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Autore: Calipso19    19/03/2021    0 recensioni
Un viaggio infinito che racconta l'ormai leggenda di un mito troppo grande per una vita sola. Una storia vissuta sulle ali della musica, respinta dalla razionalità umana, colpevole solo d'essere troppo anomala in una civiltà che si dirige alla deriva. La rivisitazione di un esempio da seguire.
( Capitolo 4 modificato in data 14 marzo 2016)
Dalla storia:
- Sono cambiate tantissime cose da quando guardavamo le stelle nel guardino a Gary.
- E ne cambieranno altrettante Mike. Se fra quarant'anni saremo ancora insieme te ne accorgerai.
Insieme.
Michael ripetè nella mente quella parola più volte, come una lezione da imparare, e concluse quel bellissimo quadro con un sorriso.
- Certo che saremo ancora insieme, non dire sciocchezze.
- Ci credi davvero Michael? - lei lo guardò con occhi seri e sinceri. - Le persone attorno a te arrivano e se ne vanno come niente.
- Certo che lo credo, anche se non so dirti in che modo. E dovresti crederci anche tu Jackie, avere un po’ più di fiducia.
Abbassò gli occhi per vedere le proprie mani cingere la vita di Jackie, scorse una piccola macchia di pelle bianca sul polso.
Chissà quanto ancora si sarebbe allargata.
Tutto cambiava, senza sosta.
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ogni tentativo fallito è un passo avanti.


Jackie voleva amare Thomas.
Lo adorava e pensava che fosse una persona fantastica. Lo era, davvero. Era pieno di qualità e nessuno più di lui meritava di essere amato.
Semplicemente, Jackie non ci riusciva. Non totalmente almeno. E questo la faceva star male.
Solo il suo buonsenso le aveva impedito di dare ragione a Michael, di non consolarlo quando si era mostrato infastidito da questa sua relazione.
Dopotutto doveva farci l’abitudine, quello era un comportamento infantile da bambino e doveva farselo passare, dannazione.
Ma quella sensazione che sentiva in fondo al cuore, quel rammarico, quella minima e impercettibile volontà di uscire a andare da lui, a dirgli che in realtà Thomas non lo amava, o forse sì, non riusciva a spiegarsela.
Jackie era una persona orribile, in realtà, per quanto fosse veramente meravigliosa.
E lo pensava quasi in ogni momento, anche quando non avrebbe dovuto farlo.
Lo pensava mentre percorreva a grandi bracciate il rivo lungo le coste caraibiche, lo pensava mentre assaporava i cocktail alla menta offerti dal bar, lo pensava le notti quando Thomas le insegnava ad essere una vera donna.
Lo pensava fin troppo spesso e si sentiva orribile.

Ma chi si credeva di essere Michael per giudicare in quel modo odioso le proprie scelte? Nemmeno che fosse stato suo padre o il suo tutore!
La verità, probabilmente, è che Michael era invidioso. Invidioso che lei potesse avere una relazione normale, cosa che invece a lui risultava molto difficile, data la sua celebrità.
Beh, c’era da dire che anche lui stesso era di gusti molto, molto difficili.
Avrebbe dovuto lasciarsi andare un pò di più. Jackie sapeva che tutte le donne che aveva provato a frequentare, e che ovviamente si erano follemente innamorate di lui, anche nel profondo, oltre la celebrità, ecco, lui le aveva allontanate dopo poco. Così, senza una spiegazione razionale.
‘Non mi amava davvero’.
‘Mi stava troppo addosso’.
‘Chiunque avrebbe capito che era solo interessata ai miei soldi’.
E come se non bastasse a lei toccava pure dispiacersi nel vedere il suo amico non raggiungere la felicità che vorrebbe e che si meriterebbe.

