Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    07/03/2021    0 recensioni
Prosegue la saga de “Le cronache dei draghi e dei re”, cominciata con “L'apprendista di fuoco” e continuata con “L'avvento dei Sette”. Il conflitto è ormai scatenato. Mentre le case nobiliari che governano l'occidente continuano ciecamente a misurarsi tra di loro, l'oriente è chiamato da solo al confronto con un nemico intenzionato ad estinguere l'intero genere umano. Sarà forse possibile sconfiggerlo utilizzando quell'antico e sopito potere chiamato magia? E al fine di utilizzare al meglio tale potere, è forse il caso che i sette maghi dell'origine vengano definitivamente annientati? È partendo da questi interrogativi di base che Constant della Casa Lannister sta infine preparando la sua guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

NUOVE PROSPETTIVE

 

 

 

Finalmente libera dopo la brutta esperienza dell'imprigionamento presso Delta delle Acque per mano degli uomini di Baelish, Lord dei fiumi e della Valle, la regina Hana Lannister, maritata Targaryen, raggiunse quindi Roccia del Re in un generico clima di festa e allegria. La folla infatti accorse per le strade a salutare il suo arrivo in carrozza, mentre con il re si dirigeva alla fortezza che era anche il luogo che per più tempo nella sua vita aveva chiamato “casa”. Lei non riusciva neanche a spiegarsi bene il perché, ma la gente della più popolosa città del mondo le voleva bene; l'aveva presa come ad esempio di una donna un po' come loro, ma che aveva la fortuna di bazzicare i più alti corridoi della politica della città. La cosa curiosa era che Hana non era mai stata una di loro: figlia di re, sorella di re e moglie di re... quando mai aveva avuto anche solo il sentore di una vita grama, a parte che quando era stata prigioniera del suo stesso attuale consorte, prima che la chiedesse in moglie? Vero: di tanto in tanto ad Hana piaceva mostrare un po' di carità; uscire dalla carrozza per sporcarsi la sottana e salutare in questo modo da vicino la folla festante e sorridente. Dare un tozzo di pane ogni tanto o qualche moneta, ma non molto altro. L'impressione era che la povera gente di Roccia del Re si accontentasse di poco, che fosse così affamata di attenzione per i propri bisogni che anche quel poco di umanità che Hana gli concedeva, se lo faceva andare molto più che bene. Gabryaerys non godeva delle stesse simpatie, questo ormai anche tra i due coniugi era un dato assodato ed esplicito. Non che fosse un brutto uomo, era anche lui giovane, e alto e a suo modo aitante. Ma non gli giovava il fatto di dover mascherare tutta una parte del suo deforme volto, così come non lo faceva il suo doversi costantemente circondare di mostri come guardie del corpo, e in più c'era la storia che lui era venuto dall'oriente, come un re invasore e non liberatore, racconto questo ancora molto difficile da smacchiare sul mantello della reputazione di Sua Maestà. Tuttavia, per transizione, da quando Hana era ben voluta, anche il re aveva cominciato ad essere tollerato dal popolino; tutto il resto della sua corte no, ma il giovane re, con la sua giovane moglie e peraltro il di lei ventre incinto, ricreavano una sorta di immagine sacra che per gli uomini e le donne di più basso rango residenti a Roccia del Re era simbolo di amicizia e di vicinanza.

In cuor suo, anche se non lo dava a vedere, la regina era in verità non poco confusa. Da una parte, aveva capito di essersi mossa molto bene con questa cosa di Gabryaerys e del loro comune e ormai imminente pargolo. E lei stessa male non si trovava affatto. Certo però che l'incontro con suo fratello Daniel a Delta delle Acque, Daniel che lei erano anni che non vedeva e che per lungo tempo aveva temuto fosse morto, un po' le idee cominciò a mescolargliele. In quei momenti rivivette infatti un clima che aveva dimenticato. Il clima di serenità e spensieratezza che aveva vissuto da giovane, quando sia il loro padre Lionel che il loro fratello primogenito Axelion erano stati vivi e unici in famiglia a doversi sobbarcare tutte le responsabilità che la famiglia nobile in cui erano nati richiedeva. Anche ora, che sulla carta era la donna più potente del mondo, Hana di tanto in tanto aveva paura. Era come se si muovesse tenendosi in equilibrio su un filo: siccome aveva già fatto un tratto piuttosto lungo, qualcosa le diceva che era stata brava e che poteva anche continuare così, ma qualcos'altro invece le rammentava di tanto in tanto che da quel filo si poteva sempre cadere per precipitare schiantandosi al suolo. Gabryaerys non era la sua famiglia, non lo faceva sentire sicura come a quei tempi. Il problema era: quei tempi sarebbero mai tornati? Forse no. Stare con Daniel per quelle poche ore era stato bello ma effimero: tutto era già ritornato nelle sue posizioni. Lei al fianco del re alla Capitale e suo fratello prigioniero nel nord. E a questo punto una domanda si faceva evidente e materiale nella testa della regina: ma la moglie del re del Sette Regni occidentali, da tutti riverita e amata dal popolo, era mai possibile che lasciasse un suo fratello carnale come prigioniero, anche se riverito, presso un altro Lord del continente, sulla carta fedele al re ma a conti fatti indipendente? Lei era la regina! Eppure suo fratello era platealmente tenuto in ostaggio da un nobile in teoria sotto la giurisdizione del re suo marito. Avrebbero dovuto fare qualcosa: lo sapeva questo. E decise che presto si sarebbe messa all'opera.

