L’XYZ
DEL BEBÈ
One-Shot ispirata a “Il dono
dell’angelo”, storia breve di Hojo scritta e
pubblicata per la prima volta nel
1988, su Tsukasa Hojo’s Short Stories 1, da noi nel 2000 su
Point Break vol. 4-
Hojo World 1, edito da Star Comics.
Testa sotto al
cuscino, nudo come un verme, con ancora addosso i postumi di una
sbronza
colossale e l’odore dell’alcol ingurgitato in
compagnia del compare di merende
Mick la notte precedente, Ryo Saeba fingeva solamente di dormire. In realtà pensava,
rifletteva. A renderlo
insonne e bisognoso di rifuggire la sua stessa casa era una donna,
anzi, LA DONNA, Kaori Makimura,
partner,
socia, amica, famiglia, angelo sulla sua spalla e, per quanto gli
dolesse
ammetterlo, amore della sua vita.
Amore che, tra l’altro, lei ricambiava,
nonostante quello fosse nient’altro che un folle sentimento
che un uomo nella
sua posizione non si sarebbe mai potuto permettere di provare; ma ormai
era
passato troppo tempo, erano troppi anni che Ryo lottava contro il
proprio
cuore, ed in un modo o nell’altro lo stava facendo ancora:
aveva ammesso con sé
stesso di amarla, ma ammettere, a chiare lettere, con Kaori cosa
provasse era
tutt’altra storia…
Per questo, dopo quello che era
avvenuto nella radura, quella mezza ammissione (“sopravvivrò
per la persona che amo”) Ryo aveva fatto un mezzo
passo indietro, comportandosi con Kaori come se nulla fosse accaduto, e
nessuna
parola avesse lasciato le sue labbra (nonostante la presenza di un
testimone).
Quel giorno di estate in cui Miki e Falcon erano convolati a giuste
nozze ,
dopo il ferimento della sposa, Kaori era stata rapita, e dopo che
l’aveva
ritrovata, Ryo aveva deliberatamente scelto di lasciare il discorso in
sospeso,
evitandolo, ed evitando la socia tutte le volte che avvertiva che
suddetto
discorso stesse per essere per affrontato.
Da qui le tante, molte, troppe nottate
passate fuori, a bere, girovagare, e cercare sollazzo in conturbanti e
svenevoli corpi di giovani e sensuali donne dai facili costumi
– tra l’altro
inutilmente, perché c’era sempre qualcosa che
frenava i suoi entusiasmi di
giovani stallone, che fossero le stesse femmine, reticenti ai suoi
animaleschi
e perversi approcci, oppure la sua coscienza,
o quello che ne restava, che gli faceva fare marcia indietro
non appena la
possibilità di concretizzare gli si presentava davanti,
rammentandogli il
sorriso della bella e dolce Kaori.
Ryo brontolò. Doveva togliersi Kaori
dalla testa, se non proprio dai piedi. In quella dannata radura lei
aveva
rischiato di rimanerci secca perché il generale pensava che
fosse la sua donna.
Era stato un campanello dall’allarme, l’ennesimo,
ma soprattutto la goccia che
aveva fatto traboccare il vaso, prova evidente che City Hunter non
poteva avere
una famiglia, per quanto, dopo aver avvertito il calore del corpo di
Kaori
attraverso la lastra di vetro che li separava sulla nave di Kaibara, la
mente
dello sweeper avesse iniziato a giocargli il crudele scherzo di
mostrargli
bimbetti dai riccioluti capelli rossicci e gli occhi neri.
“Sveglia pigrone, dobbiamo andare alla
stazione!” Con la sua squillante voce (come facesse ad essere
così pimpante a quell’ora
disonorevole- le sette, secondo la sua sveglia - Ryo proprio non lo
capiva) e
la grazia tipica di una mandria di elefanti imbizzarriti, Kaori irruppe
nella
sua camera suonando un gong per dargli una sonora svegliata. Ryo si
sedette sul
letto, le vergogne a malapena coperte dal sottile lenzuolo,
sbadigliando
sonoramente, mentre la sua
socia fece
una faccia disgustata e si chiuse il naso con due dita mentre
spalancava la
finestra. “Porca miseria, c’è talmente
tanta puzza che sembra di stare in una distilleria,
ma come fai a dormire in un questo stato?”
Kaori gli lanciò
un’occhiataccia carica
di giudizio, e Ryo, ridacchiando, si grattò la testa: nel
dubbio, meglio stare
zitti.
“Lasciamo perdere, tanto sei una causa
persa.” Sospirò la donna alzando gli occhi al
cielo, parlando forse più a sé
stessa che a lui in particolare. “Senti, giù hai
il caffè, io vado a vedere se
c’è qualche XYZ alla lavagna, tu guarda di essere
pronto per quando torno che
voglio distribuire un po’ di volantini, siamo quasi al verde
e tra un po’ i
creditori riinizieranno a suonare alla porta!”
Facendo cenno di sì come un bravo
cagnolino, lo sweeper attese che la socia fosse uscita per lasciare il
letto,
dove, attizzato dalla presenza di Kaori, il suo amichetto
smaniava di uscire fuori a giocare con l’oggetto
delle
più spinte fantasie erotiche del buon Saeba, che
fissò con astio e rimprovero
quel Mokkori birichino. “Stai a cuccia, dannazione! Lei non
deve sapere che ci
piace! Kaori non si tocca, lo sai!”
Intimorito dal tono di Ryo, che
sembrava minacciarlo di fargli passare il resto della vita in bianco,
la
virilità dello sweeper tornò a cuccia, e Ryo si
lasciò cadere sul letto,
coprendosi il volto con le mani: non era mai stato esattamente normale,
ma
adesso stava decisamente uscendo fuori di testa, doveva fare qualcosa e
al più
presto.
