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Autore: vanessie    05/03/2021    0 recensioni
Katelyn e Matthew sono due amici nati e cresciuti insieme fino ai loro 19 e 18 anni. Le loro mamme sono grandi amiche, tra un nascondino e una partita ai videogames hanno condiviso il passaggio dall’infanzia alla prima adolescenza. Le confidenze, le risate e gli sguardi imbarazzati hanno preceduto dei baci veri nati per gioco. Lui aveva sempre avuto il coraggio di dirle che l’amava, lei lo aveva compreso solo più tardi, quando guardandolo nei suoi occhi color del cielo aveva avvertito delle emozioni indescrivibili. Adesso che Matt frequentava il college in America, a Kate restavano solo bei ricordi…almeno fino a quando, sette anni dopo, ormai ventiseienne e con una relazione, lo rivide, partecipando con i suoi genitori ad una grigliata a casa dei loro cari amici di famiglia. Lì in giardino i loro sguardi si incrociarono, Katelyn capì che quelle emozioni sopite si erano risvegliate. In quel cielo azzurro c’erano ancora tutte le cose belle che amava di lui…
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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INSIDE YOUR SKYBLUE EYES

Capitolo 30

“Azioni e reazioni”

 

 

POV Matt 

Atterrai a Dublino il sabato mattina presto. Inutile cercare Kate a quell’ora, era al lavoro, inoltre ero distrutto dal viaggio, avrei rischiato di agire nella maniera sbagliata a causa della stanchezza. Arrivai a casa mia in taxi, dentro non c’era nessuno. Papà mi aveva scritto dicendo che tutti loro erano fuori casa dunque ne approfittai per dormire. Mi svegliai tardissimo, era pomeriggio inoltrato. Mangiai qualcosa, poi preparai la cena per i miei genitori. Rientrarono insieme, verso le 19. “Ciao” li salutai sporgendomi verso il soggiorno “Ciao, bentornato” rispose mio padre. Notai che mamma rimase freddissima, ero grande ma ricordavo ancora il suo sguardo quando si arrabbiava e in quel momento glielo vedevo chiaro in faccia. Andai verso di loro, lei si avvicinò e mi tirò un sonoro ceffone “Da me non avrai nessun bentornato” disse severa. La sua sberla era stata parecchio forte, non mi vedevo ma ero certo di avere il segno. Dubitavo che non si fosse fatta male alla mano. Incrociò le braccia al petto e mi fissò quando mi misi seduto sul divano, in attesa delle sue parole. “Non ho parole per quello che hai fatto” esordì, restai in silenzio “Questa non è l’educazione che io e tuo padre ti abbiamo dato. Mi sono vergognata Matthew Black, profondamente vergognata” aggiunse. E io sapevo che parlava del funerale di Ben, così come sapevo che quando scandiva il mio nome e cognome voleva dire che l’avevo combinata grossa.  

Papà si mise seduto sulla poltrona ad osservare, non avevo bisogno delle sue parole, tanto intuivo dallo sguardo che condividesse le parole di sua moglie. Abbassai gli occhi e mi sentii ancor più colpevole di ciò che sentivo a New York. Anche a 25 anni, sentir dire dai propri genitori che si vergognano di te, colpiva nel profondo. “Ben ti adorava, lui meritava il tuo rispetto, la tua presenza al funerale, così come la meritava Holly, che ti ha cresciuto come una seconda madre. Non accenno nemmeno a Katelyn, siete nati e diventati grandi insieme. Hai idea di quanto stia soffrendo? Sai cosa significa perdere un genitore? Ti assicuro che ci sono già passata e la cosa ti distrugge! Kate aveva bisogno di sentirti vicino, di avere una spalla su cui piangere, di qualcuno che l’aiutasse ad asciugarsi le lacrime. E tu invece cos’hai fatto? Le fai sapere con messaggio idiota che non saresti venuto, glielo dici pochi minuti prima del funerale, riesci a ferirla ancora di più di ciò che già sentiva. Non so se quella povera ragazza abbia pianto in chiesa più per suo padre, o per la delusione di avere un amico pietoso, che non merita più di essere considerato tale” affermò gridando. “Mi dispiace” fu l’unica cosa che dissi “Ti dispiace? Giustifichi la tua assenza con la scusa che se resti indietro con gli esami perdi la borsa di studio, specificando che non puoi pagarti la retta da 40mila dollari. Quando l’ho saputo Matthew, sarei partita con il primo volo per venire a riempirti di botte. Ma che cosa sei diventato? Non ti riconosco, mi fa quasi schifo pensare che sei mio figlio, che ti ho partorito” sentenziò. Mi si riempirono gli occhi di lacrime alle sue parole, le trattenni evitando che colassero lungo le guance.