Litigare in malo modo scatena energie negative che, in una persona non totalmente equilibrata e centrata in sé stessa, portano a prendere decisioni sbagliate.
O decisioni e basta.
Michael aveva preso la propria, e credeva che fosse una mossa intelligente. Almeno per quel momento.
Fino ad allora e fino a prova contraria Di Leo aveva dimostrato di saperlo apprezzare ed appoggiare in tutto, anche in quei momenti in cui Michael si trovava a discutere con Quincy durante il lavoro, cosa che in mezzo a un progetto capitava di sovente.
Dopo Thriller però, Michael si sentiva perfettamente in grado di replicare l’opera e migliorarla, e voleva manifestare tutta la sua creatività, non aveva sempre bisogno della balia, e Q a volte lo frenava.
Con DiLeo però, sentiva di averci azzeccato.
Aveva un’espressione sicura, quell’uomo già corpulento per la sua età, con il sigaro in bocca, come se fosse già stato sicuro della proposta dell’artista.
Aveva accettato con pigro entusiasmo, e avevano parlato del più e del meno.
La sua decisione sbagliata, pensò Michael, era aver pensato agli affari a casa propria, in quella che doveva esserlo, e che invece assomigliava di più a una prigione per galline invidiose.
I suoi fratelli, chi più chi meno, ma più di tutti Jermaine, aveva girato in tondo al luogo dove Michael stava parlando con il suo nuovo produttore, come degli squali attorno alla preda. Per un pò aveva finto di ignorarli, ma poi la loro presenza mal celata era diventata insostenibile. DiLeo se ne accorse, e più volte lanciò a Michael uno sguardo di accondiscendenza.
Finché, in nome della buona educazione, l’artista non si vide costretto a scusarsi.
- Mi spiace - disse passandosi una mano fra i capelli - Non so come rispondere alle loro azioni. Sono sempre stati così.
DiLeo fece un gesto noncurante con la mano.
- Non preoccuparti, tu non c’entri - si versò un’altro pò di liquore nel bicchiere di cristallo - Non dev’essere facile, essere il migliore dico, quando si hanno dei parenti invidiosi. - Sorseggiò la bevanda, e gli lanciò un lungo sguardo comprensivo. - Se mi permetti, visto che conosco queste situazioni, vorrei darti un consiglio: stai alla larga da loro. Gli affari stanno da una parte, la famiglia dall’altra.
Michael si morse il labbro, sollevando le sopracciglia.
- In realtà ho appena firmato un contratto - disse imbarazzato - Parteciperò al Victory Tour insieme a loro.
- Va bene, non è così grave. Dopotutto, da contratto, i nostri affari inizieranno appena dopo. Non ricapiterà più una cosa del genere. Devi staccare il cordone ombelicale, o ti faranno affondare.
- Sono comunque i miei fratelli, la mia famiglia. Mia madre ci ha insegnato i valori importanti della vita.
Frank scosse la testa, come se non ci credesse.
- Fidati Michael, ti ricrederai.
Come per magia, dall’altra stanza arrivò Jermaine.
Jermaine.
Era sempre stato la sua guida sin da piccolo, ma con il tempo l’invidia l’aveva reso quasi meschino nei suoi confronti.
Michael si era reso conto da tempo di non potersi più fidare di lui, ma il rammarico e la tristezza, e anche la pressione della mamma, lo avevano bloccato a lungo.
Jermaine diventava sempre più simile a un leone vicino alla preda.
- Salve Frank! - salutò il manager. - Parlate d’affari? Abbiamo delle cose da discutere allora!
E si sedette e cominciò a gestire la conversazione in modo, si capiva benissimo, da poterne trarne qualche accordo.
Una vera faccia tosta.
Fortunatamente assistette relativamente poco a quella scena, poiché Frank decise di andarsene quanto prima.
Salutò Michael come se fosse l’unica cosa importante di quella casa, gli fece l’occhiolino, e sparì.
- Dì un pò Mike - gli disse Jermaine, mettendogli un braccio sulle spalle - Ma gli hai parlato male di me? Non sembro stargli tanto simpatico.
Aveva il tono di uno che scherza, ma Michael sapeva che c’era un filo di serietà dietro quelle parole. E anche di invidia.
- Figurati, parliamo solo d’affari, com’è giusto che sia. Magari era semplicemente stanco.
Sorrise al fratello, ma si ripromise mentalmente di non invitare più Frank a Encino.
Jermaine lo guardò sospettoso e se ne andò senza aggiungere altro.
Michael sospirò e andò nella sala da pranzo. Era quasi ora di cena.
Katherine era seduta su una poltrona vicino al muro, con una rivista. Sollevò lo sguardo su di lui e gli sorrise.
Michael si avvicinò e l’abbracciò.
Lei era l’unico motivo per cui continuava ad abitare in quella casa, sebbene i viaggi e le notti trascorse negli hotel andassero aumentando.
- Sai che Jermaine non lo fa con cattiveria - disse Katherine con voce conciliante.
Michael annuì, ma aveva qualche dubbio. Non avrebbe comunque mai contraddetto sua madre.
- Ha solo nostalgia dei tempi passati, e vuole che ritorniate ad essere una squadra al completo.
- Per la mia carriera è meglio così. Io mi trovo meglio così e non potrei mai tornare indietro. Però ci sarò sempre per Jermaine e per questa famiglia, se è di questo che hai paura…
- Non ho paura. Mi fido di te, Michael. E’ solo che penso che Jermaine abbia bisogno del tuo aiuto, ma senza che lo venga troppo a sapere.
Lui sbuffò, e non rispose. Sentiva delle responsabilità, ma non sapeva esattamente quali fossero.
Non riusciva a pensare lucidamente, sapeva solo che c’era qualcosa che non andava.
- A proposito - la voce di Katherine lo ridestò dai suoi pensieri - Ho invitato a cena alcuni amici.
- Bene - rispose, pensando che non ci fosse nulla di straordinario.
La casa era sempre piena di persone, fra amici, fidanzate, comparse.
- Viene anche Jackie.
Lui la guardò con tanto d’occhi. Katherine sostenne il suo sguardo.
- So che avete litigato, anche se non ho capito il motivo. Ma pensi di risolvere i problemi non parlandone ? Questo non è proprio da te. Così l’ho invitata.
- E lei ha accettato?
- Certo, ne era felice. Perché non avrebbe dovuto?
Michael sbuffò.
- Vuoi spiegarmi cosa è successo?
- E’ una cosa abbastanza stupida. - Si sedette accanto a lei e si passò più volte le mani arrossate sulla faccia. Si sentiva bollente e sapeva di assomigliare a un peperone. Ma non era imbarazzo, quanto vergogna. Sapeva che aveva creato una discussione su qualcosa in cui lui non c’entrava nulla. E si sentiva un pò idiota ad averlo fatto.
- Semplicemente mi stava raccontando della sua relazione, mi è detto una cosa sua, privata, e io mi sono arrabbiato e l’ho… L’ho sgridata.
- Sgridata? Come sgridata?
- Mi sono arrabbiato e le ho detto che secondo me aveva sbagliato ad agire come ha fatto, semplicemente perché la penso in modo diverso.
- Ma è una cosa grave?
- No, assolutamente.
- E allora perché ti sei arrabbiato? E perché l’hai sgridata?
- Non lo so. Le ho detto che non avrebbe dovuto farlo, in realtà non avevo nessun motivo per dirglielo, soprattutto in quel modo. L’ho aggredita e le ho dato della poco di buono.
- Oh cielo Michael, non è proprio da te. Cosa ha fatto Jackie di così grave?
- E’ una cosa privata - esitò - Che sia una confidenza, ha semplicemente avuto un rapporto sessuale con lui.
Katherine sbattè le palpebre per alcuni secondi prima di rispondere. Chiuse la rivista e appoggiò le braccia in grembo in una posa di fermezza.
- C’è altro?
- No, tutto qui.
- Mi stai dicendo che ti sei arrabbiato per questo? L’hai aggredita perché è andata a letto con il suo fidanzato?
- Non sono fidanzati, stanno insieme. E’ diverso.
- Michael, c’è qualcosa che vuoi dirmi?
- No, in che senso?
- Nel senso che non è normale che ti arrabbi per una cosa del genere. Lei è la tua migliore amica, praticamente tua sorella. Capisco che sei molto protettivo nei suoi confronti, ma al massimo avresti dovuto aggredire lui, non lei.
- E’ vero. Lo so che non ha senso. Ho sbagliato e non so perché. Mi sono comportato come un bambino.
- Beh, stasera avrai l’occasione l’obbligo di scusarti, e dopo dovremmo parlare di questo.
- Cioè?
- Vorrei capire perché ti sei arrabbiato così tanto.
Michael si morse il labbro. L’argomento gli dava un senso di fastidio nella pancia. Non era sicuro di voler sapere il motivo.