Anche se in un primo momento se ne discusse, alla fine venne deciso che Tararus, il mostro sempre vestito da antico principe, non rimanesse a Delta delle Acque a presidiare quel luogo di recente conquista e a sorvegliare di conseguenza (nel senso di tenerlo sott'occhio senza farlo scappare) il giovane erede di Baelish su quel territorio. La madre del piccolo, re Gabryaerys l'aveva fatta affogare nel fiume, con Baelish il Giovane a fare da testimone. Uno dei tanti momenti in cui Hana si era ricordata che era sposata a un uomo bieco e senza scrupoli, e non al bravo galantuomo che la teneva in considerazione solo perché lei portava in grembo suo figlio e rispondeva con solerzia al suo ruolo di commendevole consorte. Baelish il Giovane rimase comunque sorvegliato da Helmon, il titano di roccia ma sempre dal teschio nero come tutti gli altri suoi “consimili”, e da altri viscidi nuovi consiglieri del re, di cui questi era certo che non lo avrebbero tradito, visto anche che Helmon aveva l'ordine di schiacciargli la testa con le enormi mani che si ritrovava, qualora l'avessero mai fatto. Il demone del fuoco invece, Corarus, dalla nerissima corona puntuta da generale delle romanze, era ancora prigioniero alla Valle di Arryn. Rappresentava un po' una sorta di merce di scambio per Baelish il Vecchio, che però naturalmente non valeva esattamente quanto lui magari ci sperasse. Era vero che Gabryaerys teneva a quei suoi fedeli servi (mostri) perché gli erano assai utili e perché da una vita lo proteggevano e lo aiutavano nei suoi propositi. Hana stessa era rimasta basita da quanto infuriato il re fosse divenuto, una volta giuntagli la nuova che il signore della Valle tenesse in catene il suo tanto agognato mostro dal corpo oscillante, ma... insomma paragonare questo a un figlio, e per giunta primogenito ed erede, sicuramente non stava in piedi. E Baelish stesso d'altro canto, pure se ormai erano passati parecchi giorni, non aveva ancora fatto recapitare l'ombra di un messaggio che contenesse la richiesta di liberazione del suo principino in cambio di quella del mostro schiavo di Sua Maestà. Forse lo stesso Protettore della Valle aveva non pochi dubbi su come giocare la carta del suo prigioniero. E intanto, il tempo scorreva e Gabryaerys ebbe il tempo di riorganizzarsi e tornare dunque al caro vecchio gioco della politica di Roccia del Re.

Nel medesimo tardo pomeriggio della giornata in cui, quasi al levar del sole, la carrozza reale ritornò col sovrano alla Capitale, giunse un po' più defilato un altro trasporto, questa volta niente meno che da Forte Terrore, la ex sede della Casa Bolton ora sotto il comando di Abigail Baratheon in nome e per conto di Lord Worchester e dunque del re. La tempistica faceva ragionare sul fatto che chiunque avesse viaggiato da quei territori, per giungere nello stesso giorno del re e della regina, doveva essersi messo in moto parecchi giorni prima. Era dunque tutto organizzato alla perfezione, perché infine il piccolo Napoleon Lannister – di ormai un anno passato d'età – ritornasse al castello dov'era nato e dove l'attendeva sua zia Hana e il suo zio acquisito re Gabryaerys. Separare in questo modo un figlio da una madre era qualcosa che alla giovane regina Lannister creava non pochi pensieri; ma d'altro canto era stato il re stesso a richiedere al signore del nord, Uryon Worchester – che le malelingue sostenevano dalle sue parti lasciarsi chiamare “re del nord” – di concedere Napoleon come un segno di fedeltà nei confronti del nuovo re e dell'amicizia che li aveva legati dal momento in cui l'orso del nord aveva liberato il re Targaryen-Naharis dalla sua prigionia presso Delta delle Acque. Da sempre ipotesi divenute ormai quasi leggendarie dipingevano il deforme Uryon come un uomo più unico che raro nelle arti della dialettica e della retorica; forse grazie proprio a queste gli era riuscito di convincere Abigail a separarsi dal bambino. Era l'unica ipotesi cui potersi appigliare, poiché d'altro canto la regina Hana – che conosceva bene Abigail da numerosi anni per diretta frequentazione – non avrebbe mai immaginato che quest'ultima potesse considerare anche solo lontanamente l'ipotesi di un allontanamento dal suo figlio unico e primogenito, avuto forse con Axelion Lannister o forse con il vecchio e ormai trapassato Maestro delle Armi del Regno, Lord Henrich Bolton. Nessuna madre avrebbe amato separarsi dal proprio figlio, ma Abigail aveva addirittura un attaccamento particolare: dunque o il genio della retorica Uryon era intervenuto con la sua verve da galantuomo e i suoi denti aguzzi, oppure...

Era chiaro che il re volesse da Hana che lei riconoscesse il proprio nipote, cosa sulla carta non difficile ma neanche scontata: alla fine, erano mesi che la regina di Lannister non vedeva il figlio del proprio defunto fratello, deposto e ucciso in nome e per ordine del suo momentaneo marito. L'ultima volta che l'aveva visto, il bambino aveva cominciato a blaterare qualche confusa parola e non camminava affatto. Adesso forse era sia in condizione di pronunciare frasette di senso compiuto che di muoversi con una certa autonomia: l'età doveva esser quella! Ma prima di quest'esame, il re dovette partecipare al suo primo Concilio Ristretto dal momento del ritorno. E visto che ad Hana aveva ormai concesso di partecipare come ospite, non poté rifiutarsi di lasciare che anche la giovane regina sedesse al tavolo con gli altri consiglieri.

