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Autore: KiaeAlterEgo    24/03/2021    1 recensioni
Dallo scontento per l’adattamento de “Lo Hobbit” a Thorin e Thranduil che finiscono in una ricerca imbarazzante dei propri vestiti, il passo è più breve di quanto ci si potrebbe aspettare.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thorin Scudodiquercia, Thranduil, Valar
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IV. Mary

 

Thorin non si ricordava del perché fosse stato contrario a Mary nella compagnia per riprendersi Erebor. Come aveva anche solo pensato che lei non fosse adeguata?

Era perfetta: dai folti capelli color del grano al tramonto nella sedicesima giornata d’estate, mossi in armoniose onde fluenti, alla pelle così chiara da sembrare il marmo più puro e bianco. Le sue ciglia erano lunghe, folte e deliziosamente arricciate e velavano uno splendido paio di occhi color smeraldo screziato da venature dell’oro più puro. Le sue labbra erano di un naturale rosso rubino, la boccuccia piccola, e le orecchie, leggermente appuntite a indicare la sua misteriosa discendenza, non stonavano affatto su quel visino incantevole. 

Il suo, poi, era il corpo di donna eccezionale: le curve nei punti giusti, le gambe lunghe e affusolate nonostante fosse alta quanto lui, e due seni perfetti, tondi e morbidi. 

Ma non era solo il suo aspetto ad essere perfetto: era silenziosa come un’ombra, scaltra e coraggiosa, abile a maneggiare la spada e l’arco, e saggia più di quel vecchio Stregone Grigio.

Per questi motivi lei gli aveva rubato il cuore e Thorin la stava portando in una delle sale più preziose e ricche di Erebor: la Sala del Re.

La sua manina delicata e morbida era così piccola in confronto alle sue mani da Nano, grosse e rozze. Avrebbe accettato le sue carezze, i suoi baci ruvidi di barba? Il cuore di Thorin batteva così forte che era impossibile che lei non lo sentisse. 

Mary gli sorrise, i denti bianchi e perfetti come perle, e gli strinse la mano, come se conoscesse i suoi dubbi e cercasse di dargli conforto.

«Oh, Mary Sue» sospirò lui e l’attirò tra le sue braccia, stringendo a sé quel corpo morbido e perfetto.

La baciò sulla fronte, la baciò sulle guance, osò baciarla pure sulla bocca e ad ogni sospiro, ad ogni gemito, il suo sangue ribolliva e nel suo corpo montava il desiderio per lei.

«Vieni» le sussurrò sulle labbra e lei lo guardò con quegli occhi di smeraldo screziati d’oro, luminosi come mai nemmeno l’Archengemma era stata, e il suo cuore si riempì d’orgoglio, perché lei amava solo lui.

Aprì la porta delle stanze del re e la condusse sul letto, morbido di lenzuola di seta rossa.

Lenzuola di seta rossa?

Thorin batté le palpebre. Perché il letto era intatto, come se fosse stato rifatto da poco, fresco e per nulla polveroso?

«Oh, Thorin, che cosa ti preoccupa?»

La sua voce soave lo riscosse e una delicata carezza sulla guancia lo riportò alla realtà. Si chinò su di lei, ricoprendola di baci.

In fondo, che importava se il letto non era polveroso? Che importava della seta rossa?

Le labbra di Mary lo distrassero ancora, le sue mani scivolarono tra i capelli e la sua presa fiera era forte attorno alla testa. Thorin le allentò la veste, rivelando quegli splendidi seni tondi e morbidi, e vi affondò il viso.

Il tepore e la morbidezza della pelle erano così perfetti che si commosse e la baciò ancora, sul petto, colse quei boccioli tra le labbra, godendo di ogni suo sospiro. Così la spogliò, mentre la ricopriva di baci, e fu nudo anche lui, un orso peloso in confronto alla perfezione e all’assenza di peli del corpo di lei.

No, un momento. 

A lui piacevano pelose. 

Belle Nane pelose, dai culetti vellutati di peli e guance con barbe intrecciate. E un discreto cespuglio là dove Mahal aveva celato il loro tesoro.

