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Autore: Laisa_War    24/02/2021    2 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Il carico di lavoro si rivelò più intenso del previsto e i compiti quotidiani, svolti con solerzia ammirevole, la portarono presto ad essere conosciuta e ben voluta a Kattegat, aiutandola a sconfiggere una volta per tutte l’atteggiamento guardingo dei suoi concittadini, che tanto l’aveva fatta sentire a disagio. Finalmente veniva accettata da quella che era diventata a tutti gli effetti “la sua gente”, il suo popolo.

Quegli avvenimenti del tutto positivi avevano donato a Hylde, oltre che una gioia immensa, anche una solida scusa per evitare il campo d’addestramento per i soliti allenamenti pomeridiani. Non era pronta ad affrontare la rabbia di Sigurd e tantomeno l’atteggiamento sfrontato di Ivar, sperava che la situazione si risolvesse magicamente da sola, continuando a procrastinare il momento della resa dei conti.

Di giorno le era facile non pensarci, ma poi arrivava il momento di scontrarsi con la tranquillità della notte, terreno fertile su cui far crescere e proliferare le proprie ansie e preoccupazioni, che la tormentavano tanto da non farla dormire pacificamente. La cosa si rifletteva sul suo viso, che appariva sempre stanco e provato.

Brandr, con cui divideva la stanza, si era ovviamente accorta del disagio provato da Hylde, perciò una mattina, senza alcun preavviso, decise di metterla alle strette e chiederle delle spiegazioni. «Ferma!», le urlò Brandr prima che potesse sgattaiolare fuori dalla stanza proprio per evitare l’argomento, così come aveva fatto tutte le mattine precedenti.

«Vuoi spiegarmi, una volta per tutte, cos’è successo tra te ed Ivar di così grave da farti allontanare in questo modo?», le chiese mettendosi seduta sul letto, con le braccia conserte sul petto e con aria seria, che celava la sua preoccupazione.

Hylde si era immobilizzata davanti all’uscita della camera da letto, come quando si scopre un bambino intento a compiere la sua marachella, e, prima che potesse anche solo pensare ad una scusa vera e propria, Brandr l’ammonì: «Non osare propinarmi la solita frase, tipo “Sono troppo occupata!”.». Il suo tono si fece assai minaccioso, quando aggiunse: «Ormai non ci casco più.».

In tutta sincerità, Hylde aveva già dimenticato e messo da parte, in un remoto cassetto della sua memoria, la parte drammatica della vicenda, pur essendo cosciente di aver bisogno di fare una seria chiacchierata con Ivar: dopotutto, quello scatto d’ira l’aveva spaventata. Le rimaneva un forte senso d’imbarazzo per aver mal gestito la situazione, sebbene non si sentisse la sola ed unica responsabile di come si fossero sviluppati gli eventi.

Si voltò verso Brandr, che le puntava gli occhi addosso in trepidante attesa di risposte. Con vergogna crescente e col viso sempre più purpureo, Hylde le raccontò tutto, iniziando dall’accesa discussione con Ivar. Quando arrivò alla parte del bacio tra lei e Sigurd, Brandr scoppiò a ridere.

«L’hai baciato? Sul serio?!», le chiese sgranando gli occhi e sforzandosi con tutta se stessa di non alzare troppo la voce, per non svegliare i genitori.

Hylde ci tenne a precisare che fosse stato Sigurd ad iniziare, ma confermò tutto il resto con onestà e puntualizzò anche: «Me ne sono subito pentita, però.».

«Ma tu preferisci Ivar, giusto?», domandò Brandr, cercando di far mente locale e di capirci qualcosa, poiché il suo cervello logico e preciso aveva bisogno di ordine.

«Ho fatto un disastro! Quei due si odiavano già senza il mio contributo.», piagnucolò Hylde col viso nascosto tra le mani per la vergogna, dopo aver dato all’amica una tacita risposta affermativa, annuendo con la testa. Era la prima volta che l’ammetteva lucidamente in presenza di qualcuno, e forse anche con se stessa. Il cuore prese a batterle forte.

Brandr esaurì le risate e corse in aiuto dell’amica in evidente difficoltà: «Stai tranquilla! Non devi nulla a nessuno dei due, quindi smettila di sentirti in colpa.». Aveva dei modi un po’ bruschi, ma aveva ragione. «Ed ora che hai fatto la tua scelta...», continuò lei con un viso raggiante, «...ti sarà più facile sistemare le cose con Ivar. Sigurd invece dovrà accettare la sconfitta, o se la vedrà con me.».

La pragmaticità di Brandr rasserenò l’umore di Hylde, che in tutti i giorni precedenti non aveva mai visto la situazione in modo così limpido.

