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Autore: crazyfred    17/03/2021    1 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 27 - Sunshine



 
 
Mentre erano seduti a tavola a fare colazione, il citofono di Vincenzo squillò. Valeria, in piedi vicino ai fornelli in attesa che l'acqua del suo tè bollisse, si fece avanti per andare a rispondere, ma Vincenzo la bloccò, precipitandosi all'ingresso. "Tanto, chiunque sia, se salgono io non mi vado mica a nascondere" commento Valeria, sarcastica. Vincenzo però scacciò quella battuta con un gesto della mano "Ma come ti vengono in mente certe cose … Ueeeè! Sali pure!" esclamò il commissario, sorridente, allo schermo del videocitofono.
"Leo, è papà!" disse, aprendo leggermente la porta d'ingresso. Leonardo, ancora nel pigiamino, lasciò cadere il biscotto mezzo mangiucchiato sul tavolo e, con un baffetto di latte, si precipitò sul pianerottolo, ad aspettare che Francesco uscisse dall'ascensore; inutili le proteste di Vincenzo riguardo al freddo e al fatto che non avesse nemmeno le ciabattine ai piedi.
Il forestale entrò nell'appartamento con il bambino in braccio, accolto dalle ovazioni festanti e dagli auguri degli amici. La piccola Mela, in braccio a Valeria, non sembrava molto sicura del perché di quei festeggiamenti ma aveva l'aria di essere un bel gioco e li assecondava, divertita.
"Auguri papà!" lo abbracciò il commissario "Uà France', ho visto la foto … hai fatto proprie nu bbabbà!" "Ah lui l'ha fatto? Ed Emma in questi nove mesi cosa ha fatto? Si è grattata la pancia?" protestò Valeria, prima di abbracciare anche lei l'uomo "Auguri capo!!!"
"Grazie a tutti!!" rispose l'uomo, visibilmente stanco seppur emozionato e felice. La tensione stava scendendo e, in quel momento, era come se stesse pagando tutto lo stress del giorno prima e la notte senza sonno. "Ti vedo provato comandante, siedi che ti faccio un caffè" lo invitò l'amico, cordialmente. "No, no, niente caffè, grazie …" disse, sbadigliando "ho bisogno solo di una bella dormita."
Si sedette al posto di Leonardo, con il bimbo sopra le sue gambe che terminava il latte. Mentre gli altri continuavano la colazione, lui raccontava di quanto era stata brava Emma, della bambina che gli aveva stretto il dito nel suo pugnetto, di quanto assomigliasse ad Emma, ad eccezione degli occhi. Quelli erano suoi , affermava con una punta non troppo velata di orgoglio.
"Andiamo a casa, papà?" chiese Leonardo. "No, tu devi andare all'asilo" "Eddai!!!" "Non ci provare …" lo riprese "ora ci prepariamo e andiamo all'asilo. Poi all'una ti vengo a prendere e andiamo da Emma in ospedale a conoscere la sorellina. Va bene?" "La sorellina?" "Te l'ho spiegato ieri sera Leo" intervenne Valeria "il bimbo che era nella pancia di Emma è una bambina" "E perché è mia sorella?" Emma e Francesco gli avevano spiegato tante volte che stava per diventare un fratello maggiore, che presto avrebbe avuto un fratellino o una sorellina, ma avendo già avuto attorno a sé dei ragazzi che aveva chiamato fratelli e sorelle i quali, chi più chi meno, erano scomparsi dalla sua vita, forse gli era difficile ancora capire come funzionasse questa faccenda dei fratelli. "Io sono il tuo papà, giusto?" il bimbo annuì "e sono anche il papà della bimba che è appena nata quindi quando due bambini hanno gli stessi genitori sono fratelli." "E come si chiama?" "Non lo abbiamo ancora deciso. Non è facile dare un nome … magari ci aiuti anche tu a trovarne uno…mmm?" Convinto o meno, in televisione risuonò la sigla del suo cartone animato preferito e per il resto della colazione la sua attenzione si spostò sul piccolo schermo.
