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Autore: jarmione    22/03/2021    2 recensioni
Fairfarren
Aveva già sentito quella parola, o meglio, l'aveva letta nei suoi libri.
La si dice a qualcuno che deve affrontare un viaggio arduo.
Era un modo per dire “Che la sorte sia con te” oppure “Che la fortuna sia con te nel tuo cammino”
una parola dolce, con un significato molto profondo.
Perché Gliel'aveva detta?
Che mai poteva accadere, per dirle una cosa del genere?
Genere: Fantasy, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio, Sarah
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco a voi il primo vero capitolo e spero sia di vostro gradimento (buuuuu che schifo buuuuu, pussa viaaa)

Vi ricordo che siamo sempre in tre a gestire questa storia e che:

  • Fiore del deserto è una grande collaboratrice...per le descrizioni mi aggrappo a lei come un bradipo al suo ramo (grazie tesoro)

  • Trainzfan è il mio beta e, a tal proposito, se il capitolo ha errori diamo la colpa a lui XD (però lui sa quanto gli voglio bene...ihihih)

 

Buona lettura

 

 

 

UN PO' DI TEMPO PRIMA...

 

Un sole strano, se così lo si poteva definire, illuminava il mondo.

Era ormai da tempo che esso non sorgeva né tramontava; al suo posto vi era quella palla del colore della neve la quale emanava altrettanto calore.

Un velo di brina perenne aveva invaso l’intero labirinto e costretto tutti i suoi abitanti a chiudersi nelle rispettive case o tane.

Jareth chiuse nervosamente la finestra; il labirinto lo ignorava ormai da almeno cinque anni.

Esso non obbediva più ad alcun ordine che gli veniva impartito e aveva chiuso le sue mura, obbligando i suoi abitanti a restare al suo interno. Solo lui e l’eventuale suo seguito avrebbe potuto varcarne i confini; ma per quale scopo farlo? Si chiese.

Jareth, dopo la sconfitta subita, aveva perso la sua forza e tutti i suoi poteri, costretto ora a vivere perennemente con uno dei suoi più fedeli servitori al suo fianco.

Questi lo aiutava a vestirsi e a tenerlo informato sulle condizioni del popolo.

Tutte cose che, un tempo, Jareth eseguiva con la magia ed in autonomia.

Si sentiva inutile, un fallito.

Un re, senza più alcun potere, il cui regno reclamava la sua ignara regina.

Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto come minimo immaginarlo.

Se quando aveva tolto il tempo a quella stupida umana lo avesse fatto con tre ore invece che due, forse non si sarebbe ridotto in quello stato; non sarebbe stato sconfitto e non avrebbe perso i suoi poteri.

Ogni volta che tentava di utilizzarli, o voleva controllare se per caso erano tornati, il suo medaglione si attivava ed un dolore lancinante al petto lo costringeva ad inginocchiarsi a terra senza fiato.

Erano infatti circa due mesi che non ci provava nemmeno più.

Il dolore era così insopportabile da aver superato persino la sua proverbiale cocciutaggine.

Ormai non era più nemmeno in grado di trasformarsi in barbagianni e questo lo infastidiva ancor più del non aver poteri.

Più ci pensava e più il nervoso saliva, tanto che per sfogarsi tirò un pugno al muro. Non avendo ottenuto il risultato sperato, cioè fare una bella crepa, si sfogò sulla sedia accanto al letto.

Essendo di legno, ovviamente, offrì una minore resistenza per cui si incrinò.

Non era molto, ma si accontentò.

Avrebbe preferito la crepa, così il castello, magari, sarebbe crollato e la faceva finita.

Dannato labirinto e dannate anche le leggi dell’Underground.

A causa di esse era ridotto così.

Quella dannata umana non poteva conoscerle e, volendo ben vedere, non le si poteva nemmeno imputare colpe.

Era stato lui a darle il libro e lo aveva fatto sotto ordine del labirinto.

Era stato lui pure a far sì che lei arrivasse fin lì e sempre sotto ordine del labirinto.

Ma né lui né il labirinto avevano previsto la testardaggine e la determinazione della ragazza. Il risultato era una situazione di stallo insostenibile: Jareth non poteva più governare ed il labirinto ora reclamava una regina che non sapeva nemmeno di esserlo.

Se solo avesse potuto sfogare la sua rabbia.