La giovane guerriera si alzò dal letto ed iniziò a radunare i vestiti che avrebbe indossato quel giorno, ma prima di iniziare raccomandò a Hylde di non saltare più gli allenamenti del pomeriggio: «Altrimenti impazzirò senza di te a farmi compagnia.».

Hylde le sorrise e le promise che non sarebbe più mancata, poi si congedò, uscendo dalla stanza e raggiungendo Munin nel luogo concordato il giorno prima.

L’ansia e la trepidazione l’accompagnarono durante tutto l’arco di quella gelida giornata invernale. Dovette però ammettere di essere pronta ad affrontare Sigurd ed Ivar, desiderava ardentemente mettere un punto a quell’imbarazzante situazione. Il sostegno di Brandr aveva regalato positività al suo umore, le aveva trasmesso un senso di risolutezza davvero energizzante.

Il tardo pomeriggio arrivò alla fine di una giornata estenuante, fatta di gente malata e sofferente per il freddo, il quale penetrava nella carne fino a raggiungere le ossa, ostacolando la guarigione della maggior parte dei casi più critici. Purtroppo ad aggravare il tutto, oltre l’assenza del paracetamolo, contribuivano anche le scarse possibilità di igiene dell’epoca, problema che apparteneva soprattutto alle famiglie più modeste, e Hylde non poteva fare altro che dare qualche consiglio riguardo alla pulizia, somministrare intrugli di erbe medicinali ed assicurarsi che i malati venissero tenuti al caldo, alimentati con cibi nutrienti.

Sperimentò presto come l’inverno generasse così facilmente le proprie vittime e quanto fosse difficile superarlo, a maggior ragione per le persone dalla salute più cagionevole, che lottavano disperatamente per la vita, aggrappandocisi con tutte le loro forze.

Tutta l’angoscia vista e provata quel giorno le fece sembrare i suoi “problemi” con Sigurd ed Ivar come battibecchi infantili di poco conto, e poterli definire così fece rendere conto a Hylde di quanto lei e tutti i suoi amici fossero privilegiati a doversi preoccupare solo di questo.

Il suo timore era svanito. Percorse il sentiero battuto che da Kattegat portava al campo d’addestramento dei fratelli Lothbrok, camminando con sicurezza lungo una strada che ormai era impressa a fuoco nella sua mente.

Non appena la scorse nell’ampia vallata, Brandr sorrise radiosa, salutandola con la mano arrossata per il duro allenamento a cui si era sottoposta, scoppiava di gioia nel rivedere l’amica in quel luogo tanto importante per loro.

Notò subito l’assenza di Ivar, Hylde aveva sperato di vederlo seduto sul solito ceppo, intento a pulire le sue armi, oppure a lucidare l’elmo, o a scontrarsi con uno dei suoi fratelli. Rimase delusa di non vederlo lì insieme agli altri.

Respirò profondamente e si avvicinò alla robusta staccionata, proprio dove Sigurd stava indossando delle protezioni sopra ai propri abiti, prima di impugnare le armi e dare inizio a qualche scontro con Ubbe o Hvitserk.

Nel momento in cui la vide, fu tentato di allontanarsi, ignorandola come se nulla fosse, ma Hylde fu molto più tempestiva e mandò in fumo i suoi piani, chiamandolo per nome e chiedendogli: «Ti va di parlare?».

Le osservò il viso dispiaciuto, il quale tradiva una certa preoccupazione nell’affrontare quel discorso inevitabile, e, purtroppo per lui, non avrebbe mai saputo dirle di no. Finì d’indossare l’armatura protettiva e si avvicinò a lei, appoggiando i gomiti sulla staccionata, pronto all’ascolto.

Hylde procedette con una certa timidezza, mantenendo lo sguardo basso, e, raccogliendo tutto il suo coraggio, parlò trasmettendo al ragazzo una totale onestà: «Avevi ragione... è Ivar, è sempre stato Ivar.». Lo ammise ad alta voce, finalmente.

Sigurd s’irrigidì, era uno smacco difficile da sopportare, ma i suoi pensieri furono frenati dalla voce della ragazza, che continuò il discorso: «E non avrei dovuto ricambiare quel bacio, sapendo quello che provi. Mi dispiace.». Era sincera, senza filtro alcuno, quando alzò lo sguardo in direzione del viso del giovane uomo davanti a lei. Lo guardò negli occhi, di cui uno presentava una piccola malformazione alla pupilla, che la rendeva di forma allungata, come un minuscolo serpente, e notò quanto quel volto così piacente fosse tumefatto: presentava dei lividi qua e là, in più il labbro inferiore si era rotto, come se fosse stato preso a pugni. I ragazzi non si erano mai ridotti così, neanche dopo gli allenamenti più tosti.

