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Autore: ChrisAndreini    11/03/2021    2 recensioni
Cinque coppie, cinque cliché, tropes letterari e delle fanfiction ovunque, e un narratore esterno e allo stesso tempo interno che sembra attirare a sé le più assurde coincidenze e situazioni da soap opera.
Un gruppo di amici si ritrova a passare l'anno più movimentato della loro vita guidati dai propositi, dall'amore, e da una matchmaker che non accetta un no come risposta.
Tra relazioni false, scommesse, amici che sono segretamente innamorati da anni, identità segrete e una dose di stalking che non incoraggio a ripetere, seguite le avventure della Corona Crew nella fittizia e decisamente irrealistica città di Harriswood.
Se cercate una storia piena di fluff, di amicizia, amore, e una sana dose di “personaggi che sembra abbiano due prosciutti negli occhi ma che alla fine riescono comunque a risolvere la situazione e ottenere il proprio lieto fine”, allora questa è la storia che fa per voi.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Corona Crew'
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All’aria aperta

 

Martedì 3 Settembre

Mirren odiava guidare.

Ed era strano che provasse sentimenti così forti per qualcosa che teoricamente non sarebbe dovuto essere un grande problema, per lui.

Dopotutto era un ottimo studente, e aveva passato l’esame di teoria con una facilità disarmante e zero errori.

…ma la sua forza era solo ed esclusivamente sulla teoria.

Quando si trattava di mettere le mani al volante, c’era solo il panico.

Era come essere alla guida di una pericolosissima arma di distruzione di massa, e Mirren non si sentiva per niente capace di maneggiarla.

Soprattutto non con Felix accanto.

-Prendi tu il volante!- chiese all’amico… al suo ragazzo… mentre attraversava una strada poco trafficata cercando un luogo dove accostare per cambiarsi di posto.

-Non fare il bambino, stai andando bene, continua a guidare- lo incoraggiò Felix, in tono fermo.

-Non ce la faccio, sono pessimo!- insistette Mirren, mettendo già la freccia.

-Hai l’esame martedì prossimo, devi esercitarti- Felix gliela tolse e lo spinse a continuare.

-Forse dovrei rimandare, non sono per niente pronto!- Mirren continuò ad avanzare sempre più in ansia, e se qualcuno di voi si è mai trovato in una situazione simile può sicuramente capirlo, e l’empatia renderebbe questa scena la più drammatica della storia fino ad ora.

Solo che… Mirren non stava andando male.

Il contrario in realtà.

Nonostante la sua estrema ansia, guidava dritto, faceva le curve in maniera impeccabile, e non dimenticava neanche una freccia.

Inoltre rispettava limiti e segnali stradali senza neanche uno scivolone, e Felix doveva ammettere tra sé che non si faceva un viaggio in macchina così tranquillo dall’ultima volta che suo padre lo aveva accompagnato da qualche parte.

-Sei più pronto di me in questo momento. E io la patente ce l’ho- provò a rassicurare Mirren, che però sudava, era chiaramente nervoso, e così Felix provò a venirgli incontro.

-Senti, facciamo così, guida fino al parcheggio della stazione, parcheggi e poi prendo io il volante e ci riporto a casa, okay?- propose, accomodante e incoraggiante.

Alla stazione mancavano un paio di chilometri in linea retta con solo un paio di leggerissime curve, quindi Mirren acconsentì, già più rasserenato, e Felix si godette gli ultimi chilometri di guida impeccabile con gioia e relax.

Per fortuna di Mirren, una volta arrivato al parcheggio, era quasi vuoto, quindi riuscì senza problemi a parcheggiare in un posto vuoto.

Ci sarebbe riuscito anche se il parcheggio fosse stato pieno, ma con molta meno serenità mentale.

Una volta fermo, si tolse la cintura, e si girò verso Felix, in attesa.

Felix lo guardò confuso.

-Aspetti la mia valutazione?- chiese, poco convinto però. Conosceva Mirren da sempre e sapeva che non si fidava molto dei suoi complimenti, dato che…

-Se ti chiedessi una valutazione mentiresti e diresti che sono bravo anche quando non è vero- Mirren scosse la testa -Ti guardo per incoraggiarti a uscire per cambiare posto- indicò la cintura che aveva ancora allacciata, ma Felix non se la tolse, e lo guardò con tristezza.

-Ammetto che è vero che a volte vedo il bicchiere mezzo pieno anche quando è completamente vuoto, ma davvero non ti fidi di me?- gli fece gli occhi da cucciolo, melodrammatico.

Mirren arrossì appena e distolse lo sguardo.

-Sai benissimo che non è una questione di fiducia- obiettò.

-Allora mi permetterai di farti una valutazione? Prometto che sarò brutalmente onesto!- gli chiese Felix, speranzoso.

Mirren sospirò, e annuì.

-Fantastico, allora… sei stato impeccabile!- la valutazione di Felix era esattamente quella che Mirren si aspettava.

Alzò gli occhi al cielo.

-Dovevi essere onesto- si lamentò, segretamente soddisfatto della valutazione ma non credendoci neanche per un secondo.

-Ma lo sono stato, Mirren! Sei bravo a guidare, e pronto per prendere la patente. Il tuo unico problema è la tensione. Dovresti rilassare le spalle e stare più tranquillo, sei bravo- insistette Felix, mettendogli le mani sulle spalle e iniziando a massaggiargliele, incoraggiante.

Mirren si abbandonò al suo tocco, chiudendo gli occhi e avvicinandosi inconsciamente a lui.

Da quando avevano chiarito il malinteso Melany erano più uniti che mai, e non avevano più discusso su nulla, anzi. 

Gli unici screzi che avevano erano su quelle questione di poca importanza, e si avvicinavano più a battibecchi di una vecchia coppia sposata che a vere e proprie liti.

E la parte più bella era che, fondamentalmente, non era cambiato assolutamente nulla nella loro relazione. Erano ancora amici come prima, con il piccolo extra di sbaciucchiarsi ogni tanto, e tenersi spesso per mano.

-Se me lo dici così come posso non crederti- borbottò Mirren, sporgendosi verso di lui per dargli un bacio sulle labbra, ma venendo scansato.

Felix si ritirò di scatto, ritirando anche le mani, e si guardò intorno, preoccupato.

-Che c’è?- chiese Mirren, confuso e anche parecchio deluso, a dire il vero.

-Niente, scusa. Solo… non avrei dovuto fare…- Felix indicò le spalle di Mirren, e arrossì -…siamo comunque in pubblico, e vicini al Corona, qualcuno potrebbe vederci- gli ricordò che la loro relazione al momento era segreta, e Mirren si ritirò, imbronciato.

-Giusto- si ricordò. Per un attimo la nozione che la relazione fosse segreta gli era sfuggita, troppo impegnato su quanto bene Felix lo facesse sentire.

-Scusa. Vabbè, quello che dovevo dire l’ho detto, ma se vuoi comunque che io guidi fino a casa sono disponibile- Felix tornò al presente, e si slacciò la cintura, pronto a cambiarsi di posto con Mirren.

Mirren valutò un attimo la situazione. 

A casa di Felix c’erano suo padre, Tender e Meredith.

A casa di Mirren c’era quantomeno Bonnie, e forse anche Petra.

Una volta a casa il massimo che avrebbero potuto fare sarebbe stato vedere qualcosa in tv e tenersi un po’ per mano, forse, se nessuno decideva di far loro compagnia.

Sigh, che tristezza.

Mirren si riallacciò la cintura.

Lui avrebbe baciato Felix, in un modo o nell’altro!

-Wow, hai deciso di guidare fino a casa?- chiese Felix, con un sorriso a trentadue denti che aumentò il desiderio bruciante di Mirren di stare un po’ solo con lui lontano da occhi indiscreti.

-No, ho un’altra tappa in mente- Mirren lo incoraggiò a mettere la cintura, e una volta che Felix abbe eseguito, partì in quarta, e guidò con molta più sicurezza verso una zona in collina che conosceva molto bene, ma la cui strada era impervia.

-Mirren… sei sicuro di…?- Felix non sapeva se essere molto orgoglioso del suo ragazzo, o preoccupato per la loro salute fisica perché sì, Mirren era bravo a guidare, ma era comunque un futuro neopatentato e quella strada era difficile.

-No, ma sì- la risposta di Mirren aumentò i suoi dubbi sulla situazione, ma decise di fidarsi, e si limitò a tenersi stretto alla cintura come un salvagente.

