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Autore: Lamy_    06/03/2021    1 recensioni
Ivar e Hildr sono i nuovi sovrani di Kattegat. Devono far riemergere un regno dalle ceneri, e una tale azione richiede sacrificio e impegno costante.
I nemici circondano i neo-sovrani: Oleg e il suo esercito sono pronti a eliminare chiunque minacci il trono di Kiev. Ma il principe Dir ha altri piani che includono l’appoggio di Ivar e Hildr.
A incrinare una situazione già di per sé delicata sarà la guerra dei vichinghi contro il Wessex. L’esito sarà doloroso e le conseguenze porteranno a nuovi equilibri mai visti in precedenza.
Tutto è nelle mani di Hildr.
Amore e morte, forze antiche quanto il mondo, giocheranno una partita in cui le pedine avranno solo due possibilità: splendere di gloria o piegarsi alla sconfitta.
(6B; contiene spoiler a vostro rischio e pericolo)
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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9. LE PORTE DEL VALHALLA PT.II

I piedi di Hildr ciondolavano dal trono, era una bambina e la seduta era troppo grande per lei. Dall’altra parte c’era Ivar, la coperta sulle gambe e il solito broncio sul viso; era un bambino scontroso e di cattivo umore.
“Ora che facciamo?” chiese Hildr.
Il bambino si mise in testa la corona di sua madre e fece una riverenza all’amica.
“Fingiamo di essere i miei genitori. Possiamo essere re e regina per un giorno.”
“Ma io non voglio essere una regina. Io voglio essere una guerriera!”
Hildr saltò giù dal trono, prese un pezzo di legna dal camino spento e lo agitò come fosse una spada. Conosceva le storie mitiche su Lagertha, shieldmaiden e regina di Kattegat, e aveva sempre sognato essere forte come lei.
“Se combatti, puoi morire. Io che faccio da solo?” obiettò Ivar.
“Allora vieni a combattere con me. Insieme possiamo essere invincibili!”
Hildr alle volte aveva delle idee strampalate che Ivar non capiva mai appieno. Lei aveva solo otto anni ma sembrava già sapere cosa volere dal futuro, mentre lui a dieci anni non riusciva neanche a camminare.
“Come posso combattere se le mie gambe sono malate? Sii seria, Hildr.”
Hildr si sedette sul bracciolo del trono di Ivar e gli mise un braccio intorno alle spalle, sebbene fosse più minuta di lui.
“Tu non sei la tua malattia. Tu sei Ivar!”
“E se non bastasse?”
“A me basti tu. Il mio migliore amico, mio fratello, la mia famiglia. Il mio Ivar.”
Ivar sorrise timidamente, felice che Hildr gli volesse quel bene immenso. Lei era l’unica amica che aveva, l’unica roccia a cui fare affidamento, l’unica persona che non lo aveva mai abbandonato.
“Anche a me basti tu. Migliori amici per sempre?”
Hildr lo abbracciò e annuì, stampandogli un poi un bacio sulla guancia.
“Migliori amici per sempre.”
 
Combatti come vivi, ecco cosa le ripeteva sua madre. Hildr sapeva che erano parole sagge, ma non era possibile metterle in pratica in ogni occasione. Se decidi di vivere nella pace, allora devi perseguire la pace. Ma lei lottava da quando aveva sedici anni, dunque aveva perseguito la strada della guerra e doveva adattarsi a questa scelta. Questi erano i pensieri che affollavano la sua testa mentre correva verso la carrozza di Elsewith. Aveva disatteso la promessa di non belligeranza fatta ad Alfred, ma non avrebbe permesso a nessuno a uccidere la sua famiglia. Elsewith e il bambino erano innocenti buttati nella mischia.
Un boato fece tremare il terreno, seguito da urla e dal suono del corno.
“La guerra è iniziata.” Disse Sigrid.
Hildr si voltò indietro e vide i sassoni correre incontro ai vichinghi, ma la loro corsa veniva interrotta dalle trappole che li trafiggevano e li uccidevano. Decise di ignorare le grida strazianti e riprese la strada verso la carrozza. Si accorse che era troppo tardi quando vide i quattro uomini assaltare il mezzo di trasporto. Uno di loro teneva la portiera aperta mentre l’altro tirava fuori Elsewith. Gli altri due, invece, frugavano all’interno in cerca del bambino.