Quella sera c’erano più ospiti di quanti pensasse, e sebbene lo salutassero tutti, lui non riusciva a prestare esattamente attenzione a nessuno, e si sentiva in colpa per questo.
Era un ottimo ospite solitamente, ma era così concentrato sul pensiero di Jackie che non riusciva a pensare ad altro.
Per tutto il tempo, e soprattutto quando erano cominciato ad affluire i vari amici, Jermaine lo aveva punzecchiato per la questione del nuovo manager, e ignorarlo stava diventando davvero insopportabile.
Si capiva chiaramente che il fratello era geloso, ma questo non sembrava rallentare la sua volontà di infastidirlo.
Forse sperava di ottenere qualche raccomandazione, non lo sapeva.
- Cominciate ad accomodarvi - esclamò Katherine, facendo perfettamente gli onori di casa - La cena sta per essere servita.
Jackie non c’era ancora, e non sapeva se aspettarla nell’atrio o seguire tutti gli altri.
Janet lo prese a braccetto e lo condusse al suo posto, decidendo per lui.
- Fratellone, hai una faccia imbronciata, sembra che tu sia stato appena investito da un camion. Sorridi.
Rise, pensando con divertimento che davvero non doveva sembrare che gli fosse successo altro, visto che era la seconda volta in qualche giorno che qualcuno gli faceva la medesima osservazione.
Venne distratto da quelle moine e dai giochi di Janet e LaToya e non si accorse dell’arrivo di Jackie finché Katherine non la fece sedere al proprio posto, in diagonale rispetto a lui.
Appena la vide spalancò gli occhi. Lei incrociò il suo sguardo ma lo spostò subito e si mise a conversare con Tito che le stava affianco.
Ciò gli spezzò il cuore. Era ancora arrabbiata.
- Ciao Jackie. - disse comunque.
Gli rispose lanciandogli un breve sguardo che non lasciava modo di continuare la conversazione.
- Ciao Mike.
La cena iniziò e non si parlarono mai. Ogni tanto lui provava a guardarla, ma lei non lo degnava di alcuna attenzione, e ciò lo faceva sentire davvero combattuto e affranto.
Percepiva lo sguardo di Katherine su di sé, ma non alzò mai gli occhi su di lei. Non si sentiva più in vena di chiacchierare, né di mangiare.
Giocherellò con il cibo, pensando a come risolvere quella situazione, finché una voce disturbò i suoi ragionamenti.
- Sapete che Michael ha un nuovo manager? - annunciò a tutti Jermaine.
Trasalì. Quelli erano affari, cose private. Non era un argomento di cui parlare a tavola con chiunque.
Jackie si girò verso di lui, sorpresa.
Si stava chiedendo chi fosse.
Dall’altro capo del tavolo, suo padre Joseph lo fissava come se volesse trapassarlo. Non si era ancora abituato al fatto che la sua miniera d’oro potesse decidere per sè stesso senza consultare il padre di famiglia.
- Davvero?
- Perché non ci racconti di cosa avete parlato?
- Già!
- Non sembra il caso - cercò di capire il discorso Michael - E’ una faccenda di lavoro abbastanza noiosa.
- Dai!
- Caro, se non ne vuole parlare non importa - lo difese Katherine con voce pacata.
- Almeno dicci come si chiama! - provò Janet, già coinvolta.
- Frank DiLeo - rispose Jermaine al suo posto.
- E che contratto avete fatto? - chiese ancora Janet, e a Michael ricordò un gattino che fa un agguato a una cavalletta.
- Non è un argomento di cui discutere a cena.
Non è un argomento di cui discutere proprio! pensò Michael. Preferiva evitare di parlare di soldi con i suoi famigliari. Non avevano le sue stesse priorità e spesso si finiva per litigare.
- Hai problemi a parlarne con noi? - lo aggredì Jermaine, e Joseph annuì.
- No, è che…
- Non si dovrebbero avere segreti in famiglia!
- Jermaine ha ragione!
- Hai qualcosa da nasconderci Michael?
- Secondo me non c’è proprio nulla di cui parlare. - disse una voce che fino ad allora era rimasta in silenzio. Jackie.
Michael la fissò con occhi sbarrati.
Jermaine le andò subito addosso.
- Eccola, la solita amichetta che lo difende.
- Io non difendo proprio nessuno - gli rispose lei a tono. - Stai creando un castello su qualcosa che non esiste.
- Non mi sembra di parlare di qualcosa che non esiste.
- Di certo non sono fatti tuoi.
- Certo che lo sono, in famiglia.
- Allora perché non ci racconti prima ciò che riguarda te e il tuo lavoro, visto che siamo in famiglia?
Jermaine si zittì, ma Jackie continuò imperterrita.
- Per esempio, l’altro giorno sono passata negli studi della Motown. Ti ho sentito parlare di un…
- Zitta! - Jermaine quasi le andò addosso fisicamente per tapparle la bocca.
Jackie si zittì ma rimase in piedi ad affrontarlo, il volto serio ma il corpo tranquillo.
Katherine aggrottò un sopracciglio quando Jermaine le lanciò uno sguardo terrorizzato.
Tutti stavano a guardare ammutoliti.
Jermaine fece un passo indietro, strofinò le mani sui propri fianchi.
- Beh, non importa. Continuiamo a mangiare. - E si risedette, e dopo di lui Jackie.
Rimasero tutti in silenzio per un pò, a smaltire l’imbarazzo, poi piano piano si ristabilì la calma e qualcuno riprese la conversazione, stavolta su temi un pò più consueti.
Michael guardò per un pò il proprio piatto, incredulo, poi guardò Jackie.
I suoi occhi brillavano di gratitudine e meraviglia.
Era fantastica, semplicemente.