“Inutile dire che non risolvereste nulla così” una voce rassegnata alle sue spalle lo costrinse a darsi un contegno.

“Se hai suggerimenti, dimmi, ti ascolto” ribatté Jareth, ben sapendo che non avrebbe ottenuto risposte.

Il giovane servo sospirò, ripulì da alcuni rametti la scura camicia che indossava e si sistemò i lunghi capelli neri in una coda ordinata dietro la testa.

“Giungo ora dai confini del regno, dalla Torre del Nord”

A quelle parole, Jareth si irrigidì già presagendo di che cosa si potesse trattare.

“Gli elfi sono giunti alla barriera e chiedono di voi”

Jareth si portò una mano guantata al volto.

Il giorno che tanto paventava era giunto.

Gli elfi governavano l’intero Underground e qualunque decisione o legge in merito ad esso veniva presa da loro.

Proprio loro avevano contribuito alla perdita dei suoi poteri.

“Andiamo a raggiungerli” ordinò.

Il servitore annuì chinando il capo ed uscì dalla stanza, recandosi al portone di ingresso del palazzo.

Jareth lo raggiunse poco dopo. Aveva bisogno di studiare un piano alla svelta, ma la cosa non era così semplice.

Vista la mancanza di tempo materiale per ideare qualcosa di strutturato decise che, per il momento, avrebbe per così dire suonato ad orecchio.

Raggiunse l’ingresso e avvertì una spiacevole sensazione di vuoto dentro di sé.

Il labirinto, un tempo vivo e pieno di insidie come piaceva a lui, era ormai ridotto ad un mucchio di brina bianca che il pallido sole non riusciva mai a sciogliere. Freddo e spettrale come era diventata pure la sua esistenza.

Al posto dell’intrico di viuzze contorte che caratterizzava la città, ora vi era un unico passaggio che portava direttamente all’ingresso del labirinto.

Al posto delle urla e degli schiamazzi dei suoi goblin ora il silenzio regnava sovrano.

Sebbene fossero passati già cinque anni, ancora non si era abituato e non intendeva farlo.

Si morse le labbra, trattenendo un grido di rabbia.

Accanto a lui, in attesa, c’era un maestoso cavallo nero, la cui criniera veniva mossa dal vento sulle cui onde sembrava danzare.

Si sistemò il mantello e montò in groppa al destriero con un agile balzo, facendo emettere all’animale un nitrito sommesso, quasi scocciato.

“Non è colpa mia se ti rifiuti di indossare la sella” ribatté Jareth, facendo sbuffare l’animale, il quale scosse la testa.

Dopo essersi assicurato che Jareth fosse ben saldo, questi partì al galoppo lungo il viale che portava all’uscita del labirinto, le cui porte si aprirono automaticamente al loro passaggio.

Una volta fuori, il destriero aumentò la sua velocità, ritrovandosi in pochi minuti oltre le colline che circondavano il labirinto.

Una landa desolata si estendeva fin dove lo sguardo giungeva.

Alberi spogli e secchi delimitavano una strada sterrata che proseguiva dritta pur, ogni tanto, dividendosi in sentieri più stretti all’interno di quella che, un tempo, era una rigogliosa foresta.

Anche se si era ripromesso di non farlo, Jareth non poté fare a meno di guardarsi attorno.

Vedeva le tane cadenti delle creature che abitarono quel luogo ormai deserto. In lontananza si poteva scorgere una radura dove, tempo addietro, crescevano fiori e piante curative; solo sterpi e rovi, ormai, regnavano sovrani.

Il fiume, che sgorgava dalle montagne dell’Est e giungeva fino al centro della radura alimentando un piccolo laghetto, si era prosciugato e le povere creature che volevano dissetarsi dovevano accontentarsi della poca linfa presente nelle cortecce.

Il suo regno, il suo popolo, stava morendo e lui era inerme davanti a tutto questo.

La sua attenzione fu richiamata da un nitrito del cavallo. Scosse la testa e guardò verso la Torre del Nord, che segnava il confine del suo regno; era sempre più cadente e sembrava che potesse crollare al primo soffio di vento.

Verso la cima mancavano persino i mattoni e si poteva vedere al suo interno la scala a chiocciola che portava alla sommità dove un tempo le sue guardie avevano vegliato sui confini protetti da un potente incantesimo elfico.