“Io penso al bambino, tu aiuta Elsewith.” Ordinò Hildr.
Sigrid annuì e si lanciò contro l’uomo che manteneva la portiera, trafiggendolo alla schiena con l’ascia. Quello cadde a terra in una pozza di sangue. L’altro uomo si avventò sulla ragazza e lei fece il possibile per difendersi.
“Il mio bambino! Il mio bambino!” strillava Elsewith.
Hildr prese l’arco, incoccò una freccia e la tirò contro uno degli assalitori. L’uomo andò a sbattere sul fianco della carrozza, la freccia gli usciva fuori dalla spalla. Senza perdere tempo, Hildr tirò fuori la spada e lo colpì al fianco. L’uomo cedette con le mani che tentavano di fermare il sangue.
“Siamo dalla tua parte. Che stai facendo?”
“Non siamo dalla stessa parte se uccidi un bambino.” Disse Hildr.
Gli spinse la suola dello stivale sulla gola e gli conficcò la spada nel petto. La lama gocciolava sull’erba mentre la trascinava per attaccare il secondo uomo. Un pianto risuonò nella carrozza, e l’attimo dopo Hildr vide che il bambino era stato trovato. L’assalitore era Hans, stringeva il piccolo come fosse un sacco di patate.
“Ecco la guastafeste!” esclamò l’omone.
“Lascia andare il bambino. Adesso!”
Hildr non riusciva a concentrarsi, le grida di battaglia alle sue spalle sovrastavano i suoi pensieri. Era come se mente e corpo fossero in due posti diversi. Il suo braccio minacciava Hans con la spada, ma la sua testa pensava ad Ivar sul ponte.
“Che ti importa? Questo moccioso è un sassone, è un nostro nemico.”
“Ha tre anni, non può essere un nemico!” Replicò lei, incredula.
Hans non era intimidito affatto, anzi era infastidito da lei che gli intralciava il ritorno al campo. Jorunn lo avrebbe pagato a buon prezzo se avesse ucciso la regina e il bambino.
“Levati di mezzo, stupida.”
Hildr, che detestava sia lui sia il suo carattere rozzo, sollevò la spada e gliela puntò al cuore. Era molto più bassa di lui, però Vadim le aveva insegnato che poteva sfruttare quello svantaggio.
“Lascia il bambino.”
Elsewith gridò mentre veniva strattonata lontano dalla carrozza, il vestito che si strappava ad ogni passo. Sigrid stava ancora lottando contro uno dei quattro uomini, quindi non era disponibile. Hildr doveva rimediare prima che il danno fosse irreparabile. Salvare il bambino era la priorità, poi avrebbe pensato a Elsewith.
“Ora mi hai fatto arrabbiare.”
Hans depose a terra il bambino, che rimase immobile con le mani in bocca, e si avventò su Hildr. La ragazza fu sbalzata all’indietro, battendo i gomiti sulle pietre dure; per un soffio non diede una testata ad un masso appuntito. La spada era volata via, giaceva chissà dove insieme all’arco. Sebbene avesse la vista appannata, riusciva a vedere la battaglia che si stava consumando nella fitta boscaglia. Spade che cozzavano, schizzi di sangue, braccia e gambe mutilate, guerrieri che cadevano senza vita. Doveva tornare da Ivar, ma per farlo era necessario liberarsi di Hans.
“Sai una cosa, Hans? Ora devi proprio morire.”
Hildr si rimise in piedi, benché l’equilibrio fosse ancora instabile, ed estrasse dalla cintola l’ascia. Hans rise e subito dopo allungò le braccia per afferrarla, ma la ragazza si piegò sulle ginocchia e gli piantò l’ascia nella pancia. Usò quell’appiglio per ficcare la lama nelle viscere dell’omone, che ricadde sulle ginocchia col sangue che sgorgava copioso. Hans però non si arrendeva, agguantò Hildr per i capelli e la spinse per terra. La ragazza ora si trovava schiacciata sotto il corpo di Hans che incombeva su di lei, sentiva il sangue caldo bagnarle la giacca. L’odore di ferro era nauseante e si univa alla testa che pulsava per il dolore.