Preparato il bimbo, i due lasciarono la casa del commissario.
"È andato tutto bene, visto?" considerò Vincenzo, affilando le stoviglie della colazione nel lavastoviglie "Francesco non ha fatto domande trovandoti qui." "Diciamo pure che non è molto capace di intendere e di volere in questo momento"  commentò Valeria, alzandosi da tavola "anzi, tra dieci minuti ricordami di chiamarlo. Voglio essere sicura che sia tornato a casa sano e salvo, non aveva una bella cera!" "Ià Valè, quanto sei esagerata!" esclamò l'uomo, stringendo a sé la compagna "mai sottovalutare la forza di uomo quando ama, nenné …"
Quelle parole gli erano uscite così, di botto. Non senza senso, perché filavano logiche e giuste, tanto al suo cuore, quanto alla sua testa, ma non aveva fatto i conti con il fatto che lei  non si sentiva pronta ad esporsi. Invece aveva usato quella parola e avrebbe voluto mordersi la lingua per averlo fatto, perché così, temeva, le aveva in pratica imposto una reazione.
Valeria lo guardò dritto negli occhi, curiosa e sorniona, le braccia incrociate sulle sue spalle, umettando il labbro inferiore sorridendo maliziosa. Stava arrivando una battuta delle sue. "Ti sei svegliato filosofo questa mattina, amore mio?" "Filosofo … ho solamente detto che …" ma Vincenzo frenò le sue parole in gola ripensando a ciò che aveva sentito, ma non era sicuro di aver capito bene "come mi hai chiamato?"
Valeria fece spallucce "È inutile girarci attorno … io ti amo." Era tranquilla, pacata. Aveva temuto il momento in cui avrebbe dovuto fare i conti con sé stessa ed i suoi sentimenti, se l'era immaginato diverse volte: la sua voce tremante, lo sguardo basso; invece era completamente all'opposto di ogni sua fantasia. Si sentiva sicura tra le braccia del suo uomo, sicura dei suoi sentimenti e, per la prima volta dopo tanto tempo, sicura di sé. Era bello non sentirsi fuori posto, sbagliata, immeritevole di avere un po' di felicità. "Vale, non devi sentirti obbligata…" "Ma non mi sento obbligata. Posso avere tutta la paura del mondo e nascondermi quanto voglio, ma questa cosa non posso cambiarla né voglio farlo, francamente."
Aveva davanti ai suoi occhi l'immagine di Francesco: quanto era cambiato negli ultimi mesi, quanto aveva messo in discussione sé stesso e le sue paure per ottenere quello che voleva. Bisognava rischiare per provare a realizzare i proprio sogni; a restare nella propria comfort zone, non si ha mai la controprova.
Vincenzo prese il mento della giovane donna tra le sue mani, alzandolo leggermente. La guardava serioso, ma lei poteva scorgere facilmente un luccichio in quegli occhi color caffè, come se la sua mente fosse proiettata in avanti e gli piaceva quello che stava vedendo o architettando. Lei gli rispose, tirando su l'angolo della bocca un po' arricciata in un sorriso malizioso. "Questo è un bel problema" "Ah sì?" "Eh beh certo … questo è un plagio bello e buono perché pure io ti amo e tu mo mi stai copiando…" "Certo eh che sei antipatico" rimbrottò Valeria, posandogli uno scappellotto sul petto. "Perché?" domandò l'uomo, stranito. "Perché io mi dichiaro e tu rovini tutta l'atmosfera …" "Nenné, nenné … ma mi ci vedi a fare l'eroe romantico? Diciamocelo, non sono credibile … ti 'a rassegnà" "L'importante è che tu sia credibile come mio compagno" "Ah per quello sono credibilissimo! Guai a chi non ci crede!"