 
— — —



E, semplicemente, quella conversazione non si concluse lì.
Jermaine aveva davvero dei motivi seri per non volere che Jackie parlasse.
Quella ragazza era fastidiosa: si era fatta un largo giro di conoscenze nell’ambiente musicale. Era brava: molti chiedevano il suo parere professionale su vari progetti, e lei girava spesso fra uno studio e l’altro, creando contratti temporanei dov’era richiesta, in questo modo si faceva un nome e un portafogli.
Uno dei suoi ambienti abituali era la Motown, a cui Jackie non si era mai del tutto distaccata.
Il suo lavoro principale era insieme a Michael e a Quincy Jones, ma il suo nome e il suo tocco artistico comparivano anche in alcuni album di successo della vecchia casa discografica.
Durante uno dei suoi giri, Jackie era venuta a sapere che Jermaine stava pensando di lasciare la Motown e firmare un altro contratto, ma non sapeva quale.
- E’ invidioso - aveva detto a Michael quella sera, quando riuscirono a parlare tranquilli - Ti imita qualunque cosa tu faccia, dallo stile al modo di muoverti. Il videoclip che voleva girare ha una scenografia che è un misto fra beat it e thriller, quasi identico, te lo giuro.
- E lo faranno? Produrranno il videoclip in questo modo?
- No, il suo produttore, me l’ha detto di fronte a un caffè perché sto collaborando con lui, gli ha detto che è troppo simile a dei video recenti perché si possano fare in quel modo. Ovviamente si stava riferendo ai tuoi. Me l’ha fatto intendere, ma ha detto che non ha avuto il coraggio di dirlo palesemente a Jermaine, anche se è chiaro come l’acqua.
- Quindi è per questo che vuole lasciare la Motown?
- Beh, no. L’altro motivo di cui sono venuta a conoscenza sono i soldi, ovviamente. Ma sai come si dice: chi troppo vuole, nulla ottiene. Francamente penso che Jermaine punti a eguagliarti, a superarti, e per farlo cerca di imitare il tuo stile, che reputa vincente, per mettervi sullo stesso piano, dove ovviamente si sente superiore a te. Scusa ma questo è il mio pensiero, e la scenata di stasera mi fa supporre che io abbia ragione.
- Potresti avere sicuramente ragione - le sorrise lui, dissetando la sua modestia - E potresti stare convincendo anche me, ma non posso permettermi di pensare certe cose di lui. E’ mio fratello, e devo pensare al suo bene. L’idea che lui abbia queste intenzioni nei miei confronti, queste idee… E’ davvero triste.
- Lo capisco - annuì Jackie, fissandolo - Ma prima o poi dovrai fare i conti con la realtà Michael, o verrai soffocato da questa cosa e ne subirai le conseguenze.
Lui ridacchiò, poi sorrise meravigliato, fra sè.
Era incredibile: non si erano parlati per giorni per causa propria, per una sciocchezza, e senza che ci fosse stato bisogno di dire alcunché, nel momento del bisogno, Jackie era giunta al suo soccorso e non solo, ora stavano parlando di qualcosa che riguardava solo lui e lei pensava prettamente a consigliarlo. Non aveva tirato fuori il discorso della loro litigata e non sembrava intenzionata a farlo.
A differenza sua.
- Voglio chiederti scusa per la nostra ultima discussione - Le disse, sedendosi di fronte a lei, abbandonando il bicchiere di limonata fra di loro. Lei lo fissò, senza espressione. Lui deglutì. - Sono stato meschino e non ce n’era motivo.
- Pensi davvero quelle cose?
Deglutì di nuovo.
- No.
- Non mentirmi. Capisco quando lo fai.
La guardò in imbarazzo. Era davvero seria.
Non mentiva, non sentiva di aver mentito, ma sapeva di non stare dicendo tutta la verità. Una verità che non capiva totalmente. Cercò le parole con velocità, sentiva la testa implodere per cercare una spiegazione che non sapeva dare. Un fastidio difficile da accettare.
- L’errore è sempre mio - disse infine - Davo per scontato che tu avessi pareri simili ai miei per quanto riguarda certi argomenti. Ma non abbiamo avuto gli stessi trascorsi e ho dato per scontato questa cosa, mi dispiace.
- Tu pensi che io sia una facile ?
- No.
- Perché hai questa difficoltà nel dirlo? Sembra che tu stia mentendo.
- Non sto mentendo!
- E allora che c’è?
- Non lo so! Mi dà fastidio questa situazione!
- Che vuol dire?
- Non lo so… Io non penso che tu sia una facile. Cazzo, ovviamente non lo sei. Ti conosco da sempre, non dovevo dirti quelle cose, è stato un momento di … Rabbia. Paranoia. Non lo so. E’ che mi aspettavo che tu ti sposassi prima di dare per scontato che tu non fossi più… Sai…
- Ma Michael! A te cosa dovrebbe importare? - si coprì il viso con le mani, imbarazzata. Con fatica le uscirono le ultime parole.
- Nulla! Beh, non proprio. Insomma, siamo molto intimi anche noi. Ma … con Thomas? E perché adesso? Ora? Cos’ha di speciale questo momento? Cioè.. Non capisco perché tu l’abbia fatto. Non posso pensare che tu l’abbia fatto solo perché hai l’occasione, hai il tuo uomo e allora l’hai fatto, così, tanto per fare, e non mi va giù che tu l’abbia fatto con.. Thomas. Perché Thomas?
Michael era troppo confuso e troppo perso nel cercare di capire i suoi stessi pensieri per rendersi conto che la risposta alle sue elucubrazioni stava nel vedere l’insieme. Era un dettaglio lampante, che nemmeno Jackie notò.
Forse solo per un secondo un barlume di consapevolezza, un allarme, una luce arancione, una spilla nel cuore la sfiorarono, poi spinti via dal contenuto di quelle frasi, che le suscitarono nuovi dubbi.
Già, perché l’aveva fatto?
Beh, ovviamente si era creata l’occasione. Thomas era molto bravo a crearne, lei era ancora un pò pudica.