“Tu morirai con me.” Mormorò Hans.
Hildr sentì la mano dell’uomo avvolgersi attorno al collo, il respiro iniziava a mozzarsi e i polmoni bruciavano per la mancanza di ossigeno. Il pianto isterico del bambino le diede l’impulso utile per difendersi. Tese le braccia ai lati per tastare il terreno in cerca di qualcosa da usare come arma. Quando riuscì a raccattare il masso appuntito, sorrise malgrado tutto. Sbatté le palpebre più volte poiché lo strangolamento stava smorzando le sue forze. Si fece coraggio e con uno sforzo immane mosse le braccia. Hans spalancò la bocca, il sangue cominciava a colargli dai denti. Hildr gli aveva conficcato la punta del masso nella nuca.
“Muori da solo, bastardo.”
Hildr sgusciò da sotto il corpo esanime di Hans e vomitò quel poco che aveva mangiato. Il collo era pieno lividi e ingoiare la saliva era doloroso. Anche respirare era difficile, sembrava di avere acido nei polmoni.
“Mia signora, state bene?” domandò Sigrid con affanno.
La ragazza aveva ucciso il suo aggressore a suon di ascia, gli aveva quasi mozzato una gamba.
“Prendi il bambino e portalo al sicuro all’accampamento sassone.” Biascicò Hildr.
Ogni parola le provocava dolore alla gola e tentò di lenirlo massaggiandosi la parte, ma tutto risultava inutile. Nonostante la fatica, era contenta di aver salvato il bambino. Ora doveva aiutare Elsewith.
“Voi che farete, regina? Non posso lasciarvi in queste condizioni.”
Sigrid non era in forma, aveva vari tagli sulle mani e sul volto, e il ginocchio era gonfio.
“Io torno da Ivar. Tu e il bambino vi dovete nascondere perché Jorunn non si arrenderà.”
“Come desiderate, mia signora. È stato un onore combattere al vostro fianco.”
Sigrid abbracciò Hildr come fosse una sua sorella, e un po’ lo era considerate le giornate intere trascorse insieme.
“Sei una shieldmaiden eccezionale. Continua così, Sigrid. Sono fiera di te.”
 
Ivar osservava con soddisfazione il campo di battaglia impregnato di sangue. La sua tattica di usare trappole per mutilare le prime linee sassoni di attacco stava funzionando. I soldati di Alfred si accasciavano uno dopo l’altro come foglie secche. Dal ponte vedeva Hvitserk mietere vittime brandendo la spada con maestria, dimostrandosi un valoroso combattente. Vedeva anche Alfred che si aggirava fra i suoi soldati deceduti come un’anima in pena.
“Che diamine succede?” sbraitò Jorunn, inferocita.
Ivar solo allora notò un uomo che stava strascinando Elsewith per i capelli. La regina si dimenava invano poiché la presa del suo rapitore era troppo forte. Se era stata catturata, dov’era Hildr? E Sigrid?
“Dov’è il bambino? Quel moccioso doveva essere dilaniato!” stava sbottando Jorunn.
Ivar non capiva più niente, i suoni intorno a lui giungevano ovattati e le immagini erano distorte. La sua unica preoccupazione era Hildr, non era tornata e non aveva salvato Elsewith.
“Ivar!”
Quella voce era inconfondibile, l’avrebbe riconosciuta fra mille come fosse la propria. Hildr stava ai piedi della scaletta con l’arco in una mano e la spada nell’altra. I capelli erano in disordine e i vestiti erano macchiati di sangue, ma ad allarmare Ivar furono i segni rossi e i lividi sul collo.
“Che ti è successo?”
“Ho ucciso Hans e salvato il bambino.” Rispose Hildr, sorridendo compiaciuta.
Jorunn aveva ascoltato quello scambio di battute e la sua rabbia era cresciuta a dismisura. Aveva accettato di sostenere Ivar solo per avere la vendetta su Elsewith, invece non stava ottenendo nulla di ciò che il re di Kattegat le aveva promesso.
“Ivar, sporco traditore!”
