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Autore: Europa91    05/03/2021    2 recensioni
[Paul Verlaine x Arthur Rimbaud]
[accenni Soukoku]
[Spin off di “of Sisters and Demons”]
“I demoni erano creature senza cuore, non si fermavano davanti a nulla, donne, bambini uccidevano indiscriminatamente e per questo li avrebbe sterminati tutti dal primo all’ultimo.
Il destino però si diverte ad entrare in gioco quando meno ce lo aspettiamo, mescolando le carte come più gli aggrada.”

Arthur Rimbaud discende da un’antica famiglia di esorcisti. La sua vita, praticamente già scritta, è destinata a cambiare quando incrocia la propria strada con quella di un certo demone.
“Uccidere è nella tua natura”
“Non uccido se non lo reputo necessario” (…)

Per entrambi quello sarebbe stato solo l’inizio di una tormentata relazione.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Paul Verlaine
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sisters and Demons'
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Cow-t 11 – Quarta settimana – M1

Prompt: 004 - Invidia

Fandom: Bungou Stray Dogs

Rating: SAFE (con menzione a morte e angst)

Numero Parole: 6913

Note: La storia è uno spin off di “Of Sisters and Demons” ma può anche essere letta in modo indipendente. È sempre lo stesso AU ma questa volta il protagonista assoluto è Arthur Rimbaud (e Paul Verlaine, perché io lo amo troppo e dovevo mettere pure lui). Nel finale leggero spoiler sul futuro della relazione tra Chuuya e Dazai, e come andranno le cose tra loro. Ci sono anche tanti indizi buttati qua e la su altri spin off, che prima o poi giuro che scriverò. Ps come sempre il titolo non è opera mia.

 

 

 

 

 

 

Arthur Rimbaud era nato in una famiglia di cacciatori. Per secoli i suoi antenati avevano servito all’interno dell’Ordine della Maddalena. L’ultimo a prestare servizio prima di lui era stato suo zio. In ogni generazione, un Rimbaud sceglieva di prendere i voti e dedicare la propria vita nella guerra contro il male e i demoni. Quando era toccato a lui, il piccolo Arthur non aveva protestato, era un onore essere scelti per ricoprire tale incarico.

A quattordici anni, aveva lasciato la casa in cui era cresciuto ed era partito per affrontare il seminario e l’addestramento che lo avrebbero un esorcista.

Non era facile entrare nel Ordine, ma i Rimbaud erano una sorta di celebrità in quel ambiente. Ancor prima di mettere piede a scuola era bastato l’eco e il peso del suo cognome perché tutti decidessero di stargli alla larga, spaventati. La sua famiglia era nota soprattutto perché durante una delle ultime guerre contro il signore Oscuro, erano riusciti ad ingannare molti generali infernali e altrettanti ne avevano esorcizzati. In particolare un certo demone del suicidio aveva giurato vendetta contro i Rimbaud, responsabili della morte di un suo compagno. Era stato cresciuto con quelle storie il piccolo Arthur, sognando il giorno in cui anche lui avrebbe finalmente combattuto contro quei mostri.

Gli anni in seminario non furono facili. Non aveva amici. Tutti gli altri novizi lo allontanavano o comunque se ne stavano a debita distanza, come se fosse un appestato. Arthur aveva deciso di non badarci più di tanto, lui era lì solo per uno scopo, diventare un esorcista. Si impegnò nello studio e nell’addestramento, diplomandosi con mesi di anticipo e come migliore del suo corso.

A nemmeno diciott’anni, Arthur Rimbaud si apprestava a partecipare alla sua prima missione ufficiale come esorcista dell’Ordine della Maddalena. Era stato posto sotto la supervisione di un reverendo più anziano e insieme lui si trovava un altro novizio che aveva da poco preso i voti.

Charles aveva solo un anno più di lui, corti capelli castani e un viso pieno di lentiggini. Fu la prima persona che Arthur riuscì a chiamare amico. Era divertente passare del tempo insieme, allenandosi e preparandosi per le varie missioni. Charles era bravo, molto erudito ma non abbastanza. Dopo appena qualche mese, perse la vita durante un combattimento contro un demone.

Arthur ne soffrì molto, però era quella la vita che si erano scelti. Dal momento che avevano lasciato il seminario ed erano entrati in servizio attivo come esorcisti dovevano essere pronti a dare le loro vite per la causa. I demoni erano creature senza cuore, non si fermavano davanti a nulla, donne, bambini uccidevano indiscriminatamente e per questo li avrebbe sterminati tutti dal primo all’ultimo.

Il destino però si diverte ad entrare in gioco quando meno ce lo aspettiamo, mescolando le carte come più gli aggrada.

Era passato un anno dalla morte di Charles, e Arthur ormai operava da solo in completa autonomia. Aveva maturato una certa esperienza sul campo e poteva cavarsela benissimo da solo. Quel giorno, stava indagando nei pressi di un piccolo villaggio della campagna francese. Si erano verificati dei casi di sparizioni sospette e strane trombe d’aria avevano interessato quella regione. Così il Vaticano lo aveva incaricato di controllare.

Ci mise poco a trovare il demone responsabile, anche perché la suddetta creatura non tentava nemmeno di mascherare la propria presenza.

Aveva l’aspetto di un bel ragazzo biondo, fu questo il primo pensiero quando lo vide. Arthur non ne era sorpreso, i demoni erano soliti acquisire sembianze piacevoli per ingannare le proprie vittime ma lui non era tipo da lasciarsi abbindolare da un bel faccino.

Il loro primo incontro avvenne in una tavola calda. Il demone se ne stava comodamente seduto ad uno dei tavolini e beveva del vino. Si comportava come se lo stesse aspettando e a Rimbaud questo atteggiamento spavaldo fece subito saltare i nervi. Sembrava quasi volesse giocare con lui.