 

giphy

 

“Basta Evelyn” si intromise mio padre, andò ad abbracciarla e le sussurrò qualcosa che non riuscii a capire “Per me puoi tornare a New York” concluse mamma. Uscirono dalla stanza lasciandomi solo. Mi asciugai gli occhi e andai in camera mia. Presi il telefono, infilai le cuffie e avviai la musica per riempire il vuoto che avevo nella mente. Daniel e Michael erano stati duri con me, ma i miei genitori, mamma soprattutto, era stata glaciale. Me lo meritavo, lo sapevo, anche se forse la cosa era più grave di quello che pensavo. Chiunque mi aveva sempre definito maturo per la mia età, magari dipendeva dal fatto che vivevo autonomamente da quando avevo 18 anni, ma in quel momento sentii che non avevo affatto tutta quella maturità. Ero stato un coglione! Un ragazzino deficiente che aveva preferito un esame, sottovalutando l’importanza che la mia presenza poteva avere per familiari e amici.

Non cenai, rimasi steso sul letto, rannicchiato in posizione fetale. Piansi in silenzio, senza farmi sentire. Dopo che ebbero finito di cenare li sentii andare in camera. Più tardi papà si affacciò alla porta della mia stanza. Mi voltai, si avvicinò, mi diede un’occhiata severa, poggiando la mano sulla mia spalla. Sospirò “Che cazzo hai combinato?” bisbigliò. Avevo il viso stravolto dalle lacrime “Non lo so” ammisi riferendomi al fatto che non mi capacitavo neppure io di come avevo preso quella decisione. “Cerca di dormire Matt, domani è un altro giorno” mormorò, lasciandomi solo, continuai a piangere, mi addormentai solo quando fui esausto. La mattina mi svegliai sentendo il rumore delle stoviglie. Mi alzai, andai in bagno, avevo una faccia gonfia di pianto. Lavai il viso con l’acqua fredda, sperando che migliorasse. Volevo parlare con mamma, era straziante pensare che non volesse rivolgermi la parola, sapere che si vergognava di me, averle sentito dire che le faceva schifo pensare che fossi suo figlio e che mi avesse partorito. Era arrabbiata, lo sapevo che quel sentimento ti faceva esagerare con le parole, ma cazzo quanto aveva colpito nel segno! Già sapevo che ero nato per sbaglio, me lo aveva confidato soltanto la scorsa estate, dicendo che proprio non si aspettava di restare incinta di me, che ero un fuori programma. Capitava a tante coppie, non ne avevo fatto un dramma, anche se scoprirlo a 25 anni era stato strano, lei si era giustificata dicendo che prima non me lo aveva mai detto perché temeva che fossi troppo giovane per capire, temeva che se lo avessi saputo mi sarei sentito meno amato, mentre loro mi avevano voluto bene proprio come se fossi stato il più grande regalo della loro vita, proprio come Jennifer. Mi avevano dato tutto: affetto, rimproveri, mi avevano fatto studiare, crescere, mi avevano aiutato all’inizio del college a pagare l’affitto e le spese, fino a quando non avevo trovato dei lavoretti per fare da solo. Sentir dire dalla sua voce angelica e dal suo viso da ragazzina tutte quelle parole della sera prima, mi faceva desiderare di sparire. Andai in cucina, la trovai intenta a lavare le tazze e i cucchiaini della colazione. Papà leggeva un quotidiano seduto su uno degli sgabelli dell’isola della cucina. Non sapevo come iniziare il discorso, lei si era voltata a guardarmi. Chiuse l’acqua e si mise seduta accanto a mio padre, scrutandomi con aria rigida.

“Mi dispiace, non ci sono parole per quello che ho fatto e…lo so che tu preferiresti che me ne andassi adesso. So che tu ed Holly siete come sorelle e che la scomparsa di Ben è stata improvvisa e ti ha ferita” esordii, ma lei mi interruppe “Mi ferisce di più sapere che ho messo al mondo uno stronzo” ribattè. Ecco ero di nuovo sull’orlo di una crisi di pianto, stavolta lasciai le lacrime cadere, senza sforzarmi di regolarle.