Il buon'umore si ammutolì solo quando le loro labbra si incontrarono, ma anche allora i due non smisero di ridacchiare, quasi come due adolescenti. L'amore, Valeria lo stava sperimentando, poteva essere la cosa più complessa e più semplice del mondo: mesi di patemi volati via, il tempo di pronunciare una parolina molto semplice. L'amore non era gesti plateali, eroici, niente di quanto si vedesse nei film romantici con i violini e la pioggia: basta, si far per dire, riconoscere chi ci far sta bene quando stiamo male. Ed insieme, loro due stavano benissimo.
 
 
"Vuoi che avverta tuo padre o tua madre? Giulio mi ha detto che lui non li vuole sentire e comunque non sapeva se a te avrebbe fatto piacere"
Anche Giulio, alla fine, aveva tagliato i ponti con i loro genitori. Quando aveva deciso di restare a San Candido, non lo aveva fatto tanto per la comunità - ce ne sono tante in tutto lo stivale - quanto piuttosto perché lì aveva tutta la famiglia di cui aveva bisogno, sua sorella, suo cognato e i loro bambini. In pochi mesi, erano riusciti a ridargli quel senso di casa che era rimasto solo nei pochi ricordi sbiaditi dell'infanzia.
"No zia, va bene così" "Emma …" "Sì, lo so che è  tuo fratello…" "No, non si tratta di questo. Ma la bambina è anche loro nipote, anche loro hanno diritto …" "Quale diritto, zia? Sinceramente…" Emma, seduta sul bordo del letto, si ricordò di dover tenere il volume della voce basso e non scomporsi troppo. Si girò verso la culla, dove la piccolina dormiva beata. Non riusciva a non sorridere, anche solo guardandola dormire. Era come se fosse il suo personale erogatore di gioia: bastava poggiare lo sguardo su di lei per qualche secondo e ci si sentiva felici. "Dov'erano i miei diritti di figlia quando avevo bisogno di loro e non c'erano?" continuò "Dov'erano i diritti di Giulio, quando lo hanno spedito qui come scarto da nascondere ai loro amici per bene? I loro diritti di genitori li hanno persi quando hanno deciso che noi eravamo un di più nelle loro vite"
Vittoria tacque dall'altro capo del telefono.
"Per quanto mi riguarda puoi fare quello che credi" concluse Emma, tirando fuori un ampio respiro. Odiava avere contrasti con sua zia "Ma non cambierà quello che provo nei loro confronti. Mi dispiace."
La zia comprese perfettamente le parole della nipote. Non poteva pretendere da Emma che avesse un rapporto normale con i suoi genitori; lei l'aveva cresciuta, sapeva meglio di chiunque altro cosa aveva provato e solo il cielo sapeva come era stato possibile che Emma venisse su così com'era: dolce, aperta, sensibile e con quel giusto pizzico di ironia mista ad una forza interiore che le permetteva di tollerare e combattere, con classe e contegno, i torti che aveva subito. La donna cambiò argomento, avvertendo la nipote che l'avrebbe raggiunta presto a San Candido.
"No, zia, tranquilla, non c'è bisogno che vieni"
Emma comprendeva bene perché sua zia era così insistente: quando si era sottoposta all'intervento per l'aneurisma la donna era nel pieno della fisioterapia dopo essersi rotta una gamba. Non poteva muoversi da Milano, ma nonostante questo era rimasta in contatto con Francesco e con la nipote ogni singolo giorno. Conoscendola, voleva farsi perdonare per quella che considerava un'assenza, a suo dire, imperdonabile. 
"Non incominciare Emma … tempo di organizzarmi con il lavoro e sono su da te. Le prime settimane sono le più difficili e tu devi riposare" "E secondo te Francesco che ci sta a fare? Insieme ce la caveremo benissimo" "Emma ti conosco, so come sei fatta e che non vuoi mai essere un peso per nessuno, ma non è come dici tu. In poche settimane siete passati dall'essere in due ad essere in quattro … non è così semplice come sembra adesso che sei in ospedale … e poi voglio venire a conoscere la mia nuova nipotina e spupazzarmela come si deve per qualche giorno!"