«Sono il reverendo Arthur Rimbaud e per il potere…»

«Si si ok, sei qui per esorcizzarmi. Posso chiederti un ultimo desiderio?» lo interruppe bruscamente.

Il cacciatore non disse nulla ma abbassò le sue armi, un fucile anti demone creato appositamente per i cacciatori, e la croce d’argento che portava al collo. Il biondo prese quel gesto come un invito a continuare. Fece un mezzo sorriso.

«Siediti e bevi qualcosa come me, poi se vorrai potrai uccidermi, sono stanco di questa vita»

Aveva usato un tono melodrammatico ma non c’era nessuna traccia di allegria o presa in giro. Per qualche istante ad Arthur parve di scorgere veramente qualcosa di vagamente umano nello sguardo di quel demone. Non disse una parola prendendo posto al tavolo ma restando comunque a debita distanza. Il biondo prese un bicchiere e glielo porse, dopo avervi versato del vino. Aveva dei modi eleganti, si ritrovò a pensare il cacciatore che non si era perso un singolo movimento.

«Bevi non è avvelenato» aggiunse l’altro sorridendo, notando lo sguardo che Rimbaud gli aveva appena rivolto.

«Perché?» aveva domandato. Il biondo piegò il capo confuso;

«Mi stai chiedendo perché non ti ho ancora attaccato?»

«Hai volutamente provocato l’Ordine, lasciando una serie di indizi che anche un novellino avrebbe potuto seguire»

«Un novellino come te, piccolo Rimbaud?» Quel bastardo aveva sorriso e Arthur aveva stretto la presa sul bicchiere. Dunque gli aveva teso una trappola.

«Sai chi sono» aveva risposto invece cercando di mantenere una parvenza di sangue freddo. Mentalmente però stava pensando a una possibile strategia per contrastarlo, studiando ogni possibile via di fuga.

«La tua famiglia è parecchio famosa all’Inferno, vi siete fatti molti nemici tra i miei fratelli»

Il cacciatore si fece improvvisamente attento;

«Tu invece, hai qualcosa contro i Rimbaud?» il biondo prese un lungo sorso prima di rispondergli;

«Ero curioso. Volevo vedere se eravate dei cacciatori forti come si vocifera. Ho pensato che sarebbe stato stupendo venir esorcizzato da uno di voi»

«Perché vuoi morire?» Il biondo sorrise, e Arthur questa volta non riuscì ad impedirsi di arrossire. Era bellissimo e non poteva negarlo a se stesso. All’altro capo del tavolo era seduto un diavolo tentatore dalle fattezze angeliche.

«Mi crederesti se ti dico che sono stanco dell’Inferno e delle sue regole?»

«No, non ti crederei»

«Fai bene. Comunque io sono Paul» e gli allungò la mano.

«Sai, a questo punto dovresti afferrarla e presentarti. Nessuno vi ha insegnato le buone maniere in seminario?» aggiunse divertito. Arthur alzò di poco un sopracciglio;

«Ma tu conosci già il mio nome, cioè non ne capisco il senso»

Paul scoppiò a ridere arrivando fino a tenersi la pancia con le mani; erano secoli che non si divertiva il quel modo.

«Sei interessante. Mi piaci proprio tanto piccolo Rimbaud» ammise senza peli sulla lingua.

«Arthur» mormorò l’altro distogliendo lo sguardo e prendendo un sorso di vino.

«Se devi proprio chiamarmi per nome, usa Arthur, piccolo Rimbaud lo detesto»

Il demone annuì.

«Ok, Arthur»

Rimbaud volle dare la colpa al vino ma parlare con quel demone stava diventando di minuto in minuto sempre più piacevole. Era irritante, ma i suoi sguardi e sorrisi lo mandavano fuori di testa; soprattutto, più di una volta si era quasi dimenticato del perché si trovasse lì e della sua missione. Erano rimasti a chiacchierare per un tempo indefinito, fino a quando Paul non aveva allungato la mano e aveva sfiorato la sua. Il giovane cacciatore stava letteralmente impazzendo, non ne poteva più, era arrivato al limite;

«Tu sei un demone» disse, anzi urlò con decisione, alzandosi di scatto in piedi e finendo con il rovesciare il poco vino che ormai era rimasto sul tavolo. Paul sembrò deluso;

«Cosa vuoi fare Arthur? Accetterò ogni tua decisione, dopotutto hai esaudito il mio ultimo desiderio»

Il cacciatore lo guardò senza parole. Era confuso, sapeva cosa il suo dovere gli imponeva di fare. D’altra parte però quel Paul. Non aveva mai conosciuto nessuno come lui, forse perché oltre a Charles non aveva avuto nessun amico. Arthur sentiva che non era solo quello, quello che provava verso il demone era un sentimento diverso da ciò che lo aveva legato a Charles. Ne ebbe paura. Si voltò di scatto e fece per andarsene ma il demone fu più veloce e lo afferrò per un braccio;

«Aspetta» disse.

«Me ne vado. Dirò che non ti ho trovato, che te n’eri già andato» Paul provò a sorridere

«I tuoi superiori non si arrabbieranno per questo?» gli fece notare.

Arthur ancora voltato di spalle fece un lungo sospiro;

«Certo. Però tu non hai ucciso nessuno» concluse. Era vero. Il biondo aveva solo rapito delle fanciulle; le stesse che Rimbaud aveva ritrovato quella mattina, impaurite ed affamate in un casolare abbandonato. Quel demone aveva solo giocato con loro, voleva che l’Ordine inviasse un cacciatore che potesse mettere fine alla sua millenaria e solitaria esistenza, per questo gli aveva teso quella trappola. Nemmeno lui però era arrivato a prevedere che l’esorcista lo avrebbe risparmiato.

Avevano perso entrambi quella partita.

