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Autore: vento di luce    07/03/2021    13 recensioni
“Georgie, dove sei Georgie?”, disse Abel svegliandosi di soprassalto a letto, nel cuore della notte.
Seduto tra quelle lenzuola disfatte, si toccò il volto sudato.
Ormai il momento era giunto, la mattina seguente si sarebbe imbarcato su una nave al porto di Sydney e forse non avrebbe rivisto mai più la sua amata Georgie …
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Abel Butman, Georgie Gerald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono di Yumiko Igarashi.
Un saluto a chi leggerà questa fanfic!


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“Georgie, dove sei Georgie?”, disse Abel svegliandosi di soprassalto a letto, nella stanza che condivideva con Arthur sin da quando erano bambini, nel cuore della notte.
Seduto tra quelle lenzuola disfatte, si toccò il volto sudato.
Ormai il momento era giunto, la mattina seguente si sarebbe imbarcato su una nave al porto di Sydney.
Al pensiero che forse non avrebbe rivisto mai più la sua amata Georgie, prese il capo dai folti capelli fra le mani, chiudendo le palpebre.
Il ricordo di quanto accaduto pochi giorni prima lo tormentava.
 
 
Aveva detto alla fanciulla di tornare a casa da sola con il carro, dopo aver fatto insieme degli acquisti per la madre dalla signora Potter ed era fuggito con un cavallo.
Sempre più incapace di dominare il sentimento che provava nei confronti della sorella, aveva vagato senza meta fino a raggiungere il mare. Affascinato da quel paesaggio sconfinato, da quelle navi che attraccavano e che partivano, Abel aveva finalmente compreso quale sarebbe stato il suo futuro. Sarebbe diventato un marinaio, o meglio un Capitano.
Era in quell’occasione che aveva conosciuto Jessica, una ragazza avvenente dai lunghi capelli corvini, ma l’immagine di Georgie non gli dava pace. Aveva bevuto così fino a ubriacarsi, decidendo di tornare a casa solamente a notte fonda, durante un violento temporale, quando aveva udito quelle grida nella foresta.
 
 
 “Abel, dove sei stato?”, aveva detto la sorella, asciugandosi gli occhi umidi , rannicchiata nella cavità di un albero dove aveva trovato riparo, vedendolo, “sapessi quanto ti ho cercato!”
“Mi dispiace tanto, scusami se ti ho fatto preoccupare”, aveva risposto il giovane, tendendole la mano.
Ma, proprio in quel momento, un fulmine aveva squarciato il cielo e Georgie, spaventata, si era gettata d’istinto sul torace del fratello. Quel torace dove aveva trovato ogni volta calore e protezione.
Alla vicinanza improvvisa di quel seno morbido, Abel aveva cinto con le mani la schiena minuta della fanciulla, fino a schiacciarla col suo peso, lasciandosi andare a quell’abbraccio.
Avvolto da quel profumo inebriante aveva desiderato, come non mai in quel momento, levarle di dosso quella stoffa fradicia e fare l’amore con lei, sotto la pioggia battente.
Avrebbe voluto sposarla, avere dei figli, ma non poteva dirle la verità riguardo le sue origini, non poteva rovinarle l’illusione di avere una famiglia, non poteva far soffrire sua madre e Arthur.
Perché proprio Georgie doveva essere sua sorella?
Con l’anima in tumulto, il ragazzo aveva annegato ancora di più il suo viso in quella massa di capelli dorati.
 
Si era, in quel frangente, davvero reso conto che ormai non poteva più continuare a quel modo, doveva separarsi da lei il prima possibile.
Non gli era rimasta allora altra scelta che abbandonare la sua terra nativa, l’Australia.
Solo le acque dell’oceano avrebbero forse potuto lenire il suo cuore bruciante ma era cosciente che, ovunque fosse andato, non avrebbe mai potuto amare nessun’altra.
 
 
Sopraffatto da quei pensieri, Abel scosse la testa che rimbombava sempre più, quando un’idea balenò nella sua mente.
Aprì gli occhi d’improvviso e scese di scatto dal letto.
 No, non avrebbe salutato Georgie l’indomani al porto, non avrebbe visto i suoi bellissimi occhi verdi bagnarsi di lacrime.
Doveva partire subito o non ne avrebbe più avuto il coraggio.
 
 
Cercando di non fare rumore si vestì, chiuse il suo bagaglio e, prima di andarsene, accennò un sorriso volgendo lo sguardo ad Arthur, che continuava a dormire e sussurrò:
 “Ciao fratello mio, abbi cura di loro.”
Chiuse poi la porta di quella stanza, sapendo che sarebbe potuto partire sereno.


Si diresse in cucina e, assorto in quell’ambiente dai tanti ricordi, gli tornarono alla mente le parole accorate della madre.
“Figlio mio, ti prego ripensaci”, aveva detto la donna non appena il giovane le aveva comunicato di volersi imbarcare.
Ad Abel sembrò di vederla ancora, a terra impotente, vicino a quella finestra, ma a niente era servito insistere. Sentiva ormai di essere diventato un uomo e aveva preso la sua decisione.
“Perdonami mamma”, mormorò scrivendo un biglietto di poche parole, che posò sul vecchio tavolo di legno.
Facendo un profondo respiro, uscì infine da quella casa.
 
 
Si era così lasciato quel mondo d’infanzia alle spalle e, con la testa rivolta al cielo stellato, pensò che gli sarebbe mancato tutto di quei luoghi ma che, più di ogni altra cosa, gli sarebbe mancata la sua Georgie.
Strinse i pugni cercando di resistere alla tentazione di vederla per un’ultima volta, il suo sguardo però si posò su quella porta proibita.
Si avvicinò e rimase lì davanti per degli istanti interminabili, quando entrò in quella camera.
 
 
Raggiunse a piccoli passi il letto dove la ragazza stava riposando ignara e tremò, travolto dalle sue emozioni.
Avrebbe voluto svegliarla in quel momento, confessarle tutto il suo amore, dirle di fuggire con lui.
Perché non potevano vivere felici insieme?
Accarezzò con una mano quel volto bellissimo, che conosceva in ogni suo dettaglio e si chinò fino a sfiorare quelle labbra rosee, le uniche che aveva sempre desiderato.
“Addio amore mio”, sussurrò.
 
Senza più voltarsi, andò poi via da quella stanza e, in sella a un cavallo, si allontanò in tutta fretta.
Cavalcò quella notte, immerso nella natura selvaggia, accompagnato dal sapore di quel bacio verso l’ignoto.
Una nuova vita lo aspettava.
 

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