«Cosa ti è successo?», domandò Hylde allarmata, mentre gli raccomandava di alleviare il dolore con della neve o del ghiaccio.

Sigurd ridacchiò con il suo tipico ghigno spietato, prendendo sottogamba quelle ferite e spiegandole: «Potrei aver detto ad Ivar che ti ho baciata.». Sembrava davvero divertito, sebbene quel gesto gli fosse costato il cambiamento dei connotati facciali.

Hylde rimase impietrita, un po’ per la reazione esagerata di Ivar e un po’ per la sfrontatezza senza limiti di Sigurd. Con gli occhi sgranati, riuscì a sussurrare solo un: «Come, scusa?».

«Tranquilla, ho chiarito che la colpa è solo mia, ma avevo voglia di concedermi una rivincita.», l’atteggiamento insolente, ma dannatamente divertito di Sigurd iniziava a darle sui nervi. Ridacchiava con l’impudenza di qualcuno abituato a prendersi gioco dei sentimenti altrui, soprattutto del fratello a lui meno simpatico.

La ragazza frenò con tutta se stessa l’istinto di reagire a sua volta con violenza, tenendo a bada l’irritazione nel vederlo così compiaciuto della sua azione. Le sovvenne poi un pensiero non troppo felice: «Per questo Ivar non si è presentato oggi? Sta male, o è ferito?».

Lui scosse la testa di fronte all’ennesima prova di quanto l’attenzione di Hylde fosse rivolta unicamente verso Ivar e dovette rassegnarsi al suo evidente non interesse. Non abbandonò il suo atteggiamento sfrontato, ma si fece comunque più serio, andando incontro alla preoccupazione della ragazza: «Non preoccuparti, è successo qualche giorno fa e l’unico ad essersi ridotto così sono io.».

Hylde si rilassò grazie a quelle parole ed ora sentiva il bisogno di vedere Ivar, per accertarsi di persona che stesse bene, ne percepiva l’urgenza ed era decisa a congedarsi, ma venne fermata da Sigurd, che non aveva ancora finito di parlarle e che aveva già captato le sue intenzioni: «Prima che tu vada da lui, volevo dirti che non avrei dovuto baciarti, sapendo già cosa provassi per Ivar.». Erano pari, si erano usati entrambi per motivi totalmente differenti, e sfortunatamente si era reso conto troppo tardi che non sarebbe servito a nulla, un bacio non le avrebbe mai fatto cambiare idea.

La giovane sorrise, comprendendo come fosse stato difficile per lui mettere da parte l’orgoglio e parlarle così sinceramente, e si sentì molto sollevata. Gli confessò che ormai considerava loro fratelli Lothbrok, nonché Brandr ed i suoi genitori, come la sua famiglia e non poteva sopportare di partire per una spedizione tanto pericolosa senza che ci fosse la massima fiducia, senza aver risolto quei piccoli conflitti.

Tese l’avambraccio verso di lui: «Amici?».

Sigurd ci pensò un attimo e, per lei, decise di archiviare definitivamente tutto il suo orgoglio di uomo ferito. «Non sarà facile per me, ma...», le si avvicinò e, intrecciando i loro avambracci, le strinse la mano con fermezza: «...sì, amici.».

Si sorrisero con tenerezza, in vista di quella che tra loro due sarebbe stata solo una bella amicizia, e Sigurd avrebbe fatto bene a prenderne atto, benché fosse già sulla strada giusta per farlo.


Hylde si sentì immediatamente più leggera all’idea di aver sistemato il rapporto con Sigurd, che era tornato ad un comportamento del tutto tranquillo nei suoi confronti, benché permanesse ancora un senso d’imbarazzo. Si sentiva come se si fosse liberata di uno dei grossi macigni che le opprimevano la bocca dello stomaco, dandole quel costante senso d’angoscia.

Aveva lasciato il campo d’addestramento poco dopo aver parlato con Sigurd, quando gli altri le avevano detto il motivo per cui Ivar non fosse presente: era una delle giornate in cui veniva affetto dai violenti dolori alle gambe. Erano ormai degli eventi sporadici, ma capitavano ancora. Di solito, succedeva dopo giorni di intensa attività fisica, quando corpo e mente venivano sottoposti a forte stress, ed il dolore era talmente debilitante da costringerlo a letto. Nessuno poteva fare nulla di significativo per lui, a parte preparargli una bevanda rilassante a base di malva e belladonna, per indurgli un sonno profondo.

Sebbene le avessero assicurato che si sarebbe ripreso dopo un paio di giorni di completo riposo, Hylde non poté fare a meno di preoccuparsi e dovette accertarsi delle sue condizioni. Corse da lui, istintivamente, senza pensarci un secondo di più.
  
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