Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: MadMary    05/03/2021    1 recensioni
Aceto Doppio era sempre stato affascinato dagli Strip Club, ma non si era mai osato.
Quella sera, però, si sentiva diverso: una forza non troppo sconosciuta lo stava spingendo ad entrare, a sperimentare. Doppio sentiva di aver bisogno di contatto umano, come se la sua vita dipendesse da quello.
Entrando nel locale capì di aver fatto la scelta giusta, quando posò gli occhi su di lei e la forza sovrannaturale lo spinse a prenderla.
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Diavolo, Doppio Aceto, Ghiaccio, Prosciutto, Risotto Nero
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Threesome, Violenza
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Ciocche dei suoi capelli dorati uscivano dal pugno serrato dell’uomo, stretto attorno alla sua nuca, mentre la forzava in movimenti ripetitivi, avanti e indietro. 

Celeste percepiva il fiato di Risotto farsi sempre più pesante e tremante. 

Il suo naso affondò per l’ennesima volta in quei riccioli bianchi, prima di essere strattonata con veemenza nella direzione opposta.  

Delle lacrime calde le rigavano il viso e la saliva le scivolava per il mento, colando sporadicamente sulle lenzuola sbiadite spiegazzare sotto il suo corpo, mentre faceva presa sulle cosce marmoree dell’uomo, per riuscire a sostenersi e non perdere l’equilibrio a causa di tutti quei movimenti così violenti e rapidi. 

-Cazzo...- sibilò, premendola contro il suo membro e bloccandola in quella posizione, sentendola soffocare leggermente e respirare affannosamente dal naso, per cercare di restare calma. 

Iniziò a tossire e a fare leva con le mani sulle gambe di Risotto, nella speranza di allontanarlo da sé: stava letteralmente soffocando. Sentiva la punta del suo pene premere con insistenza contro la propria gola, facendole scattare il riflesso del vomito. Dovette iniziare a concentrarsi sul proprio respiro per non rimettere.  

Non sentendo la presa sui suoi capelli allentarsi e avendo ancora il proprio volto schiacciato contro il pube dell’uomo, cominciò a protestare mugolando delle suppliche, ottenendo come risposta unicamente un lamento basso e gutturale, più prolungato dei precedenti, mentre lo vedeva mordersi il labbro e alzare il mento verso il soffitto, deglutendo pesantemente e facendo scorrere il proprio pomo d’Adamo lungo il suo collo spesso.  

Qualche istante dopo, Risotto riprese i movimenti, che si fecero persino più veloci e irruenti, facendole lasciare un piccolo urlo soffocato di sorpresa, mentre gli occhi le si sgranavano e i polmoni si riempivano finalmente di aria nuova. 

Continuò così ancora per qualche minuto, finché nuovamente non la tenne ferma contro il suo sesso ed emise un lungo gemito, dipingendole la gola di bianco e facendole chiudere gli occhi per la spiacevole sensazione improvvisa. 

-Ingoia.- ordinò cercando di parlare con voce inflessibile, facendole alzare gli occhi per incontrare i suoi, fissandola con supponenza, ma anche stanchezza, mentre le massaggiava delicatamente il cuoio capelluto; nel delirio di quel momento, Celeste quasi si sciolse davanti a quel gesto che parve così dolce e meritato. 

Ubbidì, facendo come comandato, lasciandosi abusare ancora una volta, lasciando che di nuovo quell’uomo decidesse per lei quella notte, soddisfando i suoi desideri, assecondando le sue malate volontà, lasciandosi usare. 

Inspirando lievemente, Risotto fece scivolare fuori dalla bocca della ragazza il proprio membro rilassato, lasciando andare quelle ciocche dorate per passare le proprie dita longilinee fra i suoi capelli bianchi, leggermente attaccati alla fronte per via del sudore. 

Celeste guardò le sue mani tremanti, che si stringevano compulsivamente alle sue ginocchia, mentre lacrime e saliva le colavano dal viso, bagnandole i dorsi pallidi e le cosce violacee, non riuscendo più a reprimere il proprio pianto disperato. 

