Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    29/03/2021    1 recensioni
[Fanfic partecipante alla 4seasons challenge indetta dal gruppo fb Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart]
Era bello condividere quei momenti con i nakama, era dolce Ryo che gli faceva capire, con semplici sguardi e piccoli gesti, quanto teneva a lui.
C’erano alcuni momenti in cui doveva fermarsi così, come per riprendere fiato, a causa dell’incredulità, perché in quei momenti si rendeva conto che il suo sogno si era avverato e lo coglieva la paura di vederlo infrangersi senza speranza.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Ryo Sanada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fanfic partecipante alla 4seasons challenge indetta dal gruppo fb Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart
 
 
Cartella inverno
  1. Personaggio A soccorre personaggio B al parco
13. Bianco
18. Il frigo era vuoto
26. Non andare da solo
28. In inverno il tempo sembra non passare mai
29. Una casa accogliente
 
Prompt: Cartella Inverno. 1: Personaggio A soccorre personaggio B al parco. 13: Bianco. 18: Il frigo era vuoto. 26: Non andare da solo. 28: In inverno il tempo sembra non passare mai. 29: Una casa accogliente
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Titolo: Accudirsi e proteggersi
Personaggi: Shin, Ryo e Shu
Autrice: PerseoeAndromeda – HeatherChan
Rating: verde
Genere: Hurt/comfort, sentimentale, slice of life, fluff (sì, per una volta niente angst, almeno mi sembra XD Shin si fa meno pare mentali del solito XD)
Avvertimenti: Accenni all’OT5
 
 
ACCUDIRSI E PROTEGGERSI
 
 
Shin notò l’espressione di Ryo e sorrise.
Il guerriero del fuoco era inginocchiato sul divano, le braccia incrociate sullo schienale e lo sguardo perso fuori dalla finestra. Accanto a lui giaceva il libro di scienze, tristemente abbandonato al suo destino.
Shin gli si avvicinò, sfiorò una delle sue ciocche scomposte color della tenebra e quel tocco suscitò un sospiro che al ragazzo di Hagi sembrò quasi melodrammatico.
«Quando fuori c’è la neve, i tuoi monti ti mancano ancora di più, vero?».
Ryo appoggiò il mento sulle braccia intrecciate, non ricambiò lo sguardo, ma rispose, pensieroso:
«Mi manchereste di più voi».
Shin assunse un’espressione commossa, si sedette vicino a lui, poi passò il dito indice sul suo profilo, scendendo a solleticargli il mento.
Finì così per strappargli una risatina.
«Finalmente… vederti malinconico è insopportabile».
Ryo si strinse nelle spalle, continuò a sorridere, ma i suoi occhi assunsero una patina seriosa che raramente gli apparteneva:
«In inverno diventiamo tutti più malinconici, per un motivo o per l’altro». Poi si voltò a cercare il suo sguardo, i loro occhi si specchiarono e, come sempre accadeva, Shin ebbe un brivido, mentre i lineamenti di Ryo si scioglievano in un moto di tenerezza.
«Però, almeno» continuò «adesso siamo insieme, no? E tutte le stagioni sono belle se siamo insieme».
Shin arrossì, il suo sorriso si fece ancora più dolce e a propria volta portò la propria attenzione al di là dei vetri con la loro cornice bianca.
«Guardare la neve insieme a voi… è bello».
Ryo si perse a contemplare ogni dettaglio del suo viso.
«Dolce Shin…» mormorò e gli strappò un altro brivido sfiorandogli il viso con una carezza.
Il guerriero dell’acqua si scostò, ben sapendo come sarebbe finita se si fossero attardati ancora lì, uno vicino all’altro, a coccolarsi sul divano e c’erano delle priorità da rispettare.
«Dai, torna ai tuoi studi o questo test non lo passerai mai. Sei fermo sulla stessa pagina da ore».
«E tu come lo sai? Mi sorvegli?» si finse scandalizzato Ryo.