"Beh … se la metti così alzo e la mani e mi arrendo! Però non farai tutto tu, come al tuo solito, mi aiuterai solo a rimettermi in carreggiata … il tempo necessario a prendere il ritmo giusto. Sono stata chiara?"
"Chiarissima" affermò la donna, facendo il verso al tono perentorio della nipote "La mia Emma è diventata mamma, ora si che mi sento vecchia!" "Zia ancora con questa storia, basta!!! … Dai ti devo lasciare, c'è Giulio, ci risentiamo … un bacione!"
Suo fratello avanzava nella stanza titubante ed emozionato, avvicinandosi al letto e alla culletta con attenzione, per paura di non svegliare la bambina.
"Giulio!!!!" esclamò Emma, allargando le braccia per accoglierlo in un abbraccio "che ci fai qui? Come sei arrivato?" "Ho avuto uno strappo dal bussino che porta i ragazzi ai lavori socialmente utili" spiegò "… non potevo non venire a farti visita. Tu che ci fai già in piedi?" "Ho approfittato della nanna dopo la poppata per darmi una sistemata" disse, indicando il beauty case e la camicia da notte, che stava riponendo nell'armadio quando la zia l'aveva chiamata al telefono.
"Mio Dio, ma … ma è lei …" esclamò Giulio. "Eh già" affermò Emma, orgogliosa e solenne "Giulio, ti presento ufficialmente tua nipote" "Che bambolina! Emma è bellissima!!!"
Gli occhi e la voce del ragazzo si riempirono di emozione e di luce nel vedere quell'angioletto addormentato nella sua culletta "Ciao piccola innominata, sono zio Giulio" commentò il ragazzo, chinandosi sulla culla per accarezzarle il visino beato dal sonno. "Come prego?" "Emma dai" scherzò Giulio, facendo un verso alla sorella "non si può sentire che non avete ancora scelto il nome! Avete avuto nove mesi … non ci credo che non hai pensato neanche ad un nome!" "Non ho mai detto questo. C'ho pensato, è ovvio. Solo che volevamo conoscerla per trovarne uno che le calzasse a pennello. E ora tutti i nomi che avevo pensato mi sembrano così insulsi, banalotti … Anna, Sara, Chiara…" "Vorrei ben vedere! Il festival della banalità …" "Hai capito, insomma. Per come è arrivata ha bisogno di un nome speciale che non può essere scelto così…a caso"
"Spero che non ci vogliano altri nove mesi però" ironizzò Giulio. I fratelli sorrisero, complici. Lei era diventata madre e lui, poco a poco, stava diventando un adulto, ma quando erano insieme si ritrovavano bambini nella casa al mare, quando la distanza della separazione e la competizione e le liti dei genitori diventavano, per qualche settimana, un vago ricordo. Ora, per fortuna, non c'era più alcun ritorno a scuola a separarli di nuovo per riportarli nelle rispettive città e quella consapevolezza gli dava la serenità necessaria per godersi ogni momento completamente, senza ansie o paure.
"Dov'è Francesco?" "È andato a prendere Leo all'asilo, immagino sarà qui a breve …" "Come sta?" "Ehm … allucinato credo sia l'aggettivo più adatto per definirlo" rispose Emma, lasciandosi andare ad una risata "ha passato tutta la notte sveglio su quella sedia con la bambina in braccio. Non l'ho mai visto così felice, nemmeno il giorno del nostro matrimonio …" "Vorrei ben vedere" giudicò Giulio "non capita tutti i giorni di ritrovarsi con te e il tuo doppione. Sa di essere un uomo fortunato" "Non so mica se è tanto una fortuna …" "Lo è, lo è… e tu?" "Come mi vedi. Stanca ma al settimo cielo"  
Mentre discutevano di quando sarebbe tornata a casa e dell'arrivo della zia, qualcuno bussò all'anta della porta. Entrambi si voltarono: Francesco stava alla porta con Leonardo che, timidamente, era rimasto fermo sull'uscio, con ancora addosso il suo grembiulino azzurro a quadrettini e lo zainetto sulle spalle. "Leo amore, vieni!!!" esclamò Emma, spalancando le braccia.