Il Concilio Ristretto era ormai completamente snaturato rispetto a quello in cui Hana era stata una giovanissima Altissimo Segretario e suo padre Lionel governava il mondo. Prima era il luogo d'incontro ufficiale tra i poteri del Regno, dove s'incontravano le principali forze e si confrontavano talvolta duramente, per poi cercare di far coincidere tutto in un “punto di caduta” equilibrato, pacifico e condiviso. Non sempre ci si riusciva, ma quasi sempre ci si provava. Adesso la funzione del Concilio non era più quella. Molti vecchi poteri inclusi nell'assemblea, come per esempio le rappresentanze regionali e quelle popolari (il famoso ruolo di “tribuno” ricoperto per anni ad esempio dall'eroe di guerra orientale Garhel Sawela) non erano più rappresentati. Inoltre anche le vecchie divisioni “classiche” della politica del Regno erano ormai assai diluite. Per esempio da un paio di riunioni partecipava ormai in modo fisso Sir Winston Cleghorn, il capo dell'armata dei Cavalieri della Chimera, il quale aveva pigliato nei fatti il posto una volta ricoperto in comunità tra Helmon il demone degli elementi e l'anziano signore dei Willoughby in pensione, Senus, che rappresentava in Concilio gli interessi del nord del continente e in particolar modo dello stesso Uryon Worchester. Ora Senus aveva a poco a poco preso a occuparsi dei tribunali e delle leggi, ruolo sulla carta ancora ricoperto dalla principale delle guardie del corpo del re, Tararus il demone delle energie. Quest'ultimo dal canto proprio, conservava ancora la spilla di Primo Cavaliere, ma sostanzialmente non aveva altri ruoli a parte quello di proteggere lui direttamente Sua Maestà. Se Braff e Irwin si mantenevano saldi nel loro ruolo di Maestro dei Sussurri e Gran Maestro delle Scuole e degli Ospitali, il re era come se avesse accumulato in capo alla propria persona, e un po' anche alla stessa Hana, i poteri del Maestro del Conio, visto che sempre e necessariamente da lui passavano le carte dei contabili del Regno al fine di amministrare la cosa pubblica. Ma era tutta una gran confusione, visto che nessuno ormai ricopriva realmente ruoli ufficiali e un po' tutti si occupavano un po' di tutto.

Ebbene in un Concilio Stretto del genere, nel primo pomeriggio dopo il pranzo del giorno del loro ritorno, Gabryaerys ed Hana vennero informati sulla situazione in cui versavano le anime religiose della città. Già fin da quando il re si trovava a Roccia del Re, era imperversata una vera e propria guerra tra i fedeli dell'antichissimo Credo dei Sette Dèi e coloro i quali avevano invece aderito al culto straniero del dio della luce, fomentati da un sacerdote di recente arrivo in città, chiamato Yashua. Gabryaerys aveva voluto fino alla fine tenersene alla larga, fin quando non venne coinvolto (e per di più minacciato) da Sua Santità l'Alto Septon dei Sette e costretto a mandare Tararus allo scontro, il quale venne coinvolto in quella che le cronache chiamarono “la strage del vespro” e della cui onta il re, per quanto a lungo ci avesse provato, non riuscì invero mai completamente a smacchiare il proprio nome. Troppo spesso si faceva il suo nome infatti quando si parlava di quel gravissimo delitto, lo sterminio dei fedeli del dio rosso, anche se il più delle volte nessuno riusciva a collegarlo in maniera puntuale ed esatta. Ebbene, durante la sua assenza perché prigioniero di Lord Baelish alla Terra dei Fiumi, era invece accaduto che uno sterminio – ancora più grave – fosse stato perpetrato ai danni dell'altra fazione, quella dei cultisti del Credo tradizionale. Tutti i Septon maschi, compreso Sua Santità il più “alto” di costoro, vennero fatti fuori dalla furia magica e terribile del diabolico Yashua. Il coinvolgimento del re venne, a quanto gli dicevano i suoi consiglieri, presto dimenticato perché sostituito dal clima di assoluta tensione che ormai era andato assestandosi per le strade della città. Ma una città in preda al costante delirio religioso non poteva essere lasciata, altrimenti si sarebbe realizzata una sorta di costante teocrazia con il sovrano a fare da spettatore. Bisognava che una delle due forze prevalesse e bisognava che il re subito accogliesse il vincitore tra le sue preferenze. Hana sapeva che Gabryaerys era nato e cresciuto in oriente. E non poteva mai essere che non sapesse nulla di quel culto del dio rosso, visto che forse era nuovo per il continente occidentale, ma in Essos era forte ed imperante da secoli: tutti gli uomini e le donne mezzo acculturati del Westeros erano a conoscenza di questo dato di fatto. Si parlava di una religione antichissima, che tuttavia – differentemente da quella dei Sette – tendeva a scomparire per intere decadi per poi riapparire in particolari circostanze, e nella fattispecie quando da qualche parte nel mondo c'era una grande massa di poveri e disperati alle soglie di una inevitabile rivolta sociale. Era tuttavia pure vero che tutte le volte che c'era stata l'occasione di parlare di religione, di tutti i generi, in pubblico o in privato, la regina non era mai riuscita ad intercettare una reale partecipazione da parte del suo consorte, tanto era vero che ormai aveva concluso che in verità a Gabryaerys di tutte quelle faccende importava poco e niente e, ove mai credesse in qualcosa al di là della materia, certamente non tendeva né a confidarlo a chicchessia né a farne un discorso che esondasse dai confini del più intimo e personale.

Per tale ragione, nonostante avesse origini orientali come lo stesso culto del dio della luce, Hana si sorprese non poco quando vide Sua Maestà ascoltare con una certa partecipazione chi, tra i suoi folli consiglieri, gli iniziò a suggerire di considerare la possibilità di determinare uno storico e inaudito cambio di sponda da parte della Corona, e di fare dunque del Re del Regno Unificato un fedele del dio orientale. Nessuno glielo presentò come un'unica alternativa, e ci sarebbe mancato altro! Tuttavia il solo fatto che l'ipotesi venne messa sul tavolo, alle orecchie e agli occhi della regina di Lannister la cosa non poté che apparire sconcertante e pericolosa, oltre che decisamente bislacca. Sperò in cuor suo che il re reagisse come lei, ma non aveva ragioni di farlo, lui non era un uomo dell'occidente e la cosa in lui non suscitava il medesimo senso di scandalo. Gabryaerys si limitò a reagire freddamente, come se gli avessero chiesto se gradisse una coppa d'acqua. Dunque passò oltre e tutto ciò che aveva a che fare con le guerre di religione, quel giorno venne dimenticato. Hana aveva tutta l'intenzione di riprendere quel discorso col re da sola, non appena le fosse stato possibile, ma per quel giorno non lo fu. Finita la riunione, dopo il resto degli aggiornamenti dalla Capitale, il re e la regina dovettero infatti subito prepararsi per l'ultimo impegno di quella sorprendentemente fin troppo piena giornata di ritorno dal loro tribolato viaggio a Delta delle Acque. L'arrivo in città ufficiale di un membro della famiglia reale, quale Napoleon continuava ad essere poiché figlio del fratello di sangue della regina, non poteva infatti che essere accompagnato da un minimo di formalità, per quanto il nuovo ospite fosse un bambino poco più che lattante.