«Se non vi sorvegliassi io, come fareste a cavarvela da soli?».
Con la sua aria da mammina premurosa e indaffarata che strappò a Ryo un ghignetto, Shin saltò giù dal divano ma, prima di allontanarsi, allungò una mano tra i capelli di Rekka e li arruffò:
«Credo che questa chioma oggi non abbia ancora visto un pettine».
Ryo protestò senza smettere del tutto di ridere, poi si mise a piagnucolare:
«Mi lasci solo?».
«Tu devi studiare senza distrazioni, io devo pensare a cosa dare per cena ai miei cuccioli affamati».
«I tuoi… cuccioli…» borbottò Ryo. «Saremmo noi?».
«E chi sennò? Scommetto che tra poco vedremo scendere Shu e Touma che cominceranno a frignare perché hanno fame».
«Non sono neanche le sei del pomeriggio, hanno fatto merenda un’ora fa!».
Ryo era perplesso.
Shin… la mammina che si lamentava per le intemperanze dei suoi coinquilini e poi era il primo a viziarli anche quando non gli chiedevano nulla.
«Preferisco portarmi avanti. Poi ho promesso a Seiji di preparargli qualcosa con la zucca».
Ryo scosse il capo senza smettere di sorridere e continuò a farlo anche dopo che il fusuma si fu chiuso alle spalle di Shin: da quel momento la cucina sarebbe diventata zona off-limit per ogni abitante della casa.
Ryo scambiò uno sguardo d’intesa con Byakuen: la tigre, accoccolata ai suoi piedi, sembrava ricambiare e condividere la sua espressione divertita.
Poi Rekka sbuffò e si rassegnò a riportare l’attenzione su quella maledetta pagina di scienze.
«La verità è che in inverno il tempo sembra non passare mai» mugugnò «e le pagine da studiare danno l’impressione di essere ancora più lunghe».
 
***
 
Quando si ritrovò solo, dietro la porta chiusa, Shin rimase immobile per qualche istante, il cuore che batteva forte. Si portò istintivamente le mani al petto, il suo cuore era delicato, ma in quel momento, nonostante quelle pulsazioni eccessive, lui si sentiva bene, era come se i suoi piedi galleggiassero a qualche centimetro al di sopra del pavimento.
Era bello condividere quei momenti con i nakama, era dolce Ryo che gli faceva capire, con semplici sguardi e piccoli gesti, quanto teneva a lui.
C’erano alcuni momenti in cui doveva fermarsi così, come per riprendere fiato, a causa dell’incredulità, perché in quei momenti si rendeva conto che il suo sogno si era avverato e lo coglieva la paura di vederlo infrangersi senza speranza.
Scosse il capo, si sforzò di continuare a sorridere e si mise a canticchiare il motivetto di uno degli enka che piacevano tanto a Touma: non aveva nessuna intenzione di lasciare che la sua instabilità emotiva rovinasse un istante così…
Perfetto?
Perché negarlo?
I momenti perfetti esistevano, soprattutto dopo che avevano compreso di poter vivere tutti insieme, per sempre, senza paura, perché qualunque cosa fosse accaduta il loro legame li avrebbe protetti.
“Pensiamo alla cena” si impose Shin e si diresse verso il frigo, rimuginando tra sé su cosa avrebbe potuto preparare per far contenti tutti in casa.
Quando guardò dentro, però, sul suo viso comparve una smorfia di disappunto e si rese conto che, anche se ci metteva tutto il suo impegno, proprio tutto perfetto non poteva esserlo mai.
Il frigo era vuoto…
O, per lo meno, vuoto secondo i canoni di un branco di coinquilini dai gusti diversi e variegati, accuditi da un cuoco desideroso di non scontentare nessuno.
Per lui era assolutamente necessario non scontentare nessuno.
Sospirò, chiuse il frigo e si adeguò a quella che riteneva l’unica soluzione possibile.