Ringraziava il cielo che fosse arrivato in un momento in cui la bambina dormiva nella culletta, così che lui non avesse l'impressione che ora ci fosse una nuova protagonista principale per lei e Francesco. Mentre i cognati si abbracciavano Leonardo timorosamente si avvicinava al letto di Emma, in punta di piedi, allungando il collo per sbirciare furtivamente la culletta che era dall'altra parte. Nemmeno la presenza dello zio preferito sembrava distoglierlo dalla novità. Emma lo aiutò a salire sul letto, togliendogli le scarpine.
"Lo sai che mi sei mancato tanto cucciolotto?!" gli disse, sistemando quella chioma costantemente arruffata. "Anche tu …" rispose il bimbo, abbracciandola "voglio tornare a casa, non ci voglio stare da zio Vincenzo!" "Nooo cucciolo, perché dici così, non ti sei trovato bene?" Ma il piccolo scosse la testa, mortificato, e tenendo la testolina bassa "è solo … è solo che io voglio stare con te e papà"
Emma lo abbracciò forte, posandogli un lungo bacio sulla guancia e tirandolo a sé, facendolo sedere sulle sue gambe mentre lui stropicciava gli occhi per non far vedere che dei lacrimoni stavano spuntando. "Stasera torni a casa con papà, ma io devo stare qui un altro giorno" "Perché?" "Guarda …" disse indicando la culletta "… lo sai chi è questa bimba?" Leonardo annuì. Francesco, nel frattempo si avvicinò al letto. Insieme gli spiegarono che farla uscire dalla pancia era stato faticoso per tutte e due e avevano bisogno di riposare un paio di giorni in ospedale. Per fortuna era troppo preso dal studiare quel cambiamento, strano e curioso, che dormiva accanto al letto di Emma, per fare troppe domande. "La vuoi tenere in braccio? Mm?" domandò Emma. Leonardo la guardò attraverso la culletta trasparente per qualche istante, in silenzio, forse per ponderare la situazione e alla fine rispose semplicemente spalancando le braccia. Francesco prese la neonata e con attenzione la appoggiò sulle gambe incrociate di Leo, con l'aiuto di Emma che le teneva la testolina. "Fai attenzione, mi raccomando, è piccola piccola" lo ammonì il padre, gentile, mentre lasciava a presa. Leo, dopo un primo momento di impaccio, iniziò ad accarezzarla, prima sul visino, poi sulla fronte, ispezionando le manine, incuriosito dalla tutina che le copriva anche i piedini. "È calda!" esclamò. "E morbida e profumata, vero?" chiese Emma, dolcemente. Lentamente, il piccoletto prese confidenza con quella creaturina che non gli sembrava più così pericolosa ed estranea come forse se l'era immaginata. Emma si domandava cosa passasse nella sua testolina complicata: era così diversa da lui, così piccola ed innocua che forse gli dava l'impressione di non poter certamente farlo passare in secondo piano. Lui poteva parlare, sapeva camminare, correre, cantare, disegnare; quell'esserino se ne stava fermo immobile a dormire tutto il tempo.  Magari, speravano Francesco ed Emma, ora riusciva a figurarsi meglio tutto quello che gli avevano raccontato nelle settimane precedenti sui fratelli maggiore che proteggono e guidano i loro fratellini.
"Leo dalle un bacio!" lo spronò lo zio, ai piedi del letto con il telefono tra le mani che riprendeva tutto. Avrebbe voluto andarsene, si sentiva di troppo, ma suo cognato aveva ribadito forte il concetto che era parte della famiglia e non era neanche in questione la sua presenza lì con loro in quel momento. Il bambino strinse la sorellina tra le braccia e le stampò un bacio, lungo a sufficienza perché anche Francesco riuscisse a fermare quel momento nella sua fotocamera. La stretta un po' più energica aveva messo in allerta la neonata: pur con gli occhi ancora chiusi, aveva iniziato a sbadigliare e a portare le manine alla bocca, emettendo dei versetti, segno che presto avrebbe reclamato il suo biberon naturale.