Alla fine, dopo ben venti chilometri di guida in stradine impervie in salita, Mirren raggiunse uno sprazzo che Felix non visitava da anni.

-Wo, come ti è venuto in mente di venire qui?- chiese a Mirren, mentre guardava fuori dal finestrino la lunga distesa d’erba e fiori.

Era un luogo bellissimo dove vedere le stelle, e l’ultima volta che erano andati era stato qualche anno prima, per l’anniversario della morte di nonna Rea. Li portava sempre lì a vedere le stelle, e raccontava storie su antichi miti greci e i significati delle costellazioni.

-Qui non c’è nessuno che ci possa vedere- rispose Mirren, ovvio, guardando Felix con aspettativa.

Dopo qualche istante di riflessione, Felix spalancò la bocca, sconvolto.

-Vuoi dirmi che ti sei fatto venti chilometri di guida solo per trovare un luogo isolato dove…- arrossì -Esattamente, cosa vuoi che la gente non veda?- chiese poi, con un sorrisino malizioso ma allo stesso tempo parecchio incerto.

Mirren si limitò a sporgersi verso di lui e baciarlo, e Felix accettò di buon grado la risposta, e cinse il collo del ragazzo con le braccia.

Ogni bacio che si scambiavano era speciale, unico e da mozzare il fiato.

Entrambi ancora non riuscivano a capacitarsi di essere arrivati a quel punto, dopo tanti anni, e allo stesso tempo, ogni volta che si trovavano in una situazione di intimità, avvertivano uno spettro di rimpianto, perché diamine, sarebbero dovuti finire insieme molto, molto prima.

Erano fatti per stare insieme, fatti per restare insieme, e più la relazione continuava, senza più ombre di ex gelose, e aperta al dialogo per ogni singola incertezza, meno Mirren ricordava cosa lo avesse bloccato tutti quegli anni.

Ogni dubbio che aveva avuto, ogni paura di un futuro dove perdeva Felix sembrava poco importante, perché la felicità di essere tra le braccia del suo migliore e più vecchio amico sarebbe valsa ogni sofferenza futura.

Sofferenza che, al momento, sembrava impossibile da raggiungere.

Perché si amavano, davvero tantissimo.

E dubitavano che avrebbero mai smesso di amarsi, non dopo tutto quel tempo passato insieme, dopo tutte le sfide e i problemi.

Erano sempre stati lì l’uno per l’altro, e ci sarebbero stati per sempre.

Dopo parecchio tempo passato ad esplorare le rispettive bocche, Felix si allontanò leggermente per prendere aria, guardando Mirren con occhi brillanti.

-Hai davvero guidato per venti chilometri solo per questo?- chiese, non nascondendo la propria soddisfazione.

-Tu ne vali la pena- flirtò Mirren, con un occhiolino. Felix gli accarezzò dolcemente la guancia, poi posò la propria fronte su quella del suo ragazzo.

-Non riesco ancora a credere che tutto questo sia vero- ammise, chiudendo gli occhi e concentrandosi sugli altri sensi per ancorarsi meglio alla realtà.

Mirren sorrise intenerito, e giocherellò con i suoi capelli.

-Neanche io, ma inizio a rendermene conto, e mi piace- sussurrò, un po’ imbarazzato.

Felix si allontanò per guardarlo meglio negli occhi, e gli sorrise a sua volta.

-Piace anche a me- lo incoraggiò, stringendogli la mano -Vorrei poter rimanere qui in eterno senza preoccuparci di essere visti- aggiunse poi, controllando l’orologio dell’auto e sospirando notando che iniziava a farsi tardi -Purtroppo temo che dovremmo tornare a casa- 

Mirren osservò l’orologio a sua volta e dovette purtroppo dargli ragione.

Anche lui, come Felix, avrebbe preferito restare lì in eterno lontano da occhi indiscreti… beh, sarebbe stato ancora meglio non doversi nascondere. 

Che poi, perché si nascondevano? Di cosa aveva paura Mirren? La ragione per aveva chiesto di non dire in giro della loro relazione iniziava a sfuggire al ragazzo, ma non approfondì il pensiero, perché doveva tornare a casa… e all’improvviso l’idea di rifarsi tutta quella strada alla guida era davvero insostenibile.

Si voltò verso Felix, in difficoltà.

-Ehm… non è che ti andrebbe di guidare?- chiese, speranzoso.

Felix scoppiò a ridere, e uscì dall’auto per scambiarsi con Mirren.

Una volta nei rispettivi posti, Felix mise in moto, ma Mirren lo interruppe per baciarlo un’ultima volta. Un bacio intenso che potesse fungergli da carburante fino alla prossima volta in cui sarebbero riusciti a trovare un luogo appartato dove avere un momento di intimità.

-Ti amo- gli sussurrò, semplicemente.

-Ti amo anche io- rispose Felix, con un dolce sorriso, prima di mettere in moto e rifare la strada fino a casa.

Tutta la dolcezza della situazione si dissipò in fretta quando Mirren, in pieno tono da maestrino, rimproverò Felix ogni volta che faceva un banale errore di guida, e alla fine tornarono a casa divertiti, fintamente arrabbiati l’uno con l’altro per stupidi motivi, ma molto, molto felici di come la situazione si stava sviluppando, per loro.

 

 

Venerdì 6 Settembre

-Benvenuti alla festa di compleanno di Max! Oggi si festeggia Max, e io sarò solo in un angolo a fingere di non esistere per non turbare la pace!- con questa frase Amabelle accorse Max, Denny e Clover, appena giunti al luogo da lei scelto per festeggiare.

Era vestita da hostess, senza trucco, e con orecchini a forma di simbolo della pace per mostrate tutta la propria voglia di farsi perdonare.

Max voleva davvero tanto essere ancora arrabbiato con lei o quantomeno ignorarla, ma non riuscì a trattenere un sorrisino nel notare quanto si stesse impegnando.

E poi era il suo compleanno, doveva cercare di godersi la vita e concedere ad Amabelle il beneficio del dubbio.

-Ammetto che la location è ben scelta- ammise, guardandosi intorno.

Era un agriturismo che Max adorava, e in cui non andava da anni, dato che era un po’ costoso e di solito ospitava eventi importante come matrimoni o riunioni di famiglia.

-Sì, e ho anche preparato della attività interessanti!- esclamò Amabelle, entusiasta. 

I tre la guardarono allertati.

Le attività di Amabelle di solito erano giochi rischiosi o confidenze che nessuno voleva esternare.

Notando il disagio, Amabelle si affrettò a negare i loro dubbi.

-Sono attività all’aria aperta! Con animali da fattoria e cose del genere- si affrettò a rassicurarli, alzando le mani.

Clover e Max si rassicurarono, Denny si preoccupò ulteriormente.

-Non ci sono asini, vero?!- chiese nel panico, guardandosi intorno preoccupato.

Metà della Corona Crew aveva ancora i traumi a causa di un compleanno di Petra in fattoria.

-No, mi sono assicurata che gli asini rimangano chiusi. Che poi, in realtà i proprietari dell’agriturismo mi hanno impedito di avvicinarmi ai loro asini, non capisco perché- rifletté Amabelle, pensierosa.

Max, Denny e Clover si lanciarono sguardi eloquenti: lo sapevano benissimo il perché, dato che l’incidente con l’asino era finito sul giornale, e Amabelle era stata bandita da tutte le fattorie della zona e dei dintorni, ma era meglio non tirare fuori l’argomento.

-Sarà meglio entrare- Max cambiò argomento, e incoraggiò gli altri a seguirlo.

Una volta dentro l’edificio, fu sorpreso da come fosse ben organizzata la sala, e che il resto della Corona Crew fosse già lì.

Non perché li considerasse ritardatari, dato che, con Clover appresso, gli Sleefing avevano fatto parecchio ritardo, ma non si aspettava che la Crew sarebbe venuta affatto, dato che la festa era stata organizzata da Amabelle, ed erano tutti ai ferri corti con lei.

-Probabilmente vogliono più bene a te di quanto siano arrabbiati con Amabelle- suggerì Clover, leggendogli nel pensiero.

-Inizio a pensare di essere stato troppo duro con lei- borbottò Max, che onestamente si sentiva un po’ in colpa per come l’aveva trattata, dato che, sì, lei aveva esagerato, ma aveva buone intenzioni in fin dei conti, solo un pessimo modo di metterle in pratica.

-Nah, aveva bisogno di una batosta- 

-Che poi, a te non ha fatto praticamente nulla, perché ce l’hai con lei?- osò chiedere Denny, che negli ultimi tempi era diventato molto più aperto con Clover, dal momento che vivevano insieme.