 
***
 
«Dovrei rassegnarmi» brontolò Ryo.
Non solo la pagina, ma anche la prima frase faticava ad assumere un senso compiuto alle sue percezioni.
«In momenti come questo mi sento davvero stupido».
Byakuen gorgogliò e strofinò il muso contro il suo polpaccio, con l’intento di consolarlo e dimostrargli la sua solidarietà. Poi si riaccomodò nella posizione precedente, il muso a coprire i piedi del suo cucciolo prediletto.
Ryo fece una smorfia, ringraziando che quel giorno Touma preferisse starsene chiuso nella sua stanza a poltrire, anziché ronzargli intorno, facendogli mille prediche perché concetti tanto semplici non gli entravano in testa. Facile parlare per un genio da 250 QI, che forse quelle cose le sapeva già, per chissà quale scienza infusa, fin da quando si trovava nella pancia della mamma.
Il fusuma si aprì nuovamente e Ryo fu ben felice di avere una scusa per sollevare di nuovo lo sguardo da quel maledetto testo di scienze e concentrarsi su qualcosa che per lui era decisamente più interessante, anche se non avrebbe creduto che la gradita silhouette di Shin facesse di nuovo capolino così presto dalla sua amata cucina.
«Deciso cosa preparare?».
Anziché rispondere, Shin si diresse con passo sicuro verso la porta d’ingresso e afferrò il cappotto.
«Shin?».
«Allarme frigo vuoto» sentenziò l’interpellato, come se non ci fosse bisogno di spiegare altro.
«E… allora? Cosa vuoi fare?».
Shin lo guardò senza mascherare la propria perplessità, mentre le sue dita erano impegnate ad infilare i bottoni nelle asole.
Quando ebbe finito prese la sciarpa e rispose, mentre se la avvolgeva intorno al collo:
«Vado a fare la spesa».
«Ma non ce n’è bisogno, mangeremo qualcosa a caso, non moriremo di fame».
«Sia mai che vi dia da mangiare qualcosa a caso!».
Già… la fine del mondo. Ryo aveva dimenticato con chi aveva a che fare.
«Ma… nevica!».
«Cappotto, sciarpa, guanti e passa la paura. Hai mai pensato che non solo a te piace camminare sotto la neve? E non credo che attraversare il parco di Ueno per raggiungere un negozio di alimentari sia più pericoloso che passeggiare per i boschi dei monti di Yamanashi quando c’è una tempesta».
«Ma…».
Shin bloccò la nuova protesta premendo il dito indice sulle labbra del nakama.
«E lo so che lo hai fatto, più di una volta, ci hai raccontato tu stesso quanto ti piacesse».
Ryo fece un passo indietro per sottrarsi a quel tocco monello.
«È… diverso…» borbottò, abbassando il viso intriso di imbarazzo.
«L’unica cosa diversa è che tu rinchiuderesti noi in una gabbia dorata se potessi».
«Ma no…» cercò di difendersi Ryo.
«Soprattutto me» sospirò Shin e il guerriero del fuoco si morse nervosamente il labbro inferiore.
La verità era che non sapeva come obiettare, Shin lo conosceva alla perfezione e il timore di mancargli di rispetto non lo abbandonava mai del tutto.
Ryo era consapevole di essere diventato sempre più morboso con i nakama e, da quando gli sembrava che la fragilità emotiva di Shin andasse accrescendosi di giorno in giorno, aveva persino paura di saperlo in giro da solo, per quanto assurdo potesse sembrare nei confronti di un samurai pronto a dare costantemente la vita in battaglia.
E Ryo pregava ardentemente che non dovesse più accadere… era la sua paura più acuta, concreta come la consapevolezza che, prima o poi, sarebbe probabilmente accaduto.
Però lui era Ryo e non si arrendeva così facilmente.
«Posso andare io».