E fu in quel momento che sentì
l’urlo
raggelante di Kaori provenire dall’ingresso del loro
appartamento; infilandosi al
volo un paio di boxer, afferrò la fidata Python dal
comodino, e corse a
perdifiato lungo la scala, evitando di chiamare la donna facendo
battute idiote
(“Cos’è, ti sei
vista allo specchio?”);
puntò l’arma sulla porta, dita sul grilletto,
concentrato per prendere la mira,
quando tuttavia qualcosa destò la sua attenzione e lo
riportò con i piedi per
terra.
Kaori fissava qualcosa davanti a lei,
terrorizzata, tremante, incapace di proferire una sola parola, e stava
indicando quello stesso qualcosa da cui era incapace di distogliere lo
sguardo.
“Porca miseria, mi hai fatto prendere
un colpo! Ma si può sapere che cavolo ti passa per la testa,
brutta cretina che
non sei altro?” la accusò lui, ringhiandole
contro, sbattendo i piedi per
terra, mentre al contempo le si avvicinava per vedere cosa la stesse
terrorizzando a tal punto. Un ragno? Un topo? Poteva essere tutto o
nulla.
Poi, Ryo, lo vide, ed in modo quasi
automatico, il suo corpo assunse la medesima postura di quello di
Kaori.
Nascondendosi dietro di lei, tremante, indicò lui pure
l’oggetto alieno che si
trovavano davanti… un passeggino, che era
tutt’altro che vuoto, perché dentro
c’era… cosa, un neonato? No, Ryo non era quel
grande esperto di bambini, ma
fino a lì ci arrivava, quello (o quella) doveva avere
più di un anno.
Il piccolo – un maschio, dato che sul
bavaglino c’era ricamato a punto croce il nome Hide
– allungò le manine verso
di loro, tutto tranquillo e sorridente, nemmeno si fosse trovato
contornato da
mille pupazzi, ed esordì con la sua dolce vocina…
“Pa- pà.”
Immediatamente lo sweeper si fece
piccolo, piccolo e fece un passo indietro, avvertendo montare
l’aura assassina
della socia, che si voltò per guardarlo in faccia a denti
stretti, e invocando
il suo più pesante martello, il Punizione
Divina da 350 tonnellate, lo colpì alla testa
spiaccicandolo nel pavimento,
mentre borbottava le frasi maniaco,
bugiardo, stronzo, te lo do io la donna che ami, non mi prendi
più per il culo senza
attendere che lui si spiegasse, che le desse una qualche
giustificazione, senza
considerare cosa potesse essere accaduto… Hide lo aveva
chiamato papà, quindi
Ryo non solo era andato a letto con un’altra, ma
l’aveva pure messa incinta e
adesso la bella voleva mollare a lei il frutto del peccato.
Col
cavolo. Stavolta faceva le valigie e lo mollava sul
serio, altro che andare
a lavorare con Mick… lei si prendeva l’aereo e
andava a starsene vita natural
durante a New York con Sayuri, pazienza se l’inglese non lo
sapeva ancora, lo
avrebbe imparato, e nel frattempo qualcosa si sarebbe inventata. Di
certo, non
sarebbe rimasta lì a reggere il gioco – o peggio,
il moccolo - a
quello smidollato di cui cretinamente si
era innamorata!
La sua marcia verso la sua stanza, e le
valigie, fu però interrotta dalla risata del bambino, che
allegro batteva le
mani e le allungava verso di lei, chiamandola…
“Mama!”
“Allora sei tu che mi hai nascosto
qualcosa!” Ryo ringhiò, indicandola, la rabbia che
lo aveva aiutato a liberarsi
in un battibaleno del pesante martello e a riprendersi come se nulla
fosse
accaduto, mentre, la Python impugnata, il dito sul grilletto iniziava a
tremargli
dalla voglia, e dal bisogno, di sparare un colpo in mezzo agli occhi a
chiunque
avesse osato insudiciare il corpo della sua
Kaori: che lui non la volesse toccare era un conto, che gli
altri
ritenessero di poterlo fare era un altro.
“Confessa… chi è stato? Mick? Quel
produttore televisivo da strapazzo? Quello sbirro quattrocchi? Chi ti
ha messo
le mani addosso? Chi è il padre di tuo figlio?”
“Il… il padre
di….” Kaori strabuzzò gli
occhi, balbettando con la bocca da pesce lesso. Poi, colpita nel vivo
dalla
filippica del suo socio, memore di tutti quei complimenti che negli
anni le
aveva fatto- non per ultimo definirla un mezzo uomo - e ribadire sempre
e
comunque che no, lui, con una (anzi, uno) come lei non ci sarebbe mai
stato, lo
polverizzò nuovamente con uno dei suoi pesanti martelli.
“Come osi pensare di
poter controllare la mia vita, lurido maiale! Non sei mio marito
né mio fratello,
e comunque, come ti permetti di pensare che avrei potuto nascondere una
gravidanza, brutto cavernicolo cretino… al massimo quello
può essere figlio
tuo, sei tu quello che va con tutte tranne che la
sottoscritta!”
Un leggiero ah,
già salì da sotto il pesante martello
che copriva la testa di
Ryo, incastrata di nuovo nel pavimento, per la gioia e delizia del
piccolo che
continuava a chiamare Papa e Mama e ridere e battere le sue paffute
manine colmo di giubilo.
Liberatosi dal martello, ancora
coricato a terra, Ryo intanto guardava con tono accusatorio la
creatura,
chiedendosi chi fosse, da dove venisse, e come porre rimedio
all’intera
faccenda… di certo, non era figlio suo: non lo avrebbe mai
ammesso con Kaori,
nemmeno sotto tortura, ma ormai era passato talmente tanto tempo
dall’ultima
volta che era stato con una donna - ammesso e non concesso che il
profilattico
avesse fatto cilecca – che quel bambino era troppo piccolo
per essere figlio
suo.