 

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“Evelyn però adesso non esagerare” affermò papà “Per quale ragione? Perché piange?” ribattè mia madre “Lascialo parlare almeno” continuò lui “Se piange riderà quando si sposa! Sapessi quante lacrime ci sono state, mentre lui stava nel suo mondo americano fatato” affermò lei rigidissima. “Scusa” dissi tra i singhiozzi “Scusatemi, io non volevo deludervi, non volevo che tu ti vergognassi di me. Ho fatto una cazzata e mi sono pentito immediatamente, ma l’ho fatta ormai e non posso tornare indietro. Non so cos’altro fare, se non chiedere perdono a voi due e lo chiederò a Jennifer e a Holly, a Kate” riuscii a dire tra le lacrime.

 

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Anche mamma aveva adesso lo sguardo gonfio di lacrime “Se non vuoi vedermi mamma, posso andarmene, posso andare a dormire in qualche albergo, capisco che sei turbata dal fatto che mi sia comportato come un coglione, che sei incazzata, ferita” precisai. Lei si alzò, venendomi vicina. Mi presi altri due ceffoni, uno per guancia, poi mi sentii stringere dalle sue braccia. La strinsi e mi abbandonai a piangere disperato sulla sua spalla, come facevo quando ero piccolo e lei mi sgridava. Singhiozzavo perché con quell’abbraccio lei voleva comunicarmi che, nonostante il mio pessimo comportamento, non poteva fare a meno di volermi bene. E io sentivo che era immeritato quell’affetto, che le era mancata la mia presenza in un momento doloroso, che sebbene l’avessi delusa su tutti i fronti ero pur sempre suo figlio. Mormoravo che le volevo bene, che ero dispiaciuto, che volevo solo che lei mi perdonasse. Mi tenne abbracciato fino a quando mi calmai, anche grazie alle carezze che mi faceva sul capo e sulla schiena, accompagnate da alcuni bacini che mi lasciava qua e là sul viso quando mi staccava appena da sé per asciugarmi le lacrime.

“Ho esagerato con alcune parole e di questo ti chiedo scusa io” ci tenne a chiarire quando mi calmai del tutto “No, non devi scusarti” risposi “Non è affatto vero che mi vergogno di averti partorito, voglio che tu lo sappia” specificò. Annuii “L’ho detto perché ero arrabbiata Matthew, non l’ho mai pensato” aggiunse. Annuii ancora e le diedi un bacio sulla guancia, come per dirle che non avevo rancore verso la sua frase, che avevo capito. “Vorrei andare da Holly a chiedere scusa” dissi “Va bene” “Sai se è a casa oggi?” domandai “Sì, ti consiglio di andare dopo le tre, così Kate è al lavoro. Sarà più facile affrontarle una alla volta” mi suggerì. La ringraziai, ci scambiammo ancora un abbraccio, ne diedi uno anche a mio padre.

Rimasi in camera mia, passavo dallo stare steso a letto a riflettere, al sedermi alla scrivania cercando di distrarmi, al girellare per la stanza provando a non guardare le nostre innumerevoli foto insieme da bambini e adolescenti, cosa alquanto impossibile. Ogni volta che poggiavo lo sguardo su quegli scatti mi rendevo conto di aver tradito la persona più importante del mondo con la mia decisione. Era sempre stata una buona amica ed io l’avevo abbandonata in un giorno pesantissimo. Quant’eravamo felici in quelle foto passate, invidiavo quel me ragazzino, poteva guardarsi allo specchio senza rimpianti e per questo aveva il rispetto e la fiducia di un’amicizia sincera.

 

cap-30

 