Shin, che era passato ai guanti, si bloccò di nuovo e il guerriero del fuoco si sentì in colpa per quel broncio che vide comparire tra le sue labbra e il nasino all’insù:
«Dove puoi andare tu da solo posso andarci anch’io… credimi».
«Scusa» borbottò Ryo, rintanando la testa tra le spalle, contrito.
Ma tornò subito all’attacco:
«E se ti accompagnassi?».
Gli occhi di Shin si levarono al cielo e represse a stento uno sbuffo:
«Io esigo che tu impari quella pagina per quando sarò tornato, altro che accompagnarmi» e accentuò l’imposizione con un dito puntato contro il petto di Rekka e l’espressione di chi assumeva il comando senza possibilità di replica.
Le guance di Ryo si gonfiarono poi, però, sulle sue labbra comparve un ghignetto che prometteva una dolce vendetta:
«Facciamo che io imparo questa pagina e te la ripeto. Ma se la ripeto bene, mi riempi di baci».
Le guance di Shin si imporporarono, Ryo conosceva bene i mezzi per fargli perdere tutta la parlantina.
Distolse lo sguardo, finì di infilarsi i guanti e mormorò un “baka” mentre sembrava molto interessato a controllare i soldi nel portafoglio… tanto per far finta di nulla.
«Allora vado, mezzoretta e sono a casa».
Aveva già la mano sulla maniglia che la voce di Ryo lo raggiunse ancora:
«D’accordo, io non posso…».
Sollevò le sopracciglia, sentendo un fremito corrergli lungo la schiena: davvero non era finita?
«Ma magari Shu, Touma o Seiji… loro forse non sono impegnati e… neanche loro avrebbero voglia di lasciarti andare da solo».
Non era proprio possibile, da quando erano arrivati a quei punti?
Cercò di essere molto paziente mentre rispondeva:
«Shu e Seiji stanno studiando, esattamente come te, Touma ha una scadenza da rispettare e non ho nessuna intenzione di distoglierli dai loro impegni per una stupidaggine che posso fare tranquillamente io senza disturbare nessuno».
«Ma lo sai che non li disturberesti e…».
Ryo non se l’aspettava proprio, si vide il viso di Shin d’un tratto vicinissimo e, l’attimo dopo, le loro labbra incollate.
«Studia!» ribadì poi Shin e prevenne ogni altra incursione di Ryo scomparendo oltre la porta con una tale velocità che il guerriero del fuoco si chiese una volta di più se non avesse davvero un organismo da pesciolino sotto quelle sembianze di bellissimo essere umano.
 
***
 
La mezzora che aveva promesso a Ryo si era dilatata: non avrebbe mai immaginato, con un tempo simile, di trovare tanta gente in giro a fare la spesa, senza contare che aveva scoperto di dover comprare molte più cose di quanto pensasse.
Girando per gli scaffali gli venivano in mente possibili piatti e leccornie da presentare ai nakama. Risultato, si era ritrovato, dopo aver fatto una lunga fila alla cassa, ad uscire dal negozio con tre sacchetti colmi e decisamente pesanti.
In parte era pentito di non aver accettato la proposta di Ryo: l’aiuto di un paio di braccia in più avrebbe fatto comodo.
“Maledizione a me e al mio dannato orgoglio!” pensò, mentre uno sbuffo sfuggiva alle sue labbra.
Inoltre, rabbrividiva per il freddo.
I fiocchi di neve si erano fatti più grandi e l’oscurità era fitta, a parte qualche lampione a indicare la via.
In inverno il buio giungeva prestissimo, ma doveva essere comunque piuttosto tardi: non sarebbe arrivato a casa in tempo per preparare la ricca cena che si era prefissato e aveva promesso a Seiji il riso con la zucca… e la zucca era ancora da tagliare e pulire, per non parlare del riso da cuocere.
Poi c’era l’okonomiyaki promesso a Touma.
“Io e le mie promesse…”.