Era intervenuto qualche curioso e di conseguenza, ma in realtà già organizzata da giorni, anche la Guardia Cittadina prese il suo posto. Vennero poi preparati gli stendardi con il drago dei Targaryen e la chimera ancora incoronata dei Lannister. Il re e la regina dovettero cambiarsi d'abito per l'occasione, e così fece anche buona parte del resto della corte. Quando la carrozza del nord arrivò dinanzi al lungo tappeto color rosso scuro preparato per l'occasione, chi l'accompagnava uscì fuori alcuni altri stendardi: uomini scuoiati della Casa Bolton, cervi rampanti della Casa Baratheon, orsi furiosi della Casa Worchester e ancora una volta chimere incoronate; d'altronde Napoleon era sempre un Lannister, almeno sulla carta. Un quinto emblema campeggiava poi insieme agli altri, una sorta di figura allo specchio, una donna forse. Ovviamente per tutto il giorno continuamente ad Hana e a Gabryaerys vennero ripetuti nome e rango della donna in compagnia della quale il piccolo bambino aveva viaggiato. Ma il re e la regina erano stati costantemente troppo stanchi, visto che da quando erano arrivati non avevano avuto la maniera di riposare, e dunque a quel dettaglio dell'accompagnatrice del loro nipote finirono per non prestare una grande attenzione.

Probabilmente ben istruito sul ciò che doveva fare, il bambino non appena sceso dalla carrozza si fece una lunga corsa senza riposo e saltò subito in braccio alla zia, abbracciandola con calore. In verità, queste esternazioni i due non avevano mai avuto la possibilità di scambiarsele: il bambino era troppo piccolo l'ultima volta che Hana lo aveva visto; nemmeno camminava, figurarsi correre! Era tutto un po' troppo forzato. La Lady accompagnatrice arrivò invece con tutta la lena pacata di qualcuno che si porta addosso degli abiti ancora pesanti e un lungo viaggio, più lungo di quello che il re e la regina avevano concluso nella mattinata di quello stesso giorno. Con lei, la donna giovane ma non ragazza si portava appresso due altri bambini biondi pure loro, della medesima età di Napoleon, mese più mese meno.

«Vostra Maestà» salutò quindi la graziosa signora, inchinandosi al sovrano. Poi fece: «Vostra Altezza Reale», inchinandosi ad Hana. Senza dubbio non era una carente in nozioni di etichetta. Gabryaerys, annoiatissimo, replicò: «Siamo lieti di accogliervi,Lady...»

«Brimshey, Maestà. Mleena Brimshey. Siamo una piccola ma antica famiglia tra Forte Terrore e il nord estremo, dove il ghiaccio è perenne. Lungi da noi la pretesa di essere ricordati dai re»

«Siete comunque la benvenuta come dicevo, e vi ringraziamo per il prezioso lavoro che avete portato avanti in questi giorni»

«Oh, non ce n'è di bisogno» a questa replica Hana ebbe come l'impressione che per un istante Lady Brimshey stesse facendo gli occhi dolci al re, impressione che tuttavia svanì quasi subito. La Lady continuò: «Napoleon è già un frugoletto così regale e a modo di suo, che occuparmi di lui non ha rappresentato altro per me che un piacere»

«Venite, Milady. Voi, come noi, sarete parecchio affamata. C'è una lauta cena che ci attende tutti»

«Vi seguo, Maestà».

A questo punto, a un cenno della giovane donna (ma non ragazza!), il piccolo Napoleon ritornò ad aggrapparsi alla sua mano, insieme con gli altri due marmocchi. Agiva come a comando. E, mentre s'incamminava da sola con i suoi pensieri, dietro al re suo marito, alla Lady ospite e alla marmaglia di ragazzini che si era portati appresso, un pensiero fisso, già sospetto, continuò a restare vivido nella mente della giovane regina, ormai quasi come una certezza: quello non era suo nipote.

 

 

 

A Braavos pareva che tutti fossero impazziti. Un clima di festa e gozzoviglio era esploso fin da poche ore dopo che Garhel Sawela – e lui e lui soltanto – aveva colpito con quel lungo e poderoso arpione affilato il drago nemico dell'umanità, forse chiamato Requiem. Per un po', all'inizio, Lord Goldsmith – signore della città-banca – creditore di tre quarti degli uomini più ricchi e delle famiglie aristocratiche più potenti del mondo, aveva fatto finta di essere uno che sa fare buon viso a cattivo gioco e dunque pretese e fece in modo che avvennero più d'un brindisi nel corso degli infiniti banchetti organizzati per la vittoria, e tutti declamati in onore dello storpio, vecchio, ma ancora indiscutibilmente valoroso ex Lord, Sawela. Il nome della leggenda non poteva essere infangato, poiché serviva alla propaganda dell'Essos per potersi dire da solo, per dirlo alla massa di plebei e affamati che calpestavano la sua terra e soprattutto per farlo arrivare in occidente, che lì c'erano gli uomini e le possibilità per essere e restare per sempre indipendenti. Ma in privato, sostanzialmente il Lord banchiere e il vecchio Tribuno Popolare del re dell'occidente arrivarono a scambiarsi due parole forse un paio di volte. Goldsmith avvertiva Sawela come un nemico, e faceva bene: perché quest'ultimo era l'ultimo uomo che un ricco e tronfio aristocratico poteva considerare amico. Per tutta la sua vita Lord Garhel aveva combattuto contro uomini del genere e, solo di recente, in barba a un'amicizia che ormai sentiva di avere con l'elefantino Banfred Panecha, aveva alzato personalmente la sua lama per espellere definitivamente da questo mondo l'insulsa e prevaricatrice anima schiavista di Lord Justus Panecha, signore di Marrah Cankhubhia. Ma non solo sul piano teorico si basava la totale distinzione che separava l'uomo del popolo dal Lord delle banche: c'erano anche naturalmente questioni d'imminente attualità. Si erano infatti venute a creare come due fazioni: una, con a capo Goldsmith, cui aderivano anche Lord Loackland di Myr e Lord Baelish, il viscido signore della occidentale Valle di Arryn che da qualche tempo risiedeva fissamente come ospite del Lord banchiere. Era accaduto, a quanto cronache ben supportate raccontavano, che Baelish avesse compiuto un passo falso nei confronti di colui che in quel momento sedeva nel famoso Trono di Spade del Westeros. Aveva iniziato una sorta di guerra personale, cosa a dir poco sorprendente da parte dell'illuminato e manipolatore Lord del tordo canterino, e ora il re aveva occupato metà del suo territorio, quella denominata “terra dei fiumi”, con capoluogo Delta delle Acque. Sempre a quanto narravano le cronache, Baelish aveva dalla sua un prigioniero piuttosto caro al re, ma il re teneva in ostaggio niente meno che Petyr il Giovane, l'erede del Lord della Valle. E ora, non sapendo bene quale carta giocare, pareva che Lord Petyr il Vecchio stesse cercando di prender tempo nel tentativo di un confronto con i suoi storici amici dell'oriente e, per farlo, si era trasferito con un quarto della sua corte di montanari giù a Braavos, che tutto era meno che una città di montagna. Braavos era la città più popolosa dell'oriente, era quella dove probabilmente circolavano più danari liquidi e non, ma era una città di mare e sul mare, per quanto strategicamente ben isolata.