«Io di solito non uccido, non mi piace» ammise lasciando finalmente la presa. Arthur si decise a guardarlo;

«Uccidere è nella tua natura»

«Non uccido se non lo reputo necessario. Non ti sto dicendo che sono un sant’uomo come te, solo, vorrei che capissi che sono diverso dai demoni che hai affrontato fino ad ora»

Rimbaud non sapeva che fare, era forse un inganno? Doveva fidarsi?

«Cosa ti è successo?» chiese infine decidendo per il momento di concedergli il beneficio del dubbio.

«L’ultima guerra che abbiamo combattuto contro il tuo Ordine. Abbiamo perso molti compagni, molti amici. Mi sono reso conto di quanto la nostra esistenza sia effimera e un certo demone amante dei suicidi mi ha consigliato di venire sulla Terra»

Rimbaud fece una faccia incredula che provocò solo le risa dell’altro, per poi aggiungere;

«Sei uno stupido. La vita ha valore»

«Anche quella di un demone?»

«Ogni vita ha un valore, forse non hai avuto modo di scoprire il tuo, e ora va prima che cambi idea»

Arthur fece un passo in avanti. Paul avrebbe voluto fermalo ma non ce la fece, rimase lì con la mano sospesa a mezz’aria mentre osservava quello strano giovane esorcista abbandonare la tavola calda. Avevano ragione i suoi fratelli demoni, pensò. Arthur Rimbaud era tutto fuorché un ragazzo comune. In poco tempo gli aveva rubato il cuore.

Da quel giorno le loro strade finirono per l’incrociarsi sempre più spesso. Da un lato, un certo demone osservava con curiosità i movimenti dell’Ordine, soprattutto in territorio francese e gli spostamenti di un esorcista dai lunghi capelli corvini. Dall’altro, un giovane cavaliere accettava sempre più spesso incarichi che avessero a che fare con rapimenti e sparizioni, divertito quando al suo arrivo veniva accolto da una folata di vento. Continuavano a cercarsi e rincorrersi. Perdersi e poi trovarsi. Erano diventati come due calamite, poli opposti che non potevano evitare di attrarsi. Quel gioco durò per qualche mese poi entrambi decisero di farla finita.

Fu Paul il primo a cedere. Recapitò ad Arthur un messaggio, con il quale gli dava appuntamento nella tavola calda del loro primo incontro.

Non appena il giovane esorcista mise piede nell’edificio ogni suo proposito andò in fumo. Il demone del vento era lì, davanti a lui con un mazzo di rose, bello come non lo era mai stato.

«Sei un idiota» iniziò col dire ma stava sorridendo;

«Però sei venuto» gli fece notare;

«Sono un’idiota anche io» fece un passo in avanti «se l’Ordine ci scoprisse»

«Se i miei fratelli ci scoprissero»

«Che stiamo facendo?» ormai erano l’uno davanti all’altro.

«Non lo so. So che ti voglio e ti desidero come non ho mai voluto né desiderato altri. Sono il primo ad esserne sorpreso, sei un Rimbaud, un esorcista, il mio nemico naturale»

«E tu sei un demone»

«Però siamo qui»

«Si Paul, siamo qui»

Il bacio che si scambiarono fu insolitamente dolce. Avevano iniziato col provocarsi ed erano finiti solo con il desiderarsi di più. Gli era servito solo del tempo per poterlo capire ed accettare.

Non era facile. Non lo era per nessuno dei due. Da un lato Paul aveva millenni di vita ed esperienza alle spalle. Eppure, dalla prima volta che quel cacciatore aveva incrociato la sua strada aveva capito, Arthur era speciale. Dall’altro c’era proprio l’esorcista. Per lui il discorso era diverso e se vogliamo ancora più complicato. Aveva preso i voti e aveva accettato il celibato, quando aveva preso questa decisione però aveva quattordici anni e soprattutto non aveva incontrato Paul. Non aveva mai provato con nessuno i sentimenti che lo legavano a quel demone. Arthur sapeva che sarebbe finito all’Inferno ma per il biondo sarebbe stato disposto a farlo.

Avevano iniziato quella relazione segreta che di segreta aveva ben poco. Inizialmente il Vaticano aveva cercato di fare pressione su Rimbaud perché interrompesse quel rapporto immorale ma lui non li aveva ascoltati. Continuava a fare il suo lavoro, e lo svolgeva egregiamente, in più il suo compagno non era un assassino. Anche il papa alla fine decise di chiudere un occhio ma ad una condizione: qualora Paul avesse commesso un passo falso la responsabilità sarebbe caduta su Arthur e sarebbe stato lui a doverlo eliminare. La Chiesa avrebbe fatto di tutto per evitare uno scandalo, se fosse trapelata la notizia di una relazione tra un esorcista, anzi tra un Rimbaud e un demone sarebbe stata un duro colpo da gestire per la loro immagine

«L’avevo già deciso dal primo giorno che ti ho incontrato» aveva ammesso il demone biondo mentre in un groviglio di gambe e lenzuola cercava di raggiungere il suo amante.

«Che cosa?»

«Che saresti stato tu ad ammazzarmi. Un giorno io morirò per mano tua Arthur» il moro sbuffò.

«Non dire queste cose»

«Colpa del tuo papa e tua per aver tirato fuori questo discorso dopo aver scopato»

Entrambi scoppiarono a ridere. La loro relazione era così, battibeccavano di continuo eppure per qualche anno furono felici. Avevano raggiunto un livello di felicità che molte persone rincorrono per una vita intera ma non riescono ad afferrare. Arthur e Paul avevano trovato un loro equilibrio ma poco tempo dopo sarebbero stati destinati a perderlo.

