cogliermi di sorpresa e portarmi via, farmi sparire per sempre.

Sento i polmoni accartocciarsi l'uno sull'altro come carta straccia, si restringono lentamente impedendo all'aria di penetrare nel mio organismo, il cuore galoppa all'impazzata nella gabbia toracica e un improvviso senso di vertigine mi coglie alla sprovvista, facendomi barcollare.

Cerco di nascondere le mani tremanti tra le pieghe della coperta zuppa e mi costringo a voltarmi dall'altra parte. Faccio forza sulle membra sempre più instabili e scappo a gambe levate, lontano da quello sconosciuto apparentemente così gentile, lontano da tutto e da tutti. 

- Ehi, dove vai? Ti senti bene? - mi urla dietro, ma io faccio finta di non averlo sentito.

Corro a perdifiato fino a casa, apro la porta e me la sbatto rumorosamente alle spalle, dimenticandomi che Samantha sta ancora dormendo. Infatti, pochi secondi dopo, Sam si sveglia e salta giù dal letto con un balzo.

Quando mi vede lì, seduta a terra tutta scomposta, la schiena premuta sulla porta e lo sgomento appiccicato in faccia, mi squadra da capo a piedi, soffermandosi sui vestiti e sulla coperta fradici, sulle labbra blu e sui capelli che continuano a sgocciolarmi addosso.

La fisso negli occhi e mi premo una mano sul cuore, cercando di calmare i battiti che continuano a bersagliare di pugni la cassa toracica.

- Cosa ti è successo? - chiede, gli occhi fuori dalle orbite nel constatare le mie condizioni.

Non riesco a rispondere, non ancora. Respiro a fondo, lentamente, mi devo calmare. Chiudo gli occhi e ascolto le pulsazioni finché queste non mi danno un po' di tregua.

Con l'aiuto di Sam, mi alzo da terra e mi dirigo in bagno, dove districo i vestiti bagnati che mi si sono attaccati addosso. Solo una volta immersa nella vasca da bagno colma di acqua bollente trovo la forza per rispondere alla domanda di Sam.

- Sono caduta - dico solo, la voce che trema in maniera incontrollabile. - Sono uscita per prendere un po' d'aria e sono caduta in mare. -

- Stai tranquilla, non è successo niente. Va tutto bene, andrà tutto bene. Deve essere così - replica lei, con l'urgenza di ribadire il concetto nella voce.

Annuisco. Andrà tutto bene. Deve essere così.

   
 
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