Quella barriera magica era l’unica cosa rimasta intatta e che permetteva al suo regno di restare al sicuro dalle minacce esterne.

Il destriero nitrì di nuovo, sommessamente, e Jareth si accorse solo in quel momento degli elfi che già erano lì ad aspettarlo.

“Li ho visti.” Mormorò sbuffando.

Giunti alla barriera il cavallo si fermò e fece scendere Jareth, tornando poi nella sua forma Fae e sistemandosi i capelli scompigliati.

Ad attenderli un gruppo di cinque elfi, assieme al loro re, in groppa a dei cavalli bianchi corazzati con armature argentate, archi e frecce a portata di mano.

Jareth assunse uno sguardo ed un sorriso sarcastico “Re Mihal, non ci vediamo da…cinquantadue anni?” guardò i soldati al suo fianco “Vedo che non avete ancora imparato che arco e frecce sono lievemente superati”

“E tu non hai ancora imparato a portare rispetto a chi ti è superiore?” disse il re, facendo cambiare espressione a Jareth “Non sei più re, Jareth, non siamo più alla pari”

“Mi sembra corretto” Jareth fece un inchino fin troppo evidente “A cosa devo l’onore della sua visita, caro re Mihal?”

“Non cambierai mai, Jareth” il re era serio “La tua arroganza ti porterà su una strada senza ritorno”

Jareth, che comunque non aveva alcuna intenzione di modificare il suo atteggiamento, gli lanciò uno sguardo di sfida e restò in attesa che proseguisse.

“Immagino che tu sappia perché siamo venuti qui” disse il re soprassedendo alla cosa

“E immagino che voi sappiate di già la mia risposta”

Il re era contrariato “Jareth!” Disse “ti abbiamo concesso fin troppo tempo! Il tempo per rimetterti in forza, ma ora sono costretto a ricordarti quali sono le nostre leggi!”

Jareth smorzò il suo sorriso, senza però smettere di guardarlo.

Conosceva la legge e sapeva bene che nessun regno poteva stare senza che fosse retto da un re e la sua regina.

Se fosse stato vedovo o solo sarebbe stato diverso.

Il labirinto stesso lo avrebbe riconosciuto come unico sovrano e gli elfi non sarebbero stati lì ad intimargli di andarsene.

Ma la questione, in quel momento, era diversa.

Se un sovrano si invaghiva di una donna, ed essa riusciva a tenergli testa oppure lo avesse ricambiato, il regno stesso l’avrebbe considerata quale degna sovrana.

Nella maggior parte dei casi, la futura regina si innamorava dello spasimante di sua spontanea volontà oppure lo assecondava solo per la posizione che ne sarebbe derivata. Nel suo caso specifico, le cose erano andate ben diversamente ponendolo, quindi, al di fuori della legge.

“Devi abbandonare il regno!” Proseguì re Mihal “Hai esattamente tre giorni per andartene”

Jareth si sentì sprofondare. Non voleva abbandonare il suo regno.

A suo tempo lui era giunto in quel luogo in quanto sapeva che il trono era vacante da secoli. Infatti, gli ultimi sovrani erano morti durante la grande guerra di scissione dei regni avvenuta mille anni prima.

Era stato anche lui messo alla prova come tutti gli altri pretendenti che l’avevano preceduto. Il labirinto lo aveva costretto a superare le sue insidie e, alla fine, dopo le fatidiche dodici ore era riuscito a raggiungere incolume il castello.

Instaurato il nuovo sovrano tutto era cambiato ed il regno era ritornato ad essere rigoglioso e pieno di vita. Giunto nella sala del trono, il labirinto gli aveva consegnato il medaglione del potere...lo stesso medaglione che ora gli provocava dolore ogni volta che cercava di utilizzarlo.

Per la prima volta in vita sua si era sentito vivo. Era libero e con un regno tutto suo da governare e modellare come meglio credeva.

Tutto questo accadeva cinquantadue anni prima e proprio re Mihal gli aveva concesso di prendere possesso di quel regno.

Per quanto considerasse i goblin e le altre creature come feccia dell’Underground si sentiva comunque responsabile della loro esistenza.

Ancora oggi teneva al suo popolo ed in particolare al suo servitore, che da cinque anni lo sosteneva fedelmente in tutto e per tutto.

Non era fatto di pietra.

Non li avrebbe abbandonati anche se questo avrebbe comportato enormi difficoltà.