La seconda fazione a Braavos si componeva di Garhel e Banfred, che per quanto possedessero un nome assai rilevante in termini di gloria tra la plebe (l'uno quello di difensore degli ultimi e l'altro quello di Panecha, anch'egli un tempo venditore di frutta secca, fattosi da solo re della sua Città-Stato), in verità non disponevano di ciò che più in quei grami tempi contava: un esercito bene armato. Un mezzo esercitino ce l'aveva invece il terzo componente della fazione, il gottoso Lord Gaholla, giunto con l'intera sua famiglia alla città dei banchieri solo una volta che il drago era stato sconfitto: nelle sue condizioni, il Lord di Pentos non poteva comunque rendersi utile su un campo di battaglia. Ma l'esercito dei Gaholla, il cui fiore all'occhiello era l'unico figlio maschio del Lord, Poll il cavaliere smunto, era stato a sua volta per metà o forse più decimato alla battaglia di Marrah, quella disertata proprio dai Goldsmith e i Loackland che adesso si facevano belli di quella vittoria solo apparente contro il drago. Non capivano, questi ultimi, che il drago non era sconfitto e che non c'era niente da festeggiare. Bisognava muoversi subito secondo Sawela. In un colloquio privato, Goldsmith gli aveva espresso in effetti la sua partecipazione in merito al problema: capiva benissimo che bisognava battere a tappeto tutto il continente se necessario fin quando non si sarebbe trovato il cadavere del mostro, e che si sarebbe impegnato in prima persona perché i lavori cominciassero presto. Pensava tuttavia che un esorcizzante momento di gioia dopo una dura e terrificante battaglia, in cui comunque molti dei loro erano morti, fosse necessaria come tonificante e che quindi sì, c'era da trovare il drago morto, ma un po' di pausa sarebbe stata fisiologica e tonificante. Garhel, che era veterano di mille battaglie sul campo molto più di Goldsmith, gli rispose che la cosa avrebbe avuto senso se si fosse trattato di un nemico comune. Ma quella era una circostanza eccezionale e bisognava agire in maniera eccezionale. L'ex Tribuno, anche se questo non lo disse al Lord banchiere, era assai preoccupato perché era sicuro di aver cercato già – con la sua prima ricognizione di ventotto uomini – in tutte le possibili aree in cui un cadavere mastodontico come quello sarebbe potuto esser precipitato. E se non c'era, voleva dire che era vivo. Almeno questo era quello che Garhel nell'intimo del suo cuore più temeva. Ma non poteva affermare tale cosa come un dato certo, e questo era il suo principale punto debole nel confronto con Goldsmith.

Lo scontro quindi tra le due fazioni – Goldsmith, Loackland e Baelish contro Banfred, Garhel e Gaholla – si spostò quindi su un nuovo piano, diverso da quello della ricerca del cadavere del drago, dove ormai Lord Sawela e i suoi alleati erano stati sconfitti. Se il drago era forse stato sconfitto, e se non definitivamente sconfitto per lo meno indebolito per qualche tempo, allora era necessario che finalmente si facesse qualcosa di pratico per coinvolgere l'occidente in quella battaglia. Non bastavano più le sole missive che da lungo tempo i Lord dell'Essos mandavano al re e ai Lord del Westeros, senza pressoché mai ricevere risposta. Bisognava incontrarsi e ridiscutere i termini dell'alleanza politica ed economica tra i due continenti. Se il drago era morto, sarebbe stata comunque una buona mossa per rivitalizzare i rapporti diplomatici tra est e ovest. Se il drago era vivo, si poteva sperare che la chiamata questa volta non sarebbe rimasta inascoltata. Adesso si poneva un nuovo problema: era piuttosto difficile incontrare qualcuno che per via lettere non rispondeva mai. Fu così che qualcuno nella stessa fazione di Sawela, uno dei generali di Gaholla, fece notare in un'assemblea riunita che una grossa famiglia nobile del Westeros rispondeva sempre: i Martell, nella persona della loro leader indiscussa, Saestrya. Forse una volta aveva risposto pure Gino Barron, e magari due Uryon Worchester: tutte personalità troppo distanti nello spazio e negli interessi. Ma Saestrya era la rappresentate di un'antica famiglia in forte conflitto con i suoi attuali dominatori e che si trovava sostanzialmente alle porte del continente. E non solo: anche nella zona del continente in cui più facili e sempre più numerosi avvenivano gli scambi; il sud.