«Oh, Thorin». Mary si coprì i seni con un braccio e mise una mano per coprire l’assenza di peli tra le gambe. «Vai piano. È la mia prima volta». 

Sbatté le lunghe ciglia e spinse in fuori le labbra nel formare un delizioso piccolo broncio.

Thorin scosse la testa e abbassò lo sguardo. Era nudo, il suo desiderio evidente, eppure…

Il tondo sedere bianco e perfetto di Mary lo stava distraendo. Thorin allungò una mano per afferrarlo, ma si ricordò di un altro fondoschiena, bianco e disgustosamente perfetto e disgustosamente elfico.

Le prove.

La maledizione, per la barba di Mahal!

Thorin tirò un pugno a quel materasso morbido rivestito di seta rossa e Mary saltò via con un urlo impaurito.

«Che ti prende, Nanerottolo del mio cuor?».

Thorin scosse la testa, doveva schiarirsi le idee. Non poteva esserci nessun materasso rivestito di seta rossa, non dovevano esserci lenzuola di seta rossa nella sua stanza, non c’erano mai state! Ed era impossibile che quell’avido Drago si fosse messo ad arredare una stanza.

Thorin si tirò una manata sulla fronte. Eppure Mary era lì, in piedi sul pavimento di pietra, nuda e perfetta, con i lunghi capelli boccolosi che nascondevano i seni e le braccia a coprire come poteva il corpo nudo.

Non era una illusione?

Thorin si pizzicò un braccio, con l’unico risultato di grugnire per il fastidio. Raccolse le mutande e i pantaloni. Non c’era altro! 

Certo che non c'era altro. Era ancora sotto l’effetto di quell’assurda maledizione!

Ma come ne usciva, per Mahal?

E dov’era quello spocchioso Elfo?

Lo sguardo di Mary si rabbuiò nel vedere che si stava rivestendo.

«Dov’è Re Thranduil?» chiese lui con tono brusco.

«Non mi hai portato qui per farmi tua?» 

Thorin la fissò con gli occhi sgranati.

La sua voce non aveva il solito tono soave, dolce e musicale; quello era un suono stridulo degno di un rapace. Che era successo? 

Forse si era offesa perché si stava allontanando da lei?

Sospirò, avrebbe potuto almeno spiegarle le sue azioni brusche. Si tirò su i pantaloni e si avvicinò a lei, per poi prenderle una mano e accarezzarne il dorso.

«Mary, devo trovare prima quell’inutile Re di Bosco Marcio, devo sciogliere una maledizione».

Ma lei liberò la mano come se l'avesse scottata e raccolse i vestiti. Si lanciò fuori dalla stanza, piangendo e ululando: «Noooooooooo! Non mi vuoleeeeeee!»

Thorin rimase fermo, in piedi in mezzo alla stanza, i pantaloni slacciati e la porta spalancata.

E ora?

Thorin si guardò attorno, chiudendosi i pantaloni. Quella non era la vera Sala del Re.

A parte il letto con le lenzuola di seta, c’era una cassettiera di legno con uno specchio troppo alto per un Nano. E cos’era quel mattone nella parete lì accanto?

Si avvicinò e lo premette. 

Che idioti. 

Un mattone in una stanza scavata nella roccia?

Una porta si aprì alla sua destra e Thorin imboccò il corridoio illuminato da torce.

 

***

 

«Perdonami, Mary Sue. Sei libera».

Thranduil prese la veste dalla sedia e la poggiò sulle spalle martoriate di Mary, prima di cingerla tra le braccia. Come aveva potuto gettare quella creatura ferita nelle sue celle? Come aveva potuto sospettare che fosse in combutta con quei Nani? 

Lei poggiò la testa sulla sua spalla e si strinse a lui, il suo corpo così perfetto contro il proprio che quella parte del suo cuore, fredda da secoli a causa della solitudine, si risvegliò. 