No, non si sarebbe lasciato sopraffare.

“Non prendo ordini da chi crea leggi da cui si esime” azzardò Jareth sapendo di poterselo permettere “Dove si trova la vostra regina, re Mihal? Non la reclama il vostro regno?”

Re Mihal, colpito sul vivo, scese d’istinto da cavallo e si avvicinò a lui minaccioso, ma la barriera di energia, che comunque continuava a proteggere il regno e chi vi risiedeva, resistette e costrinse il re degli elfi a debita distanza.

“Come vedi la barriera ancora resiste e riconosce di avere un sovrano” disse Jareth allargando le braccia.

“Bada a te, Jareth!” disse a denti stretti il re “Sono stato fin troppo tollerante nei tuoi confronti, questo tuo atteggiamento non è accettabile”

“Da che pulpito…” commentò Jareth sarcastico.

“Potrei dichiararti guerra e tu lo sai!”

“Minacce molto forti” ribatté Jareth “Ma so farle anche io, se voglio” fece due passi avanti, ritrovandosi improvvisamente archi e frecce puntati addosso.

Re Mihal fermò i suoi uomini e lasciò che Jareth si avvicinasse un poco. Per qualche istante si fronteggiarono a muso duro separati solo dall’invisibile ed inviolabile barriera. Poi, improvvisamente, come solo lui sapeva fare, Jareth sollevò un sopracciglio e, pacatamente, disse “Lasciamo perdere. Mi impegno entro tre giorni a sposare la regina che il labirinto reclama. Sposerò l’umana che mi ha ridotto in questo stato. Mi siete testimoni tutti che se non dovessi riuscire nel mio intento siete liberi di dichiararmi tutte le guerre che volete, perché, comunque, io da qui non mi muovo!”

Detto questo, prima che re Mihal potesse ribattere alcunché, si voltò e si ridiresse verso il suo servitore che lo attendeva poco più in là. Fatti pochi passi, improvvisamente, tornò a voltarsi verso la barriera e dichiarò “Al contrario, se dovessi riuscire a convincerla, le leggi che valgono per me dovranno valere anche per voi. Vedremo se il vostro regno sarà ancora così splendido dopo che avrà reclamato una regina che non siete in grado di dargli”

Re Mihal sgranò gli occhi “N-non oserai…”

“Oh, sì che oserò” sorrise Jareth, sapendo di averlo per ora in pugno “ho la fortuna di avere anche sangue elfico nelle mie vene e quindi posso proporre ed imporre le mie scelte, se mi va” spiegò “Sei solo fortunato che non sono interessato al tuo regno”

“Sai cosa significa questa tua minaccia?” replicò re Mihal cercando di riprendere un poco il controllo.

“Oh sì, significa morte certa se non riesco ad adempiere al mio dovere” rispose “Ma se, al contrario, ci riesco pregusto già la soddisfazione di vedere il tuo regno cadere nell’oblio”

Re Mihal avrebbe voluto ribattere qualcosa di valido ma, purtroppo, al momento non era in grado di pensare a nulla più che delle imprecazioni ovviamente non consone alla sua posizione.

“Non finisce qui!” riuscì, alla fine, a dire il re, risalendo a cavallo “Ci rivedremo presto” concluse, facendo voltare il destriero e partendo al galoppo seguito dai suoi accompagnatori.

Jareth lo osservò sparire dietro la collina rigogliosa delle terre di Elnar, governate dagli elfi.

“Lo vedremo, lo vedremo.” Rimase immobile a fissare il vuoto, rendendosi conto solo ora di quanto in là si fosse spinto.

Si morse le labbra. Ormai si era auto condannato e l’unico modo per uscirne era adempiere a quanto promesso.

Un semplice Fae non avrebbe avuto tutto quel potere decisionale e sarebbe stato cacciato subito senza troppi problemi; ma lui aveva metà sangue elfico e questo gli dava determinati privilegi.

Doveva andare nell’Aboveground e riprendere Sarah Williams alla svelta.

Ma come? Non aveva più poteri e non poteva nemmeno trasformarsi. Come sarebbe andato lassù?

Sospirò e realizzò che questo compito poteva eseguirlo solo una persona al suo posto.

“Kal!” Disse rivolto al suo fedele servitore, che era rimasto in disparte fino a quel momento “Ho un favore da chiederti”

  
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