Era un caldo mattino d’estate quando Arthur ricevette una missiva da suo padre, lo pregava di fare al più presto ritorno a casa, sua sorella minore era stata rapita da un demone. Rimbaud aveva posato lentamente la lettera, con le mani tremanti. Aveva rivolto un’occhiata al compagno;

«Devo andare, tornerò il prima possibile»

Paul non disse nulla, si limitò a stringerlo a sé. Sarebbe andato tutto bene. Ovviamente si sbagliava. Il destino aveva ancora una volta deciso di giocare con loro.

Quando Rimbaud dopo mesi trovò la sorella scoprì una verità che non avrebbe mai desiderato conoscere. La ragazza non era stata rapita da un demone ma era semplicemente fuggita con lui. Si era innamorata. Arthur era senza parole, lui e sua sorella erano molto più simili di quanto avesse mai immaginato.

Marie aveva qualche anno in meno di lui. Quando se n’era andato per entrare in seminario era ancora una bambina pestifera che bagnava il letto ora invece era una giovane donna che aveva rinnegato la sua stessa famiglia per amore.

«Dai non stare lì impalato sulla porta, vieni ti devo presentare qualcuno» così lo aveva trascinato in casa. Non aveva fiatato il cacciatore, fino a quando il suo sguardo non si era posato su un piccolo involucro di coperte dalle quali spuntavano delle braccia paffute.

«Si chiama Chuuya, è tuo nipote»

Arthur non sapeva cosa dire. Marie era fuggita di casa perché era rimasta incinta. Ora capiva ogni cosa. Suo padre non avrebbe mai accettato un bambino nato dall’unione di un demone e di un umano. Anzi, non sapeva neppure se un evento del genere si fosse mai verificato.

«È?» domandò, non sapendo nemmeno lui da dove iniziare.

«Ha solo due mesi, comunque è un essere umano. Non ha corna o altro, però è ancora troppo piccolo per poterlo dire con certezza» rispose con fermezza.

«Cosa ti è saltato in mente Marie? Se il Vaticano dovesse saperlo…»

«Il Vaticano non lo saprà se tu non lo informerai. È tuo nipote Arthur»

«Hanno già chiuso un occhio per la mia relazione con Paul, non puoi chiedermi di mentire ancora»

«Arthur, Chuuya non ha nessuna colpa, non deve pagare per i peccati dei suoi genitori»

Quella fu la prima volta che Arthur invidiò suo nipote. Chuuya aveva solo pochi mesi ma sua madre era disposta a lottare per lui, a proteggerlo di fronte al mondo intero o chiunque potesse minacciarlo. Si chiese se lui avesse mai avuto la stessa fortuna. Ripensò a Paul, si amavano ma a volte era ancora insicuro dei sentimenti che provavano l’uno per l’altro. Una parte di lui gli suggeriva di non fidarsi completamente del demone e di stare all’erta. In quegli anni aveva inutilmente cercato di far tacere quella voce che non sembrava dargli tregua.

Quella sera aveva conosciuto anche il “marito” di Marie. Era un demone ma era diverso da Paul. Non aveva nessuna abilità particolare (il biondo controllava il vento e poteva scatenare delle tempeste), era di infimo livello ma era profondamente innamorato di sua sorella e del loro bambino.

Realizzò in quel momento che lui e Paul non avrebbero mai avuto nulla di simile nel loro futuro. Non sarebbero mai riusciti a creare una famiglia come aveva fatto Marie. Per la prima volta rimpianse la sua scelta, rimpianse di essere entrato nell’Ordine. Se non lo avesse fatto avrebbe avuto una famiglia, ma non avrebbe mai incontrato Paul. Non avrebbe saputo che sapore avevano i suoi baci né la sua espressione quando era perso nel piacere. Nemmeno il modo infantile in cui storpiava la bocca quando era contrariato. Non avrebbe mai saputo quanto erano sottili e setosi quei capelli biondi e quanto era piacevole spazzolarli al mattino, quando erano soli nel silenzio delle loro stanze. Non seppe il perché Arthur, ma quella fu la prima volta che desiderò qualcosa che sapeva non avrebbe mai potuto avere, nemmeno sforzandosi avrebbe mai potuto creare una famiglia con il demone che amava. Non era possibile, non era naturale.

«Ti invidio» Marie, che gli aveva appena servito un piatto di minestra lo guardò confusa;

«Hai creato una splendida famiglia. Non dirò nulla in Vaticano. Non farò nessun rapporto. Marie Rimbaud risulterà dispersa»

«Grazie» disse lei con le lacrime agli occhi prima di abbracciarlo.

Il giorno dopo Arthur decise di partire, sarebbe tornato da Paul, aveva bisogno di vederlo. Diede un’ultima occhiata al piccolo Chuuya. Aveva ereditato molto da Marie, pensò notando una ciocca di capelli rossi. Sperò con tutto il cuore che quel piccolo fosse un semplice umano, avrebbe avuto una vita più facile.

«Io spero che quel moccioso si riveli un demone» fu il primo, lapidario, commento di Paul.

Arthur non era riuscito resistere, doveva parlare con qualcuno di ciò che aveva scoperto. Per quello una volta varcata la soglia di casa si era confidato con il compagno. Il cacciatore era anche curioso di sapere se ci fossero stati altri casi di bambini mezzi demoni come suo nipote e quali rischi questo potesse comportare.

Il biondo aveva alzato gli occhi dal libro che stava leggendo per incrociare quelli dell’esorcista.

«Ci sono varie leggende, profezie, di roba simile è pieno l’Inferno però sinceramente non me ne sono mai interessato» il demone, notando l’espressione delusa dell’altro si affrettò ad aggiungere;

«Non mi ero mai legato a nessuno e quindi non ho mai preso in considerazione l’idea di avere dei figli, sia con umani che con altri demoni» a quelle parole Arthur non riuscì a trattenersi;

«Hai mai desiderato un figlio nostro?»

