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Autore: coopercroft    09/03/2021    0 recensioni
Laura Lorenzi è un giovane dottoressa italiana, arrivata a Londra per specializzarsi in patologa forense. Convive con un doloroso passato che l'ha chiusa in una solitudine forzata.
Quel lavoro, che tanto ha voluto, le fa conoscere un uomo complicato e singolare con cui inizia un rapporto altalenante pieno di luci e ombre: Mycroft Holmes, fratello maggiore del più noto Sherlock.
Quella frequentazione problematica trascina Laura in gioco di potere, di attentati, di omicidi che logorerà entrambi.
Tra discussioni e riavvicinamenti, si ritroverà a combattere con caparbietà per quel sentimento tormentato che li avvolge sempre più strettamente: una "solitudine elettiva" che li porterà ad aprirsi reciprocamente.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La mattina seguente incominciai in anticipo il mio tirocinio. Avevo deciso di assistere all’autopsia in programma, che iniziava alle 7,30, così uscii frettolosamente. Non feci colazione visto quello che mi aspettava, non sapendo se il mio stomaco avrebbe retto.

“Laura se ti senti sicura io ti ammetto in sala, ma se ti accorgi di non farcela esci e siediti in laboratorio a riprendere fiato. Oppure va a fare due passi.”  Cercai di rassicurarla, e mi armai di buona volontà. Indossammo le protezioni, tute verdi, guanti e cappello. Forzai il respiro e entrammo.

La temperatura della sala era bassa, ma non fastidiosa, forse la cosa che disturbava era l’odore di disinfettante. La camera era attrezzata con tavoli funzionali, in acciaio lucido, che già mettevano ansia per il loro aspetto ascetico.  Anche la luce interna era bianca e fredda. Nel lato destro le celle frigorifere erano disposte in ordine di data.  Molly ne aprì una e portò la salma sul tavolo, e devo dire che cominciai già a tremare. Hooper dettò il nome e cognome del corpo, la causa della presunta morte e cominciò il lavoro.

 Mi dava ogni tanto un’occhiata mentre mi spiegava cosa fare. All’inizio ressi bene, almeno un’ora la sostenni, ma quando arrivò ad aprire il cranio sussultai e sbiancai.  Molly se ne accorse e mi mandò fuori senza tante scuse.

“Laura, basta per oggi, riprendi fiato, sei stata brava. Bada a non svenire e farti male. E se te la senti consegna le cartelle come al solito.”   Non risposi, ma fui grata di poter uscire.

Respirai appena raggiunsi il laboratorio, vidi che erano quasi le dieci, così decisi di prendere le cartelle e aspettare gli Holmes nel corridoio.  Mi lasciai andare nella panchina che era vicino alla finestra, appoggiai le cartelle sul tavolo e attesi. Ma ero sconvolta e avvilita di non aver affrontato bene quella prima volta. Davanti al corpo di quell’uomo avevo subito pensato a mio padre adottivo, e questo non era stato un bene. Vecchi ricordi dolorosi si erano palesati con tutta l’angoscia di quella morte assurda. L’assassinio dei miei genitori adottivi e l’incubo di aver assistito alla loro morte, perché disgraziatamente c'ero e avevo pagato un conto salato di dolore fisico e mentale, mai superato. Appoggiai la nuca sulla parete fredda presa dallo sconforto e dalla nausea, chiusi gli occhi cercando di respirare ritmicamente. Avrei voluto piangere, ma quello non era il posto. Rimasi così cercando di calmare l’ansia. Passò un po’ di tempo.  Non mi accorsi dell’incedere di Holmes, pochi passi silenziosi e mi fu vicino.

“Giornata difficile, dottoressa Lorenzi?” Sentii la sua voce raggiungermi, era calma e gradevole.

Aprii gli occhi scostando il capo dal muro, vidi Mycroft di fronte a me. Era vestito come sempre con un vestito tre pezzi chiaro, aveva una cravatta di un rosso cupo insolito, intravidi il suo abbigliamento perché aveva il cappotto aperto.   Benché fossi contenta che fosse lui, fui subito scortese perché presa in un momento difficile.  “Le sue amate cartelle sono lì sopra, stia sereno non le farò perdere tempo.”

Cercai di abbozzare un mezzo sorriso, ma mi venne quasi un ghigno.

“Decisamente una giornata difficile!”  Affermò Mycroft, che rimase imperturbabile indeciso e titubante. fece una cosa inusuale per i suoi parametri, si sedette al mio fianco. Appoggiò l’ombrello e sfogliò le cartelle con noncuranza, come se fosse normale mettersi a rivederle lì.

“Qualsiasi possa essere il problema lo risolverà Laura, ne sia certa.” Io mi voltai a fissarlo stupita da tanto slancio di affetto e fui ancora una volta sarcastica. “Mio dio, crollerà Londra dopo queste parole.”

Ghignò, ma rimase fermo, la nausea era passata e il dolore si era un po' sciolto. Mi sistemai il cartellino sul camice bianco che pendeva pericolosamente. Lui era così vicino da sentire il profumo speziato   della sua colonia, che per un attimo cancellò lo sgradevole odore del disinfettante.

“È sempre così nervosa Laura, volevo essere gentile.” Era vero, mi rivolsi a lui meno tesa, e fui quasi arrendevole. “Ha ragione Mycroft è stata una mattinata difficile, la mia prima autopsia, credevo di reagire meglio, invece vecchi ricordi sono tornati prepotenti e forse non se ne erano mai andati.”  Mi scompigliai i capelli castani agitando la mano nervosamente.