E la sua capacità di inguaiarsi da solo, perché in realtà nessuno pretendeva nulla: i nakama, anzi, lo supplicavano spesso di imparare a rilassarsi.
Ma comportarsi in quel modo era il senso che lui dava alla vita, accudire quei quattro ragazzi era il suo sogno avverato. Non sarebbe stato felice se non avesse fatto così.
Sorrise.
Se avesse tagliato per il parco e fosse passato vicino al tempio avrebbe accorciato la strada almeno un pochino.
Distribuì meglio che poté i pesi fra le due braccia e accelerò il passo.
Il parco di Ueno era stranamente silenzioso, il candore della neve avvolgeva ogni cosa e ovattava i suoni. Quel luogo, pittoresco in ogni stagione, assumeva connotati incantevoli sotto quella coltre bianca e il cuore di Shin era colmo di tutto ciò che amava: erano insieme… tutti insieme, loro cinque e Byakuen, avevano la fortuna di abitare in una zona di Tokyo accogliente e circondata di bellezza.
I sacchetti pesavano, ma lui aumentò ancora la propria velocità: era impaziente di raggiungere la sua casa, le sue quattro mura accoglienti, di ritrovarsi circondato da tanto amore e di rendere felici gli abitanti di quella calda dimora con le sue piccole attenzioni.
Non chiedeva altro alla vita, non aveva bisogno di altro.
Passò in mezzo alle lanterne di pietra che introducevano alla scalinata nei pressi del tempio e la sua mente continuava a sognare e a fantasticare, anticipando momenti che sarebbero stati reali di lì a poco.
Quando la sua testolina si perdeva così, tra le nuvole, anche una persona pratica come lui finiva per distrarsi: quella era una scalinata già ripida, che la neve avrebbe reso ancor più subdola.
Così non rallentò il passo, non applicò alcuna cautela, troppo concentrato sui suoi sogni ad occhi aperti, concentrato sui nakama riuniti intorno al kotatsu mentre lui riempiva i loro piatti delle delizie che aveva preparato per ciascuno di loro.
E poi sarebbero stati sguardi affettuosi, baci e una serata tutta per loro.
E così accadde.
Un attimo prima stava scendendo con sicurezza e una certa dose di fretta le scale, l’attimo dopo il piede sdrucciolò sulla neve e lui venne catturato dal vuoto.
Gli sfuggì un urlo mentre finì di scendere le scale con la schiena e si fermò solo in fondo, gli occhi serrati, una smorfia di dolore e sorpresa sul volto e i pugni, chissà come, ancora stretti intorno ai sacchetti.
Quando riaprì gli occhi si diede dello stupido da solo, la prima cosa che riuscì a fare, insultarsi: ma davvero, mentre cadeva, la prima cosa cui aveva pensato era tenere saldamente la spesa per non rischiare di perderla?
“Se i miei nakama mi prendessero a male parole darei loro assolutamente ragione”.
Aprì gli occhi, la neve che fioccava intensa lo accecò, si mosse, per rimettersi quanto meno in posizione seduta e dentro di sé ringraziò che nessun passante avesse assistito a quello spettacolo pietoso.
Era dolorante, ma le proprie condizioni non lo preoccuparono più di tanto finché, una volta sollevatosi, non provò a muovere la gamba destra: a quel punto la caviglia gli lanciò un segnale inequivocabile.
Quasi urlò di nuovo per la fitta che gli attraversò tutte le terminazioni nervose.
«No», mugugnò poi, in un gemito. «Non è vero, non può essere vero».
Non fu più così felice che in giro non ci fosse nessuno.
Poteva solo sperare che la situazione non fosse tanto grave da tenerlo bloccato lì.
Si guardò intorno.
La caduta lo aveva portato proprio alla fine delle scale e il tori che annunciava il vicino luogo sacro lo sovrastava: una preghiera ai kami ci stava tutta.