Clover ci pensò qualche secondo.

-Suppongo che volessi trovare qualcuno a cui dare la colpa dei miei errori- rispose poi, senza peli sulla lingua, alzando le spalle.

Denny scosse la testa.

-Io pagherei oro per avere me stesso come unico nemico- borbottò tra sé.

-In che senso?- provò ad indagare Max, che già da un po’ di tempo iniziava seriamente a preoccuparsi per il fratello.

Prima la depressione post-compleanno, poi il momento di quasi assoluto mutismo, l’amicizia inaspettata con Veronika, e infine un polso slogato per un motivo che né lui né Clover avevano voluto rivelargli.

All’inizio Max aveva pensato fosse a causa del coming out… o il non-coming out, ma quel polso contuso non si spiegava, e lo preoccupava non poco.

-Buon compleanno!- l’arrivo di Felix interruppe la conversazione, e Denny approfittò della distrazione del fratello per correre via in modo da non essere obbligato a riesumarla.

Max decise pertanto di lasciar perdere per il momento, e riprendere una volta a casa, dopo la festa.

-Grazie, Felix. Come va il lavoro?- iniziò a chiacchierare con l’amico, avvicinandosi al tavolo e salutando anche gli altri.

Erano solo otto persone, ma il tavolo era molto più energico e allegro di quanto Max si aspettasse.

Dal compleanno di Amabelle sembrava che l’atmosfera si fosse parecchio distesa.

Felix era super allegro, Mirren stranamente rilassato e sorridente. Petra era tornata amica di Amabelle e parlava amabilmente con Norman (Max non si ricordava fossero così amici). Clover punzecchiava Denny, che era diventato praticamente il suo fratellino minore, e Denny, dal canto suo, non era mai stato così sicuro di sé, e Max si chiedeva se fosse l’influenza di Clover, o un fattore esterno di cui lui non era a conoscenza.

Il punto era che tutti, nessuno escluso, sembravano felici, almeno all’apparenza.

E Max era certo che anche lui, dall’esterno, sarebbe risultato quantomeno rilassato e sereno.

Solo che… mancava qualcosa.

O meglio, qualcuno.

E non si riferiva ad Amabelle, ancora all’esterno per chissà quale motivo, dato che erano tutti lì e non doveva accogliere più nessuno.

No, a lui mancava Manny… o meglio, Veronika.

Non riusciva a fare a meno di pensare a come sarebbe stato il suo compleanno se non avesse scoperto la verità. Sì, sarebbe stato uno stolto che veniva preso in giro, ma magari sarebbe stato più felice, nell’illusione che tutto andasse bene, che Manny fosse il ragazzo perfetto, e avesse finalmente raggiunto la felicità?

Ma allo stesso tempo, il pensiero che Amabelle potesse aver invitato Veronika per fargli una “sorpresa” lo infastidiva più di qualsiasi altra cosa, e questa sua contraddizione enorme gli stava incasinando il cervello e ingarbugliando lo stomaco.

-Tutto bene, Max?- chiese Clover, sporgendosi verso di lui e notando la sua distrazione.

-Sì, certo, sono molto stupito di trovare un’atmosfera così distesa- ammise, facendosi sentire da tutto il tavolo.

-È finita la depressione, oggi si festeggia!- esclamò Felix, su di giri, cingendo il collo di Mirren e sollevando il bicchiere già pieno.

-Vedo che non hai perso tempo a ubriacarti, Felix- lo rimproverò Petra, guardandolo storto.

-Ovvio, oggi guida Mirren al ritorno!- esclamò Felix, con gioia, prendendo un sorso e rischiando di rovesciare il liquido -Ah, e poi non sono ubriaco!- disse poi, mentendo palesemente.

-Se non sapessi per certo che Amabelle non ha armeggiato in cucina, la accuserei di aver messo ulteriore alcool nel bicchiere di Felix- commentò Norman, piegando la testa divertito ma anche un po’ confuso da quanto a suo agio fosse Felix ad abbracciare Mirren con tale affetto e semplicità.

Mirren sembrava più infastidito dalle condizioni dell’amico che dal contatto.

-Guarda che non ho ancora preso la patente- ricordò a Felix, punzecchiandogli la fronte e facendolo ridacchiare.

-Ma devi fare pratica per quando la prenderai martedì- Felix gli fece la linguaccia.

-Sono solo io, o c’è qualcosa di strano in quei due?- borbottò Norman, sempre più confuso.

-Nah, sono i soliti Mirren e Felix- rispose Amabelle, sopraggiunta in quel momento con uno zaino stracolmo.

-Dov’eri finita? Stavi mettendo alcool nei drink?- l’accolse Clover, guardandola con sospetto.

-No, certo che no!- si difese subito Amabelle.

Sembrava molto triste all’idea che la accusassero di una cosa del genere, e obiettivamente, Max poteva capirla.

Perché effettivamente stavano insistendo su un vecchio fatto di cui non era neanche colpevole.

-Non è stata lei a correggere i drink del compleanno di Felix- si ritrovò a dire, tirando fuori un segreto che aveva tenuto sepolto per mesi, prima perché non era mai uscito il discorso, e poi perché dare la colpa ad Amabelle sembrava un buon modo per ferirla, e Max, quando avevano litigato il giorno del suo compleanno, voleva davvero ferirla.

Non si sentiva affatto orgoglioso al riguardo.

-Uh, cosa?- chiesero Mirren e Felix all’unisono.

Amabelle guardò Max sorpresa, e quasi commossa. Non si aspettava che proprio lui la difendesse.

-C’era stato un problema in cucina. Un errore dettato da una piccola distrazione- ammise, evitando comunque di dare il nome di Sonja… Veronika.

Tutta la Corona Crew lo guardò a bocca aperta, tranne Petra, che già sapeva che Amabelle non c’entrava nulla.

-Ah- commentarono infine tutti insieme.

-Scusa Amabelle- aggiunsero poi, verso la ragazza, che sembrava davvero commossa, ed esibì gli occhioni da cucciolo più riusciti della sua vita.

-Ragazzi…- la sua risposta venne interrotta da una cameriera con un tempismo pessimo, che si avvicinò distrattamente e chiese.

-Allora, siete tutti, volete ordinare?- senza rendersi conto di aver appena rotto il momento.

-Sì!- Amabelle accettò il cambio di argomento, e iniziò a dettare il proprio ordine.

Aveva promesso che avrebbe pagato lei, come regalo di compleanno, ma Max decise comunque di ordinare un piatto poco costoso, perché i prezzi lì erano esorbitanti.

Anche gli altri sembrarono avere un’idea simile, tranne Clover, che ordinò uno dei piatti più costosi, probabilmente senza neanche farlo apposta ma perché abituata a non guardare mai i prezzi.

Una volta segnato tutto, la cameriera andò via, e Max si preparò all’attesa, che in quell’agriturismo era abbastanza lunga.

-Qualcuno ha un mazzo di carte per fare una partita mentre aspettiamo?- chiese Felix, che sapeva quale fosse l’andazzo.

-Nope! Ma ho preparato una caccia al tesoro per l’agriturismo, divisi in gruppi!- enunciò Amabelle, battendo le mani soddisfatta e tirando fuori delle carte con gli indovinelli da risolvere.

-Wow!- Max si illuminò. Adorava i giochi all’aria aperta, e le cacce al tesoro erano sempre state in cima alla lista dei suoi preferiti.

Amabelle gli fece un occhiolino. Sapeva perfettamente cosa piaceva a Max, e stava davvero facendo salti mortali per farsi perdonare.

-E poi pensavo di fare nascondino, se avanza tempo. Un gioco divertente e rilassante che non ha niente a che fare con romanticismo e altre cose del genere. Oh, e poi ho organizzato anche un giro in mezzo agli animali! Una giornata perfetta!- continuò ad illustrare Amabelle, esagitata, ma… tremante.

Non stava solo facendo salti mortali per farsi perdonare, sembrava proprio avere paura di fallire nel farlo, o che fosse troppo tardi.

-Amabelle…- la interruppe Max, mettendole una mano sulla spalla e facendola sobbalzare. Non si aspettava un contatto improvviso. Fissò Max sorpresa, incoraggiandolo a continuare.

-…mi dispiace per come è andato il tuo compleanno, sono stato un po’ categorico- si scusò il ragazzo. Insomma, Amabelle aveva esagerato, ma fare una scenata del genere non era stata l’idea migliore del mondo, e lo sapeva. Non si pentiva del tutto di aver provato a farle aprire gli occhi (anche perché sembrava ci fosse riuscito) ma si sentiva comunque in colpa per i modi in cui l’aveva fatto.