Si perse tuttavia in quegli occhietti
scuri, ed il suo cuore fece uno strano movimento ballerino, il calore
gli si
diffuse nel petto, quando la sua mente gli fece il crudele scherzo di
mostrargli quello che lo sweeper poteva immaginare come solo il
paradiso
potesse essere, l’utopia suprema…. Si vide
coricato a letto, la mattina, con i
raggi del tiepido sole che entravano dalle veneziane, e Kaori che,
seduta
contro la testata, allattava al seno quel marmocchio, mentre lui posava
il capo
sul grembo della sua compagna, facendo le fusa mentre lei gli
accarezzava lo scalpo.
Istintivamente, allungò la mano verso
il bambino, per sfiorare quel nasino e quelle guanciotte, quei grandi
occhi
scuri, ma si fermò, le dita a mezz’aria. Ma
che cavolo vado a pensare? Mica può essere figlio mio e di
Kaori… con lei non
ci sono mai stato! Anche se
sì,
effettivamente, con quel gran bel corpicino qualche pensiero me lo sono
sempre fatto,
insomma, ha un bel paio di tette e un gran bel culetto, però
mica bastano i
sogni per fare i figli… si redarguì,
maledicendosi per quello sciocco
pensiero.
“Ryo!” Seduto a terra ora a
gambe
incrociate, si sentì chiamare, e si voltò verso
Kaori, che, borsa in spalla e
scarpine col tacco ai piedi, era già pronta ad uscire
(mentre lui era ancora
letteralmente in mutande). “Chiunque
siano i genitori di questo bambino dobbiamo capire cosa è
successo, e non credo
che la casa di City Hunter sia un posto abbastanza sicuro per questa
povera
creatura innocente, quindi datti una mossa e vestiti, dobbiamo uscire a
fare un
po’ di domande in giro!”
Come un fedele cagnolino, Ryo si mise a
fare cenno di sì col capo, quasi fosse stata Kaori il grande
capo- e tutto per
la somma delizia di Hide, che non pareva minimamente interessato a
smettere di
ridere…
Ryo
aveva interrogato tutti i suoi informatori, Kaori aveva fatto il giro
di tutti
gli abitanti più “tranquilli” di
Shinjuku, erano andati anche al parco dove si
erano conosciuti per vedere se qualcuno sapesse qualcosa di un bimbetto
di nome
Hide, ma non erano giunti a nulla: nessuno sapeva nulla, ed era come se
quel
bimbetto fosse apparso dal nulla davanti alla loro porta di casa,
neanche fosse
stato uno spirito o chissà che altro- peccato che fosse un
bimbetto in carne e
ossa che Ryo, con suo grande disgusto, chiudendosi il naso con una
molletta e
guardando in alto, aveva pure cambiato. L’unica cosa positiva
era che Kaori
aveva sorriso e riso, dandogli una leggera gomitata nel costato
constatando che
sembrava di entrare in bagno quando lui era appena uscito e che quindi,
sei proprio sicuro che non sia figlio tuo?
Purtroppo no, non era figlio loro,
nonostante ogni volta che Kaori
teneva in braccio la creatura quel pensiero tornasse assillante a
perseguitarlo, rendendolo inquieto… un desiderio ed un sogno
mai apertamente
ammessi, né a sé stesso né, tantomeno,
a lei, per quanto fosse pazzo ed
irrealizzabile: poteva uno sweeper avere una famiglia? Il Professore
gli aveva
sempre detto di no, suo padre gli aveva insegnato che amare qualcuno
era una
debolezza, eppure, guardare la donna (più o meno
segretamente) amata che teneva
in braccio quel piccoletto lo riempiva di una tenerezza infinita, e gli
faceva
venire voglia di rimangiarsi quelle assurde affermazioni sul fatto che
i
bambini non gli piacessero o lui non li volesse.
Alla fine, avevano preso una decisione:
i loro informatori non sapevano nulla? Forse quelli di Falcon invece
avevano
udito di qualche coppietta nei guai con la mala, e dove non arrivava
l’amico
scimmione poliposo forse sarebbero giunte le orecchie di Miki con cui
le
clienti erano più aperte alla confidenza, dato il suo
sorriso ed i suoi modi
affabili. Un po’ più speranzosi, avevano quindi
varcato la soglia del Cat’s Eye
Cafè, dove Ryo si era esibito nel suo solito numero,
gettandosi nelle braccia
di Miki librandosi in volo nonostante il pericolo di padelle (di Umi e
Miki) e
martelli (di Kaori) che lo sweeper sapeva lo avrebbero colpito in
testa…
Tuttavia, a fermarlo nel suo impeto
amoroso, mentre, con le braccia alla vita delle donna, affondava il
viso nei
morbidi seni, non furono né le une né gli altri,
ma un martelletto di quelli in
gomma dura usati per il montaggio dei mobili – ed il fatto
che fosse di gomma
non lo rendeva di certo meno doloroso – brandito
nientepopodimeno che… dal
piccoletto, che fissava lo sweeper con il labbro tremulo, chiara
indicazione
che stesse per scoppiare a piangere.