Anzi, ora che ci pensava, era proprio una bambina.
Una bambina stupida, si definì.
Insomma, lei era una persona divertente, a cui piaceva divertirsi, e coinvolgeva Thomas nelle attività che più la soddisfacevano, con naturalezza ed entusiasmo. Il sesso? Si, ci pensava ma… Non era urgente?
Realizzò che non le era mai venuta l’idea di fare sesso con Thomas, finché non gliela propose lui stesso.
Pensò che non aveva capito nulla dalle relazioni.
E nel mentre rimuginava sul come essere una persona migliore e comportarsi da adulta, meditò sulla seconda frase di Michael. Perché proprio Thomas.
Già, perché?
Beh, perché era simpatico, bello, intelligente, si era affezionata a lui e lo apprezzava come persona.
Cosa non andava?
Cercò di vedere la situazione dal punto di vista di Michael, una visione che anche lei aveva sempre condiviso.
Alla base di una relazione romantica c’era l’amore. Era di quello che parlavano molte delle canzoni che lei stessa scriveva.
L’amore che lei non provava per Thomas e che voleva dannatamente sentire.
- Forse ho capito cosa intendi - soffiò, e Michael trasalì, poiché si era perso nei pensieri anche lui.
- Ah si?
- Forse, ma ho bisogno di rifletterci sopra. - Lo guardò, i suoi occhi sembravano quelli di un cerbiatto e scintillavano nel buio - Mi fa piacere che tu ti sia scusato, e ti perdono. Ma la prossima volta, quando non ti è chiara la situazione, chiedi e dammi fiducia prima di sbraitare come una cameriera inferocita.
- Va bene, hai ragione - rise lui, sollevato. Il peso di quei giorni sembrò non essere mai esistito. - Me lo merito.
- Bene - anche lei si sentiva sollevata, si stiracchiò e ritornò seria. - Ora possiamo parlare davvero.
- Di cosa?
Jackie blocca Michael con uno sguardo, e lui suda perché capisce.
Allora lei gli chiede di parlare.
- Non devi dirmi nulla?
- Riguardo a cosa scusa? - chiese improvvisamente brusco ed evasivo.
- Michael, guarda che me ne sono accorta. - Si alza e si avvicina a lui con sicurezza e determinazione. - Non serve che fa finta di nulla, non con me.
Detto questo gli appoggia le nocche della mano sul petto, nel punto esatto dove lui le aveva mostrato le prime macchie di vitiligine. E lui capisce.
La guarda arrabbiato.
- Non c’è niente da dire. - risponde, ma non si scosta. Non l’avrebbe mai fatto. Non con lei, appunto.
Lei non smette di guardarlo, e i suoi occhi si fanno più dolci, ma anche più tristi.
- Ti ricordi Michael?
- Cosa?
- Ci siamo promessi, un po’ di tempo fa, che ci saremmo detti tutto. O meglio, tutto quello che volevamo, e che fra noi non ci sarebbero stati segreti. Io non ho segreti con te. E non voglio costringerti a dirmi ciò che non vuoi rivelare, ma so che c’è qualcosa che ti fa soffrire, e in questo caso non voglio che te lo tieni per te.
Lui la guarda respirando forte, colpito e affondato, perché non poteva davvero nasconderle nulla. E in cuor suo sentiva che aveva voglia di confidarsi, ma non riusciva comunque a tollerare l’umiliazione che ne sarebbe scaturita.
- Non è niente. - tenta ancora, ma viene fermato dallo smeraldo dei suoi occhi, che nelle occasione giuste sapeva farsi davvero brillante.
- Smally, sono preoccupata. - gli dice. - Ti prego.
Lui nega col capo e allora lei lo abbraccia improvvisamente. Lui deglutisce, perché stare zitto ora sta diventando davvero difficile.
- C’entra questo vero? - chiede ancora lei, rimettendo la mano nel punto di prima. Sente il suo cuore farsi più vivace nel suo petto, e il respiro più profondo.
- Ormai non più, purtroppo. Non solo.
Lei si stacca e lo guarda seriamente.
- Che vuoi dire?
- .. Che sono pieno di malattie Jackie. - risponde lugubre.
Un mattone sembrò posarsi sullo stomaco di lei. Le bloccò la respirazione e tutto quanto, e credette per un attimo si trattasse di uno scherzo malsano. Ma quegli occhi, no, quegli occhi a lei così familiari erano troppo seri e sofferenti per tramare qualche bravata.
Quegli occhi dicevano il vero.
- C-Che cosa significa?
Michael deglutì, chiuse gli occhi e abbassò il capo, respirando con fatica.
Sembrò stesse raccogliendo tutta la sua volontà per riuscire a parlarle.
Infine scosse il capo.
- Sono terribilmente malato. - mormorò con voce rotta dal pianto. - E non c’è.. Non c’è alcuna cura.
Lei lo afferrò per le braccia e lo costrinse a guardarla, fissandolo gravemente.  
- Devi spiegarmi, per favore.
Lui la afferrò a sua volta e la mise seduta di fronte a sé, raccogliendo le mani per parlare. Sospirò.
- Sono stato dal dottor Blank due settimane fa per il controllo di routine della pelle. - deglutì, gli occhi divennero lucidi di pianto trattenuto, a Jackie si spezzò il cuore nel vederlo così. - La vitiligine è un insieme di cose, e quella che ho ha un decorso degenerativo per cui non esiste una cura. E’ impossibile determinare fin dove si estenderà e per quanto. Inoltre, è aggravata da una malattia, il lupus, che mi hanno appena diagnosticato.
- Non la conosco.
- E’ una malattia del metabolismo, che colpisce la pelle e ne aggrava le condizioni.
- E.. A cosa è dovuta?
- Non si sa, è una malattia che si conosce solo da vent’anni, molto rara. Non c’è alcuna cura.
Non indorò la pillola, non voleva che quel momento durasse più di quel che bastava per metterla al corrente di tutto e poi continuare a vivere come se nulla fosse, come se potesse ancora svegliarsi la mattina e ridere di nulla. Perché lui nonostante tutto era fortunato, e non doveva dimenticarlo mai.