Paul fece cadere il libro che teneva ancora tra le mani. Cercò lo sguardo del compagno ma Rimbaud stava facendo il possibile per evitarlo. Aveva parlato senza riflettere, spinto ancora dal quel malsano sentimento d’invidia che aveva provato verso Marie e la sua felicità. Aveva rivisto nella sua mente, il faccino paffuto del nipote e aveva pensato che a loro questo tipo di gioia non sarebbe mai stata concessa. Lui e Paul erano peccatori, poteva inventarsi qualsiasi scusa per mettere a tacere la voce della sua coscienza ma il cacciatore sapeva che ormai la sua anima era dannata, destinata al castigo eterno. Quella realtà non sarebbe mai cambiata.

Il biondo gli si avvicinò lentamente, intuendo quali pensieri stessero turbando il suo animo e lo avvolse tra le braccia.

«Ho desiderato te. Non crucciarti in questi pensieri, tanto non potremo mai avere dei figli nostri» aveva parlato con troppa leggerezza. A quelle parole Arthur si divincolò dalla sua presa e se ne andò sbattendo la porta.

Non si parlarono per un paio di giorni poi il demone decise di fare il primo passo. L’esorcista era un tipo orgoglioso e Paul aveva imparato con gli anni che a volte doveva semplicemente assecondarlo. Scelse di avvicinarsi di prima mattina, quando Arthur era mezzo addormentato e di conseguenza, più docile.

«Scusami. Ho parlato senza riflettere» il moro si girò dall’altro capo del letto, continuando ad ignorarlo.

«Una volta l’ho sognato sai? Nostro figlio» Rimbaud si voltò finalmente verso di lui.

«Te l’ho detto che l’Inferno è pieno di storie, ecco in una si racconta di una creatura nata da due demoni. Quando nascerà ci sarà qualcosa tipo un’apocalisse» continuò il biondo ridendo da solo.

«Non vedo il collegamento» ammise l’altro.

«I due demoni della profezia, è inteso come due demoni di sesso maschile»

«Oh ma io sono umano»

«Lo so benissimo. È solo una favola, non ci pensare. Era per dirti che una volta avevo pensato anche io a un bambino nostro, sarebbe stato una meraviglia con i tuoi capelli corvini»

«E i tuoi occhi verdi» aveva concluso l’altro, allungando un braccio per accarezzargli il viso. Paul sorrise;

«Sono perdonato?» l’esorcista si avvicinò fino a sussurrargli a pochi centimetri dalle labbra

«Forse»

 

***

 

Per qualche tempo non tornarono più sull’argomento. Arthur si dedicò alle missioni per conto dell’Ordine cercando di non pensare più a Marie e al suo bambino. Ma era più forte di lui, ogni volta che incontrava sulla sua strada una donna che teneva in braccio suo figlio tornava con la mente alla sorella. Fu allora, in una mattina d’estate, che Paul lo sorprese;

«Andiamo a trovarli»

«Stai scherzando spero? Il Vaticano non deve sapere della loro esistenza, ho promesso a Marie…»

«Si si lo so. Però ho avuto modo di riflettere in questi giorni, voglio vedere quel bambino»

Arthur lo guardò malissimo, non si fidava minimamente del suo compagno. Sapeva che qualcosa bolliva in pentola, lo conosceva troppo bene;

«Voglio conoscere tua sorella e presentarmi come tuo compagno» L’esorcista assunte un’espressione sempre più scettica;

«Inventa una scusa migliore»

«Sono preoccupato per te» ammise infine il demone «E penso che tu abbia bisogno di stare un po' con Marie e lontano dalle missioni e dall’Ordine»

Arthur gli si avvicinò;

«Quando la smetterai di dare la colpa di tutto al mio Ordine?»

«Forse quando tu la smetterai con l’esorcizzare i miei fratelli?»

Erano nuovamente sul piede di guerra. Per quanto si amassero c’erano delle cose sulle quali non potevano scendere a compromessi. Facevano parte di schieramenti opposti che si combattevano dall’alba dei tempi e molto probabilmente avrebbero continuato a farlo per l’eternità. Potevano fingere di essere una coppia felice, ma il destino e la realtà tornavano spesso a bussare con insistenza alla loro porta.

Alla fine, Arthur aveva accettato quella proposta ed erano ritornati da Marie. Sua sorella era ancora più bella e rispetto a quando l’aveva lasciata. Il piccolo Chuuya era cresciuto, ormai aveva quasi un anno e si divertiva a gattonare per casa. L’esorcista non poté evitare di studiare ogni più piccolo mutamento nell’espressione di Paul, non appena aveva visto il bambino. Non aveva saputo dire però quali pensieri si agitassero nel suo animo, per qualche istante gli era sembrato imperscrutabile.

Il demone si era presentato educatamente a Marie e a suo marito affermando con orgoglio di essere il compagno di Arthur, ammettendo così anche la loro relazione. Dopo aver fatto l’occhiolino alla ragazza e aver aggiunto una battuta sul fatto che scegliersi un demone dovesse essere un vizio di famiglia. Il cacciatore, che in quel momento aveva tra le braccia Chuuya, per poco non lo fece cadere dalla sorpresa. Arrossì fino alla punta dei capelli mentre il bambino lo guardava con occhi curiosi.

Quella notte Arthur non riusciva a prendere sonno e non sapeva spiegarsi il motivo, troppi pensieri stavano turbando il suo animo. Ultimamente si trovava sempre più spesso a riflettere sulla sua relazione con Paul. Lo amava, anzi probabilmente si era innamorato dal primo momento in cui le loro strade si erano incrociate, però a volte sentiva come se quel sentimento non bastasse. Il litigio di qualche giorno prima era solo l’ultimo di una lunga serie. Per quanto il Vaticano per il momento, avesse chiuso un occhio su quel legame e per quanto anche Marie sembrasse aver accettato la situazione, Arthur sentiva che c’era qualcosa che non andava. Forse aveva sbagliato, aveva creduto ingenuamente che avrebbero potuto stare insieme, a discapito delle loro razze, delle loro fedi.