Cosa che fece, lacrimando goccioloni
talmente grossi che pareva una fontana, agitando le braccine in
direzione di
Kaori, urlando Papa ancora e
ancora e
ancora, apparentemente inconsolabile, nonostante le rassicurazione
della donna
ed il fatto che Ryo, una volta ripresosi dalla shock di quel
comportamento così
peculiare (così da Kaori) avesse cessato le sue avances per
correre in aiuto
della partner facendo facce buffe
e
smorfie per far smettere di piangere il botolo, che, resosi conto di
essere di
nuovo al centro dell’attenzione dell’uomo, si era
fatto prendere in braccio,
allungandosi sorridente verso lo sweeper che acconsentì a
realizzare quel
semplice desiderio. Ryo, guardandolo con occhi dolci, prese a
massaggiargli la
schiena, fino a che il piccolo non si fu addormentato,
e solo allora si rese conto del rossore sulle
guance di Kaori. Osservandolo con sguardo interrogativo, si chiedeva il
perché
di quella inusuale risposta del suo corpo, ma poi notò le
espressioni, alcune
stupite, altre incredule, altre ancora divertite, del loro gruppetto di
sgangherati amici – c’erano proprio tutti quella
mattina, nemmeno si fossero
dati appuntamento lì apposta – e fu il finimondo.
Si parlavano addosso l’uno
all’altra,
dando loro addosso con tale enfasi che non avevano nemmeno il tempo di
reagire
o di provare a rispondere alle domande e alle accuse…
“Non riesco a credere che vi siate
sposati in segreto e abbiate avuto un bambino!”
piagnucolò Reika. “Povera me, i
miei sogni di poter far parte di un’affascinante e sexy
coppia di sweeper in
amore e affari andati in fumo!”
“Beh, almeno ha preso quasi tutto dalla
dolce e bella Kaori, sarebbe stato terribile se avesse ereditato il tuo
brutto
muso!” lo schernì Mick, mentre fingeva di rubare
il naso del piccolo.
“Però, non riesco a credere
che così
magra tu sia riuscita a nascondere una gravidanza… ma come
hai fatto, Kaori?”
Domandò Kazue, preoccupata, col tono scientifico della brava
dottoressa, senza
tuttavia disdegnare un’occhiata accusatoria
all’indirizzo di Ryo. “Questo
maiale non ti ha fatto stare a dieta, vero? Durante gravidanza ed
allattamento
mantenere una dieta equilibrata e
prendere
il giusto peso è importante per la salute della mamma e del
bambino!”
“Ih, ih, ih, hai finito di fare il
cascamorto con tutte adesso che sei padre!” lo prese in giro
Umibozu, che
sorrideva a trentadue denti a quella curiosa scenetta.
“La mia migliore amica non mi ha detto
nulla… non riesco a crederci, mi hai sempre confidato tutti
i tuoi sentimenti
su Ryo, tutte le tue preoccupazioni, i tuoi dubbi, e non mi hai reso
partecipe
di una cosa così importante!”
Piagnucolò Miki con tono petulante ed accusatorio.
Non fu però questo a mettere in allarme Ryo, che guardava da
Miki a Kaori e
viceversa, quanto l’aver udito la parola dubbi…
come poteva la sua Kaori avere dubbi sul suo amore per lei? Certo, lui
era
cafone, era stronzo, diceva un mucchio di cattiverie, ma lei doveva saperlo che era solamente un
meccanismo di difesa, la loro routine, che la voleva tenere saldamente
lontana
dal suo cuore per difenderla dai loro nemici!
“LA VOLETE PIANTARE?! NON SIAMO I
GENITORI DI QUESTO MARMOCCHIO!” Ryo sbraitò,
svegliando suddetto marmocchio che
si mise a piangere, di nuovo, nonostante i tentativi di Ryo di
calmarlo, le
piccole pacche sulla schiena, le smorfie e tutto il resto.
“Su, su, dai che
scherzavo, che sei il mio preferito, dai, smettila che ci guardano
tutti, stai
buono Hide…”
“Hide?” Saeko
sobbalzò, lasciando lo
sgabello dove, compiaciuta e divertita, si stava godendo la scenetta.
Raggiunse
gli sweeper e con le lacrime agli occhi li accolse entrambi nel suo
abbraccio,
cosa che sconvolse talmente tanto Ryo che nemmeno si rese conto che
aveva il
seno della procace poliziotta che premeva contro il suo petto.
“Chiamare vostro
figlio come Hideyuki… è la cosa più
dolce che avreste potuto fare, grazie
mille.”
“Ma…
ma…” Ryo sbottò, tenendo la voce
bassa, temendo di turbare il bambino, ma con uno sguardo che glaciale
era dir
poco. “Oh, sentitemi bene tutti quanti e mettiamo le cose in
chiaro una volta
per tutte: io di figli, prima di aver raccolto tutti i debiti che tu, cara la mia ispettrice, mi devi, non
ne voglio avere, chiaro? E comunque, il mio
obiettivo….”
“Sì, sì, lo so, il
tuo personalissimo
obbiettivo e scopo unico della tua esistenza è dare una
bottarella a tutte le
donne della terra prima di passar a miglior vita, lo
sappiamo…” Mick lo prese
in giro, alzando gli occhi al cielo quasi rassegnato. “Lo
ripeti da quando ti
conosco, brutto cretino…”
“No, non tutte!”
sibilò, indicando
Kaori al suo fianco. “A quella
una
bottarella non la darei mai! Io, lo stallone di Shinjuku, il fulgido
sogno
erotico delle donne del nostro Paese, andare con un mezzo uomo, una
virago?
Mai!”
“Cos’è che avresti
detto, scusa?” Gli
domandò lei, secca, alzando un sopracciglio.
“Ripetilo ancora se ne hai il
coraggio, brutto maiale stronzo che non sei altro!” Appena
pronunciate quelle
parole, dettate più dall’abitudine a ripeterle ad
nauseam per ricordare a
nemici/avversari/criminali vari che no, Kaori non era la sua donna
(quindi era
inutile che pure loro la rapissero per ricattarlo) che da un pensiero
tangibile
ed onesto, Ryo, avvertendo l’aura della donna incupirsi,
prese a tremare e si
voltò verso di lei, indietreggiando verso il muro con le
mani alzate nel vano
tentativo di difendersi ed arrendersi, supplicando perdono per
l’ennesima
volta, e sempre per la stessa ed unica ragione.