Amabelle scosse la testa, e gli prese le mani.

-No, è a me che dispiace- poi si rivolse al resto della crew, seria come non era mai stata.

-Mi dispiace davvero tanto per aver esagerato. Sono stata insensibile, e ho peggiorato molto le cose, e non ho scuse perché il problema è che non mi rendevo proprio conto di superare il limite. Quindi voglio chiedervi scusa, dal profondo del cuore, e vi prometto che se me ne darete l’occasione cercherò davvero di migliorarmi e smettere di esagerare- spiegò, con voce chiara, consapevole, e molto poco da lei.

Max fu il primo a sorriderle.

-Come potrei non accettare le tue scuse dopo tutti questi preparativi- le scompigliò affettuosamente i capelli, facendo comparire un sorriso sul volto della ragazza.

-Io non sono nessuno per giudicare gli errori degli altri- Clover le fece un occhiolino incoraggiante.

-Obiettivamente sei l’ultimo dei miei problemi- borbottò Denny, molto tra sé -Cioè… nel senso che non mi hai causato poi così tanti danni, tu, personalmente!- si corresse poi, evitando l’occhiata sempre più preoccupata di Max.

Norman e Amabelle fecero rispettivamente il segno dell’okay e un occhiolino. 

Mancavano solo Mirren e Felix, che obiettivamente erano quelli che avevano ricevuto più brutti tiri, soprattutto Felix, da parte della rossa.

-Per me non ci sono problemi ad accettare le tue scuse- Mirren le fece un cenno formale. Non erano poi così legati in generale, dopotutto, e non si trattava di diventare amicissimi.

Felix squadrò Amabelle qualche secondo valutando l’idea.

Amabelle si morse il labbro inferiore, in ansia.

Felix era uno sei suoi amici più cari, non voleva rischiare di perderlo.

Ma il ragazzo si aprì in un largo sorriso e le diede una pacca sulla spalla.

-Se mi prometti che non inviterai più persone inappropriate ai miei appuntamenti saremo migliori amici per la vita- ridacchiò, con un occhiolino, e facendole tirare un sospiro di sollievo.

-Promesso, al tuo prossimo appuntamento, prometto di farmi gli affari miei. Parola di scout!- enunciò, sacrale, anche se un po’ triste all’idea che Felix andasse ad un appuntamento con qualcuno che non fosse Mirren.

-Non che tu abbia programmato qualche appuntamento, in tempi brevi- borbottò proprio Mirren, molto tra sé, e cercando di non mostrare un certo fastidio.

-Perché no, mi piacerebbe andare ad un appuntamento, un giorno di questi- Felix gli fece un occhiolino e gli si avvicinò con aria maliziosa, fino a stargli a pochi centimetri dal volto.

Mirren arrossì e si scansò, scuotendo la testa.

-Sei incredibile, Durke- borbottò con poca voce, spostandogli il viso con un dito.

Norman li fissava sempre più confuso.

-No, sul serio, sono l’unico che pensa che ci sia qualcosa di strano tra loro?- chiese, sottovoce, rivolto principalmente ad Amabelle e Petra.

-Nah, solita amministrazione- risposero le due ragazze all’unisono, alzando le spalle.

-Allora, iniziamo la caccia al tesoro o volete prima fare un giro a nascondino… anche se rischiate di scoprire i premi della caccia al tesoro, potrebbe essere controproducente- Amabelle attirò nuovamente l’attenzione del tavolo, molto più energica di prima, e anche più sicura.

Era determinata a rendere quel compleanno il più bello in assoluto.

 

E, tutto sommato, Max doveva ammettere che alla fine il compleanno non fu niente male, anzi, riuscì addirittura a sentirsi effettivamente sereno, dopo i regali e la torta. Felice di aver passato una giornata all’aria aperta insieme ai suoi più cari amici nella più totale serenità.

E stava giusto pensando… o meglio, smettendo di pensare a Veronika, per la prima volta da parecchio, mentre finiva la sua fetta di torta alla vaniglia, quando Amabelle gli si avvicinò, titubante.

-Ehm, Max, posso parlarti qui fuori?- chiese, un po’ incerta, abbracciando al petto un pacchetto che Max non aveva visto prima.

Tutta la tensione di Max tornò prepotentemente a colpirlo, come se il ragazzo si fosse appena svegliato da una trance.

-Perché?- chiese, sentendo il cuore iniziare a battere furiosamente.

Il pacchetto che l’amica teneva tra le braccia era quasi del tutto nascosto, ma Max notava comunque che fosse davvero elegante, incartato in carta verde smeraldo e con un fiocco professionale.

Amabelle non avrebbe mai fatto un pacchetto del genere.

E Max non voleva sapere cosa fosse o a chi appartenesse, perché per una volta si sentiva davvero sereno, e avrebbe preferito restare tale.

-Beh, vorrei dirti una cosa, ma dovrei dirtela in privato, e spiegartela bene prima- insistette Amabelle.

“No” avrebbe voluto rispondere Max. Una semplice parola di due lettere che poteva permettersi di utilizzare, anzi, era suo diritto se non dovere farlo.

-Okay…- si ritrovò invece a sussurrare, alzandosi incerto e seguendo l’amica fuori dall’agriturismo.

Non c’era nessuno nelle vicinanze, e i due si sedettero sotto al portico, su un rustico divanetto di vimini.

-Allora?- Max incoraggiò Amabelle a parlare, con il cuore che si faceva sempre più veloce nel petto.

-Allora…- Amabelle prese un profondo respiro -Ho un regalo per te, da parte di Veronika- ammise poi, così in fretta che a malapena Max riuscì a distinguere le parole. Ma sentì il nome “Veronika”, quindi capì tutto, e si alzò di scatto.

-Dille che non mi interessa- provò a tirarsi fuori, con un groppo alla gola.

Le contraddizioni in lui si ripresentarono violentemente.

Voleva sapere, ma allo stesso tempo voleva anche lasciarsela alla spalle. Ma era sgarbato rifiutare un regalo, ma era di Veronika, non era il caso di aprirlo. Ahhh, era così complicato!

-Lo so che dato che viene da me non ti fidi, e pensi che sia un mio piano, ma mi ha chiesto espressamente di consegnartelo e dirti la seguente cosa: “Puoi anche buttarlo, ma ti prego almeno leggi la lettera che lo accompagna, e non prendertela con Amabelle, è tutta una mia idea”- recitò Amabelle, sacrale.

-L’ultima parte l’hai aggiunta tu- la accusò Max, guardandola storto.

-No! …sì. Ma ti giuro! Io non c’entro nulla, è stata Veronika a contattarmi, quindi ti prego accetta, e io torno dentro, non voglio intromettermi ulteriormente- Amabelle gli porse con più foga il pacchetto, e si alzò a sua volta, già pronta a correre nuovamente nel ristorante.

Max lo guardò qualche secondo come se fosse una bomba pronta ad esplodere, poi lo prese, esitante, molto incerto su cosa avrebbe potuto contenere.

-Perfetto, grazie, ti prego non odiarmi, torno dentro- Amabelle approfittò di avere le mani libere per correre all’interno prima che Max potesse cambiare idea, e lo lasciò solo con il pacchetto finemente incartato.

Max si risedette, e lo posò al suo fianco, prendendo per prima cosa la lettera che lo accompagnava.

“Buon compleanno, Maximilian” si leggeva sul retro, scritto in elegante corsivo.

Max la aprì con mani tremanti, e iniziò a leggere, inizialmente incerto, e poi divorando ogni parola.

“Carissimo Max, 

Ti scrivo questa lettera perché voglio rispettare i tuoi spazi e la tua decisione di allontanarti da me. Non biasimo la tua scelta, e non pretendo che tu cambi idea, ma ci tengo, dal profondo del cuore, ad augurarti un buon compleanno, e spero che la festa sia andata bene. So di aver sbagliato con te. Non sono stata onesta, e ho approfittato della tua bontà, della tua dolcezza e del tuo rispetto tradendo la tua fiducia con omissioni e false verità. Ma ora voglio essere sincera con te, e dirti tutto ciò che permane in fondo al mio cuore.