Il sorriso di Hildr si tramutò in sguardo assassino quando vide che Jorunn si stava fiondando su Ivar con un coltello. Non avrebbe perso suo marito perché un’anziana regina voleva vendetta per un evento accaduto anni prima. Sollevò l’arco e la freccia saettò colpendo Jorunn al cuore. La regina si portò le mani al petto e sbiancò, dopodiché cadde giù dal ponte. Lo schianto la uccise definitivamente.
“Mi hai salvato di nuovo le chiappe!” disse Ivar con una risata.
Hildr forzò un sorriso, la gola le faceva troppo male per parlare. Il corpo di Jorunn giaceva nella terra in posizione scomposta, le braccia erano piegate in modo anormale. Un’altra regina maledetta dal potere.
“Lasciami! Lasciami!”
Elsewith gridava e si divincolava senza risultati, le mani del suo aggressore erano troppo forti per liberarsi. Ivar notò il modo in cui Hildr aveva raddrizzato la schiena, la mano che velocemente andava a stringere l’ascia.
“Hildr, no!”
La ragazza, però, non gli diede retta. Corre da Elsewith e le afferrò la mano, tirandola verso di sé. La regina sassone si aggrappò a lei mentre cadevano insieme sul terreno umido. A pochi centimetri da loro scattò una trappola, facendole trasalire.
“Spostati!” disse Hildr.
Dopo che Elsewith rotolò di fianco, la vichinga partì all’attacco contro l’uomo che aveva assaltato la carrozza. Hildr lo spintonò per farlo inginocchiare, dopodiché gli tirò un calcio in faccia. L’uomo bloccò quel calcio, agguantò la sua caviglia e la buttò per terra.
“Ora sono davvero arrabbiata.” Disse Hildr fra sé.
L’ascia era volata via, la spada era dispersa e l’arco era accanto al corpo di Jorunn. Senza armi poteva affidarsi solo alle proprie forze.
“Hildr, lascia stare! Lascia stare!” stava gridando Ivar.
Hildr sapeva che lasciar perdere era la cosa migliore, del resto Elsewith era una nemica in quel momento. Ma come poteva far morire la moglie di Alfred dopo aver infranto la loro promessa? Non era giusto, non se voleva regnare onestamente. Combatti come vivi, si ripeté.
“Elsewith, la cintura! Dammi la tua cintura!”
Elsewith sciolse la cintura di cuoio che adornava il suo abito e la lanciò a Hildr, che strisciò fino a lei per recuperarla.
“Alle tue spalle!” l’avvisò Ivar dal ponte.
Hildr ebbe il tempo di girarsi che l’uomo le era già addosso. Le diede uno schiaffo tanto forte da graffiarle la guancia, ma questo non la fece arrendere. Scostò l’uomo dandogli una ginocchiata fra le gambe, poi si alzò e gli attorcigliò la cintura al collo.
“Ivar! Ora!”
Ivar rubò l’arco da una shieldmaiden che stava sul ponte, prese la mira e fece saettare la freccia. Un secondo dopo l’uomo stramazzò perché la punta della freccia gli aveva perforato una tempia. Hildr raccattò l’ascia e la piantò nel petto dell’uomo, che morì seduta stante.
“G-grazie.” Disse Elsewith.
“Torna da Alfred.” Suggerì Hildr.
Mentre la ragazza sassone fuggiva per tornare al proprio campo, Hildr si prese qualche istante per riprendere fiato. Sentiva male dappertutto, di sicuro aveva lividi e ossa indolenzite in ogni parte del corpo.
“Abbiamo sconfitto le prime linee di difesa!” annunciò Hvitserk.
Aveva i capelli striati di sangue e di terra, anche i vestiti erano macchiati di rosso. Dalla sua spada gocciolava ancora sangue fresco. Nei suoi occhi c’era una vivacità che faceva paura.
“Ora passiamo alla nuova fase del piano.” Disse Ivar, sorridendo.
Hildr era confusa, non capiva a quale nuova fase facesse riferimento.
“Di che stai parlando? Credevo che andassimo in guerra e basta.”
“Una fase necessaria in ogni guerra è la negoziazione. Alfred dovrebbe accettare una tregua se vuole mantenere il trono.”