Non fece in tempo a difendersi o
scusarsi che uno dei martelli della donna, per il sommo divertimento di
Hide,
lo colpì nel cranio, facendolo volare nella strada
attraverso la spessa vetrata
del locale – vetrata antiproiettile, tra l’altro.
Lasciando cadere il martello
a terra, Kaori prese il passeggino, stizzita, naso
all’insù senza degnare di
uno sguardo la creatura che il
destino e la sfortuna avevano voluto essere suo partner
nonché l’amore della
sua vita.
“Andiamo Hide, ci penserò io
a trovare
la tua mamma ed il tuo papà, non abbiamo bisogno di questo
cretino!”
Vedendola allontanarsi, il cuore che
gli palpitava nel petto al pensiero di saperla sola per le strade di
Shinjuku,
dove lei e quella povera creatura innocente sarebbero stati facile
preda dei
tanti balordi che popolavano il quartiere, urlando a squarciagola di
aspettarlo
e di non correre con quel trabiccolo, Ryo si alzò e
galoppò alla rincorsa della
sua bella, sotto gli occhi esterrefatti dei presenti che non poterono
che
commentare come, effettivamente, quel riccioluto bimbetto dai furbi
occhi scuri
e i riflessi veloci sembrasse figlio della coppia…
“Già….”
Saeko commentò con un
sorrisetto, nonostante l’aria affranta della sorella anche
aveva visto il suo
sogno di sposare Ryo e con lui aprire una loro agenzia, infrangersi
davanti ai
suoi stessi occhi. “Quei tre sono proprio carini insieme, e
poi, ormai lo sanno
tutti, Ryo è cotto di Kaori e sarebbe solo ora che lo
ammettesse!”
Si
erano fermati in un piccolo parco giochi, un’area dove
soffice sabbia era
circondata da splendente erbetta verde e ombreggiata dalle fronde degli
alberi
dove gli uccellini cinguettavano allegri, corteggiandosi, oppure
circondati
dalla loro prole, quasi una presa in giro dell’assurda
situazione in cui Ryo
era finito. Pigramente spaparanzato su una panchina a pensare, Ryo
gettava
occhiate furtive alla compagna, che giocava su una giostrina per i
più piccoli
con Hide…. Kaori era proprio carina, quel giorno, con i
capelli corti e quel
grazioso vestitino di
jeans e le
scarpette con quel leggiero tacco sembrava una giovane mamma al parco
col suo
bambino… di nuovo la sua mentre, normalmente controllata e
perennemente
all’erta, gli giocò un tiro mancino, mostrandogli
lui e Kaori seduti sull’erba,
accoccolati, con un cesto da pic-nic tra di loro, e Hide, ormai
cresciuto, sui
tre anni, che provava a dare calci ad un pallone che sembrava
più grande di
lui, tra le risate ed i sorrisi dei genitori che si scambiavano coccole
furtive, lontano dallo sguardo del bambino…
Sospirò, alzandosi per raggiungere
Kaori dalla giostrina. Non andava per nulla bene; non era solo il fatto
di
avere quei pensieri, già di per sé pericolosi,
era quello che stavano facendo,
il giocare all’allegra famiglia felice, l’esporsi
in quel modo ed il
permettersi di sognare, illudersi che quella potesse essere, divenire
la loro
quotidianità, che potessero tenere quel bambino e crescerlo
come loro.
Avevano provato tutte le strade
ufficiose, non avevano funzionato, quindi, Ryo, mani in tasca e sguardo
truce,
dovette ammettere che era ora di passare a quelle ufficiali, e lasciare
Hide
nelle capaci mani dello Stato. Lo faceva tanto per il piccolo, per non
esporlo
ai pericoli del loro mondo, quanto per sé stesso e Kaori,
che, lo poteva capire
da quella luce negli occhi, quasi considerava già suo quel
bambino che tanto le
assomigliava.
“Kaori…”
sussurrò, mesto,
avvicinandola, e appena lo vide e sentì quel tono, la donna
abbassò gli occhi,
immediatamente rattristata, conscia che la scenetta della famigliola
felice
stava per finire. “Kaori, non possiamo tenerlo con noi,
è troppo pericoloso, lo
sai anche tu. Forse dovremmo chiedere a Saeko di contattare gli
assistenti
sociali perché lo prendano in custodia e possano trovare i
suoi veri genitori…”
“Sei solo un verme!” Con le
lacrime
agli occhi, Kaori strinse i denti, ed abbracciò il bambino,
tenendolo premuto
contro il petto; con le ditine tozze, Hide prese a solleticarle il
mento,
inconsapevole di cosa gli stesse capitando attorno. “Come
puoi abbandonare così
un bambino così piccolo… un bambino che ti
è stato affidato, poi! Cos’hai al
posto del cuore, una pietra?”
“Ma andiamo, rifletti, questo potrebbe
essere l’unico modo per trovare i suoi veri
genitori!” Ryo sibilò, cercando di
calmare i bollenti spiriti di entrambi. “E comunque qui
stiamo sfiorando il
ridicolo… tutti che credono che noi siamo i genitori di
questo… questo botolo, e
adesso ti ci metti pure
tu a comportarti da mammina! Cristo santo, Kaori, te lo vuoi mettere in
quella
testaccia dura che noi non siamo i
suoi genitori, e non ci possiamo permettere di giocare alla famigliola
felice?”