Io ti amo, Maximilian Sleefing. Sei stata la mia fuga dalla realtà, e questi mesi sono stati i più felici della mia vita, in tua compagnia. Mi hai fatto scoprire cosa significhi davvero amare, ed essere amata, senza secondi fini, senza obblighi morali, solo perché stavi bene in mia compagnia, tanto quanto io stavo bene nella tua. Sapevo, fin dall’inizio, che prima o poi avrei dovuto lasciarti, e non cercherò di giustificare le mie azioni, che sono e restano una profonda mancanza di rispetto nei tuoi confronti. Ma voglio che tu sappia che non ho mai, neanche per un istante, smesso di cercare un modo per riuscire a risolvere la situazione. Perché se dipendesse da me, farei tutto il possibile per trovare un modo di tener fede ai miei doveri, e allo stesso tempo stare con te, amarti e onorarti come meriti. Purtroppo il dovere di una principessa è quello di mettere il benessere del popolo prima del proprio, e spero riuscirai a capire che se non ho scelto te fin dal principio non è perché vieni al secondo posto, ma perché l’aspettativa che grava sulle mie spalle è troppo pressante per poterla ignorare.

E il motivo per cui non ti ho rivelato subito delle mie origini non è assolutamente per mancanza di fiducia, dato che so per certo di potermi fidare della tua discrezione e comprensione più che di quella di qualsiasi altro, ma perché in cuor mio speravo di rivelarti la verità una volta trovata una soluzione. Non tanto per obbligarti ad accettarla, perché non ti avrei biasimato se avessi voluto lasciarmi in ogni caso, ma perché almeno sarei riuscita a dimostrarti che non ho mai smesso di cercare di stare con te anche una volta finito il mio anno sabbatico. Sapevo, in cuor mio, che una soluzione fosse difficile, ma il solo fatto di cercarla in ogni anfratto della legge e del mio ingegno riusciva in parte a giustificare lo stare con te. Perché mai, neanche per un istante, il mio intento era quello di illuderti.

Ma so di aver fallito, e che le giustificazioni che sussurravo a me stessa non erano altro che scuse per impedirmi di fare la scelta giusta: allontanarmi presto in modo da arrecarti meno danno possibile.

Pertanto quando leggerai questa lettera io sarò su un aereo diretta verso Agaliria, dove tornerò ad assolvere i miei doveri. Spero che la mia partenza possa essere per te di aiuto nel ricominciare, smettendo di evitare il Corona solo per non incrociarmi. Non ho mai voluto obbligarti la mia presenza, devi credermi.

Concludo questa missiva con un ultimo appunto: ricordi quando Amabelle ci chiuse insieme nello scantinato del café? Tu mi chiedesti di descrivere il mio fidanzato, e io ti raccontai ciò che amavo del mio ragazzo… quella persona eri tu. Sei sempre stato tu.

Tu sei il mio Zweisamkeit, stavo così bene con te, che il mondo non esisteva più. Mi facevi dimenticare ogni dovere, responsabilità ed impegno. Se dipendesse da me, userei ogni mezzo per stare con te il più a lungo possibile, ma purtroppo l’illusione è finita, e spero solo di non averti causato troppa sofferenza, perché era ben lungi dall’essere mia intenzione.

Ti amo, e ti amerò ogni giorno della mia vita.

Tua per sempre,

Veronika Krone”

La mente di Max era completamente vuota.

Rimase a fissare la lettera, leggendola e rileggendola cercando di impararla a memoria, imprimere quella scrittura nella sua mente, e capire del tutto cosa significasse l’averla ricevuta.

E quando una goccia cadde su un lato del foglio, e Max si rese conto di aver cominciato a piangere, un’altra consapevolezza spaventosa gli venne alla mente.

“Io sarò su un aereo diretta verso Agaliria”

Veronika se ne stava andando, per sempre.

E l’ultima cosa che Max le aveva detto era una richiesta di lasciarlo in pace.

Per la prima volta da quando aveva scoperto la verità, si rese conto che non era l’unico ad aver sofferto per la situazione. E riuscì ad immaginare, anche a grandi linee, quello che poteva aver provato Veronika in quei mesi.

Cercando di controllare il respiro, prese con mani tremanti il regalo che la ragazza gli aveva comprato, e iniziò a scartarlo.

Era un libro, più precisamente un libro di viaggi.

Ancora incredulo e inconsapevole del tutto del fatto che non avrebbe più visto Veronika, iniziò a sfogliarlo distrattamente, e notò una dedica nella prima pagina, scritta nello stesso corsivo della lettera.

“Ti auguro di realizzare i tuoi sogni, viaggia anche per me!”

Max chiuse di scatto il libro, con il cuore che iniziava a battere davvero troppo forte.

Non poteva lasciare che la storia con Veronika finisse così.

Sì, non sarebbero più stati insieme, era finita definitivamente, ma doveva salutarla, ringraziarla, scusarsi per non aver neanche cercato di capirla.

Era ancora arrabbiato, e disilluso su un possibile futuro insieme. Non credeva neanche che sarebbero mai tornati amici, ma meritava almeno un saluto.

La verità era che aveva bisogno di vederla un’ultima volta.

Aveva bisogno di dirle addio nel modo giusto, o se ne sarebbe pentito per il resto della sua vita.

Si alzò di scatto, ed entrò nell’agriturismo intenzionato a prendere la borsa, chiamare in fretta un taxi, e correre all’aeroporto, nella remota speranza di riuscire ad incrociare Veronika prima che partisse.

Non appena varcò la soglia, si ritrovò davanti tutti i membri della Corona Crew che lo fissavano, preoccupati. Denny e Clover erano praticamente a due passi da lui, il primo con la sua borsa in mano, la seconda con il proprio telefono all’orecchio.

-Cosa…?- provò a chiedere, incerto.

-Amabelle ci ha detto tutto- spiegò Denny.

-Mi hanno costretto!- si giustificò la ragazza, in tono di scuse.

-Ti ho chiamato un taxi, ti aspetta in strada- Clover la ignorò e si affrettò a prendere il regalo dalle mani di Max.

Denny gli porse la borsa.

-Vai a salutare la tua principessa- lo incoraggiò, con un sorriso.

-Vi voglio bene- Max scompigliò i capelli di Denny e diede un veloce bacio sulla guancia di Clover, prima di mettere lo zaino in spalla e correre fuori. 

Il viaggio fino all’aeroporto fu il più lungo e agitato della vita di Max.

Non sapeva neanche cosa stesse facendo o cosa avesse intenzione di portare a termine, dato che non aveva soluzioni né cose da dire a Veronika, ma aveva bisogno di vederla, un’ultima volta, e salutarla per davvero.

Per sempre.

Una cosa era infatti certa, se l’avesse vista e salutata, si sarebbe riuscito a mettere tutto alle spalle una volta per tutte, e non ci avrebbe più pensato.

Era il miglior regalo di compleanno che avrebbe potuto chiedere.

Raggiunse l’aeroporto con il cuore che batteva a mille, e la speranza che non fosse troppo tardi. Si avvicinò in fretta alla reception e fece la brevissima, ma comunque troppo lunga, fila che lo separava dal chiedere informazioni.

-Salve, posso aiutarla?- lo accolse formale la ragazza dietro al bancone. Sembrava giovane e non molto esperta, ma Max non voleva farsi false opinioni prima di averci a che fare.

-Salve, sono di fretta, mi sa dire se l’aereo per Agaliria è partito?- chiese, controllando i voli ma non trovando nessuno diretto ad Agaliria, né in partenza né programmato.

Era anche vero che stava leggendo velocemente, magari gli era solo sfuggito. O c’erano tanti cambi prima di arrivare lì.

-Agaliria? Non sono previsti voli per Agaliria, mi dispiace- la receptionist scosse violentemente la testa e lo incoraggiò ad andare via e far passare la fila.

Il cuore di Max sprofondò nel petto, poi analizzò meglio le parole della giovane donna.

“Non sono previsti voli”

Non “È già partito”.

-È un aereo privato?- chiese, speranzoso, deciso a non arrendersi.

Voleva chiudere definitivamente quella storia… possibilmente nel modo giusto.

La receptionist impallidì.

-Senta, non c’è nessuno volo per Agaliria, posso aiutarla con qualcos’altro?- chiese, bruscamente, molto a disagio. Era chiaro che stesse mentendo, o che quantomeno nascondesse qualcosa.

Max non voleva bloccare troppo la fila, ma provò ad insistere almeno un altro po’.

-Una mia amica oggi deve partire per Agaliria, la prego mi dica almeno se è già partita o no- la supplicò, cercando di puntare sulla sua inesperienza e compassione.

La giovane donna esitò, poi si sporse verso di lui, in confidenza.