Poco dopo le tre mi incamminai a casa Cadogan. Suonai, Holly mi riconobbe dal vetro laterale della porta, aprì e contrariamente a ciò che mi aspettavo, ossia due ceffoni e qualche parolaccia, mi rivolse un flebile sorriso. “Ciao Holly, ti disturbo?” “No, affatto, entra” disse. Lasciai il giubbino all’attaccapanni, poi la seguii sul divano. Che strano entrare lì sapendo che Ben non c’era più. “Tua madre mi aveva detto che tornavi” esordì “Holly prima che tu dica altro, voglio chiederti scusa. Dovevo esserci quel giorno, dovevo mollare qualsiasi cosa e venire a darti un abbraccio, invece non l’ho fatto” spiegai “Dammelo adesso” rispose. La abbracciai e percepii che lei non ce l’avesse con me “Dovresti dirmene quattro” le suggerii, lei si staccò “So che te le ha già cantate tua madre, era furiosa!” esclamò “Sì” “Non è stato il massimo non esserci Matt. È logico che ci sono rimasta male, ma ti conosco da quando eri nella culla dell’ospedale e dai tuoi occhi traspare il tuo dispiacere, è per questo che non ti dirò niente. Ben ed io ti vogliamo bene, lui ti adorava! Quant’era felice se venivi a casa nostra! Gli piaceva parlare con te, avere un rapporto aperto e sincero, averti trasmesso la passione per il calcio. Non sai quante volte ti nominava quando eri in America. Ti ha sempre considerato il figlio maschio che non abbiamo mai avuto ed era così felice che tu fossi il migliore amico di Katelyn” “Sono sentimenti ricambiati” mi limitai a dire, sentendo le lacrime pungermi gli occhi.

 

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Holly mi fece una carezza “Sai che un giorno, parlando di famiglia, di figli, di futuro, Ben disse che da un lato era contento di aver avuto solo Kate. Ricordo esattamente che giustificò la cosa dicendo: non sarei stato certo di riuscire a voler bene a un ipotetico maschietto più di quanto ne voglia a Matthew, ad avere più sintonia di quanta ne abbia con lui, sebbene non sia mio figlio” mi raccontò. Era bello sentir parlare di Ben scoprendo cose inedite. Sorrisi, feci un sospiro “Domani vorrei andare a trovarlo al cimitero, posso farlo?” le chiesi “Certo che sì, sarà felice di vederti!” rispose. “Pensi che…sii sincera Holly. Pensi che Kate voglia parlarmi? Ho provato a telefonarle, a cercarla ovunque mentre ero in America, ma lei non mi ha mai risposto” “Temo che con Katelyn farai molta più fatica che con me e con tua madre. C’è rimasta molto male Matt, moltissimo. Sei sempre stato il suo amico del cuore e poi…mio marito non era riuscito a tenermi segreto il fatto che ti aveva parlato nelle vacanze di Natale, poiché vi aveva visti baciarvi” disse. Rimasi impietrito, non credevo che lei lo sapesse. “Non l’ho detto a Kate, Ben non voleva. Non l’ho detto neanche a tua mamma, sebbene noi ci raccontiamo tutto. Il fatto che tu non sia venuto, sapendo che per mia figlia eri qualcosa di più che il suo migliore amico…credo l’abbia distrutta” concluse. Abbassai lo sguardo “Grazie per la tua sincerità Holly e per il tuo perdono!” esclamai alzandomi. Ci salutammo con un abbraccio forte “Domani mattina saluterò Ben al cimitero” ribadii “D’accordo tesoro” rispose, accompagnandomi alla porta. Infilai il giubbino “Anche se conosco Kate e so che sarà molto difficile, tu provaci! Non lasciar cadere nel vuoto il tentativo di farti perdonare. È delusa, ma è ancora legata a te. Aveva tolto dalla camera tutte le vostre foto all’inizio. Due settimane fa invece l’ho spiata. Le ha riprese dai cassetti, le ha guardate sorridendo e le ha rimesse” ammise “Le parlerò” “Domani pomeriggio non lavora. Alle 15 andrà a trovare Liv” mi suggerì. Le sorrisi “Grazie Holly, buona serata e scusami ancora” la salutai dandole un bacio sulla guancia.

 

NOTE:

Ciao a tutte. Il ritorno a Dublino è molto diverso dalle aspettative di Matthew. Certo non si aspettava una festa di benvenuto, ma le parole di sua madre lo colpiscono profondamente, facendogli finalmente comprendere fino in fondo quanto sia stato grave il suo gesto, molto più di ciò che ipotizzava. Ma se con i genitori alla fine le cose si sistemano sempre prima del previsto, Matt sa che non sarà altrettanto con Holly e Kate. In verità Holly non lo rimprovera, gli fa capire che c'è rimasta male ma cerca di indirizzarlo al meglio per fare in modo che possa parlare faccia a faccia con Katelyn. Holly svela anche che è a conoscenza della loro "relazione", sa bene quanto sua figlia sia ferita e delusa, tuttavia spera che almeno conceda a Matt la possibilità di parlarle. Ci riuscirà già nel prossimo capitolo? A venerdì,

Vanessie

   
 
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