Stava per continuare il suo attacco
verbale, insolente come solo lui sapeva essere, ma vide Kaori piangere,
le
lacrime che cadevano nella chioma rossiccia del bambino che la donna
stringeva
a sé quasi ne fosse dipesa la sua stessa vita.
“Credi che non lo sappia?”
Mugolò tra
le lacrime, la voce bassa rotta dal pianto. “Io volevo una
famiglia, Ryo, ho
sognato di sposarmi in abito bianco e di avere un figlio… ma
so che scegliere
di rimanerti accanto ha significato rinunciare a vedere quei sogni
realizzati…
ma almeno per qualche ora, volevo poter vedere come sarebbe stata la
mia vita
se avessi preso una strada diversa, o se…. Se noi due
fossimo stati diversi,
due persone normali che si incontravano lungo la strada, in un parco,
attaccavano bottone e si innamoravano…”
Ryo alzò una mano in sua direzione,
desiderava dirle qualcosa, ammettere che sì, anche lui aveva
avuto quei sogni,
li aveva ancora, ma non poté; le parole gli morirono in
bocca mentre la gola
gli si seccava, arida, all’improvviso, e sentiva la propria
anima piombare nella
fredda oscurità mentre il suo corpo, nonostante
l’arsura estiva, rabbrividiva
al pensiero di una vita senza Kaori… e se lei avesse deciso
che lo voleva, il
matrimonio, i figli? Conscia che lui non avrebbe voluto darglieli, si
sarebbe
allontanata, lo avrebbe lasciato per trovare consolazione tra le
braccia di un
uomo meno codardo, più aperto a vivere i suoi sentimenti?
Solo quella mattina
aveva pensato di allontanarla, adesso, l’idea che lei potesse
avere quelle cose
con qualcun altro, che un altro uomo potesse guidarla attraverso quelle
cruciali tappe della sua vita di giovane donna, lo attanagliava.
“Senti, Ryo…” Kaori
sussurrò,
asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “E se
tornassimo a casa?
Proviamo ancora a fare un giro intorno al palazzo, chiediamo ancora un
po’,
magari qualcuno ha visto qualcosa, e potremmo anche controllare i
nastri di
video-sorveglianza…”
Ryo non rispose. Mogio, mani in tasca,
si limitò a fare cenno di sì col capo, mentre si
incamminarono verso casa,
Kaori con in braccio il bambino, lui a guidare il passeggino vuoto un
paio di
passi indietro. Non riusciva a staccare lo sguardo dalla schiena di
Kaori che
si allontanava, e una parte di lui temeva che quello non fosse
null’altro che
un sinistro presagio di cosa sarebbe accaduto nel loro futuro.
Era così perso nei suoi sinistri
pensieri che non si era nemmeno accorto di averli superati, mentre
attraversano
ad un semaforo un attraversamento pedonale.
“Oh, accidenti!” la
sentì sibilare,
notando che era rimasta indietro e non lo raggiungeva. Ryo si
voltò per vedere
cosa l’avesse fatta tardare, e vide Kaori con la scarpa
impigliata in un
tombino, che sembrava non volerne sapere di liberarsi. La rossa, con
ancora il
bebè in braccio, mentre la campanella prese a squillare,
annunciando che presto
la luce del semaforo da verde sarebbe divenuta rossa, si contorceva nel
tentativo di liberarsi, ma non fece altro che procurarsi una dolorosa
distorsione alla caviglia incriminata. Ryo rabbrividì, e
vide un grosso camion giungere
all’incrocio velocemente, senza dare
nessuna indicazione di voler rallentare. Quando il veicolo fu ormai su
di loro,
scattando rapido come un gatto, l’uomo abbandonò
il passeggino e si gettò sulla
donna e sul piccolo, per fare loro da scudo e allontanarli dal
pericolo, e
mentre guardava con la morte nel cuore il sorriso del bambino, che lo
chiamava papà
accarezzandogli la guancia ispida
per la barba, Ryo e Kaori rotolarono a terra, lontano dal camion
impazzito che
andava a sbattere contro il guard-rail.
Seduti a terra, con il bambino tra di
loro, mentre Kaori sembrava in stato di shock, Ryo la
afferrò per le spalle e
la strinse a sé, lasciandole un bacio forte, deciso sulle
labbra tra le lacrime
di entrambi, bacio a cui Kaori, aggrappandosi agli avambracci di Ryo,
rispose
con ardore, l’adrenalina generata dalla paura che la rendeva
più coraggiosa, e
prona a risposte immediate… non ci pensò due
volte a affondare una mano in quei
gloriosi capelli scuri, solleticando lo scalpo di Ryo proprio come
faceva nelle
più dolci e languide fantasie di lui, mentre, sospirando
languida sulle labbra
del suo amore, permetteva alla sua lingua di uscire a giocare,
stuzzicando la
bocca dell’uomo che non se lo fece ripetere due volte, ed
approfondì il bacio
intrecciando la sua lingua a quella di Kaori, i loro movimenti tuttavia
sempre
cauti per non causare fastidi al piccolo Hide.
Tuttavia… tuttavia, dopo un attimo la
coppia si diviSe, quando avvertì come un vuoto tra i loro
corpi, e guardando in
basso, si resero conto che il bambino era scomparso; velocemente, si
guardarono
intorno, ma non ne trovarono traccia alcuna, anche il passeggino era
sparito, e
la gente che chiedeva loro se stessero bene, e rimproveravano Kaori per
aver
preferito una scarpa alla sua incolumità personale, non
sembravano accennare in
alcun modo al bebè… proprio come se non ci fosse
mai stato.