“Deve lasciare fuori dalla porta il passato o la seppellirà in una marea di dolore Laura, e non sarà obiettiva.”  Holmes fingeva di leggere i faldoni, ma sapevo che aspettava, ero indecisa se dirgli la mia storia.

“Non è facile resettare i ricordi ed essere lucidi, non per me perlomeno. Non ho una mente così elastica come la sua.”

Lui alzò la testa, appoggiò nuovamente i faldoni, avvicinò le dita al mio polso destro e   scostò la stoffa del polsino, mettendo in evidenza le lesioni lasciate dal filo di ferro. Rabbrividii ricordandomi cosa rappresentano.

“Sono queste che deve dimenticare Laura, se vorrà diventare un buon patologo forense. Non si lasci distruggere da quelle cicatrici.”  Rimasi senza fiato, immaginavo le avesse viste la sera prima in cucina, lui era un acuto osservatore. La mia reazione fu di dolore represso, lui aveva già dedotto che erano dovute alla costrizione di essere stata legata in modo brutale, erano profonde e avevano segnato per sempre i miei polsi. Me li massaggiai sospettosa.

“Scusa Holmes, ma ora non mi sento di parlarne. Sono parecchio confusa, non prenderlo per un rifiuto capriccioso.” Lo osservai mentre cercava di darsi un contegno pari all’emozioni che provava e che lo infastidivano perché sconosciute.   Riprese le cartelle e si raddrizzò.

“Scusami Lorenzi, forse sono stato troppo invadente, ma era mia intenzione cercare di tranquillizzarti.” 

La voce era modulata gentile, e sembrava realmente dispiaciuto, era stranamente comprensivo. Mi sentii colpevole e decisi di stabilire un contatto fra noi.  

“Potremo stabilire una tregua, magari diventare amici, che ne dice Mycroft.?

Stavo tentando qualcosa di folle almeno per lui.

“Friends? Non ne ho mai avuti. Per quale motivo dovrei accettare Lorenzi?”

Ma era serio? Pensai sconfortata.  Passai al tu troppo avvilita dal suo comportamento. “Scusami non volevo distoglierti dal British Government accollandoti   un amico, donna per giunta.”  Aggrottò la fronte, chiedendosi se fossi impazzita. Non capivo bene cosa stesse pensando.

“Lasciamo stare Holmes. Forse non sai nemmeno cos’è.” 

“Certo che lo so, è una cosa impegnativa avere un “Friend” e nella mia posizione lo è ancora di più.”  Scosse la mano seccato, come se stesse scacciando un pensiero folle.

“Appunto, lasciamo stare. Ho voluto provarci, scusami.”  Mi alzai e feci per andarmene, lui era una partita persa già in partenza.

Sentii un profondo respiro e un mugugno, mi fermai, “Lorenzi, aspetta, forse potrei prendere in considerazione la tua richiesta.”

“Mycroft non devo compilare un “form” per diventare tua amica! Per Dio, è solo per aver un minimo di colloquio normale e affetto, se proprio la devo dire tutta.” Mi girai a fissarlo, seria e contrariata allo stesso tempo.

“Affetto?” Sembrava offeso, quasi sdegnato.

“D’accordo ho sbagliato termine, se ti spaventa diciamo …rispetto reciproco.”

“Meglio, ma io rispetto sempre e comunque chi frequento.” Mio Dio, questo discorso rasentava l’assurdo. Così glielo buttai lì, sconfitta.

“Non sempre Holmes. Non come ci siamo presi noi”

“Presi?”  Era sconcertato.

“Scusa, devo migliorare il mio inglese. Diciamo affrontati.”  Scossi la testa avvilita, pensai che facesse apposta.

“Se ho capito bene, pensi che tra noi non ci sia un’intesa.” Ora aveva afferrato, boccheggiò.

“Eccola mettiamola così Holmes.”  Lo studiai con attenzione emise due respiri profondi e portò le mani in tasca. Sembrava che gli interessasse, che volesse stabilire un legame con me.

“Io sono stato onesto Laura, cosa volevi che facessi, se tu continui a irritarti.”  Si piantò ondeggiando davanti a me.

“Forse è per il tuo atteggiamento, sempre così spocchioso.” Non ero riuscita a trattenermi e mi morsi il labbro per la mia inettitudine. Tutto contribuì a farmi diventare acida, la giornata difficile, i ricordi devastanti e lui che non riuscivo a collocare nella mia vita.

“Spocchioso, Lorenzi!   Spero ti sia sbagliata di nuovo con la Lingua.”  Erano saltati i fragili puntelli che ci sostenevano, lui indietreggiò, e io mi persi.

“No, sei irritante, decisamente, anche se cerco di avere un rapporto normale con te visto che frequento i tuoi amici, cioè scusa i tuoi conoscenti, e tuo fratello.”  Avevo oltrepassato il limite. Si girò trattenendosi, mosse due passi prese le cartelle, travolto dalle mie parole.

“Ho sopportato abbastanza, e bada Lorenzi che sono stato tollerante, forse “friends” fra noi non può esistere.” Afferrò l’ombrello appoggiato al muro, e con le cartelle strette sotto braccio uscì senza voltarsi.

Avevo scavato la fossa al nostro debole rapporto, se c’era stato, eppure la sera prima era stato piacevole stare con lui. La giornata era cominciata male e finì decisamente peggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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