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Autore: Shadow writer    04/03/2021    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Sabato
 

(Parte 2)

 

Il grande portone di legno bianco si aprì lentamente davanti a lui e parve inverosimile che a tirarlo fosse la figurina al di là della soglia.

Lei indossa dei pantaloncini di tela e una maglietta troppo larga. Aveva i capelli scompigliati, come se fosse sconvolta, e l'immancabile espressione seccata.

«Che cosa vuoi?» domandò sulla difensiva, una volta che l’ebbe messo a fuoco, pronta a chiudergli la porta in faccia.

Nate le rivolse un sorrisetto sghembo: «Ho per caso disturbato il tuo studio, angioletto?»

«Mi stai sfottendo?» replicò lei «Un normale studente come me passa i pomeriggi a studiare e non va ad importunare gli altri»

«Mmhh» commentò Nate «Così ora io ti starei importunando?»

Lei lo fulminò con lo sguardo, poi aggiunse: «Che cosa vuoi? Ti servono dei soldi?»

La sua insinuazione lo trafisse come una lama.

Nate strinse i denti e le rispose, glaciale: «Non voglio i tuoi soldi. Devo finire il lavoro per tuo padre, se hai intenzione di farmi entrare. Altrimenti digli di cercarsi un altro meccanico»

Il suo tono duro la colpì. Sbatté un paio di volte le palpebre, come una gattina pigra, prima di scostarsi dall'ingresso e fargli cenno di entrare. 

Dopo aver chiuso la porta mormorò: «Ti accompagno»

«Conosco la strada» replicò Nate trafiggendola con lo sguardo. 

Lei abbassò il capo, consapevole di averlo ferito con le proprie parole. Gli lanciò poi un'occhiata veloce e decise di fargli strada strada fino al garage. Dall’ingresso della casa accedettero direttamente al grande giardino su cui si affacciavano le vetrate della casa. Più lontano, si distingueva il profilo della piscina in uno spazio appartato. Attraversarono il giardino raggiungendo il garage. Una volta aperta la saracinesca, la ragazza indugiò per qualche istante, pensierosa, poi si fece da parte lasciandolo passare.

«Gentilissima» commentò lui a denti stretti e si guadagnò un'occhiata fulminante.

«Buon lavoro» fu la replica, poi girò i tacchi e sparì.

Nate scosse il capo. Impossibile pensare che quattro giorni prima si era addormentato stringendola dolcemente tra le braccia.

 

 

Quando finì il lavoro, rimise a posto la moto, si pulì alla bell'e meglio le mani su un fazzoletto e uscì dal garage.

Aveva intenzione di lasciare direttamente la casa, quando intercettò la ragazza al di là delle vetrate che si affacciavano sul giardino. Lei gli fece un cenno indistinto che poteva significare "Vaffanculo" tanto quanto "Aspetta", così Nate decise di aspettare. Se aveva capito male poteva sempre mandarla ‘affanculo a sua volta.

Qualche secondo più tardi, lo raggiunse correndo attraverso il giardino. Era scalza e così vestita sembrava una bambina. Si fermò poco distante da lui, con le guance arrossate.

Gli tese una busta. «Mio padre mi ha detto di darti questi».

«Mi ha già pagato la scorsa volta» replicò lui rigido.

Lei pareva faticare a sostenere il suo sguardo, però insistette: «Lo so, dice che quello di oggi era un lavoro extra ed è giusto pagarti».

«Non voglio l’elemosina».

«E allora vai a farti fottere, Nate. Non tutti hanno come scopo della vita quello di offenderti» ribatté, con le guance in fiamme e la mano ancora tesa verso di lui.

Fu combattuto tra l'istinto di fare un'epica uscita di scena con una replica da stronzo e la necessità di prendere quei soldi. Esitò.

«Senti prendili» disse lei fiaccandogli la busta in mano «Così mio padre è contento perché pensa che li abbia tu. Puoi restituirmeli pagandomi da bere, se proprio ci tieni».

Lo guardò ancora per un istante con i suoi occhioni blu, poi fece per andarsene.

«Grazie» le disse e lei rallentò leggermente, si voltò e gli sorrise. Poi tornò verso casa.

L’aveva ringraziata, perché lei sapeva che non avrebbe rivisto quei soldi, almeno non per i seguenti dieci anni, ma non gliene importava.

 

 ***

 

 

Era nervosa, agitata e tesa come non mai. Si era asciugata i palmi sudati sui pantaloni eleganti neri così tante volte che temeva che presto sarebbe comparso un alone. La luce dei riflettori la stava cuocendo e le dolevano i muscoli del volto a forza di sorridere. 