Al solo nome della Martell tuttavia, qualcuno in zona Loackland cominciò a borbottare e a poco a poco la pacifica riunione di Braavos che Garhel e i suoi avevano cominciato con le migliori intenzioni, era divenuta una baraonda tra grida e strepiti che coinvolgevano non meno di una quarantina di persone, tutte lì a discorrere dei loro confini e dei loro più ciechi affari, quando quello di cui si doveva discutere era pur sempre un abbraccio tra continenti e una guerra potenziale come non se n'erano mai viste nella storia recente. Colto da un forte mal di testa, lo storpio Garhel si arrese e, massaggiandosi la fronte, decise di ammutolirsi e sedersi in un angolo remoto della sala. D'altro canto, il compito di portavoce delle loro ragioni era stato affidato a Banfred, il cui eloquio andava migliorando costantemente e che a poco a poco, almeno per quella caratteristica, si stava dimostrando un non poi così indegno erede del padre. Certo non ne aveva la stessa storia, e neanche la stessa audacia, però il giovane elefante sapeva senza dubbio parlare bene, ed era in grado di portare avanti un'appassionata arringa davanti a un consesso di politicanti e culi nobili del rango pari o inferiore al suo.

Garhel neanche si trovava nelle condizioni per dire se alla fine la sua fazione stesse vincendo. Goldsmith e Loackland insieme si erano ormai dimostrati un duo inscalfibile, e non si convincevano mai se non esclusivamente tra di loro due. Però, chissà, se Banfred avesse trovato il modo di instillare la serpe della sedizione in qualche importante luogotenente dell'uno o dell'altro, forse finalmente... e invece no, non era quello che stava accadendo. Sawela vide Banfred venirgli incontro, scuotendo il capo. Le cose non andavano bene: maledetto Lord Goldsmith, era tutta colpa sua e del suo atteggiamento da sangue blu spietato, pieno di vizi e abituato a farsi dare ragione anche quando avevano torto marcio. Anche se, a essere proprio precisi, chi più di tutti aveva da preoccuparsi per un abbraccio tra l'oriente e Saestrya era Loackland, i cui territori si affacciavano sulle isole che in teoria erano sotto la giurisdizione di Altogiardino, e che di conseguenza erano un caldissimo punto di contatto con la Casa Martell che in quella zona regnava da molto prima che i Tyrell li sgominassero definitivamente imponendo rose dorate su tutti gli stendardi che sventolavano su quegli scogli. Ma, come detto, Loackland era legato a Goldsmith e se Loackland diceva di no, allora sicuramente anche Goldsmith lo avrebbe detto, perché troppe battaglie i due avevano combattuto assieme e troppi interessi avevano intrecciato. Chi lo sa: forse se Loackland perdeva parte della propria regione non erano solo suoi gli introiti che si andavano ad intaccare, ma anche quelli di Braavos stessa. Era un'ipotesi che a Garhel stava sovvenendo solo in quel momento, ma che aveva molte possibilità di essere plausibile.

«Io non ce la faccio più, Lord Garhel: è da stamattina che mi sgolo inutilmente!» esclamò Banfred, irritato, ma solo sottovoce e solo a lui. Banfred irritato, Garhel non l'aveva forse mai visto: quei due imbecilli di Goldsmith e Loackland erano riusciti perfino nell'impresa di far arrabbiare il serafico elefante. “Attendere per contendere” era il motto dei Panecha, e Banfred aveva atteso: per quasi un giorno intero. Ma non ce la faceva più, la sua resistenza era al limite. Garhel, che l'aveva perduta già da molto prima, assentì con un cenno e gli sussurrò a sua volta: «Va bene, per me possiamo procedere». Banfred non si accontentò solo di quel permesso. Prima di “procedere” andò pure da Lord Gaholla il gottoso, probabilmente a chiedere la medesima cosa. Dovette ricevere una risposta uguale, visto che alla fine il pingue giovanotto richiese ancora una volta l'attenzione dell'assemblea, perduta in uno dei tanti momenti di delirio in cui tutti gridavano contro tutti. «Signori!» fece il giovanotto «Vogliate ascoltarmi un ultimo istante! Signori! SIGNORI!». Finalmente silenzio; ancora Banfred: «C'è un'ultima rilevante cosa che qui mi preme comunicare, dopodiché mi taccerò e per quanto mi riguarda considererò conclusa questa riunione, quantomeno per quanto concerne miei interventi attivi»

«Concludete pure» disse Goldsmith, che in teoria presiedeva quell'assemblea trasformata in cagnara, «Lord Panecha»

«Grazie, Mylord. È importante che ci capiamo, miei signori, e che ci muoviamo sempre nell'onda del rispetto reciproco che mai deve mancare e mai credo è mancato in un consesso del genere, con partecipanti del genere. Perché d'altronde è questo quello che fa la differenza: il rispetto. Rispettosamente noialtri abbiamo accettato la scelta della maggioranza e non abbiamo imposto a nessuno di seguirci alla ricerca del cadavere del drago. Altrettanto rispettosamente, Lord Goldsmith, Lord Loackland – che pure non la pensavano come noi – hanno permesso a una ventina di bravi uomini di seguirci, perché convinti invece delle nostre ragioni. Oggi, a distanza di così poco, ci troviamo a un bivio del tutto similare, signori. La maggioranza qui non vuole un incontro diretto con l'occidente, ed è quello che otterrà. Io però, da uomo libero, scelgo di continuare il rapporto epistolare così fruttuoso che si è venuto a creare con Saestrya Martell. E, voglio che sappiate, che qualora la vita dovesse darmene l'opportunità, io la incontrerò. In rappresentanza della sola mia persona, certo. Non di quest'assemblea, non degli altri Lord, e men che meno dell'oriente tutto. Ma la incontrerò. Rispettosamente, voglio che sappiate che altri uomini, quali Lord Gaholla e Lord Sawela mi hanno pure confidato di avere la medesima intenzione e mi hanno dato il permesso di comunicarvelo a nome loro»

«No, un momento! Un momento! SOLO UN MOMENTO!» gridò Lord Loackland, che tutto pareva in quel momento, meno che un Lord, «Vada bene per voi, giovanotto, il cui esercito è tristemente venuto a scomparire nelle circostanze che tutti sappiamo»

«E che voi sapete particolarmente, Lord Loackland!» insinuò neanche troppo velatamente un luogotenente dei Gaholla.