 
 
Hildr era offesa per non essere stata informata di quella parte del piano che includeva un dialogo con la fazione opposta. La pianura era invasa dai soldati: da una parte c’erano i vichinghi e dall’altra c’erano i sassoni. Al centro figuravano Alfred e Ivar, separati da una bandiera bianca come simbolo di resa momentanea.
“Credevo che avessimo un accordo.” Esordì Alfred.
“Non era mia intenzione rompere il nostro accordo.” Replicò Hildr.
Ivar serrò la mascella, proprio non riusciva ad accettare il legame fra la moglie e il re sassone.
“Non c’è spazio per l’amicizia. Ricordi questo?”
Alfred al volo arraffò l’oggetto che il vichingo gli aveva lanciato: era un pezzo degli scacchi che anni prima gli aveva regalato.
“Te l’ho donato in segno di amicizia. Sei tu che ora hai ribaltato il gioco.”
“Tu mi hai insegnato a giocare.” Disse Ivar.
Alfred cercò lo sguardo di Hildr, che fissava la bandiera pur di non guardarlo.
“Giochi davvero bene, Ivar. Muovi le pedine con maestria.”
Ivar fece un buffo inchino, una parodia per ridicolizzare il suo nemico. Sorrideva come il dio Loki prima di un inganno.
“Tutto sta nel capire come e quando muovere le pedine giuste.”
Alfred era visibilmente demoralizzato, aveva ormai compreso che quella guerra era soltanto all’inizio.
“Tu non vuoi davvero la pace, Ivar Senz’Ossa. Tu sei un sinonimo di terrore per questo mondo.  Tu non vedi e non provi la pietà dei comuni mortali.”
Ivar smise di sorridere, permettendo ad un’ombra di oscurargli il viso.
“Arrenditi, Alfred. Non hai le pedine giuste per vincere.”
“E’ così, Hildr? Mi hai preso in giro per assediare il mio regno. Stupido io a reputarti mia amica!”
Hildr era stufa di essere considerata un pezzo degli scacchi. Alfred e Ivar se la contendevano come fosse la pedina da usare quando il gioco stava per finire. Ma lei non era un banale pezzo di legno, lei non era un soldatino da spostare su una scacchiera, lei non era il premio ambito da entrambi. Lei era una donna, una shieldmaiden e una regina. Era Hildr la Valchiria e sceglieva le proprie battaglie.
“Siete entrambi stupidi se pensate che questa guerra avrà un risvolto positivo. C’è chi vince e c’è chi muore. Non c’è la pedina che salva la partita e fa vincere tutti e due. Non sarò io a porre fine ai vostri deliri di onnipotenza. O morite o vivete, questo è il vero gioco.”
“Giochiamo.” Disse Ivar.
“Giochiamo.” Accordò Alfred.
 
“Sei stata magnifica prima. Le tue parole sono st-…”
Ivar si beccò uno schiaffo da Hildr che lo fece zittire. La ragazza chiuse gli occhi per placare i nervi, il respiro concitato manifestava la sua rabbia.
“Hildr …”
“Taci, Ivar. Ora mi spieghi che cosa sta succedendo davvero.”
“In che senso? Stiamo combattendo, non vedo molte spiegazioni.”
Hildr gli prese il mento fra le dita e lo costrinse a guardarla in faccia, voleva leggere nei suoi occhi la risposta.
“Mi nascondi qualcosa, lo vedo nei tuoi occhi. Che cos’è?”
Ivar si morse il labbro pur di non confessare. Non poteva dirle la verità e spezzarle il cuore mentre erano sull’orlo di una guerra tremenda.
“Qualsiasi cosa accada oggi sappi che io ti amo alla follia. Sappi che sei sempre stata l’amore della vita, anche quando ancora non sapevo di amarti. Sappi che senza di te non avrei resistito a lungo. Sappi che darei anima e corpo per te.”
Hildr era immobile, i muscoli atrofizzati da quelle parole disperate. Qualcosa stava andando male. Ivar le avvolse le mani a coppa intorno al viso e le accarezzò le guance.
“Ivar, che sta succedendo?”