-L’aereo è in partenza, dovrebbe lasciare l’aeroporto tra una decina di minuti- l’avvertì, in tono confidenziale -C’è altro che posso fare per lei?- chiese poi, a voce più alta, sperando di non finire nei guai per aver dato l’informazione.

-Un biglietto, per un posto casuale. Il meno costoso che avete- chiese Max, riaccendendosi di speranza, e tirando fuori la carta di credito.

Aveva messo da parte parecchi risparmi per un viaggio, per realizzare il proprio proposito. Non pensava li avrebbe sprecati per parlare con la sua ex, ma sperava davvero che ne valesse la pena.

-Come, scusi?- chiese la receptionist, impallidendo ulteriormente.

-Senta, è davvero molto importante per me. Non sono un terrorista, né un giornalista, la prego mi dia un biglietto- Max sapeva di risultare abbastanza preoccupante visto dall’esterno, ma non aveva tempo di raccontare la storia della sua vita romantica ad una receptionist che, onestamente, sembrava non essere bravissima a mantenere i segreti.

E che gli fece il biglietto, molto esitante, prima di passare al prossimo.

Il biglietto meno costoso si rivelò essere per New York. Era un volo last minute. Comico, bisognava ammetterlo. 

Di tutti i posti, proprio New York…

Max tentò di non pensarci, e corse in fretta al check in, che superò con una certa difficoltà a causa della bottiglietta d’acqua che si era scordato di possedere e qualche snack che teneva sempre nella borsa per ogni evenienza.

Neanche ricordava tutto il contenuto presente nella propria borsa, ma fu davvero felice di non essere Clover e di non possedere un coltellino svizzero da portare per ogni evenienza, perché rischiava davvero che lo arrestassero.

Dopo il drammatico check in, arrivava la parte più difficile: la ricerca dell’aereo privato.

Perché sì, Max avrebbe dato il tutto e per tutto pur di parlare con Veronika.

Era rischioso? Sì.

C’era l’eventualità che le rendesse le cose ancora più difficili? Eccome.

Ne valeva la pena? Probabilmente no.

Eppure non riusciva a fermarsi, doveva sperare di incontrarla.

Controllò la mappa dell’aeroporto e tutti i voli con i rispettivi gate, e la sua vista poco ricettiva riuscì comunque ad individuare che una zona all’angolo dell’aeroporto non aveva in programma nessun volo in tempi brevi.

Vista la chiara segretezza, Max si disse che probabilmente era il luogo che doveva raggiungere, e iniziò a correre in quella direzione, non curandosi degli sguardi tesi e pieni di giudizio delle persone che superava in tutta fretta.

Aveva ancora qualche minuto, poteva ancora almeno salutarla da lontano mentre entrava nell’aereo.

Ringraziarla per la lettera e il regalo.

Purtroppo non aveva fatto i conti con la sicurezza dell’aeroporto, che si era messa davanti alla porta per la zona che Max voleva raggiungere.

-Quest’aera è chiusa al pubblico- lo informò uno dei due, guardandolo con cipiglio severo.

-Oh, ehm, davvero? Perché?- chiese Max, cercando al volo una scusa per provare a raggirarli.

-È top secret- rispose l’altro -Ti sei perso? Dove devi andare?- indagò poi, squadrandolo dalla testa ai piedi.

Max iniziò a guardarsi intorno cercando al volo una scusa. Non gli piaceva mentire, ma non credeva di poter guadagnare l’accesso solo supplicando, questa volta.

Quei due sembravano davvero intransigenti.

Alla fine i suoi occhi si posarono su un cartello che indicava il bagno.

-Devo andare in bagno, mi sono perso, e quello di quest’area è il più vicino- disse, cercando di far passare la sua fretta evidente come causata da bisogni urgenti.

La prima guardia esitò un attimo, la seconda rimase irremovibile.

-C’è un altro bagno in quella direzione, penso tu possa trattenerti fino ad arrivarci- indicò una zona poco distante.

-Vi prego, è questione di un minuto, la natura chiama- continuò ad insistere Max.

Non era arrivato fino a lì per farsi fermare da due guardie.

-Mi dispiace, ma l’area è chiusa al pubblico- ripeté la seconda guardia. Anche lui non era arrivato fino a lì per perdere il posto a causa di un ragazzo incontinente.

-Vi supplico, lasciatemi passare- Max però era molto determinato.

Aveva speso i risparmi di un anno per salutare Veronika, e avrebbe salutato Veronika.

Poi magari dopo l’avrebbero anche arrestato, ma doveva salutare la ragazza.

Non sapeva neanche lui perché ci tenesse così tanto.

E probabilmente, una piccola parte del suo cuore, sperava che salutandola adesso avrebbe potuto effettivamente chiudere la faccenda a doppia mandata per gettarsela alle spalle.

Se avesse perso l’aereo, ci avrebbe pensato a lungo, e magari sarebbe anche giunto alla conclusione che c’era una soluzione.

Che poteva stare con Veronika.

Non salutarla adesso avrebbe aperto la porta a moltissime altre possibilità.

Salutarla adesso avrebbe chiuso la porta per sempre.

Ovviamente Max non sapeva esattamente le implicazioni delle sue scelte inconsce, ma voi avete il beneficio di conoscerle, e suppongo che la vostra speranza adesso sia diversa da quella di poche frasi fa.

-Nel tempo che ci metti ad insistere puoi tranquillamente correre fino a lì se è così urgente- insistette la seconda guarda.

-Ehi, non essere così cattivo, perché non lo facciamo passare e lo accompagno io?- provò a proporre la prima, cercando un modo per andargli incontro.

Lo sguardo di Max si illuminò di speranza.

Anche accompagnato a una guardia aveva la possibilità di…

Purtroppo, la speranza di Max si infranse in mille pezzi quando sentì il suono del motore di un aereo che si accendeva fuori dall’edificio, e sembrava provenire proprio dalla zona alle spalle delle due guardie.

Le ignorò completamente e corse alla finestra, per controllare se fosse proprio quello che temeva.

E per sua sfortuna, era proprio così.

Un piccolo aereo privato aveva iniziato a muoversi per andare alla pista di decollo.

Max iniziò a scuotere la testa tra sé, non credendo alla sua sfortuna, e analizzò i finestrini dell’aereo per controllare se Veronika fosse proprio lì.

C’era il 50% di possibilità che fosse dall’altra parte, e quasi 0% di probabilità che l’aereo fosse un altro, perché i sigilli ai suoi lati erano decisamente regali, e… quella lì era Veronika.

La individuò posizionata circa a metà aereo, intenta a guardare distrattamente fuori dal finestrino, con occhi spenti, e abiti eleganti. Da quella distanza Max non ne poteva essere sicuro, ma sembrava aver pianto, o essere in procinto di farlo.

-Veronika…- sussurrò tra sé, premendosi contro la finestra e iniziando a seguire l’aereo nella remota speranza che lei lo vedesse.

E dopo qualche metro, i loro sguardi si incrociarono.

“Max” la vide, o pensò di vederla, pronunciare sorpresa. Anche lei premette la mano contro il finestrino, un gesto inconsulto per provare ad afferrarsi anche a quella distanza.

Per restare ancorati l’uno all’altra.

Ma l’aereo prendeva velocità, Max perdeva la stamina, e prima che fosse pronto, arrivò ad un vicolo cieco, l’aereo proseguì, iniziando il decollo, lasciando Max fermo premuto contro una finestra, con le lacrime agli occhi, a guardare l’amore della sua vita partire per sempre, senza essere riuscito a dirle una parola, senza averla salutata, o ringraziata per il regalo, o anche semplicemente provato a parlarle dell’intera situazione senza che la rabbia si mettesse in mezzo.

-Fermati subito!- sentì una voce alle sue spalle, ma non pensò neanche potessero riferirsi a lui, dato che si era ormai fermato, ed era immobile a fissare l’aereo che diventava sempre più piccolo all’orizzonte.

Distolse l’attenzione dal mezzo solo quando sentì qualcuno prendergli con forza le braccia e mettergliele dietro la schiena.

-Che cosa…?!- provò a chiedere, confuso, ritrovandosi faccia a faccia con la guardia numero 2.

-Lo sapevo che eri sospetto! È lui il ragazzo che ha chiesto un biglietto dalla destinazione indifferente?- chiese ad un’altra figura. Max si voltò verso di essa, e notò che era la receptionist di prima.

-Sì! Continuava a fare domande su Agaliria ed era di fretta- rispose lei, molto incerta, mordendosi le unghie.