Thranduil passò le dita tra i lunghi capelli di Mary. Erano lisci, lucenti e del colore delle onde del mare ed erano così morbidi e perfetti. Però, che strano che fossero così puliti e profumati, dopo tutto quello che lei aveva passato in quei giorni: costretta con la forza a seguire quei Nani, imprigionata e seviziata da Goblin e Orchi, assalita dai ragni nella foresta.

Lei sollevò la testa e sgranò gli splendidi occhi color ametista, mentre con le dita gli stringeva le braccia nude.

«Sono davvero libera di andare?» mormorò lei, con quegli occhi così grandi da potervi annegare dentro.

Thranduil le sorrise, rassicurante.

«Puoi andare dove vuoi, Mary Sue».

Lo sguardo di Mary percorse la sua figura e la sua mano gli sfiorò il torace nudo, con una leggera carezza. Le guance della ragazza si tinsero di rosso e lei si strinse meglio nella sua veste.

«Voglio andare ovunque tu sarai» sussurrò lei.

Uno strano brivido scivolò lungo la schiena di Thranduil.

«Chiamerò una guardia» disse lui allora, con un sussurro e una carezza tra i capelli, «perché ti conduca nelle mie stanze, così che tu possa rilassarti. Potrai chiedere di fare un bagno, se ciò ti è di aiuto».

«E tu?» Nella sua voce c’era una vena di delusione.

«Io, mia cara Mary, devo risolvere alcuni affari che mi terranno occupato fino a stasera, quando tu diverrai regina del mio cuore» le disse e sorrise. 

Sembrò bastare perché lo sguardo di Mary diventasse brillante e i suoi occhi si riempissero di lacrime di gioia. Lo abbracciò, una stretta forte per qualcuno così indebolito dalla prigionia. 

«Grazie!»

Thranduil si allontanò da Mary a malincuore, affidandola alle cure dei suoi servitori, e si diresse nella sala del trono, il pensiero di dover passare un intero pomeriggio già insopportabile. 

E infatti mai un pomeriggio gli sembrò così lungo.

Mary era nelle sue stanze e lui era costretto lì, sul trono, ad ascoltare rapporti, giudicare, regnare.

A torso nudo.

E senza corona.

Com’era possibile? E quel rompiscatole di Galion non glielo aveva fatto notare? Thranduil si passò una mano tra i capelli.

La corona…

Tamburellò sul bracciolo del suo trono. Almeno qualcosa di positivo c’era. Mary lo stava aspettando nelle sue stanze e quella notte…

La corona.

Un momento. 

Ma Mary non era stata violentata e non aveva subito torture? Perché era stata così a suo agio quando l’aveva presa tra le braccia, nonostante fosse lui quello che l’aveva buttata in cella? Perché era così contenta della prospettiva di vedersi quella sera? 

E dove era finita la maledetta corona?

Thranduil afferrò entrambi i braccioli e si alzò in piedi. Scese dal trono, ignorando la faccia scocciata di Galion e delle guardie, per poi marciare verso le sue stanze.

La sua corona era al suo posto, sul tavolo. Già, ma perché era lì e non sulla sua testa? 

Proprio in quel momento Mary uscì da una porta laterale, vestita solo dei suoi lunghissimi capelli.

Il bagno aveva fatto meraviglie al suo aspetto e, se possibile, era ancora più bella e perfetta. Sembrava vestita dell’abito più prezioso al mondo, intessuto di luce e di stelle, con quei capelli color del mare che scivolavano morbidi e setosi sulle spalle.

Thranduil prese la corona e, nel sollevarla, si soffermò a guardare Mary attraverso i rami intrecciati. Sarebbe stata certo meglio addosso a lei, la regina del suo cuore. Si incamminò verso Mary, che lo fissava, sorpresa.

«Che succede?»

«Non ricordi?», sollevò la corona. «Voglio che tu sia al più presto la regina».

Mary si portò le mani alla bocca, lo sguardo che passava dalla la corona, a lui, poi di nuovo alla corona. 

Thranduil le sorrise e raddrizzò la schiena.

«Oh, Thranduil, io...»

Lui le sorrise.