A diciotto anni, quando aveva incontrato Paul per la prima volta, il cacciatore era davvero convinto che sarebbe bastato l’amore a tenerli insieme. Ora, con la ragione e la maturità dell’età adulta, si trovava a fare i conti con una realtà dei fatti ben diversa, forse era tempo di mettere da parte le fantasie infantili e crescere. Non sapeva che fare, non voleva lasciare Paul. Non aveva mai smesso di amarlo, solo, si era reso conto che la loro relazione non poteva avere un futuro. Continuando su quella strada avrebbero solo finito con il soffrire di più. Dovevano fermarsi ora, erano ancora in tempo, non avevano raggiunto il punto di non ritorno.

Decise di uscire a prendere una boccata d’aria e al rientro si trovò di fronte agli occhi una scena che mai si sarebbe aspettato di vedere. Per una frazione di secondo credette di star sognando. Paul era seduto comodamente su di una poltrona del soggiorno e stava dando da mangiare al piccolo Chuuya. Appena notò la sua presenza il biondo gli sorrise;

«Che ci fai qui?»

«Piangeva, mi sono offerto di dargli il latte»

Arthur alzò gli occhi al cielo, anche se doveva ammettere che vederlo prendersi cura del piccolo gli aveva solo riportato alla mente quel desiderio malato che credeva di aver dimenticato.

«Sai, penso che Chuuya dovrebbe venire con noi»

«Che?» Era certo di aver capito male. Il biondo notando la sua espressione allarmata cercò di spiegarsi meglio;

«Anche se ora ha l’aspetto di un essere umano noi sappiamo che non lo è. Potrebbe avere dei poteri, è pericoloso lasciarlo qui. Dovrebbe essere cresciuto dai suoi simili»

«Chuuya deve essere cresciuto dai suoi genitori»

«E se finisse col fare loro del male?»

«Paul ma che stai dicendo?»

«Riflettevo solo sul fatto che io e te potremmo andarcene e crescere Chuuya. Sarebbe al sicuro con noi e tu avresti la famiglia che tanto desideri»

Arthur era incredulo. Una parte di lui pensò a quanto sarebbe stato bello il piano del suo compagno ma fu la parte più razionale in quel momento a prendere il sopravvento.

«Non possiamo rapire il bambino di mia sorella»

«Arthur, prima o poi il Vaticano li troverà. Lo sai meglio di me. È solo questione di tempo. Se non saranno i tuoi saranno i miei. Sono condannati, non c’è speranza»

L’esorcista non lo voleva ascoltare. Sapeva benissimo che Paul aveva ragione ma non poteva accettarlo. Avrebbe fatto di tutto per proteggere sua sorella e anche Chuuya. Il bimbo intanto aveva finito di bere il suo latte e si era addormentato cullato dalle braccia del demone che lo osservava come se non avesse visto niente di più bello al mondo. Arthur si trovò ad invidiare quello sguardo.

«Tornerò all’Inferno e farò delle ricerche» disse dopo qualche istante di silenzio.

«Ricerche?»

«Voglio capire il potenziale di questo bambino» Arthur stava col perdere la pazienza;

«Che ne sarà di noi?» chiese alzando il tono di voce e ottenendo solo come risultato quello di svegliare il piccolo;

«Ecco contento ora?» Paul si mise a cullare Chuuya provando a calmarlo;

«Ti ho chiesto che ne sarà di noi» aveva bisogno di una risposta, doveva credere che tra loro ci potesse essere ancora qualcosa che valesse la pena di essere salvato. Ottenne solo uno sguardo stanco;

«Non lo so Arthur, non lo so davvero» in quel momento il cacciatore capì che anche il demone nutriva i suoi stessi dubbi. Erano arrivati alla stessa conclusione ma faceva troppo male ammetterlo ad alta voce. Erano arrivati al capolinea e non volevano accettarlo.

Il biondo fece addormentare Chuuya e lo adagiò nella sua culla. Arthur non aveva aperto bocca. Per tutto il tempo non aveva mai distolto lo sguardo, per quanto facesse male, aveva sempre saputo che Paul sarebbe stato un ottimo padre.

Quando il demone si avvicinò alla porta si decise;

«Allora questo è un addio?» non era certo di voler restare per udire la risposta. Paul gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisi;

«Tornerò»

Arthur però non seppe dire se quella risposta fosse rivolta a lui o al bambino che giaceva addormentato lì accanto.

 

***

 

Per anni non aveva ricevuto notizie di Paul, si era dedicato completamente al lavoro ricevendo sempre più incarichi ed onorificenze per il suo operato. Da quando si era sparsa la voce della sua rottura col demone del vento anche il Vaticano aveva tirato un sospiro di sollievo. Era troppo bello per poter durare, col senno di poi quella sarebbe stata solo la tipica calma prima della tempesta.

Fu proprio una tempesta quella che andò ad abbattersi su tutti loro.

Era da un paio di mesi che in Francia si stavano verificando episodi sospetti. L’Ordine aveva cercato di fare il possibile per evitare di coinvolgerlo ma alla fine, Arthur Rimbaud venne incaricato di indagare su una serie di fenomeni che si erano verificati nei pressi del villaggio di Suribachi. A quel nome gli fu impossibile non tornare con la mente al ricordo di sua sorella.

Marie e suo marito vivevano li. Chuuya doveva essere cresciuto e avere cinque forse sei anni ormai. Arthur non aveva più pensato a loro. Collegava il tutto alla fuga di Paul. Molte volte si era domandato cosa sarebbe accaduto se avesse accettato la sua proposta. Avrebbero cresciuto insieme Chuuya ma poi? Il loro amore sarebbe sopravvissuto a quello? La risposta che si era dato era che probabilmente tra loro sarebbe finita comunque.