Va bene, vista da fuori la situazione era molto sospetta, Max lo ammetteva, ma uffa, era il suo compleanno, aveva appena detto addio alla ragazza che nonostante tutto era certo di amare… anzi, non le aveva neanche detto addio, non si era avvicinato all’aereo, e lo stavano arrestando, davvero?!

-C’è un equivoco, non volevo fare niente di male- provò a spiegarsi, senza fare resistenza.

La guardia numero due lo strinse più forte.

-Sì, certo, dicono tutti così! Vediamo se dopo un bel interrogatorio e qualche giorno in carcere sarai ancora così sicuro di te- lo minacciò, mettendogli le manette.

-Giorno di carcere?!- Max era incredulo.

La guardia iniziò a trasportarlo via.

-Dopo l’interrogatorio, ne abbiamo di cose da chiederti- continuò a fare il duro.

Max sospirò, ma continuò a collaborare.

Anche se era parecchio seccato.

-Che compleanno…- borbottò tra sé, sospirando rassegnato.

 

Sabato 7 Settembre

Quello di Max era stato il compleanno più strano di sempre, e Denny era esperto di compleanni strani. Fino alla fuga in aeroporto, compresa, era stato solo un po’ strano, ma niente di esagerato.

Poi era stato arrestato perché comprare un biglietto casuale è sospetto, e aveva passato il resto della giornata a cercare di convincere le guardie dell’aeroporto che no, non era un terrorista, né un giornalista in cerca di scoop sulla principessa Veronika, e alla fine la sua fedina penale era talmente pulita che gli agenti l’avevano lasciato andare con parecchie scuse e offrendogli anche una caramella come regalo di compleanno.

Quindi alla fine tutto bene ciò che finisce bene… tranne che Veronika era andata via per sempre, senza riuscire a parlare con Max. E Denny non era neanche riuscito a salutarla per bene, quindi era abbastanza abbattuto, anche perché non riusciva a contattare Mathi da quando Will era stato arrestato, e iniziava a temere il peggio.

Anche se aveva ricominciato ad uscire anche da solo, almeno la mattina, e al momento era andato un attimo al Corona per prendere un caffè prima di avviarsi nella biblioteca scolastica per prendere alcuni libri da studiare per un esame che avrebbe dato a fine mese.

Con tutto quello che era successo se n’era quasi dimenticato, quindi avrebbe dovuto lavorare il doppio per recuperare.

Immerso nei suoi pensieri, e in attesa del caffè, per poco non urlò quando sentì una mano fargli tap tap sulla spalla.

Nonostante cercasse di fare il forte e il tosto, era ancora con i nervi a fior di pelle.

Si girò di scatto verso la persona a cui apparteneva, terrorizzato, e per poco non urlò di nuovo quando si accorse che quella persona era Mathi.

Il terrore si trasformò immediatamente in gioia.

-Mathi!- lo salutò, illuminandosi.

Era vivo! Era lì! E sorrideva!

AHHHHH!!!!

L’umore di Denny all’improvviso era alle stelle.

Ma non durò molto.

-Hey, Dan, posso parlarti un secondo?- chiese infatti il ragazzo, molto incerto, e guardandosi attentamente intorno.

C’era qualcosa che non andava, Denny lo sentiva dal suo tono.

Ma cercò di non pensarci. Parlare sembrava un’ottimo piano.

-Certamente, aspetta un secondo- attese che Kodie gli finisse di preparare il caffè, lo salutò in fretta, e incoraggiò Mathi a portarlo in un luogo isolato dove parlare, sperando con tutto il cuore che non esordisse con “Will è libero da ogni accusa, ecco un biglietto per la Nuova Zelanda dove sarai al sicuro”.

Una volta lontani da orecchie indiscrete, fuori dal locale e vicino ai cespugli dove Denny aveva ascoltato la confessione di Veronika, Mathi gli sorrise incoraggiante.

-Volevo solo dirti che Will è stato accusato e imprigionato, quindi sei al sicuro- lo rassicurò, incoraggiante.

Denny sentì un enorme peso sollevarsi dalle sue spalle.

-Grazie al cielo!- esclamò, sospirando rasserenato -Cioè, l’avevo intuito quando un agente l’ha portato via ma sono felice di averne conferma- aggiunse poi, un po’ tra sé.

-Ho dovuto buttare il telefono che usavo per parlare con te per non rischiare che lo scoprissero quindi non ho potuto… aspetta, cosa?! Lo sapevi già?! Come hai fatto a…?- Mathi aveva cominciato a spiegare proprio mentre Denny parlava, e cadde dalle nuvole alla sua confessione.

Denny capì che Mathi non aveva letto nessuno dei messaggi che gli aveva scritto da quel giorno, e si affrettò a spiegare.

-Mi ha approcciato al Corona una settimana fa, voleva a tutti i costi il mio numero di telefono ma ero con Clover e lei mi ha salvato, non preoccuparti- gli disse in poche parole, evitando accuratamente di parlare della paura che aveva avuto nel vederlo lì, insistente e violento.

Cercò anche di nascondere il polso fasciato, per evitare che Mathi se ne rendesse conto, ma l’amico lo guardò interamente proprio per controllare che stesse bene, e sgranò gli occhi notando la fasciatura.

-Che hai fatto al polso?- chiese preoccupato, prendendogli la mano per osservarlo meglio, delicatamente ma con decisione.

-Ehm…- Denny esitò, e non lo guardò negli occhi.

-Oh no!- Mathi intuì cosa fosse successo, e fece un passo indietro, portandosi una mano alla bocca, sconvolto.

-Va tutto bene, è solo una leggera contusione, tra una settimana sarà come nuovo- Denny si affrettò a rassicurarlo, ma Mathi sembrava in procinto di piangere.

-Mi dispiace tantissimo! Ti avevo promesso che ti avrei protetto… è tutta colpa mia!- iniziò ad autocommiserarsi, dando le spalle a Denny e rischiando un attacco di panico.

-Mathi, guardami, va tutto bene…- Denny gli mise le mani sulle spalle e provò a guardarlo negli occhi rassicurante.

-No, non va tutto bene! Tu non dovevi finire in mezzo- Mathi si prese il volto tra le mani, e sospirò profondamente, cercando di calmarsi.

-Mathi…- Denny gli prese il volto con forza e lo costrinse a guardarlo -Abbiamo vinto! È finita! È dietro le sbarre e possiamo lasciarci tutto alle spalle- gli ricordò, gli occhi pieni di speranza.

Mathi fece di tutto per evitare il suo sguardo, ma lentamente si calmò.

-È dietro le sbarre…- ripetè, per imprimerlo nella sua mente.

-E non potrà più farci del male… almeno per un bel po’- insistette Denny.

-Hai ragione, è vero. Sei al sicuro adesso- dopo aver evitato il suo sguardo per un bel po’, Mathi provò a recuperare il tempo perso, perché lo fissò con intensità, come se cercasse di imprimere nella sua mente ogni dettaglio, e assicurarsi al tempo stesso che fosse effettivamente al sicuro, contusione al polso esclusa.

E Denny iniziò a tranquillizzarsi, per davvero.

Era andata, avevano vinto, e avrebbero avuto il loro lieto fine.

Tutto si era risolto nella maniera migliore.

Si avvicinò a Mathi per festeggiare in un modo un po’ più interessante, ma prima che potesse portare le labbra su quelle della sua ormai palese ed enunciata cotta, Mathi si ritirò, bloccandolo con la mano.

-Che c’è?- chiese Denny, confuso. Il suo cuore iniziò a battere un po’ più forte, e una pessima sensazione provò a rimetterlo all’erta, ma non voleva più farsi drammi. Ne aveva già vissuti per una vita intera.

E avevano vinto, giusto? Si piacevano, era palese. E quasi tutti i prodotti mediali insegnavano che quando gli eroi sconfiggono il cattivo poi hanno il loro lieto fine e vivono per sempre felice e contenti insieme.

Purtroppo quella era la realtà, per quanto oggettivamente a volte assurda potesse sembrare.

-Non è il caso Denny- sussurrò Mathi, con un tono di profondo rimpianto e rassegnazione.

Il cuore del ragazzo rifiutato batteva sempre più forte. Nello sguardo e nella voce di Mathi avvertiva ciò che aveva già intuito prima, quando l’aveva guardato con quel sorrisino tirato e incerto che non gli raggiungeva gli occhi.

-Perché?- chiese, con voce tremante -Abbiamo vinto, no?- mentre le parole gli uscivano dalle labbra, si rese conto di quanto ingenue fossero.