I singhiozzi iniziarono a scuotere quel corpo livido e spoglio, mentre la ragazza si lasciava cadere sul materasso e, portando le gambe al petto, si stringeva in una posizione fetale, nascondendo il viso tumefatto, contorto in un grido sommesso. 

 L’uomo rimase a fissarla attonito, sistemandosi solamente la biancheria, interdetto su come reagire. Decise, dopo che Celeste ebbe smesso di piangere, di coricarla nella sua stanza e così fece, prendendola in braccio come una sposa e portandola nella sua camera da letto personale, mentre la ragazza guardava senz’anima davanti a sé.  

Vedendola tremare, scossa non solo dai propri singulti, ma anche dal freddo, la vestì con una propria maglia di cotone e la sistemò sotto le coperte di lana, uscendo poi dalla stanza e dirigendosi verso la propria, sentendosi ancora turbato e confuso per le sensazioni che si stavano manifestando in lui dopo averla vista ridotta in quello stato. 

Una donna sempre apparsa così piena d’animo, che aveva sempre lottato per fuggire dalle situazioni in cui non si sentiva a proprio agio, una donna così ricca di vita ora sembrava un cadavere steso sul letto.  

Priva di luce. 

 

Il risveglio non si presentò alla ragazza se non verso le due del pomeriggio e anche lì dovette forzarsi per trovare il coraggio di aprire i propri occhi gonfi e uscire dal bozzolo di coperte in cui si era rifugiata.  

Provò a tossire, ma un dolore lancinante alla gola la costrinse a chiudere immediatamente la bocca arrossata e a portarsi una mano al collo, per stringerlo leggermente. 

Involontariamente, con quel gesto, tutti i ricordi della notte precedente le attraversarono la mente, togliendole completamente il fiato e portandola a boccheggiare alla ricerca di aria disperatamente, mentre il suo corpo collassava ancora una volta sulla trapunta. 

Si ritrovò in lacrime, tornando in una posizione fetale, singhiozzando inutilmente, intanto che il ricordo delle mani ruvide di Risotto le ripercorreva il corpo, sentendo il loro tocco sui suoi seni, sulle sue cosce, sulla sua intimità. Il suo sapore così amaro e leggermente salato le fece contorcere lo stomaco, mentre quell’odore riempiva nuovamente le sue narici. 

Solo in quel momento si rese conto di avere indosso una maglia di quel mostro e la sua pelle prese fuoco. Sentì il tessuto stringersi attorno a lei e soffocarla, lo sentiva costringerla immobile: lo sentiva forzarla sul letto. 

Con un urlo rotto e uno scatto violento del corpo, si rimosse l’indumento con velocità, scagliandolo al fondo della stanza e rimanendo nuda, portandosi poi le braccia attorno al corpo, come per difendersi da quel pezzo di stoffa, che le aveva lasciato addosso un fetore nauseabondo. 

Il rumore della maniglia della sua porta aprirsi le fece rizzare il viso di colpo, bloccandole totalmente il respiro. 

-Che succede, cucciola?- chiese una voce calda, leggermente divertita, accompagnata da una mano rosea e una manica scura: Illuso. 

Incapace di parlare, o di bloccarlo, per impedirgli di vederla così nuda, esposta e debole, Celeste riuscì solo ad afferrare frettolosamente una coperta di lana, gettandosela addosso, nel vano tentativo di coprirsi. 

-Oh...!- disse l’uomo, trovandola terrorizzata e spoglia in quel modo, raggomitolata su sé stessa in un angolo del letto, col viso gonfio e stanco e gli occhi pieni di paura. 

Rimase sull’uscio della porta, incerto sul da farsi: non voleva spaventarla ancora, ma davvero non capiva che cosa stesse succedendo. Ovviamente, era sempre stata intimorita dalla loro presenza, com’era giusto che fosse, ma mai fino a questi livelli. Non l’aveva mai vista così inorridita e smarrita; pareva un animale selvatico ferito, messo all’angolo dal predatore.  