Appartenevano a mondi troppo diversi. Un tempo aveva invidiato la felicità di Marie, ma ora non più. Aveva capito che era in grado di condurre un’esistenza serena anche senza la presenza di Paul. Il sogno di creare una famiglia con lui non era stato che quello, un semplice sogno.

Quando aveva sentito di sparizioni e avvenimenti sospetti nei pressi di Suribachi, una parte di lui gli aveva suggerito che fossero effettivamente opera del suo demone. Avrebbe tanto voluto sbagliarsi, lo desiderava con tutto il cuore. Se Paul avesse mai ucciso degli esseri umani il Vaticano avrebbe emesso una condanna anche per lui. Arthur non era sicuro di sapere come si sarebbe comportato in quel caso, chi avrebbe scelto, se la sua fede o il suo cuore. Sperò di non doverlo mai scoprire.

Il villaggio di Suribachi era irriconoscibile. Aveva cavalcato tutta la notte ed era in compagnia solo di un giovane novizio. Non perse tempo e si diresse subito verso la casa di sua sorella, per tutto il tragitto dovette schivare resti di corpi umani ormai irriconoscibili. C’era sangue ovunque come anche cadaveri. Era stato un massacro, di sicuro quello non poteva essere opera di un solo demone.

Quando arrivò all’abitazione di Marie notò che la porta era completamente a pezzi, c’erano schegge ovunque, come se qualcuno l’avesse fatta esplodere. Non voleva credere che tutto quello fosse opera di Paul, lui odiava uccidere, ma in quel momento non ne era più così sicuro. Forse il biondo non era più il demone che conosceva, doveva essere successo qualcosa in quegli anni. Arthur non poteva credere che il suo ex compagno fosse il responsabile di quella carneficina ma ogni indizio sembrava portare a lui. Si fece coraggio ed entrò nell’abitazione.

La prima cosa che vide fu il corpo senza vita di Marie. Stava per mettersi a urlare quando notò un ombra muoversi leggermente contro la parete. Fu allora che lo vide. Un bambino dai capelli rossi, rannicchiato ed impaurito che aveva di poco alzato lo sguardo e lo fissava curioso.

«Chuuya» disse prima di sollevarlo di peso ed avvolgerlo in una coperta.

Era spaventato e debilitato ma era vivo. Suo nipote era l’unico sopravvissuto a quel massacro. Un miracolo, non poteva chiamarlo se non in quel modo.

Per Arthur quella fu solo un’ulteriore prova che l’incidente di Suribachi non potesse essere stato opera di Paul. Non avrebbe mai lasciato Chuuya. Ricordava benissimo la loro ultima conversazione. Il demone avrebbe voluto crescere il bambino come un demone, che senso avrebbe avuto lasciarlo lì. Non poteva rivelare queste sue perplessità al Vaticano, come non poteva rivelare il loro grado di parentela. Avrebbe protetto Chuuya, non era stato in grado di farlo con Marie, questa volta non avrebbe fallito. Fece questa promessa di fronte al cadavere della sorella, qualsiasi cosa sarebbe successa non avrebbe mai abbandonato suo nipote.

Decise di portare il piccolo in uno dei conventi dell’Ordine, le suore si sarebbero occupate di lui, poi un giorno, raggiunta l’età giusta ne avrebbe fatto un esorcista. Era certo che quel bambino fosse in tutto e per tutto un essere umano e anche negli mesi seguenti nulla gli fece mai dubitare del contrario.

Rivide Paul un anno dopo, mentre era di ritorno da una visita al convento.

Il demone era bello come se lo ricordava, come il primo giorno in cui i loro sguardi si erano incrociati, non era invecchiato di un giorno e nonostante tutto, il cuore del cacciatore perse un battito a quella visione.

«Ciao Arthur» lo salutò come sempre, come se non fossero passati anni dall’ultima volta che si erano visti. Al moro venne solo voglia di prenderlo a pugni.

«Hai solo questo da dire?»

«Non capisco»

«Cosa è accaduto a Suribachi?»

«Oh ti riferisci a quello»

Una vena, posta sulla tempia dell’esorcista era sul punto di esplodere e il demone se ne accorse. Dopo anni sapeva ancora riconoscere con precisione i segnali che precedevano una sfuriata del compagno. Alzò le braccia in segno di resa;

«Non è stata opera mia»

«Non ti credo. Tu sei stato lì, ci sono le prove»

«Si, ci sono stato, ma come te sono arrivato quando ormai era troppo tardi»

«Spiegati»

«Un gruppo di demoni ha attaccato il villaggio. Ecco, può essere stato per causa mia, stavo facendo delle ricerche e devo aver parlato troppo»

«Dannazione Paul, cosa hai fatto?»

«Ho rivelato dell’esistenza di un mezzo demone»

«Cosa hai fatto?!» Era davvero troppo.

«Non volevo. Ho messo in pericolo Chuuya e Marie, così ho provato a fermare quei demoni ma quando sono arrivato qui non ce n’era più bisogno»

«Che vuoi dire? Non capisco»

«È stato Chuuya. È stato tutto opera sua» Arthur era senza parole,

«Di tutte le scuse che potevi inventare questa le batte tutte. È solo un bambino»

«Ha evocato delle fiamme nere. L’ho visto con questi occhi Arthur. Hanno provato ad afferrarlo ma Marie l’ha protetto, tua sorella è morta facendo scudo al bambino. Chuuya nel vedere sua madre morire è esploso, non so in che altro modo dirlo. Li ha uccisi tutti era una furia»

L’esorcista non sapeva come replicare;

«Sei libero di non credermi ma sono venuto per metterti in guardia oltre a vantarmi per aver sempre avuto ragione sul ragazzino. Chuuya è un demone e deve stare tra i suoi simili e tu l’hai portato nel luogo più pericoloso per lui» Arthur non disse nulla, superò il demone e si incamminò sulla sua strada.