Il presentatore le aveva rivolto qualche domanda e l’aveva fatta parlare del suo elaborato, complimentandosi poi per aver vinto. Per tutto il tempo lei non aveva fatto altro che desiderare di scomparire. Doveva essere una premiazione in suo onore e invece la stava credendo come una tortura.

Quando si era convinta che la fine fosse ormai giunta, sentì il presentatore aprire lo spazio per le domande a lei rivolte. Avrebbe voluto vomitare.

Qualcuno nel pubblico chiese la parola, ma era troppo accecata dai riflettori per poter vedere alcunché.

«Vorrei chiedere alla signorina Barnes» cominciò questo «come può essere contemporaneamente intelligente e così attraente. Qual è il suo segreto?»

Si sentì avvampare, sia per le parole, sia perché avrebbe riconosciuto quella voce fra mille.

Anche se si trovava dall'altra parte della sala, sentiva lo sguardo di Nate fisso su di lei. 

La platea rise di gusto.

«Posso rispondere che non so di cosa stia parlando?» replicò con ironia. 

«Sarebbe una bugiarda, signorina Barnes» ribatté Nate, divertito dalle sue stesse parole.

Il presentatore s'intromise: «Questa conversazione sta prendendo una piega piuttosto interessante»

Dalla platea si alzarono altre risatine, che la fecero arrossire.

«Credo che il suo segreto» continuò Nate, riconquistandosi l'attenzione del pubblico «sia di esserne completamente inconsapevole».

Lei si schiarì la voce: «Mi dispiace essere completamente impreparata in questo campo. Se l'avessi saputo, mi sarei preparata i bigliettini».

Il presentatore fece ancora qualche battuta, poi riportò la conversazione sui toni sobri della serata e alla fine la congedò.

Dopo che l'uomo ebbe salutato il pubblico, si trovò circondata da persone che non aveva mai visto, che si complimentavano con lei. Alcuni si presentarono come conoscenti dei suoi genitori oppure di quello e quell'altro parente. Li liquidò gentilmente ma velocemente, e si fece strada verso il fondo della sala. Quando raggiunse gli ultimi sedili, però Nate non c’era più.

Cercando di scacciare la delusione, spinse la porta a vetri che conduceva all'esterno e si infilò nell'aria fresca della notte.

Campanelli di persone chiacchieravano fra loro sotto la luce dei lampioni. 

«Niente male, signorina Barnes»

Si voltò, e appoggiato alla parete alle sue spalle, vide Nate, con il suo tipico sogghigno stampato sulle labbra.

«Ehi tu» lo salutò avvicinandosi. 

Lui si staccò dalla parete. «Non stavo scherzando, mi sei piaciuta».

«Grazie» mormorò arrossendo. Lui sollevò le sopracciglia e lei aggiunse: «Per i complimenti, ma soprattutto per essere venuto».

Il ragazzo ridacchiò: «Diciamo che non avevo niente di meglio da fare stasera che ascoltare una noiosa conferenza sui problemi società».

Incrociò le braccia al petto: «Perché sei venuto se la ritieni noiosa?»

Lui ammiccò: «Mi hanno detto che ci sarebbe stato l'intervento di una secchiona niente male»

«"Niente male"?» ripeté fingendosi offesa.

Lui rise ancora, poi cambiò argomento. «Voglio cominciare a ridarti i soldi di tuo padre. Stasera. Ti offro qualcosa»

«Oh» è tutto quello che riuscì a dire, poi si schiarì la voce e aggiunse: «Va bene. Però ho voglia di gelato e il nostro patto valeva solo per i drink. Stasera pago io»

Senza aspettare una sua replica si voltò incamminandosi  verso il parcheggio.

Sapeva per certo che l’avrebbe seguita.

 

 

 

Jay si svegliò nel cuore della notte. Aveva sentito dei rumori e, pur cercando di ignorarli, non era riuscito a prendere sonno. Dato che la sua camera confinava con quella di Nate, pensò che magari lui ed Alison ancora non stavano dormendo – nonostante la sua sveglia segnasse che la mezzanotte era passata da qualche ora.

Dopo essersi rotolato per un po’ tra le coperte, si decise ad andare in cucina. Mike aveva delle tisane rilassanti che facevano miracoli, ipotizzò che forse lo avrebbero aiutato.

Afferrò gli occhiali sul comodino e si infilò le pantofole. Quando uscì dalla stanza, intontito dal sonno, si accorse che nessun rumore proveniva dalle altre due camere da letto. C’era però un suono che pareva avere origine in cucina. Era soffocato, basso e incostante.