Loackland fece finta di non aver sentito, e continuò: «Vada bene anche per Sawela, che un esercito non l'hai mai avuto, benché goda del suo così rinomato nome, ma Lord Gaholla rappresenta tutta una lingua di territorio di questo continente. Con città piene di persone, e financo con Pentos, cui tutti qui ne conosciamo l'importanza e il valore. Come può Gaholla sostenere di agire a titolo personale se sulla sua persona gravano le responsabilità del Lord e signore di Pentos?»

«Ma io infatti la incontrerò come Lord di Pentos, Loackland, che credi!» esclamò il gottoso, pur restando seduto, visto che le sue condizioni gli sconsigliavano troppo bruschi movimenti. Non l'avesse mai fatto! In un istante, la riunione tornò ad essere quello che per il più del tempo era stata: il caos più totale. Dannato Gaholla: lui sì che non aveva affatto le maniere di un nobile, e si vedeva. Banfred si era mosso come un equilibrista pur di non dar adito a nuove rimostranze, e lui che fece? Gettò tutto all'ortiche pur di provocare l'uomo che lì dentro più odiava. Per un momento, Garhel si chiese se Gaholla facesse parte della loro fazione più per reale convinzione, ovvero per il bene dell'umanità, o più per creare un fastidio ai suoi storici rivali Loackland e Goldsmith, di cui da tempo il Lord gottoso lamentava le angherie.

Alla fine, niente se ne riuscì a cavare, e sostanzialmente buona parte dei convitati si lasciarono senza nemmeno salutarsi. Lo fecero Loackland e Gaholla, ma non Banfred e Goldsmith, le parti più dialoganti delle due distinte fazioni. Proprio sul finire della riunione, Lord Baelish si avvicinò al terzetto Sawela-Banfred-Gaholla per dirgli: «Una sola domanda, miei Lord. Avete riflettuto che agendo come intendete agire, probabilmente vi inimicherete il re dell'occidente? Perché Saestrya Martell è una ribelle di Lord Gino Barron. E Lord Gino Barron è formalmente il principale degli alleati del re. Se vi mettete con lei, vi mettete contro Gino e... contro Gabryaerys»

«Beh, tu m'insegni Lord Baelish» replicò Banfred «che, da quando s'è insediato, il nuovo re Naharis ha sostanzialmente smantellato le cariche di Lord Tribuno e dei Lord rappresentanti dell'oriente. Anche semplicemente sulla carta noi siamo già dei ribelli per il re sul Trono di Spade»

«Sì... difatti, è così». Non disse niente altro Baelish. Semplicemente sorrise, e si congedò.

Quello che doveva esser fatto, era stato fatto. A Garhel andava bene così. Non era il massimo, ma finché Goldsmith e Loackland spadroneggiavano in oriente, il massimo non sarebbe mai stato raggiunto. Era per questo che con Gaholla e Banfred aveva teorizzato quel piano dell'incontro ad oltranza con Saestrya Martell, incontro che praticamente era già programmato. I due stronzi andavano avvisati, perché qualora non lo fossero stati: sai che danni sarebbero stati in grado di combinare, pur di soddisfare il loro cieco ego. Ma ora basta con la diplomazia, basta con le parole. Goldsmith e Loackland erano una causa persa. Forse – con immane tristezza per il Lord ex Tribuno che così tanto ci aveva combattuto – anche per l'oriente la causa era persa. Ma per l'occidente invece forse no. Con l'occidente, c'era forse ancora tempo. Valeva la pena di provare.

 

 

 

Anche se non si capacitava della velocità con la quale l'aveva raggiunta, Daniel ora si trovava presso l'immensa valle depressa ed innevata di Alberocasa. Alle sue spalle, il valoroso esercito degli Applegate con i suoi vessilli dalla mela rossa agitati da un vento di tempesta che non prometteva nulla di buono. Sarebbe stata una battaglia sotto la pioggia? E come funzionava il ghiaccio infinito sotto la pioggia? Si scioglieva? Si sarebbe scivolato? Applegate e Willoughby, le principali parti in contesa, possedevano calzari adatti per quel tipo di guerra che, onestamente, solo dalle loro parti nel mondo si poteva combattere? Il caos incominciò, e subito il terrificante sibilo dell'acciaio che sbatte, accompagnato da voci di uomini che urlavano e da cavalli (quei pochi che c'erano) che nitrivano. Era il suono della paura, della fatica inutile e della morte. Perché quello era la guerra: morte inutile. Morte che avrebbe potuto benissimo essere scambiata con delle parole: le parole della trattativa, le parole della diplomazia, del dialogo. Nulla era servito, e ora la grande piana ghiacciata stava sanguinando. Il suo suolo candido si stava tingendo di rosso. I suoi figli e fratelli stavano morendo. C'era Elthon lì da qualche parte, ma Daniel lo aveva perso. C'era Lord Applegate, che poco tempo prima – in un accorato momento – si era addirittura inchinato a lui come re. Ma Daniel aveva perso anche il Lord di quelle terre. I suoi turbini di fuoco non erano sufficienti. La luce nel nord profondo era troppo fioca e appassita. D'altronde, appassito era pure il suo animo e a poco a poco anche il suo gracile corpo stava per tracollare. Daniel non aveva mai avuto un fisico da guerriero. Era dinoccolato, alto ma non robusto. Uno studioso, non un cavaliere. Si ricordò di questo, e ricordò anche di certe formule silenziose, di certi trucchetti che da Piromante aveva imparato alla scuola del drago Nidhogg e che lo aiutarono ancora una volta ad andare avanti. Per un tempo infinito, Daniel non vide la vittoria ma solo la sua sopravvivenza. Sentiva che non sarebbe durato ancora per molto. Non sapeva chi stava vincendo, ma sapeva che la sua energia magica stava per esaurirsi e che di tutto quel conflitto lui non riusciva a vedere la fine.