"Devo scappare proprio, mi dispiace, mi stanno chiamando i ragazzi per tornare in comunità" interruppe Giulio, rispondendo ad un messaggio sul telefono, quasi mortificato. "Resta dai" obiettò Francesco "ti riaccompagno io" "No, davvero, sono di turno in cucina per pulire dopo pranzo e devo assolutamente rientrare con gli altri. Appena sono libero ti mando il video e ci sentiamo, ok? Fammi sapere quando torni a casa, mi raccomando." "Ma certo" lo rassicurò sua sorella, baciandogli la guancia al volo prima che lasciasse la stanza.
"Cantiamo la ninna nanna alla bimba?" domandò Leonardo. "Certo, quale vuoi cantare?"
Nei mesi che precedettero il parto Emma usò l'escamotage di insegnare a Leonardo le canzoncine per il bimbo per poterlo addormentare usando la ninna nanna, che all'inizio, quando ancora stava in casa famiglia, rifiutava affermando che erano  per i bambini piccoli e che lui era grande invece. Ma loro sapevano che, quando parlava così, era solo perché si portava dietro gli insegnamenti della sua vecchia famiglia affidataria. Fosse stato per loro, avrebbe imbracciato un fucile e sarebbe andato a caccia con gli altri uomini della famiglia.
"Sansciai!" "You are my sunshine?" "Sì" Emma si sistemò come meglio poteva, cullandoli entrambi mentre lasciava credere a Leonardo che fosse lui a dondolare la neonata e cantava la canzone scelta dal piccolino. In realtà sapeva che l'ormai fratellone maggiore aveva solo cercato a modo suo una normale razione di coccole dopo un giorno intero senza la sua mamma di fatto. Si era raggomitolato con la testa sul suo petto e, pur biascicando le paroline inglesi il cui suono aveva imparato ad imitare, teneva gli occhi chiusi; il batuffolino, dal canto suo, invece, non ne aveva poi tanto bisogno: si stava svegliando piano piano, indisturbata e senza disturbare.
Francesco li guardava dal di fuori eppure si sentiva parte integrante di quella bolla ospitale e confortevole, ripensando alla strada che avevano fatto per arrivare lì dov'erano in quel momento. Non solo ai nove mesi precedenti, né a quell'intero anno che ormai li separava dal giorno dell'operazione. I loro sguardi si incontrarono e si capirono e riconobbero all'istante la felicità che in quel momento li permeava. Spesso, nei momenti felici, si fa fatica a ricordare i momenti difficili, ma per loro non era così: era necessario tenere vivo il ricordo di quella lunga e ardua salita. Sarebbe stato comodo ricordare solo quel lampo di luce che lo aveva accecato quando l'aveva conosciuta, meno facile ricordare quei piccoli raggi di sole con cui, poco alla volta, la presenza di Emma, giorno dopo giorno, aveva rischiarato la sua vita, rendendogliela di nuovo degna di essere vissuta appieno: quei giorni in cui dimenticava di mangiare e lei arrivava anche solo con dei panini, quando lui non voleva vedere e sentire nessuno e lei, con il suo ennesimo thermos di tè verde, riusciva a cavargli anche solo un no in favore di una birra, oppure le loro improbabili lezioni di cucina, quando anche un piatto immangiabile riusciva a metterlo di buon umore. Era stato proprio come diceva Marco: dopo il temporale arriva sempre il sole.
"… You'll never know dear, how much I love you/Please don't take my sunshine away" cantava Emma, e Francesco si sentiva stupido per l'idea che gli era venuta, ma gli sembrava assolutamente perfetta. Emma, alzando lo sguardo dai bambini, lo vide illuminarsi mentre, con lo sguardo, correva da lei alla bambina, compiaciuto. "Che c'è?" gli domandò. "È un'idea che mi è venuta … è stupida e di sicuro la boccerai" "No che non la boccio" ribattè, accarezzandogli il volto "non a priori almeno … mettimi alla prova" "Sole" "Sole?" "Ho pensato che potrebbe essere un bel nome per la bambina, ma se non ti piace o lo trovi ridicolo fai conto che non ho detto nulla" "È perfetto" affermò Emma, senza neanche doverci pensare un secondo, la voce spezzata da un nodo in gola "assolutamente perfetto" "Sì?" Emma cercò le labbra del marito per rassicurarlo che fosse la scelta giusta e non una cretinata detta in un momento di follia.