Si diresse verso quella direzione con cautela.

Notò che la luce della stanza era accesa, quindi escluse l’ipotesi che si trattasse nuovamente di ladri. Quando si trovò davanti alla porta socchiusa, la spinse lentamente e quella si aprì in silenzio.

C’era qualcuno seduto al tavolo della cucina con la schiena curva e il capo nascosto tra le braccia. Teneva la fronte rivolta verso il basso e Jay riusciva a vedere solo i capelli scuri, ma furono sufficienti a fargli capire di chi si trattasse. Lo fissò per qualche istante e notò che le sue spalle venivano scosse, di tanto in tanto, come se singhiozzasse.

«Nate» lo chiamò sottovoce.

Nel silenzio della notte, l’amico lo udì subito e sollevò il capo. Il suo volto era rigato di lacrime e gli occhi erano rossi e gonfi. A Jay quasi prese un colpo.

«Cosa succede?» gli domandò avvicinandosi rapidamente per andare a sedersi di fronte a lui. Nate prese un lungo respiro spezzato.

«È successo qualcosa? Stai bene?» insistette ancora. «Alison sta bene?»

A quella domanda, il volto di Nate si fece contrito. 

«Parlami» Jay non si diede per vinto.

Nate respirò ancora, profondamente.

«Alison sta bene» rispose con voce roca. «Io sto bene… sono solo…»

Le sue parole si persero in un sospiro confuso, mentre le sue labbra tremarono e i suoi occhi sfuggirono dallo sguardo dell’amico, per vagare nella stanza, inquieti.

«Nate?»

«Sono un idiota».

Jay corrugò la fronte. «Non credo tu ti sia svegliato nel cuore della notte per dire qualcosa che già sapevamo».

Il suo commento rasserenò per un momento lo sguardo dell’altro, ma che subito tornò sofferente.

«Vuoi dirmi cosa ti ha portato a questa rivelazione metafisica?»

Nate si sfregò le guance, come un bambino stizzito.

«Il fatto è che… io…» sembrava annaspare alla ricerca di parole. «Mi sono svegliato nel cuore della notte, abbracciato a lei…»

«Alison?» chiese Jay.

Nate annuì. «Già. Era lei. Ma la mia testa non lo sapeva».

«Che diavolo vuoi dire?»

L’altro parve scaldarsi, perché il suo volto avvampò e, quando rispose, la sua voce si fece più veemente. «Voglio dire che mi sono svegliato pensato che ci fosse lei tra le mia braccia, e ho pensato di stare bene, di essere felice». Incontrollabili, le lacrime ripresero a scendere dai suoi occhi, nonostante l’espressione arrabbiata di lui cercasse di frenarle. «Cazzo, per un istante ho pensato di essere felice!»

Aprì la bocca, senza emettere suono. Pareva provasse dolore. «Quando mi sono accorto che non era lei… Dio, Jay, sono così patetico».

Guardò l’amico, implorante. Pareva che gli chiedesse il colpo di grazia, come se volesse essere finito così da smettere di provare tutto quel dolore che lo stava lacerando da dentro.

«Nate» lo chiamò e lo vide agitarsi inquieto.

«Nate» ripeté e si assicurò di avere la sua attenzione prima di continuare. «Hai passato una bella serata con Alison?» 

L’altro lo fissò per qualche istante, poi annuì.

«Vi siete divertiti?»

Un altro cenno di assenso. 

Jay sospirò.

«Nate, hai ventiquattro anni, sei troppo giovane per piangerti addosso per tutta la vita. Lei non tornerà. Ha fatto la sua scelta e tu ora devi guardare avanti.»

«Non è così semplice» mormorò lui.

«Lo capisco, ma non puoi buttare via la tua vita macerandoti nella sofferenza. Hai già passato un inferno negli ultimi due anni a causa sua. È il momento di finirla. È il momento di lasciarla andare».

Il volto di Nate si piegò, si accartocciò su se stesso in una smorfia di dolore. Jay si alzò in piedi e si spostò vicino a lui, poi allargò le braccia per offrire il proprio conforto.

«Se vuoi posso svegliare Mike, lui è più bravo in queste cose».

Nate lo abbracciò e fece cenno di no con il capo.

«Va bene così» gli disse, con la voce soffocata sulla sua spalla. 

Rimasero abbracciati senza parlare, nel silenzio della notte, mentre le lacrime si seccavano.

 

 

 

 

   
 
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