 
— — —


- Non c’è Michael con te oggi, tesoro?
- No, si sta preparando per andare alla CasaBlanca.
Q virò gli occhi al cielo.
- Non lo vedremo mai più, tra questo e le premiazioni non riusciremo mai a iniziare un nuovo album.
- C’è tempo per tutto Q - rispose Jackie, sorridendo. - E non ti credere: è stato sveglio tutta la notte al pianoforte col registratore affianco. Secondo me è tempo di pochi giorni e ti porterà qualcosa. Un altro giorno ancora l’ho trovato a canticchiare col registratore mentre giocava a flipper.
Q rise.
- Stai sempre con lui per sapere tutte queste cose, Jackie?
Sorrise a metà. Da quando sapeva delle sue condizioni di salute, e della fatica che faceva per non buttarsi giù di morale, Jackie aveva deciso di passare molto tempo più del solito con Michael, finché lui non aveva capito il gioco e l’aveva sgridata perché non voleva la sua compassione, e Jackie si era data una regolata. Aveva sbagliato ancora, e voleva comportarsi da adulta senza riuscirci.
Si era gettata nel lavoro e aveva scritto improvvisamente diversi pezzi.
Li aveva portati a Q per un parere, e ora doveva farglieli sentire.
Se ne sarebbe valsa la pena, ne avrebbe venduti i diritti dopo averli trasformati in canzoni vere e proprie. Era una cosa che stava facendo sempre più spesso.
- Io penso che tu abbia talento - le disse improvvisamente Q, e lei sbarrò gli occhi dalla sorpresa.
- Eh?
- Voglio dire, fai sempre un ottimo lavoro. Hai talento, come Michael, e anche una bella voce. Se lo volessi, potresti incidere un album ed essere tu la protagonista.
- Dici sul serio?
- Assolutamente. Io vorrei farti da produttore, penso che verrebbe fuori un bel lavoro.
- Uno, che bel complimento Q, ma non ti sembra di esagerare? Michael è un uomo di talento.
- Assolutamente, di lui se ne trovano uno su un milione. Ma anche tu non scherzi.
- Beh, ti ringrazio, ma non penso di volerlo mai fare. Ho visto i pro e contro che dà questa situazione, e pensando alla vita, alla mia vita, non vorrei iniziare a percorrere questa strada. Sto benissimo facendo quello che faccio.
- Il tuo stile di vita cambierebbe drasticamente Jackie, ma in meglio, probabilmente.
- Non ti nascondo che l’idea di fare spettacolo, musica o anche altro, non mi dispiace. Anzi. Ma non me la sento. Non vorrei… Non so, diventare famosa. Mi va bene come sono ora.
- E hai ambizioni, dunque?
- Fare bene il mio lavoro. La cosa che più mi intriga è scrivere musica, oltre che editarla.
- Forse dovresti allora fare un piccolo cambio di prospettiva. Tu scrivi musica da anni, ma organizzi anche i suoni. Io credo che dovresti ora definirti compositrice, non fonica o produttrice.
Jackie sbatté le palpebre. Quando pensava alla parola ‘compositore’ la mente correva ad immagini moderne ma antiche, come Mozart al pianoforte, le dita candide e la parrucca dall’altezza estrema. Sostituì il volto dell’uomo con il proprio, e il risultato che riuscì a immaginare non fu ilare come ben si può pensare, ma melodico.
Si può sentire la musica solo pensando?
Il mezzo sorriso che le comparve sul volto rispose alla proposta di Q, che rise felice.
- Che mi dici di tuo padre? - le chiese, dopo un pò. - L’hai più sentito dopo che sei andata via di casa?
Jackie si stupì. Oggi Q era in vena di domande.
- No - rispose, apparentemente tranquilla. - Cioè, ho saputo che ha tentato di contattare Albert tramite un nostro fratellastro, una persona che io non ho mai conosciuto fra l’altro. Albert non ha voluto rispondere, ma forse è meglio così. Credo.
- Non ti manca?
- Quell’uomo violento e ubriacone? Assolutamente no!
- No scusa, mi sono espresso male. Intendevo… Ti manca la figura di un padre?
Jackie ci pensò un pò. Non era una bella domanda da porre, ma Q se lo poteva permettere. Avevano da molti anni superato questa soglia di confidenza. Anche se non capiva il tempismo di quelle domande.
- Forse sì, anzi, sicuramente mi è mancata quando ero una bambina. Lui non c’era come padre, non l’ho mai reputato tale, ha lasciato solo traumi e ricordi negativi. Adesso percepisco tutta l’amarezza che mi ha lasciato, ma non sento più il bisogno di avere un padre, se è questo che mi chiedi. Ho la mia famiglia in Italia, e mio nonno diciamo di comporta come il papà di tutti. E mi basta questo, sai?
Q fece un sorriso e uno sguardo strano, come pensieroso, e Jackie lo osservò.
Fece scorrere il liquido nella tazza ruotando il polso, con un movimento controllato ma la mente persa in chissà quali elucubrazioni. O forse stava solo soppesando quello che voleva dire.
- Sai, se avessi potuto, mi sarebbe piaciuto averti come figlia adottiva - le rivelò, il luccichio negli occhi nascosto dalle palpebre pesanti - Ora so che non è più tempo per certi discorsi, ma mi dispiace per quello che hai passato e, se avessi potuto, se ci fossimo conosciuti prima, ti avrei adottata volentieri - La guardò negli occhi. - Non è nessuna proposta, il tuo nome e cognome è già abbastanza lungo senza aggiungerci un ‘Jones’ - Risero. Jackie era commossa. - Ma vorrei, finché lo desidererai, che mi considerassi come qualcuno su cui fare affidamento. Perché mi sono affezionato, ti voglio bene e vorrei esserci per te.
Lei non gli rispose. Non a parole.
Q rise brevemente, un pò imbarazzato.
- Adoro quando sorridi così.

 
———



Jackie tornò a casa, allegra e spensierata, felice perché il giorno passato con Q le aveva fatto bene.
Si sentiva leggera, come se la propria anima avesse preso il volo. Non riusciva a smettere di sorridere. Eppure, non era successo niente di particolare.
Ridacchiando varcò l’uscio della propria abitazione.
- Sono a casa!
L’atmosfera che alleggiava nella stanza la paralizzò. Le luci erano soffuse, c’era profumo d’incenso, e sul divano erano state cambiate le federe dei cuscini. Sbattè le palpebre.
- Bentornata - Thomas spuntò dall’anticamera, vestito casualmente ma con una discreta eleganza. I suoi occhi scintillavano nel vederla, e Jackie sentì uno strano calore fiorirle nel cuore.
- Ho preparato la cena - disse lui, prendendole la giacca, mentre i vapori del cibo riempivano la stanza di aromi speziati.
- Thomas, è meraviglioso. C’è qualcosa da festeggiare?
- Chissà, mettiti al tavolo e raccontami com’è andata oggi.

Avrebbe voluto dirgli che era stata bene, che insieme si erano divertiti, ma che lo lasciava perché non vedeva un futuro per loro due.
Mentiva, ovviamente, ma non poteva dirlo a nessuno.
In realtà, forse avrebbe creato quella discussione, quella che ora stava prendendo forma solo nella sua testa, solo per aizzarlo un po’ e indurlo a desiderarla. Un gioco innocente, che si poteva ancora permettere di fare.
Scese dall’auto non appena questa si fermò nel parcheggio, senza attendere che i BG venissero a scortarla.
Alzò lo sguardo e gli sembrò di vederlo: la stava osservando nascosto dietro la tenda trasparente della camera d’hotel.

Le prese la mano e la accarezzò dolcemente.
Lei si pulì la bocca col tovagliolo con l’altra mano, dato che stava ancora mangiando. Ma lui sembrava avere una certa fretta. E una certa ansia. E si muoveva a scatti, come se avessero tutto il tempo del mondo ma, contemporaneamente, non ne avessero che una briciola.
Chissà qual era la verità, si chiese Jackie, pensando infine che non aveva importanza, poiché un momento durava esattamente quel che doveva durare, e se sarebbe stato destino che durasse per sempre, lei avrebbe fatto in modo di non dimenticarlo.
Eppure quando incontrò lo sguardo dell’uomo di fronte a sè, e vi lesse dentro tutto quanto, desiderò essere mille anni avanti, o mille indietro, per prepararsi ad affrontarlo. O forse perché era affrontabile solo come ricordo sbiadito dal tempo, e non come tempo presente.
Lui prese un respiro.
- C’è una cosa molto importante che voglio chiederti.