Quello non era un gioco, non era un libro e non era un film. 

Quella era una pericolosa vita, in cui Mathi era immerso, e non bastava sconfiggere un boss per risolvere all’improvviso tutta la situazione.

E Denny dubitava fortemente di avere il potere di distruggere completamente un’agenzia di quel calibro.

Eppure aveva ancora una vana e flebile speranza che tutto si potesse risolvere, che lui e Mathi potessero stare insieme.

Magari adesso Mathi gli avrebbe detto di mantenere un profilo basso per un po’, risolvere meglio tutto, e poi stare insieme.

Doveva dirgli una cosa del genere, vero?

-Denny, Will è stato arrestato, ma la mia situazione non cambia. Io sono bloccato lì, a fine mese andrò via per sempre, e stanno facendo un sacco di indagini sul lavoro mio e di Duke, non posso permettere che ti scoprano adesso. È meglio se smettiamo completamente di vederci e sentirci- ma Mathi fece tutt’altro discorso, in tono basso, con enorme difficoltà, come se pronunciare ogni parola fosse una coltellata al petto.

E anche per Denny fu altrettanto.

Le sue speranze si infransero in mille pezzi come una bambola di porcellana che viene massacrata da una mazza di metallo.

Era certo di essere a pochi istanti dallo scoppiare a piangere, ma deglutì il groppo in gola, e provò a restare forte.

Mathi aveva ragione.

Denny sapeva che aveva ragione.

E per quanto volesse ignorare la realtà dei fatti in favore della propria narrativa, sapeva fin dal principio che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi.

Il momento di lasciare Mathi per sempre.

Di dire addio al primo amore della sua vita, al suo primo bacio, al suo primo migliore amico, che l’aveva fatto sentire al sicuro, protetto, accettato e gli aveva permesso di accettarsi a sua volta.

-Capisco- rispose, con un filo di voce, cercando di non dare a vedere la propria delusione.

Vide il labbro di Mathi tremare. Erano nella stessa identica situazione.

Era meglio allontanarsi prima che uno dei due scoppiasse effettivamente a piangere, spingendo l’altro a fare altrettanto e creando una scenata che rischiava di attirare l’attenzione e metterli in pericolo.

-Allora, Mathi… addio- Denny lo salutò, e gli diede in fretta le spalle.

Se l’avesse visto, così triste e devastato, ancora qualche secondo, sarebbe crollato.

-Addio…- lo salutò Mathi, con voce spezzata.

-Stai al sicuro- fu l’ultima cosa che Denny disse verso l’agente segreto, cercando di fargli capire di essere ancora preoccupato per lui, nonostante la rottura.

-Anche tu. Vivi un’ottima vita- gli augurò Mathi, di rimando.

Il seguito implicito era chiaro: “…anche per me, vai avanti per entrambi” e Denny provò a far entrare quell’augurio nel suo cuore, anche se dubitava sarebbe riuscito ad andare avanti tanto presto.

Decise che non era proprio dell’umore di andare in biblioteca, e si affrettò verso la fermata dell’autobus per tornare direttamente a casa e farsi un pianto sotto le coperte, luogo che ormai frequentava spesso visti tutti i suoi cuori spezzati.

Quanto a Mathi, si avviò con faccia di bronzo verso il dormitorio, ed entrò nella sua stanza cercando di non mostrare alcuna emozione a nessun passante.

Una volta dentro, però, crollò, si abbandonò con la schiena contro la porta e scoppiò a piangere.

-Qualcosa mi dice che hai parlato con Denny- lo accolse una voce impassibile dentro la stanza.

Mathi la riconobbe subito, ma ebbe comunque un istante di panico, prima di rendersi del tutto conto che a parlare era stato il suo compagno di stanza, seduto sul letto intento a leggere un libro di lingua italiana e accarezzare Apollo, che negli ultimi giorni aveva imparato ad accettare.

Senza Duke, Mathi era certo che non sarebbe mai riuscito a incastrare Will. Era abile come hacker, ma non aveva un grande talento per le azioni in incognito, e sapeva che se avesse provato da solo a spedire le prove non sarebbe mai uscito vivo da quella situazione.

Cosa che, onestamente, poteva anche accettare.

Ma se fosse morto, Denny sarebbe stato ancora più in pericolo, e non avrebbe potuto permetterlo, pertanto aveva chiesto aiuto al suo compagno di stanza, compiendo un grosso passo della fede.

Per sua fortuna Duke odiava Will quasi quanto lui, anche se aveva ricevuto molti meno abusi fisici e psicologici, per sua fortuna.

Ma ciò non lo aveva portato a disdegnare il caso del collega, e l’aveva aiutato a non lasciare traccia e a rendere le prove inconfutabili.

Era felice di avere un altro alleato, anche se non cancellava il fatto di essere rimasto senza Denny, ed era davvero tanto da sopportare.

Ormai era finita, punto.

E nel giro di poche settimane non avrebbe più visto Denny neanche di sfuggita, per sbaglio, andando casualmente nei posti che frequentava di più e spiandolo da lontano per assicurarsi che stesse bene.

-Mi è arrivato un messaggio dall’agenzia, mi hanno detto che a fine settembre sceglieranno il sostituto di Will, che diventerà il nostro supervisore anche dopo la fine dell’addestramento- Duke cambiò argomento, e si alzò per avvicinarsi a Mathi, che stava ancora piangendo a fiumi e singhiozzando, senza potersi trattenere.

-Ehi, lo so che è dura, ma pensa che almeno Denny è al sicuro. E ricorda il motivo per cui sei qui- gli suggerì Duke, senza sapere bene come rasserenarlo.

-Farmi maltrattare?- chiese Mathi, sarcastico. Non ricordava più perché avesse accettato. O meglio, lo sapeva, per i soldi e per proteggere Aggie, ma più andava avanti meno gli sembrava una buona idea.

I soldi si facevano anche in altro modo, ed evidentemente ad Aggie non ne arrivavano neanche abbastanza.

Più ci pensava, più avrebbe preferito tornare indietro nel tempo ed evitare di derubare Will e accettare la sua proposta.

Duke sembrò capire che non era molto il caso di provare a parlargli, e tornò seduto sul letto.

-Beh, almeno non sarà più Will a maltrattarti- cercò di fargli vedere il lato positivo, ma era una consolazione che non superava la tristezza.

Valeva davvero la pena continuare a vivere così?

Mathi cercò di non rimuginare su quei pensieri.

Dopotutto non poteva cambiare la sua vita, quindi perché darsi ulteriori false speranze?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Perdonate il ritardo, sto avendo giorni assurdi e super impegnati.

I compleanni in questa serie riservano sempre sorprese. L’ubriacatura nel compleanno di Felix, baci e consapevolezze in quello di Petra, confessioni in quello di Sonja, altri baci in quello di Denny, per non parlare di quello di Amabelle. L’unica a salvarsi è stata Clover. Il prossimo compleanno sarà quello di Diego, chissà se continuerà la scia di drammi di compleanno…

A proposito di Diego… tornerà finalmente nel prossimo capitolo.

Ma parliamo di questo: Felix e Mirren vanno a gonfie vele, e ammetto che il loro punto di vista l’ho scritto quasi esclusivamente perché era da un po’ che non scrivevo di loro e avevo bisogno di fluff e gioia. Sono troppo carini.

…e Mirren è me quando ho dovuto prendere la patente, è stato drammatico. Solo che a differenza di Mirren, io non ero brava ma ansiosa, ero solo ansiosa e pessima.

Poi il compleanno di Max è stato difficile da scrivere, perché era pieno di roba. Infatti ho surclassato i giochi e il resto per concentrarmi sulla trama. Se però ci tenete a vedere cosa sia successo nel dettaglio, fatemelo sapere e potrei scriverci una one shot sulla raccolta “Life Bites”.

E la scena triste da Denny e Mathi doveva comparire lo scorso capitolo ma stava uscendo lunghissimo e poi volevo finirlo con una gioia.

Lo so che sembra ancora periodo di angst, ma le cose si stanno risolvendo, giuro!

Magari la Veromax è un po’ più lenta, ma prima o poi si sveglieranno anche loro.

Abbiamo ancora quattro mesi all’orizzonte… e sedici capitoli circa.

E per rasserenarvi dopo quello che è successo in questo capitolo vi do il titolo del prossimo: “Lettere”.

A voi le conclusioni ;)

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel prossimo episodio: Il proposito di Mirren si rivela più importante del previsto, Diego e Clover parlano con la stessa persona

   
 
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