-Cucciola...- abbassò il suo tono di voce, provando a renderlo il più dolce e apprensivo possibile –...che cosa succede, bellissima? Me lo vuoi dire?- e fece qualche passo verso di lei, ottenendo come reazione solo uno stridulo soffocato, mentre la sua figura esile si premeva contro il muro, nella speranza di venirne assorbita. 

Sbuffò infastidito, alzando gli occhi al cielo: non era pagato abbastanza per fare da psicoterapeuta a qualche puttana raccolta in una bettola qualsiasi di Napoli.  

-Se non vuoi parlarne con me ne parlerai con Risotto; vado a chiamarlo.- sputò inacidito, ma dovette voltarsi verso di lei quando la sentì guaire, come se le si fosse riaperta una vecchia ferita: aveva reagito così al nome del suo capo? 

Si avvicinò a passo svelto verso la ragazza, intenta a stringere gli occhi e trattenere il fiato. Si accomodò sul suo letto, accanto a lei, e si piegò incuriosito verso il suo viso, non badando molto alla sua reazione quando la vide indietreggiare ancora, diventando un tutt'uno con la parete.  

-Vuoi dirmi che succede, o devo davvero chiamare Risotto?- enfatizzò il suono della “r” di quel nome, vedendola sgranare gli occhi e fare cenno di negazione col capo, violentemente. 

-No... no ti prego...!- la sua voce non era liscia e delicata come suo solito, tutt’altro: risultava roca e gracchiante, oltre che incredibilmente flebile. 

-Allora parla, cucciola.- e sorrise, attendendo una risposta, mentre indietreggiava di poco ed incrociava le braccia muscolose, tendendo il tessuto che copriva i suoi arti longilinei. 

La vide deglutire faticosamente, mentre volgeva lo sguardo verso le proprie mani, pallide e tremanti, intente ad aggrovigliarsi nervosamente. 

-Ieri sera...- gracchiò, lasciando che un’espressione addolorata le pervadesse il viso -...Risotto mi ha costretta a...- e gli occhi arrossati le si riempirono nuovamente di lacrime. 

Illuso trattenne un’espressione di stupore: non si aspettava che il suo capo agisse così nell’immediato. Avevano ricevuto il permesso di farle ciò che più desideravano solo ieri sera e lui la notte stessa si era dato da fare; incredibile. Rimase anche stupito dalla reazione così esagerata della ragazza: Risotto era certamente un bell’uomo, i modi rudi piacevano alle donne e, soprattutto, in una situazione simile le conveniva assecondare ciò che le veniva ordinato, a meno che non ne volesse pagare le conseguenze. Per essere così spaventata e rovinata, doveva chiaramente aver opposto dell’inutile resistenza, non volendo concedersi a lui, causandone quindi l’ira e poi la chiara punizione. 

-Costretta a? Continua tesoro, non posso mica leggerti nella mente io.- scherzò, ridacchiando, come se quella situazione non fosse in alcun modo disumana. 

Celeste si asciugò qualche lacrima, prima di inspirare ed espirare profondamente. 

-Mi ha costretta a praticargli del... del sesso orale...- 

La grassa e goduta risata di Illuso le fece scattare il viso, per poterlo guardare negli occhi: cosa stava succedendo? Stava veramente ridendo, così di gusto, al racconto di uno stupro?  

-Oh, ma andiamo Celeste! Ti facevo più forte di così, sai? Tutta questa scenata per un semplice pompino?- le prese giocosamente una guancia, strizzandogliela leggermente, mentre lei rimaneva immobile, con le palpebre sbarrate –Andiamo carina, poteva succedere molto peggio, lo sai.- e si alzò, continuando a ridacchiare, mentre si passava pigramente una mano fra i capelli.  

Aprì la porta della stanza e, prima di uscire, le rivolse ancora uno sguardo. 

-Sappi che il capo è molto arrabbiato con te: se ci sono degli orari, vanno rispettati, qualunque cosa succeda.- e la lasciò nuovamente sola, ancora più turbata e terrorizzata di prima. 