Tremante, incapace di comprendere fino
in fondo cosa stesse accadendo, Ryo si limitò ad offrire la
sua mano a Kaori,
che la accettò, e mentre la aiutava ad alzarsi, facendola
appoggiare al suo
corpo, la donna si guardò intorno, spaesata, alla ricerca di
qualcosa che
sentiva mancarle, anche se iniziava a pensare che, forse, non ci era
mai stato,
fin dal principio…
Quella
notte, Ryo era in piedi sulla terrazza del palazzo, con il viso alzato
a
guardare le stelle del firmamento, con un’espressione di
intima tristezza che
gli velava gli occhi. Con la sigaretta spenta in bocca, si chiedeva
cosa fosse
accaduto, se Hide fosse esistito davvero o fosse stato solo un frutto
della sua
mente malata, dettata dal desiderio di poter essere finalmente onesto
con
Kaori, dopo tutti quegli anni, ed ammettere il suo amore per lei.
Socchiuse gli occhi, sorridendo, quando
avvertì avvicinarsi l’aura che ben conosceva,
colma di calore, amore, affetto,
un’aura che trasmetteva pace e tranquillità, e che
gli faceva venire in mente
la parola casa: dopo un attimo,
Kaori
fece capolino dalla porta, e piano, lentamente, lo raggiunse, e gli si
mise
accanto, nella stessa posizione di Ryo. L’uomo si
voltò verso di lei, e vide
grosse lacrime rigarle le guance, mentre al cuore stringeva un oggetto:
il
bavaglino di Hide, prova tangibile che non fosse stato solo uno scherzo
delle
loro menti.
“L’ho trovato nella mia
borsetta,”
ammise lei, abbassando lo sguardo ed inalando il profumo di talco e
fiori della
stoffa. Il suo cuore era in affanno, e la mente talmente colma di
pensieri che
le pareva le stessero sfuggendo via. “Ryo, ho parlato con
Miki e gli altri, e…
nessuno di loro si ricorda di Hide. Come è possibile?
Insomma… tu ed io ci
ricordiamo di lui, e poi io ho trovato questo nella borsa…
tu ci capisci
qualcosa?”
“Non lo so, so solo che io di lui mi
ricordo, e… e mi sembra che mi manchi una parte di
me.” Ryo sospirò,
sfiorandola, cercando la sua mano, che Kaori afferrò,
stringendola nella sua.
L’uomo si voltò a guardarla, mentre la sua presa
si faceva quasi dolorosa
talmente era forte, quasi fosse colma di disperazione.
“Kaori, noi di cose
strane ne abbiamo viste, e se… e se fosse stato…
non so, un angelo? O… o un
fantasma? Credi che potrebbe essere stato….
Insomma…”
L’uomo ingoiò a vuoto. Non
aveva il
coraggio di terminare la frase: quel pensiero era troppo folle, anche
per lui,
lei, ed il loro mondo.
“Tu….” A Kaori
mancò il respiro quando
comprese cosa volesse dire Ryo. “Credi che
quell’Hide fosse… fosse il nostro
Hide, mio fratello? Ma… ma come,
perché?”
“Chissà… forse
è stato il nostro angelo
custode, e voleva che mi trovassi al posto giusto al momento giusto per
evitare
che venissi investita….” Ipotizzò lui
con una scrollata di spalle. “O forse… forse voleva darci un
assaggio di….” Ryo si
fissò i piedi, arrossendo lievemente, e fece una lunga
pausa, così lunga che
per un attimo Kaori dubitò che lui avrebbe terminato la
frase. “Di come potrebbe
essere… sì, insomma, un figlio nostro.”
Si guardarono negli occhi, e a quella
candida ammissione, fatta senza battute, senza espressioni disgustate o
altro,
a Kaori mancò il fiato in gola: percepiva
l’onestà di Ryo, come se quel
desiderio, forse sempre covato, e mai espresso, di paternità
dello sweeper
permeasse il suo intero essere.
Sorridendole incantato da quello
sguardo innamorato e speranzoso, Ryo le dette uno strattone, e Kaori
finì tra
le sue braccia; l’uomo la avvolse nel suo caldo,
tranquillizzante abbraccio, ed
affondò il naso nei capelli ricci, rossi, ed
inalò quel delicato profumo che
l’aveva stregato fin dalla volta in cui, dopo averla salvata
da quei
trafficanti, le aveva offerto la sua giacca per coprirsi. Quella volta,
il
profumo di Kaori era rimasto attaccato alla stoffa quando lei
gliel’aveva
restituita, e per settimane Ryo aveva annusato
il capo di abbigliamento di tanto in tanto, perdendosi in
quell’aroma di
vaniglia, avvertendo che il suo mondo fosse stato appena stravolto,
senza
tuttavia capire esattamente il come od il perché –
per farlo, gli ci erano
voluti anni, e quel giorno, quando Kaori era stata attaccata da Silver
Fox, Ryo
aveva compreso: per la prima volta nella sua vita, si era innamorato
davvero, e
di una donna che era, apparentemente, il contrario di quella che aveva
sempre
ritenuto essere il suo tipo.
Aveva rifuggito quel sentimento,
pensando che lo stesse facendo per proteggere lei, darle la
possibilità di
scegliere, vivere una vita normale, ma adesso, dopo averla quasi persa
in quel
maledetto incidente, dopo aver stretto tra le braccia un frugoletto che
aveva
il nome del suo defunto migliore amico,
che aveva i capelli di lei ed i suoi stessi occhi, che li
chiamava Mama e Papa…
beh, quello che era accaduto
era stato il proverbiale scossone, e Ryo aveva compreso che per tanti
anni non
era stata lei quella che lui aveva difeso dalla potenza dei loro
sentimenti, ma
sé stesso. Era rimasto solo fin da bambino, Kaibara gli
aveva insegnato che
l’amore era una debolezza, il Professore che era pericoloso, aveva perso tutti i suoi
migliori amici, era
stato tradito, abbandonato, messo da parte, e l’idea che
Kaori avrebbe potuto
riservagli lo stesso trattamento lo aveva impietrito, Ryo aveva
preferito
combattere quell’emozione, rifuggirla, continuare la sua vita
come se lei non
fosse esistita o non fosse nessuno di importante.