“Sarai sempre la mia primavera. La mia valchiria. La mia Hildr.”
E poi fu tutto chiaro. Ogni cosa ebbe senso all’improvviso: gli attacchi di febbre, i dolori lancinanti, la fretta di sposarsi e i regali; la visita della Nix, il ballo dei defunti e quel presentimento che la perseguitava.
“Ivar, esci e combatti! Codardo!” stava sbraitando Alfred.
Hildr rimase ferma mentre Ivar si muoveva verso il campo di battaglia. Le mancava l’aria. Non riusciva a pensare con lucidità. Il cuore batteva tanto da temere che esplodesse.
“Hildr, che fai? Andiamo!” la incitò Hvitserk.
“E’ un suicidio.” Sussurrò lei, stravolta.
“Come hai detto?”
Hvitserk sembrava sereno, quasi rassegnato, e quella fu la prova che lui era a conoscenza del vero piano del fratello.
“Ivar si sta suicidando.”
“Hildr, lasciami spiegare. Non è come cr-…”
Ma Hildr non lo stava più ascoltando, era sorda a ogni voce che non fosse quella del proprio dolore. La collera, la disperazione e la frustrazione la stavano erodendo come un veleno mortale. Non si era mai sentita tanto soffocata dal dolore come in quel momento. Il suo mondo stava per crollare e lei stava per essere schiacciata dalle rovine senza avere possibilità di salvezza.
 
Ivar sapeva che era giunta la fine. La sua fine. Odino aveva scritto il suo destino anni fa e ora stava per compiersi inesorabilmente. Il tempo su Midgard è breve per gli esseri umani, ma lui aveva avuto la fortuna di vivere avventure straordinarie. Arrivò claudicando sul campo di battaglia, reggendosi alla stampella come fosse uno scoglio durante una tempesta. La guerra era ovunque intorno a lui, sangue, terra, grida e armi. Più avanzava e più la morte volteggiava su di lui. Le premonizioni del Veggente si rivelate vere: il manto bianco era la bandiera, le luci infuocate bagnate nel sangue erano le spade, i pezzi sparsi nell’erba erano i soldati mutilati.
Sfilò la spada dalla schiena di un sassone e la brandì in un ultimo atto di gloria.
“Abbiamo paura della morte? No! Noi non vogliamo morire nei nostri letti come i vecchi, ma vogliamo riunirci con i nostri cari nel Valhalla!”
Trafisse un soldato nemico nell’addome, poi gli diede il colpo di grazia con un altro fendente nel costato. Il sangue si riversò sulla terra, i fili d’erba intrisi da quel liquido viscoso.
“Ivar! No!” lo stava implorando Hildr.
Ivar si girò e incontrò lo sguardo atterrito di un giovane sassone, aveva all’incirca la sua età. Se ne stava lì con le ginocchia che tremavano, il respiro accelerato e la mano che mal reggeva il pugnale.
“Non avere paura.” Gli disse Ivar.
Il giovane sassone sbarrò gli occhi, capendo che il vichingo gli aveva appena dato il permesso.
La lama del pugnale penetrò la carne di Ivar una volta, poi due volte, poi tre volte. La lama lo trafisse ancora e ancora e ancora, finché Ivar non smise di respirare. Il sangue stava inondando il suo corpo dall’interno, sgorgando dalla bocca in fiotti copiosi.
Ebbe la forza di voltarsi per guardare Hildr per l’ultima volta.
 
Hildr era partita all’attacco insieme a Hvitserk. Poteva salvare Ivar. Anzi, doveva salvarlo. Se lui fosse morto, anche una parte di lei sarebbe andata persa. Si gettò nella mischia con furia accecante, voleva solo uccidere chiunque le sbarrasse la strada. Vedeva Ivar che camminava e si guardava intorno, era maledettamente tranquillo mentre andava incontro alla morte.
“Ivar! No!” lo implorò lei.
Ivar la ignorò, continuando ad avanzare mentre pronunciava il suo ultimo discorso da re.
“Alla tua destra!” l’avvertì Hvitserk.