 

Uscì dalla propria camera solo un’ora dopo, con addosso una tuta grigia prestatale da Formaggio qualche giorno prima per usarla come pigiama, mentre a passo lento si dirigeva verso la sala da pranzo. Il suo stomaco la stava digerendo da dentro: non toccava cibo da ore e, nonostante la nausea fosse persistente, i crampi della fame avevano vinto. 

Entrando nella sala, sentì gli occhi dei presenti studiarla con uno sguardo sorpreso, ma anche parecchio infastidito.  

Risotto la fissò sedersi in un angolo del tavolo, mentre Prosciutto e Illuso riprendevano il loro discorso, lanciandole di tanto in tanto delle occhiate aspre. 

La situazione risultò stabile per qualche minuto, ma tutti potevano percepire la tensione che riempiva il salone: Celeste continuava a mordersi il labbro, deglutendo rumorosamente, come se la sua gola fosse ferita e secca, mentre fissava il pavimento davanti a sé, raggomitolata su sé stessa come una bambina spaventata; Risotto non le staccava gli occhi di dosso e Illuso continuava a spostare il proprio sguardo dalla ragazza, al suo capo e infine al suo collega, che continuava a parlargli, chiaramente infastidito dalla sua poca concentrazione.  

-Senti Illuso, se non ti interessa dillo chiaramente: non sono in vena di sprecare il mio tempo con te.- disse con tono scocciato il biondo, incrociando le braccia e poggiando il peso sulla gamba sinistra, indietreggiando leggermente con la schiena. 

-Eh? Ah scusami Prosciutto, hai ragione... prosegui pure.- rispose, spostandosi un ciuffo castano dal viso, prima di schiarirsi la gola e fargli cenno con una mano di riprendere il discorso. 

Egli storse la bocca, prima di sospirare. 

-No, dimmi cosa non va, so che tanto non mi ascolterai, almeno voglio sapere il motivo. Spero per te che sia valido.-  

Illuso sgranò gli occhi in maniera quasi impercettibile, mentre Risotto voltava finalmente il capo dalla ragazza per osservare i due: entrambi sentirono lo sguardo penetrante del loro superiore giudicarli, in attesa della prossima frase. 

Si sentì così piccolo sotto quegli occhi neri, sapeva di dover portare l’attenzione su qualcun altro. 

-È colpa sua!- sbottò finalmente, indicando Celeste, che alzò sbigottita il volto verso l’uomo, ancora più confusa e ferita, prima che egli riprendesse –È entrata con questo fare da cane bastonato e ora mi sento come se fosse successo qualcosa di grave e la situazione mi sta infastidendo, ha rovinato completamente l’atmosfera! Non riesco a concentrarmi con lei che piagnucola in un angolo!- concluse con un gesto plateale, spalancando le braccia e lanciando uno sguardo goduto alla ragazza, che lo guardava attonita, mentre un sorrisetto si dipingeva sul volto abbronzato di quel bastardo. 

Tutti si voltarono nuovamente verso di lei ed ella si sentì ancora più piccola, così indifesa e in pericolo, così esposta. 

“Perfetto.” pensò trionfante Illuso. 

Questa volta fu Prosciutto a parlare, con uno schiocco innervosito della lingua. 

-Allora Celeste- chiamò il suono nome con un tono strafottente –vuoi condividere con noi il motivo di questo tuo “turbamento”?-  

I suoi occhi vagarono dal biondo, al castano, per finire poi sull’uomo dai capelli bianchi e le sue orbite nere: la stava studiando; attendendo la sua risposta. Avrebbe avuto il coraggio di dire la vera motivazione del suo problema? Avrebbe avuto la forza di sopportare tutti i loro sbeffeggiamenti per essersi lasciata abusare? Avrebbe avuto lo stomaco per ricordare quell’incubo? Avrebbe avuto la tenacia di resistere alle conseguenze della sua rivelazione? 

Deglutì ancora, sentendo il suo esofago urlare di dolore. 

-Io...- balbettò, incerta, mentre i palmi tremanti cominciavano a sudare e gli occhi le pizzicavano il viso, iniziando a bruciare. 