- C’è una cosa molto importante che devo dirti. - disse dopo averlo abbracciato stretto. Aveva fatto in modo che i loro corpi si stringessero nei punti giusti, ed era deliziosa la sensazione della lontananza fra loro, quando sapeva che stava per essere di nuovo riempita.
- Anch’io. - la anticipò lui, sorprendendola. - E voglio farlo ora, prima di continuare.
Le si formò un blocco in gola. Che situazione inaspettata.
Cercò di decifrare quello che lui aveva da dirle ma in quelle occasioni Michael diventava completamente impenetrabile. Le stava sorridendo in modo strano, quasi educato e distaccato, seppur gli occhi la guardassero con sincero affetto. Sbattè le palpebre, sentendosi infastidita.
- Sarebbe?
- Vuoi iniziare tu?
- Beh, sì… - Trasse un respiro.

- Sei la persona più importante della mia vita. Mi sono innamorato di te dalla prima volta che ci siamo parlati, quando sono venuto a prenderti in aeroporto. Sono estasiato da quello che mi fai provare ogni giorno, quando siamo insieme. E voglio sentirmi così per tutta la vita.

- Ci siamo divertiti insieme, Mike. E’ stato fantastico. Tu sei fantastico. Ma penso che dovremmo smettere di frequentarci. Ti voglio bene, e ti considero un caro amico, ma voglio trovare qualcuno per me, capisci? Qualcuno da sposarmi.

- Io ti amo Jaqueline, e voglio fare una famiglia con te. Vuoi sposarmi?

Michael e Jackie provarono pura sorpresa nello stesso momento.

Chiuse la bocca che gli si era aperta per lo stupore. Sbattè le palpebre, guardando Brooke e cercando di recuperare la parola. Avvertiva dentro di sè la fastidiosa sensazione di essere stato scaricato, ma essa venne rimpiazzata subito con qualcosa di rassicurante: la consapevolezza che lei non avrebbe sofferto. Già, dopotutto era andato a quell’incontro apposta perché voleva scaricarla lui stesso. Sorrise, e Brooke lo guardò con paura.
- Tesoro, volevo dirti la stessa cosa. - Lei spalancò gli occhi in un’espressione costernata, ma lui non volle notarlo. - Sono felice che anche tu la pensi così, e che possiamo restare amici. Sono molto sollevato.
Le prese le mani e le baciò le nocche, poi la abbracciò, non curandosi del fatto che lei si era ammutolita e irrigidita come un tronco d’albero.
Gli sembrò che la vita improvvisamente prendesse una piega più ordinata. Più giusta.

Non riuscì a chiudere la bocca. Non riuscì proprio a muoversi.
Gli ultimi secondi della sua vita erano stati un intervallarsi di emozioni contrastanti: la gioia nel sentirsi lusingata da quelle attenzioni e quell’amore, lo stupore di quella propria, e la caduta nel baratro non appena lui aveva pronunciato quella frase.
Voglio fare una famiglia con te.
Si sentì catapultata sull’asfalto. Morsa dal senso di colpa.
Come poteva essere stata insieme a lui per tanto tempo e non aver mai fatto parola sul problema che da sempre più la tormentava?
Era stata una sciocca, una stupida a livelli galattici.
Prima che potesse rispondere, e sotto gli occhi dapprima gioiosi e poi sempre più preoccupati di Thomas, scoppiò a piangere disperata.

Non restò a lungo con lei. Anche perché, nonostante quello che aveva detto, Brooke sembrava avercela con lui.
- Tutto a posto Mike? - chiese confidenzialmente Albert, tenendogli la portiera aperta.
- Si - rispose pensieroso, fermandosi un attimo accanto all’amico. - Io le donne non le capirò mai, Al.
- A chi lo dici Mike. - ridacchiò il BG.
Frase fatta, pensò Michael. Non c’era uomo sulla Terra che fosse più in sintonia di Albert con la propria compagna.
Senza contare sè stesso e Jackie.
Sbuffò, quasi infastidito. Perché stava pensando a Jackie proprio in quel momento?

Incredibile. Perché le veniva in mente Michael proprio in quel momento?
Era così scioccata e persa che probabilmente aveva bisogno di lui vicino, e non ebbe nemmeno il tempo di processare quanto sbagliata fosse quell’affermazione mentale che Thomas, il suo uomo, l’unico che in quel momento avrebbe dovuto desiderare al proprio fianco, la avvolse nel suo abbraccio. Era costernato.
- Amore, mi dispiace. Non so cosa ho fatto di sbagliato, ma se non era il momento giusto per chiedertelo ti prego di perdonarmi.
Le baciò i capelli e il volto, e lei non riusciva a non pensare a quanto lei fosse stata meschina, a quanto fosse sbagliato tutto ciò.

Non riusciva a non pensare a una conversazione che aveva avuto con sua madre diverso tempo prima, che lo aveva lasciato con una strana sensazione di fastidio.
- …ti da fastidio che Jackie esca con uno dei tuoi BG.. O il fatto che lei esca con un altro uomo in generale? … Sai Mike, capisco come ti senti e cosa provi. Però devi accettare il fatto che lei esca con altre persone e si affezioni a loro, e soprattutto, che trovi un uomo al quale non interporre nulla. E anche tu un giorno farai la stessa cosa con una donna, vedrai.
- Hai appena detto che pensavi che io e Jackie saremmo stati quest’uomo e questa donna.
- Si, ho detto che lo pensavo. E l’ho pensato fino ad ora, fino a poco tempo fa. Vi ho visti crescere, e non credo più a quello che ti ho detto. Il vostro è un legame forte Michael, e non nego che potrà durare per sempre, se entrambi vi impegnerete a mantenerlo così saldo. Ma lei non potrà mai essere una moglie per te e tu non potrai essere un marito per lei.