Adesso, era giunto il momento di
mettere fine a quella finta. Forse avrebbe finito col soffrire, forse
le cose
non sarebbero andate tra di loro – anche se, visto come erano
ingranati, e
dalle scintille che facevano quando si baciavano con un
vetro tra di loro ne dubitava – ma adesso sapeva
che ne valeva
la pena, perché se le cose avessero funzionato,
allora… allora, Hide sarebbe
tornato nelle loro vite, e Ryo gli avrebbe messo al collo quel bel
bavaglino
quando fossero andati al parco, a fare un pic-nic, o anche solo per
stare a
casa, accoccolati tutti quanti assieme sul divano guardare un film e
mangiare
pop-corn.
Con un senso di calore che lo riscaldò
e gli trasmise una sensazione ineguagliabile di pace e gioia, comprese
che ciò
che quel giorno aveva immaginato non fossero meri sogni, ma la
realtà che
avrebbe potuto attenderli, una quotidianità a cui non
credeva di aver diritto
ad aspirare ma senza cui non sarebbe più potuto sopravvivere.
Il loro bambino. Il loro piccolo
angelo. Lo voleva, di nuovo, nelle loro vite, il prima possibile, se
Kaori
avesse accettato – se Kaori lo avesse ancora voluto- e
avrebbe difeso la sua
famiglia come un leone, con le unghie e con i denti, implacabile con i
nemici
se fosse stato necessario.
Stringendola a sé, Ryo rubò
un bacio a
Kaori, prima di farla squittire quando la sollevò in aria
come se non pesasse
nulla, e, tenendola in braccio, corse giù lungo le scale a
tre scalini per
volta, mentre lei gli stringeva le braccia al collo e, arrossita,
nascondeva il
viso nel petto dello sweeper.
“Ma… ma… Ryo, cosa
fai?” riuscì
finalmente a chiedere quando lui, con un calcio, spalancò la
porta della camera
da letto, e lui si immobilizzò un attimo, colmo di dubbi,
cercando di percepire
il recondito significato dietro a quelle due semplici parole. Che non
lo
volesse? Che non si sentisse pronta? Possibile che Kaori, innocente
vergine,
fosse spaventata all’idea di finalmente consumare il loro
rapporto? Temeva
forse che sarebbe stato solo sesso? Che lui si sarebbe tirato
nuovamente
indietro? Oppure, semplicemente, voleva che lui la conquistasse, che la
corteggiasse, prima di oltrepassare quella soglia?
“Beh, ecco, io, insomma, pensavo, ma se
tu non vuoi…” le rispose, completamente privo di
senso, verbi senza soggetto,
complemento oggetto, un miscuglio di parole che a molti sarebbero parse
prive
di senso compiuto, ma non a Kaori, che sorridendo, gli si
accoccolò contro,
sospirando languida, mentre con le dita giocherellava con ciocche
ribelli di
capelli neri che avrebbe davvero visto bene su una bambina, Anna
– il sogno.
“Io… no, lo voglio
anch’io, Ryo, da
tanto, ma…” si morse il labbro, timida, e lui le
sorrise, dolce, baciandole la
fronte come aveva fatto tanto tempo prima, facendole capire forse per
la prima
volta quanto tenesse a lei, quanto lei fosse già il perno
della sua esistenza.
“Però… possiamo andarci piano, per
favore?”
Non le rispose, non a voce, almeno -
d’altronde, loro da tempo ormai non avevano più
bisogno delle parole per
comunicare, un tocco, uno sguardo valevano più di lunghi
discorsi – e sempre
sorridendole, la posò sul suo –
loro-
letto, e le si adagiò accanto, prendendola tra le braccia e
lasciando che il
ritmo del suo cuore, placato dalla presenza angelica della donna dopo
che per
anni la tempesta vi aveva imperversato, la cullasse, facendola
addormentare.
Ryo passò ore a guardarla, a godersi
quella visione, e mentre le accarezzava i capelli, e
immaginò cosa potesse
attenderli nel loro futuro: Kaori addormentata tra quelle stesse
coperte, nuda
e sudata dopo aver fatto l’amore, oppure con indosso solo una
delle sue
camicie, o una sua maglietta, ma anche scoprire chi fosse realmente,
ottenere,
con le buone o le cattive, un nome, per poterla sposare, vedere
realizzato il
sogno di Kaori di indossare un abito bianco per andare
all’altare –
accompagnata dal professore, dal polipo? – e poi cercare quei
bambini, un
maschietto con i capelli di lei e gli occhi di lui, ed il cuore della
mamma, ed
una femminuccia intraprendente come il papà, con occhi da
cerbiatta color
nocciola e setosi capelli neri ribelli.
Dandole un ultimo
bacio sulla fronte, stringendola forte a sé come un tesoro
prezioso, Ryo si
lasciò cadere tra le braccia di Morfeo – e per la
prima ma non l’ultima volta,
controllare dove la Python esattamente fosse nella camera da letto fu l’ultimo dei
suoi pensieri.
A/N: Anna è il nome della bambina che i
protagonisti di “Il Dono dell’Angelo”
trovano, e che si rivela essere… un
angelo, un’apparizione dal futuro? Mistero: Lei, tre anni nel
manga, sa di
essere loro figlia, e serve a far capire al padre, donnaiolo il cui
unico scopo
nella vita è sposarsi una principessa, che la ragazza che ha
avuto sotto al
naso da una vita è quella giusta per lui e lo ama…