Prosciutto alzò gli occhi al cielo. 

-Non provare a fare il tuo solito teatrino, intesi?- si avvicinò minacciosamente a lei, piegandosi in avanti per puntarle un dito contro –Non siamo le tue balie, sbrigati a parlare, altrimenti giuro su Dio che ti strappo quella lingua che ti ritrovi e poi passo alle unghie.- il suo sguardo risultò persino più scuro del solito e i suoi occhi azzurri parvero neri. 

Celeste sbiancò in viso alla minaccia, ormai conscia del fatto che quegli uomini non mentissero affatto, conscia della loro pericolosità. 

-Non ho niente che non va, se la mia presenza vi turba, vi chiedo scusa. Posso tornare nella mia camera, o cambiare stanza, non voglio infastidirvi in alcun modo; non è il mio intento.- rispose di getto, dopo un profondo respiro, che le aveva riempito il petto tremante di fiato. 

Prosciutto, che la stava scrutando con odio, torreggiando sulla sua figura, arricciò le labbra, con uno sguardo misto fra disprezzo e fastidio. Prima che potesse insultarla, Risotto intervenne. 

-Oggi sei troppo sfrontata, Celeste.- 

Ella trattenne il respiro, non trovando il coraggio di guardarlo, mentre lui continuava. 

-Non ti sei presentata all’orario prestabilito, non hai adempito ai tuoi doveri e hai deciso di uscire dalla tua stanza personale solo nel primo pomeriggio, unicamente per infastidire i miei uomini, intenti a parlare di lavoro. Come se tutto questo non bastasse, hai avuto anche il coraggio di rispondere a Prosciutto con tono supponente e sarcastico. Ti avevo già avvisato sulle conseguenze delle tue azioni impertinenti e spudorate, credevo che la lezione di ieri sera ti avesse lasciato qualcosa, ma pare che tu debba ancora imparare.-  

Si sentì un sibilo riempire la stanza, come un urlo soffocato, stretto dalla gola e infranto dai denti serrati: il viso di Celeste era ricoperto di lacrime, ma la sua bocca rimaneva chiusa e i suoi occhi restavano vuoti. 

Solo in quel momento Prosciutto capì: Risotto l’aveva torturata.  

Con un movimento rapido dello sguardo, studiò tutti i lividi visibili sulla pelle candida della ragazza e una scintilla passò per la sua mente; non l’aveva torturata nella maniera classica, l’aveva torturata nel modo forse peggiore di tutti, distruggendola non solo fisicamente, ma anche mentalmente, ferendola nel suo essere donna, facendola sentire colpevole per quello che stava ricevendo, facendole provare disgusto per il suo stesso corpo: l’aveva abusata. 

Non ricordava molte altre occasioni in cui il suo capo si era spinto a tanto; alcuni suoi colleghi erano più soliti nella pratica, basti pensare a Ghiaccio e Melone, o Sorbetto e Gelato, ma Risotto non scendeva quasi mai così in basso.  

A Prosciutto stesso era capitato in qualche occasione, ma non era la sua metodologia favorita: non era meglio d’altronde quando il rapporto era apprezzato da entrambe le parti? Certo, per alcuni soggetti si era dimostrata l’unica soluzione; infondo il loro obiettivo era quello di ottenere informazioni o riscatti e nulla distruggeva di più qualcuno che vedere i propri affetti denudati e umiliati, feriti per sempre nel loro intimo più profondo, nel rapporto con loro stessi, ma non sempre si sentiva in vena di farlo. 

A giudicare dal comportamento della ragazza, la violenza si era rivelata efficace. Ovviamente c’era ancora tanto da lavorare, si comportava ancora sfacciatamente nei loro confronti, ma si poteva notare un netto miglioramento.  

Un grido disperato lo fece tornare in sé. 

-Ti prego!- la ragazza si gettò ai suoi pedi, mentre si avvinghiava alle sue caviglie e polpacci, singhiozzando disperatamente. 