- Perché no?
- Perché vi conoscete da troppo tempo, e troppo bene. Entrambi avete bisogno di qualcosa di diverso, di fare esperienza. Forse siete troppo simili. In ogni caso, dubito che sarete felici.
Quel ricordo gli stava creando più fastidio interiore di quanto avesse mai supposto. Si morse le labbra, ricordando ogni dettaglio della realtà che lo turbava.
- Vogliamo parlare del fatto che lei non può avere figli Mike?


Doveva dirglielo, avrebbe dovuto farlo molto prima.
Mise le mani sulle spalle di Thomas e cercò dolcemente di allontanarlo.
- Non devi scusarti di nulla, anzi, sono io che ti chiedo perdono.
L’uomo trasalì e la guardò, gli occhi già colmi di lacrime.
- Perché? Non vuoi sposarmi? - chiese a fatica, chissà quanto gli erano costate quelle parole. Jackie perse un respiro e deglutì.
- No, io… Io lo vorrei. - mormorò. - Ma non ti ho mai detto una cosa molto importante, e ho sbagliato. Thomas, io… - lasciò andare un respiro, sfinita. Chiuse gli occhi un momento per trovare la forza. - Io non posso avere figli, Thomas. Sono sterile. E mi dispiace non avertelo detto prima.

- Tranquillo, il traffico non si può prevedere. - Lo accolse con gentilezza, il solito sigaro puzzolente fra le labbra.
- Anzi scusa se ti ho fatto uscire direttamente. D’altronde, è solo una firma.
- La firma più importante della nostra vita. - rise DiLeo, accogliendo Michael con una forte stretta di mano e vigorose pacche sulla spalla. - Della mia di certo.
Entrarono nella stanza. Avevano affittato un longe bar privato di un albergo solo per loro due e i loro avvocati, che attendevano seduti su eleganti divani. Di fronte a loro, su un tavolino basso di cristallo, i fogli del contratto. DiLeo stava per diventare il manager più fortunato d’America.
Michael rivolse loro un cenno di saluto e cercò di concentrarsi. Era un momento importante per gli affari, eppure una parte della sua mente rimaneva ancorata a Jackie e alla sua sterilità. Per quel pensiero disturbante lo tormentava proprio in quel momento?

- Ti prego, dì qualcosa.
Cercò gli occhi dell’uomo. Non le era mai sembrato così stanco come in quel momento.
- Cosa vuoi che ti dica… Non capisco.
- Cosa?
- Insomma… Perché non me l’hai detto prima?
- Io.. Io non…
- Non ti fidavi di me?
- Non è questo. Io mi fido di te.
Avrebbe potuto spiegare che quella era una cosa solo sua? Un peso solo suo, che non voleva dividere con nessuno?
No, non poteva, sciocca ingenua, si disse. Perché se avessi capito qualcosa in più sui matrimoni e su due persone che decidono di passare la propria vita insieme forse non l’avresti pensata così e forse avresti gestito la cosa diversamente.
Ma lei voleva passare la propria vita con Thomas? Lo aveva deciso?
In quel momento, sì, non c’era qualcosa che desiderasse di più.

Andarsene a casa e dormire, o scrivere una nuova canzone, o leggere un libro, o fare qualsiasi cosa che non fosse stare lì a cercare di non distrarsi.
Faccio questa firma e via, pensava, dei dettagli parleremo domani.
- Cosa bevi?
La voce di Frank lo fece sussultare, ma non lo diede a vedere. Si era ripromesso di non bere, era ancora sotto antibiotico.
- Un vino bianco grazie. Mezzo bicchiere.
Gli portarono un calice, freddo di condensa e frizzantino, sembrava spumante.
Mentre l’uomo di fronte a lui parlava, Michael si soffermò sulle gocce dorate e trasparenti che scivolavano lunga la curva del cristallo.
Sembravano le lacrime di Jackie.
Ma come poteva saperlo? Dove le aveva viste?

Era in un fiume di lacrime.
Le ultime parole che Thomas era riuscito a mormorarle erano state un ‘mi dispiace, ho bisogno di pensare’ soffiato appena, si era avvicinato, l’aveva abbracciata, un abbraccio pesante come un macigno, e si era levato di torno.
E lei era sola, e piangeva perché si sentiva disperata e perché il benessere di essere di nuovo sola nella stanza, in qualche modo libera, la faceva sentire tremendamente in colpa.
Era stata così stupida.

Come aveva fatto a farsi sfuggire la questione di mano?, pensò irritato.
Prima il lavoro, poi i suoi fratelli con quel loro maledettissimo tour e la voglia di mettergli il bastone fra le ruote, poi l’antibiotico che gli stava facendo girare la testa, per non parlare poi di Brooke che, oh lui lo sapeva, avrebbe voluto provocare una scenata che lui, grazie a lui, aveva fatto in modo non succedesse. Maledetta donna, prima lo usa per divertirsi e poi vuole provocare. Per fortuna era finita, doveva finire prima o poi.
E poi c’era Thomas, e sua madre che gli veniva in mente in quel momento che gli diceva ‘tu e Jackie non potete stare insieme’.
- Ok, puoi firmare qui, qui e qui.
‘Vi conoscete troppo, e troppo bene. Dubito che sareste felici’.
- Hai un’altra penna?
Ma che vuol dire? Ok, si conoscevano benissimo, e quindi? Meglio lui che uno come Thomas, o chiunque altro, che chissà cosa possono volere da Jackie.
- Tieni.
Ma lui che ne sapeva? Michael, sei uno schifoso egocentrico. Vuoi Jackie per te? No. La vuoi sposare tu? La ami, per caso? No. Allora basta con questi pensieri, sembri impazzito.
- Sicuro di sentirti bene Mike? Sembri un pò… affaticato.

- Sicura di sentirti bene? Mi era sembrato di sentirti piangere, e ho visto Thomas andare via piuttosto turbato.
Cara Rose. Quanto era cara a preoccuparsi per lei, ma quanto era irritante che non riuscisse a pensare ai fatti propri quand’era l’occasione. Le venne in mente Michael: lui aveva la stessa tendenza a interessarsi morbosamente dei fatti degli altri, anche se le sue intenzioni e come lo faceva erano diversi.
Pensò di nuovo che lo avrebbe voluto al fianco in quel momento, e si morse il labbro al pensiero di quanto fosse sbagliato tutto ciò.

Michael e Jackie forzarono un sorriso contemporaneamente.

- Ho solo bisogno di dormire un pò, tranquillo.

- Non è stata una delle giornate migliori. Ora vado a letto, grazie per esserti preoccupata.
 
  
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