 

***

 

Chuuya era intelligente, sveglio e talentuoso. In quegli anni il cacciatore aveva notato solo il suo livello di forza fisica, leggermente superiore a quello di un comune essere umano ma per il resto non sembrava aver nessun potere demoniaco latente. Arthur aveva insistito per occuparsi personalmente del suo addestramento in modo da poterlo anche tenere sotto controllo. Non voleva credere alle parole di Paul ma l’idea che il nipote nascondesse pericolosi poteri demoniaci lo tormentava.

Aveva la situazione completamente sotto controllo, era andato tutto bene fino a quando un demone non aveva fatto la sua comparsa per turbare le loro vite.

La prima volta che Arthur Rimbaud aveva visto Osamu Dazai non gli era piaciuto. Gli ricordava troppo un certo demone di sua conoscenza. Dazai però era ancora più fastidioso e insistente di Paul. Aveva scambiato Chuuya per una suora e si era infatuato di lui a prima vista. Ovviamente il ragazzino non si era accorto subito della natura demoniaca del suo spasimante e aveva cercato in tutti i modi di resistere a quelle avances.

Nella storia di Dazai e Chuuya, Arthur aveva visto il riflesso sfumato di ciò che un tempo erano stati lui e Paul. Per suo nipote però ci sarebbe stato un altro epilogo.

Non si era ricordato subito della strampalata leggenda che anni prima gli aveva raccontato il biondo; quella della creatura nata dall’unione di due esseri demoniaci. Gli venne in mente quando scoprì che Chuuya avrebbe dato a Dazai un figlio.

Il rosso aveva finito con il cedere ed aveva sposato il suo demone fuggendo sino all’Inferno con lui, rinnegando l’Ordine. Solo qualche anno dopo la sua natura demoniaca venne alla luce quando si scoprì aspettare un bambino dal demone dei suicidi.

Per Arthur quella notizia fu un déjà-vu. Ripensò al suo desiderio infantile di una famiglia con Paul e di come Chuuya stesse per ricevere ciò che a lui era sempre stato negato. Si trovò ad invidiare il rosso e la sua felicità come un tempo aveva invidiato quella di Marie.

Alzò lo sguardo dalla lettera che aveva appena ricevuto e che lo informava di quel abominio, erano quelle le parole esatte, usate dal Vaticano per descrivere la condizione di Chuuya. Paul era davanti a lui e lo fissava. Non c’era traccia di scherno in quello sguardo, solo un profondo senso di tristezza. Per quanto avessero provato o tentato, in tutti quegli anni non erano stati in grado di dirsi definitivamente addio e anche ora, eccoli lì insieme mentre andavano incontro all’ennesimo avvenimento che avrebbe messo a dura prova quel legame che nonostante tutto ancora li univa.

«Presto ci sarà una guerra» aveva ammesso perdendosi i quegli occhi verdi che tanto aveva amato. Il biondo non poté far altro che annuire; per una volta sembravano essere d’accordo.

«Vaticano, Inferno, quei mocciosi si sono messi contro tutti»

«Per un secondo li ho invidiati» Paul si mise a ridere sistemandosi una ciocca di capelli ribelli dietro ad un orecchio;

«Tu hai sempre invidiato tutti, è uno dei tuoi difetti. Non ti sei mai concentrato su te stesso hai sempre dovuto paragonarti agli altri»

«Sono stato cresciuto così»

«Piccolo Rimbaud» il cacciatore senza volerlo si mise a ridere a sua volta;

«Mi ricorda il nostro primo incontro» ammise con aria nostalgica.

«Già in quella tavola calda»

«Te lo ricordi ancora?» chiese sorpreso, non se lo aspettava.

«Ricordo ogni giorno trascorso insieme a te, Arthur»

«A volte penso a come sarebbe andata se quella sera avessi seguito il tuo folle piano. Se fossimo fuggiti con Chuuya»

«Probabilmente non sarebbe cambiato nulla. Li ho visti sai, all’Inferno, e ho avuto modo di scambiare un paio di parole con lui, ti somiglia, è una piccola testa calda»

«Paul» il moro alzò gli occhi al cielo, poteva solo immaginare una conversazione tra i due, fu quasi lieto di non avervi partecipato.

«Ho visto pure Dazai. Chuuya non poteva sperare in un compagno migliore, lo proteggerà»

«Ma chi proteggerà loro?» il biondo gli pose una mano;

«Vogliamo andare?» gli chiese. Non serviva specificare dove. Arrivati a quel punto della storia Arthur lo avrebbe seguito ovunque. Chuuya era tutto ciò che restava della sua famiglia. Non era solo suo nipote era quasi un figlio per lui e avrebbe fatto il possibile per proteggerlo, come aveva tentato di fare per tutto il corso della sua vita. Doveva farsi perdonare molte cose, l’avergli nascosto la sua vera natura demoniaca, il non avergli mai rivelato la verità riguardo all’incidente di Suribachi.

Afferrò la mano del suo demone senza esitazione.

Aveva fatto quella scelta tantissimi anni prima. Forse lui e Paul non erano destinati ad avere un lieto fine come Chuuya e Dazai ma a loro stava bene così. Si erano amati per un breve periodo, poi si erano odiati per poi tornare ad amarsi con quasi più forza di prima. Il cacciatore aveva imparato che nella vita niente va mai come ci si aspetta, la prova era nella mano che in quel momento stava stringendo.

Paul sarebbe stato la sua salvezza e la sua condanna, Arthur Rimbaud non avrebbe potuto desiderare altro. Con questa convinzione lo seguì all’Inferno.

  
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