L’arrivo
all’aeroporto di Londra fu in perfetto orario.
Lasciare
l’Italia con il sole e ritrovarsi a respirare la
prima nebbia della città, fu traumatico, ma avrei dovuto
abituarmi in fretta
visto che avrei trascorso sei mesi di tirocinio al St.
Bartholomew’s Hospital per
diventare patologa forense.
Mi
strinsi nella giacca, desiderando un po' di calore,
intanto cercavo con lo sguardo il mio tutor che attendeva nella sala
degli
arrivi.
Vidi
la dott. Hooper la riconobbi perché aveva in mano un
cartello con il mio nome su cui spiccava un bel “Dott.ssa
Laura Lorenzi,
MD.”
Mi
inorgoglii della mia laurea e della mia futura
specializzazione. Mi diressi verso la figura vestita con una giacca di
lana con
colori vistosi, che indossava un buffo cappello. Non era certo un
tipico
abbigliamento da inglese formale.
“Dott.
Hooper, che piacere incontrarla.”
Il mio inglese non era certo perfetto, ma
contavo di migliorarlo in quei mesi. Le strinsi la mano con forza,
sentii la
delicatezza del suo tocco, una mano sottile, ma energica.
“Venga
Laura,” Hooper storpiava un po' il mio nome italiano,
ma era normale pronunciato con quel tipico accento inglese.
“La ospito a casa
mia, finché non si libera una stanza dalla signora Hudson,
una cara vecchia
amica.” Le sorrisi, mentre mi trascinavo la borsa da viaggio. Non avevo portato molti
cambi di vestiario,
decisa a fare acquisti nella City.
Prendemmo
un taxi e attraversammo la città,
La
mia tutor abitava in una graziosa zona residenziale,
divideva la casa con altri
colleghi, ma
non poteva ospitarmi che per pochi giorni.
Mi sistemò in una camera con un’ampia
finestra luminosa, un letto
confortevole e una scrivania funzionale.
Appoggiai la mia borsa su di una sedia.
“Mi
spiace Laura di non poterti ospitare da subito.
Ti ho trovato una stanza a Baker Street,
per ora posso solo affidarti alle cure della
signora Hudson e dei suoi stravaganti inquilini.” Mi guardò
pensierosa, ma si fece serena.
“Con loro non ti
annoierai di certo. Uno dei due collabora con me e con la polizia.
Quindi sono
di casa in un certo senso.”
Io annuii
un po' distratta.
“Va
bene dottoressa Hooper, di solito riesco ad adattarmi a
qualsiasi situazione.” Cercai di tranquillizzarla facendole
capire che non ero
una persona schizzinosa. Mi
avvicinai
ascoltando quello che mi stava per dire.
“Dovrai
condividere parte dell’appartamento con due maschi
adulti e una bimba, figlia del dottor Watson,
la cui moglie è morta circa due anni fa.
Loro dopo tante indecisioni, sono una coppia.” Si
fermò e fece scivolare le mani sui
fianchi, mi sembrò imbarazzata.
“Questo
può essere un problema per te?”
Non so
perché non fui sorpresa, ma la mia famiglia adottiva in
Italia era di ampie
vedute e io ero cresciuta tollerante e disponibile a qualsiasi apertura
mentale.
“Non
ho nessun pregiudizio, dottoressa sono venuta per
studiare non per giudicare la vita degli altri.”
Lei
fu contenta della mia risposta, mi prese da subito in
simpatia, poi mi lasciò nella mia stanza ad aspettare la
cena.