«Tranquilla, Mary. Non c’è alcun motivo di correre, per l’aspetto fisico del nostro rapporto. Sono un Elfo, ricordalo, e posso aspettare quando sarai pronta».

A quelle parole le sue guance si tinsero di rosso, prima che lei riuscisse a nasconderle con le mani.

«Thranduil, sono così in imbarazzo! Ma se sei tu… Non ci saranno problemi!»

Lui sbatté le palpebre sorpreso, stringendo la corona tra le dita. Non riusciva a togliersi dalla testa quanto quel comportamento fosse sospetto. 

Mary lo guardava con i suoi grandi occhi color ametista.

Non c’era nessuno, a parte loro due, nella stanza.

Mary si chinò in avanti. Era solo un gesto simbolico, eppure sembrava così importante. Le dita di Thranduil ebbero un tremito. C’era qualcosa di sbagliato. 

Perché non l’aveva indossata per tutto quel tempo? 

Perché non indossava alcuna veste, ma solo i pantaloni?

Abbassò gli occhi su Mary che gli restituì uno sguardo stranito.

«Thrandy, tutto bene?»

«Niente Mary». Thranduil posò la corona sul tavolo. «Pensavo solo che la tua incoronazione potrebbe essere celebrata in modo più ufficiale. Il mio popolo dovrà conoscere la sua nuova regina». 

Non gli venne in mente null’altro per giustificarsi con lei. Ma aveva senso, stava correndo troppo, anche per gli standard di un Uomo.

Mary annuì con un sorriso, il ritratto della comprensione. «Ma certo, mio re». 

Poi abbassò lo sguardo e si portò le mani sul petto, il suo viso di nuovo rosso. 

«Oh! Che imbarazzo! Ma sono nuda!»

Thranduil però tornò a guardare la corona. Perché l’aveva posata anziché indossarla? 

Perché?

La maledizione.

Si voltò verso Mary con gli occhi stretti: sul suo corpo nudo, non c’era nessuna cicatrice visibile, né segni di tutto quello che aveva raccontato.

Sospetto, molto sospetto.

Tuttavia le prese le mani tra le sue.

«Mary, permettimi di andare ad organizzare i dettagli della cerimonia. Ti manderò un sarto, perché tu possa scegliere dei vestiti di tuo gradimento» le disse e le baciò le nocche.

Senza lasciarle il tempo di ribattere, uscì dalla stanza a passo svelto, e si affrettò attraverso le sale del suo palazzo. 

L’assenza di passi che lo seguivano o la voce di Mary che lo chiamava gli fecero tirare un sospiro di sollievo.

Non solo c’era qualcosa che lo spingeva ad azioni avventate e credere alle parole di Mary contro ogni evidenza, ma anche una strana ragazza dai capelli così… No, non erano perfetti. Erano impossibili e innaturali e c’era qualcosa che glieli faceva trovare così… attraenti. Storse la bocca.

Dov’era Galion? Doveva cominciare i preparativi per la cerim–

No. 

Aveva bisogno di un bicchiere di vino. Magari due. 

E non aveva intenzione di restare nei paraggi di Mary un attimo di più. 

Si diresse verso le cantine.

Ma lì non trovò Galion. E a pensarci bene, non c’erano state nemmeno le guardie lungo i corridoi. 

Thranduil avanzò tra le file sfiorando il legno delle botti. Quelle per fortuna erano sempre lì, un qualcosa di rassicurante in quella situazione. Prese una coppa e si versò del vino, gustandone il sapore inebriante a occhi chiusi. 

Con uno sferragliare una botola si aprì ai suoi piedi per mostrargli una scala. 

Non si ricordava dell’esistenza di un meccanismo del genere nelle cantine. Forse era l’uscita da quella situazione? 

Thranduil svuotò il bicchiere in un sorso e prese le scale.

 



Angolo dell’autrice

Morga: Che succede? – Kan

È proprio la reazione adatta.

Thorin e Thranduil... con delle Mary Sue! Era una prova?

E se è così, l’avranno passata, ‘sta prova?

kiaealterego

  
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