Hildr sentì la spada di un sassone graffiarle la gamba, il sangue prese a fuoriuscire dal ginocchio. Non poteva perdere altro tempo, dunque tramortì l’uomo con un calcio alla pancia e poi gli infilò la spada nel cuore. Nessuna pieta, disse a se stessa. Proseguì per avvicinarsi ad Ivar, ogni passo era un nuovo nemico da abbattere. La sua spada mieteva morti a destra e a sinistra, accompagnata da un’ira nera come la notte. Prima mozzava una mano, poi trafiggeva una gola. Prima infilzava la spada in una gamba, poi colpiva alla testa. Intorno a lei c’erano solo cadaveri, alcuni già deceduti e altri che stavano scivolando nella morte. Era ricoperta di sangue e terra, i capelli erano una massa informe, e sembrava che mugugnasse come una belva feroce.
Poi accadde l’inevitabile. Un sassone pugnalò Ivar ripetute volte. Mentre veniva accoltellato le sue ossa cominciarono a spezzarsi, facendolo gemere per la sofferenza. Hildr sentì un ronzio nelle orecchie che per un attimo le offuscò la vista. Ivar stava già morendo da mesi e quella guerra era il suo modo per salire nel Valhalla come un eroe.
Ivar si voltò verso di lei, sorrideva con il sangue che zampillava sul mento.
“Ivar!”
Si lanciò a capofitto su Ivar e gli prese la testa con delicatezza, incurante del sangue che ora le sporcava le mani.
“Ivar! Ti supplico, resisti. Non mollare. Resta con me.”
Stava piangendo a dirotto, scossa da singhiozzi e brividi. Non aveva mai pianto così. Era un lamento primordiale, oscuro, qualcosa che forse nessun umano aveva mai provato.
“Non mi lasciare. Ti prego, amore mio. Non mi lasciare.”
La mano di Ivar strinse quella di Hildr, era una presa debole ma resistente.
“H-hildr …”
“Shh, non parlare. Non ti affaticare.”
Le lacrime della ragazza bagnavano il volto di Ivar, acqua e sangue mi mescolavano.
“Migliori amici per sempre?” Sussurrò Ivar, ormai allo stremo delle forze.
Hildr posò la fronte su quella di Ivar e gli diede un bacio sulle labbra.
“Migliori amici per sempre.”
Gli occhi del vichingo si fecero di nuovo azzurri, liberi dal supplizio della malattia con cui era nato. Il sangue gli riempì la bocca, poi espirò.
“Ivar! Ivar! No! No!”
La guerra si era fermata, tutti stavano in silenzio e avevano deposto le armi.
Le grida di Hildr squarciarono il cielo. Piangeva, gridava, pregava Odino, supplicava, stringeva il corpo senza vita di Ivar.
 
Alfred dovette chiudere gli occhi perché non era in grado di sopportare quella vista. Le grida disperate di Hildr, il suo pianto convulso, il modo in cui abbracciava Ivar erano fonte di dolore anche per lui. Aveva sempre visto Hildr spavalda e fiera, sorridente e arrabbiata, ma non l’aveva mai vista tanto sofferente. Ora appariva fragile, sul punto di spezzarsi se il vento avesse soffiato un po’ più forte. Depose la spada per terra e si tolse la corazza: la guerra era finita. Il suo esercito lentamente arretrò, rispettando il momento di lutto dei vichinghi.
“Non così presto!” tuonò Hildr.
Come se la furia si fosse personificata, la ragazza estrasse un coltello dalla cintura e agguantò il giovane soldato che aveva pugnalato Ivar.
“Hildr, non farlo. Non è necessario.” Disse Alfred.
Hildr, però, non ragionava più. Era abbagliata dal dolore e dalla rabbia, era un concentrato pericoloso di violenza. Sporca di sangue com’era, sembrava una dea della morte.
È necessario per me.” Rispose lei.
Hildr si avventò sul giovane sassone con calci e pugni. Lui tentava di difendersi, ma lei infieriva con una brutalità spaventosa. Lo picchiò fino a farlo cadere a terra, continuando a colpirlo in faccia più volte.
“Hildr, basta!” disse Alfred.
La ragazza scoppiò a ridere, una risata perfida e agghiacciante. Una parte di lei, quella umana e sensibile, era deceduta insieme ad Ivar.