Sentì un grido a un certo punto: quello di Licyane. Era Licyane o era Anylice? La sua pelle in effetti era quasi bianca, come quella della Criomante che per un brevissimo periodo il giovane principe di Cowain aveva conosciuto sempre lì, nel freddo e inospitale nord del continente. Ma non era Anylice: non lanciava i suoi raggi di ghiaccio per rendersi libera. Era prigioniera di Uryon Worchester, che la teneva attaccata con una catena al suo cavallo. Con il mostruoso orso del nord, c'era Abigail Baratheon: sua cognata, la moglie di suo fratello Axelion e madre di suo nipote, Napoleon. Lei ora era divenuta un'alleata così stretta di Worchester, tanto da seguirlo ad Alberocasa? Era assurdo: Abigail non era il tipo! E con loro c'era poi il vecchio Senus Willoughby, il patriarca della famiglia della stella del nord, che Daniel aveva forse visto una sola volta a Roccia del Re ma che per qualche motivo il principe Piromante ricordava bene. Erano molto lontani, ma... Senus stava armeggiando con qualcuno: un altro prigioniero incatenato; un altro che Daniel conosceva... era... suo padre! Lionel Lannister ancora vivo, per quanto prigioniero e martoriato. Che faceva lì? Com'era possibile tutto ciò? Daniel cominciò a correre verso di lui, con le lacrime agli occhi, ma pieno di rabbia. Uccise nemici a destra e a manca pur di raggiungere la sua amata e suo padre, prigionieri. Senus Willoughby intanto iniziò a pugnalare suo padre. E Gabryaerys Targaryen, lo stregone dell'oriente usurpatore del Trono di Spade, giunse dal nulla e cominciò a fare lo stesso con... suo fratello Axelion? Pure lui vivo? Pure lui giunto dal nulla? E gli uomini di Uryon, cominciarono di nuovo a violentare Licyane. Quei bastardi: non meritavano di vivere. Meritavano di finire abbrustoliti. Daniel sentiva di non averne più la forza ma doveva... doveva...

Cominciò a correre ancor più velocemente. Gridò, si disperò. Uccise uomini a decine. Mariti di mogli sconosciute, padri di figli ignoti. Li sterminò tutti. E arrivò ad una corretta distanza: lanciò dunque il suo ultimo raggio infuocato dal palmo delle proprie mani e... tutto divenne luce e fumo e calore. E tutti perirono (o, forse, nessuno?) nel nero del carbone, e dell'oscurità e dell'orrore. Ogni cosa ruotò immensamente su stessa: vita e morte, ghiaccio e calore, dolore e passione, e patimento. Il principe Piromante sentì il cuore quasi scoppiargli, quasi uscirgli fuori dal petto debole che ormai si ritrovava. Gridò disperatamente. Poi aprì gli occhi, e si risvegliò.

Non aveva mai lasciato il territorio dei Bolton. Era sotto un albero, un grosso castagno, coperto da un telo pesante, ma comunque sudato e infreddolito. Il vecchio e piccoletto Terwyn Lannister lo raggiunse con aria preoccupata. «Principe Daniel! Avete la febbre?». Elthon Applegate, giunto pure lui, pure lui con una faccia atterrita, si chinò su Daniel e gli tastò la fronte con il palmo della mano. «No, febbre no» disse «ma sta tremando...»

«Solo un incubo» decretò Terwyn «un brutto incubo»

«No» fece invece Daniel «i-io... ho visto cose... c'era mio padre c-che...»

«Vostro padre, il re? Ancora vivo?»

«S-sì. Lui... no... non per molto, perché i Willoughby...»

«Cani di Willoughby!» esclamò Elthon, tutto appassionato, «Sempre loro!»

«E... Uryon Worchester e Abigail, e il r-re Naharis e Axelion e... e... Anylice. No. Ho visto cose c-che...»

«Cose che senti come vere» disse Terwyn, serissimo, «anche se non sai come, né perché. Ma sai di aver visto la verità. È così che sono gli incubi nel nord»

«Ma che vai dicendo, vecchio?» replicò ancora il Sir degli Applegate, tutto orgoglioso.

A sua volta, il vecchio Lannister gli rispose completando: «È così che sono gli incubi nel nord, per noi che abbiamo la sventura d'incanalare la magia. Incubi evocativi, incubi premonitori. Incubi di possibilità concrete»

«Oh, andiamo» ridacchiò Elthon, cercando però di contenersi perché il momento non era molto adatto alle canzonature né alle polemiche, «Qualsiasi incubo lo è, per un visionario che vuole vederla a quel modo»

«Io... non ci sono riuscito» pianse ancora Daniel «stavo per... per... salvarli ma non ci sono riuscito. Quanta morte... Quanti morti! E poi, appena avrei dovuto, io non riuscivo più... più...»

«A scaricare la magia» disse Terwyn.

E Daniel confermò: «Non c'era più magia. Non c'era più magia. Per uccidere sì, ma per salvarli...»

«Lo sapete cosa significa questo, vero? Che se andrete ad Alberocasa» proclamò Terwyn ad alta voce, di modo che tutti gli uomini al seguito di Applegate lì presenti potessero ascoltarlo, «senza che le ultime lezioni alla montagna siano state seguite. Voi morirete. Tutti quanti. E la vostra causa sarà perduta. E la vostra città conquistata. Definitivamente»

«Oh, andiamo!» provò per l'ennesima volta a rispondere a tono il biondo Sir Elthon, ma questa volta non venne molto ascoltato. Un coro di domande preoccupate si rivolse a Terwyn e, non appena anche Daniel ebbe bevuta un po' d'acqua e ritrovata almeno parte della propria lucidità, anche a lui. Pure lui cominciò sempre di più a pensarla alla maniera del vecchio mago. Ne discussero. Elthon non riuscì ad imporsi nemmeno sui suoi uomini. Si optò quindi per una non tradizionale scelta democratica. La misero ai voti. E Daniel, con Terwyn, decise di votare per Cabuk. E così fece anche la maggioranza dei cavalieri al seguito dello stesso Sir Elthon. Per la grande delusione dell'erede al soglio di Alberocasa.

   
 
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