Quella creatura aveva portato armonia e luce nelle loro vite da quando era con loro, anche quando era nascosta al caldo e al sicuro dentro di lei. Lo aveva percepito fin dal primo momento che tutto girava per il verso giusto questa volta e che niente, nessun ostacolo, li avrebbe fermati; nemmeno quando i fantasmi del passato erano tornati a bussare alla loro porta, nemmeno quando sembrava che avrebbero perso la battaglia che stavano combattendo per costruire la loro famiglia.
"Leo? E tu che dici?" lo interpellò Francesco "ti piace il nome Sole per la sorellina?" Leonardo ci pensò un po' su, guardandola attentamente. La piccola, ignara che si stesse decidendo una cosa tanto importante come il suo nome, li osservava tutti in silenzio ma concentrata, come se stesse imparando a riconoscere i loro volti e i loro odori, imprimendoli per sempre nella sua memoria.
Leonardo pronunciò il nome un paio di volte, come per richiamare l'attenzione della bambina che, sicuramente per un riflesso, ma non importava, accennò un sorriso. "Le piace!" decretò il bambino, soddisfatto che la neonata avesse, in qualche modo, risposto alla sua chiamata. "Ciao Sole! Ben svegliata principessa" esclamò Francesco, commosso "questo è il tuo fratellone, Leonardo. Ti vuole un mondo di bene …" Leonardo sorrise, emozionato all'idea di essere il fratello maggiore di qualcuno. "Neanche te lo immagini quanto ti vogliamo bene, fagottina!" affermò Emma, portandola di fronte a sé e baciandole la fronte.
Nei mesi che avevano preceduto l'arrivo di Sole, specialmente da quando Leonardo era andato finalmente a casa con loro, si era domandata come sarebbe stato dividersi tra un figlio suo ed un bambino che amava profondamente ma che suo non era e non la riconosceva ancora come mamma. Nel migliore dei casi, immaginava il suo cuore diviso in due, come uno di quei ciondoli per fidanzatini, una metà per la sua creatura e l'altra metà per quel bambino che il cuore glielo aveva rubato e aveva bisogno di loro, avrebbe tolto ad uno per dare all'altro.  Nel peggiore, temeva un'esplosione d'amore verso il bambino appena nato che le avrebbe fatto dimenticare tutto il resto, completamente assorbita da una simbiosi in cui il mondo del piccolino avrebbe coinciso con il suo. Rifuggiva questa ipotesi, ma sapeva che sarebbe potuto succedere.
Ma ci aveva messo poco, meno di mezzora, a capire che non era affatto così.
Era vero, Leonardo era già grande quando è entrato nella loro vita: parlava - più o meno, camminava, mangiava e si lavava da solo, ma esattamente come un figlio concepito era stato cercato, voluto, amato. Un atto d'amore aveva fatto nascere Sole, un atto d'amore aveva aperto le porte della loro casa a Leonardo.
No, non sentiva il suo cuore diviso. Era tutto intero, uguale a prima, perché i suoi figli erano uguali ai suoi occhi e al suo cuore. Ma si sentiva pronta a ridistribuire quell'amore: le attenzioni che avrebbe dedicato inevitabilmente a Sole, rosicchiando del tempo a Leonardo, sarebbero state ripagate dall'affetto che la piccolina avrebbe imparato a provare per suo fratello e dalla complicità e dal legame che i due avrebbero formato. E allora era vero, seppure in un modo totalmente diverso e sorprendente, che l'amore si moltiplica.
   
 
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