“Basta, hai ragione.”
Tirò i capelli del giovane sassone e gli tagliò la gola. Alfred sospirò, eppure non disse niente. In fondo Hildr aveva salvato sua moglie e suo figlio, perciò il debito era quantomeno stato ripagato.
 
Hvitserk aveva assistito a quell’assassinio con noncuranza. Giustizia era stata fatta. Peccato che la morte del sassone non potesse riportare Ivar in vita. Era palese che Hildr non sarebbe stata più la stessa, non dopo aver perso l’unica persona che era sempre stata con lei. Non aveva mai compreso il legame fra Hildr e Ivar, era troppo sacro e irraggiungibile per essere capito. Loro si amavano e si odiavano, si baciavano e si insultavano, ma non si erano mai separati per davvero. Ivar era una parte di Hildr e viceversa.
“Hildr, andiamo via. Dobbiamo seppellirlo.”
Hildr lo guardò con una cattiveria inusuale per lei. Poi il suo sguardò si addolcì quando guardò Ivar, tramutandosi in lacrime di nuovo. Si accasciò accanto al corpo di Ivar e lo accarezzò, stringendogli la mano sinistra dove stava la fede.
“Presto saremo insieme, amore mio. Te lo prometto.”
Hvitserk sperò che la promessa di Hildr fosse dettata solo dal dolore. Se lei si fosse tolta la vita, le cose sarebbero soltanto peggiorate.
 
 
Hvitserk si era ritrovato a stringere fra le braccia una Hildr in pieno delirio. Piangeva, singhiozzava e sussurrava il nome di Ivar. Pregava gli dèi che le restituissero il marito. Ora stavano presenziato al funerale che per concessione di Alfred poteva essere svolto in territorio sassone. Era stato eretto un semplice muro di massi bianchi e il corpo di Ivar era stato deposto su un pezzo di legno che fungeva da barella. Gli avevano coperto la casacca sporca di sangue con un mantello nero, gli aveva lavato il viso e gli avevano acconciato i capelli. Fra le mani era stato sistemato il suo amato pugnale con la lama di osso, un vecchio regalo di Aslaug.
Alfred si avvicinò a Hildr in silenzio e con passo felpato, rispettava in pieno il suo dolore.
“Dopo ordinerò ai miei uomini di costruire una piccola struttura in pietra che funga da mausoleo. Mi occuperò di tutto io stesso.”
“Grazie.” Disse Hvitserk.
Hildr accarezzò i capelli di Ivar e fu attraversata dall’ennesima ondata di dolore. Desiderava solo chiudere gli occhi e stendersi accanto a lui. Voleva salire nel Valhalla con Ivar, sedere accanto a lui al banchetto di Odino e vivere insieme per sempre.
“Hildr, andiamo. Non possiamo fare più niente. Torniamo a casa.” Mormorò Hvitserk.
Hildr si chinò a lasciare un bacio sulla fronte di Ivar. Si sentiva debilitata, dilaniata, distrutta. Il suo intero essere era stato raso al suolo. Una freccia l’aveva trafitta al petto e non sarebbe mai guarita da quella ferita mortale.
“Addio, amore mio.”
 
 
Il Veggente aveva osservato la morte di Ivar con un sorriso, lui lo aveva predetto e il fato si era appena realizzato. Quello che lo preoccupava era Hildr. Scrutando nell’animo della ragazza aveva visto il buio, una tenebra minacciosa e infinita. L’aura di Hildr era stata limpida sin da bambina, ma ora era lercia di empietà e desolazione. Era un’anima tormentata.
Oh, la Valchiria giungerà sul campo per raccogliere i caduti. Giungerà e Freya spezzerà le sue ali e la sua armatura. La Valchiria giacerà al suolo, il petto trafitto da una ferita che non si risanerà.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Che fatica scrivere questo capitolo, ugh. Alcune scene (es. il discorso di Ivar) sono riprese interamente dalla serie. Altre scene come sempre sono state inserite da me per adattarle alla storia.
Spero di essere riusciva a trasmettervi il dolore di Hildr.
Niente sarà più come prima per lei, lo vedrete nel prossimo capitolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 
  
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