Il biondo non riuscì a reagire, sorpreso da quella reazione così improvvisa e sproposita, guardando confuso Risotto, che risultò invece totalmente indifferente alla situazione. 

-Aiutami, ti supplico, ti prego aiutami...!- sussurrò avvilita, alzando di poco gli occhi gonfi, ma sbarrati, rossi e pieni di lacrime che le rigavano le guance pallide. 

Grazie al movimento violento di una gamba, la fece cadere al suolo con un gemito strozzato, colpendola in pieno volto, spaccandole il labbro inferiore. 

-Sei penosa. Dovresti raccogliere quella poca dignità che ti è rimasta e tornare a comportanti da essere umano. Sembri un verme.- e con questo, Prosciutto uscì dalla sala, sbattendosi poi il portone d’ingresso alle spalle, facendo calare il silenzio più totale, interrotto sotto dai singulti soppressi di Celeste, che cercava di soffocare coprendosi la bocca tumefatta e sanguinante con una mano, scossa da dei tremiti. 

-Donna.- la chiamò severamente Risotto, facendole trattenere il respiro –Alzati e vatti a sciacquare il viso, troverai delle garze nel primo scaffale.- e così lei fece, abbandonando i due restati uomini soli. 

Illuso sospirò, mentre un sorrisetto goduto gli tirava i lati della bocca. 

-Che bello spettacolo che ci dà ogni volta la nostra cucciola, non è vero?- domandò al suo superiore, ricevendo come risposta uno sguardo impassibile. 

Il castano ridacchiò silenziosamente, camminando verso l’uscita del salone, prima di salutare Risotto e lasciare a sua volta l’abitazione.  

 

Con l’arrivo del buio, lo stomaco di Celeste era talmente contorto da farla piegare distesa sul letto, boccheggiando invano quando le fitte la raggiungevano: doveva mangiare.  

Con passo leggero e insicuro lasciò la sua zona sicura e si addentrò nella casa, raggiungendo la cucina, per cercare anche solo un pezzo di pane secco da mettere sotto ai denti. Il ticchettio dell’orologio che riempiva la sala silenziosa attirò la sua attenzione e lo vide segnare le due del mattino. Bevendo a grandi sorsi un bicchiere d’acqua, sentì la sua gola finalmente tacere e rilassarsi, la sua lingua tornare in vita, le sue labbra spezzate e gonfie rinfrescate.  

Osservò la sua immagine riflessa nel vetro dell’anta della credenza davanti a sé e quasi non riuscì a riconoscersi. Non solo il suo viso era totalmente tumefatto, pieno di segni violacei che si estendevano per il collo, lungo il suo corpo, assieme alla sua bocca ingrossata e i suoi occhi stanchi, ma poteva percepire qualcosa di diverso nel suo animo; qualcosa di rotto: la sua dignità.  

La notte precedente un mostro l’aveva forzata, contro la sua volontà, a una pratica intima, a un momento che si dovrebbe condividere col proprio partner, un momento che dovrebbe essere piacevole per entrambe le parti. Era risultata una tortura per lei e la continuava a tormentare ogni qualvolta chiudesse gli occhi, oppure quando le capitava di vedere il suo volto su una qualche superfice. Sapere di essere in casa, di dormire, di mangiare, di respirare assieme a quel demonio la terrorizzava, le faceva stringere le budella e le faceva scolorire il viso, mentre le gambe diventavano molli e tremanti.  

Come desiderato, trovò in una cesta posta in mezzo al tavolo del pane, nemmeno troppo raffermo e si sedette per mangiarne dei pezzi. Quasi le parve un momento di pace quello, quasi come quando tornava a casa stravolta da lavoro alle prime ore dell’alba, pronta a riempirsi la pancia, prima di coricarsi nel letto; come nella sua vita quotidiana prima di quell’inferno.  

Con un sorso d’acqua finale, concluse il suo veloce pasto, ma, proprio quando era sul punto di rialzarsi, dei passi la fecero congelare sul posto. 

Una voce severa tuonò dietro di lei. 

-Celeste.- 

  

   
 
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