Allungò una mano di lato e toccò una delle colonne del portale, cercò di tirarsi un poco più su, trascinando la gamba e ottenendo ancora dolore.
«Merda!» gli scappò dalle labbra, poi si morse quello inferiore, un po’ per il male che provava, un po’ per pentimento. Non era da lui parlare così e soprattutto non in un luogo sacro, anche se la situazione era talmente antipatica che una certa rabbia gli sembrò giustificabile.
Tuttavia era colpa sua, nient’altro che colpa sua: non era stato attento, se fosse stato in battaglia quelle scale avrebbero potuto rivelarsi una letale trappola.
E una trappola lo erano stata.
“In qualche modo devo muovermi” pensò, mentre cercava di aggrapparsi alla colonna portante anche con l’altra mano.
Ma come tentò di tirarsi in piedi, un po’ il dolore, un po’ la viscosità di tutto ciò da cui era circondato, lo fecero ripiombare tristemente con il fondoschiena a terra.
«E ora cosa faccio» piagnucolò suo malgrado.
E, suo malgrado, agli angoli degli occhi comparvero lacrime di frustrazione: non aveva un cercapersone, in giro non c’era nessuno e dubitava fortemente che, anche con tutto lo stoicismo del mondo, la sua caviglia avrebbe collaborato per farlo arrivare, seppur strisciando, fino a casa.
L’unica speranza era il legame, il richiamo della mente tramite il quale lui e i nakama avevano imparato a comunicare, anche se si vergognava ad utilizzarlo per una cosa così… una scemenza simile!
«Shin!».
«Cosa è successo?».
Non ci aveva ancora provato. Li aveva già raggiunti?
I suoi occhi serrati si schiusero nel momento stesso in cui due figure si chinarono su di lui, gli occhi blu pieni di spavento e ansia.
«Ma cosa hai fatto?!».
«Perché sei seduto lì al freddo? Vuoi morire congelato?».
Ryo?
Shu?
«Ci… stavo andando vicino» mormorò con voce flebile.
«Ma cosa…».
«Sono… sono caduto».
Si rese conto che il suono della sua voce poteva risultare un po’ troppo disperato e infantile, ma in quel momento si sentiva così depresso e frustrato e la vista dei suoi due nakama gli sembrava un tale sogno inatteso, che non riusciva a pensare ad altro che al sollievo.
«Vedo» borbottò Shu. «E pare che tu ti sia fatto pure male».
«La gamba» piagnucolò lui in risposta «non riesco a muoverla… temo di essermi slogato la caviglia».
«Ma bene, benissimo!» sbottò Ryo. «Il bocchan che vuole arrangiarsi da solo, che vuole fare tutto da solo!».
Poi si mise a fargli il verso:
«È solo neve, mezzora e sono a casa… Meno male che dopo un’ora e mezza abbiamo cominciato a preoccuparci tutti, persino Seiji, che di solito cerca di tenerci tranquilli!».
«Mi dispiace» cercò di giustificarsi Shin, assumendo un’aria contrita «ma davvero… non ci sarebbe stato niente di male se… se fossi stato più attento».
«E se avessi permesso almeno a uno di noi di accompagnarti, guarda quanti sacchetti stracolmi!».
«Non credevo di comprare così tanto» la testolina di Shin era sempre più rintanata tra le spalle. Si sentiva come un bimbo rimproverato da un genitore: se la situazione fosse stata un’altra, probabilmente, avrebbe ribattuto per le rime, ma in quel momento si sentiva davvero tanto stupido e in colpa.
«Ryo, smettila di fare l’isterico, non è niente di grave, lo abbiamo trovato» intervenne Shu. Intanto circondò con un braccio il busto di Shin, invitandolo a mettere il proprio braccio intorno alle sue spalle.
«Riesci a tirarti su?».
Shin ci provò, con l’aiuto di Shu riuscì a tirarsi in piedi, mentre Ryo raccoglieva i sacchetti della spesa.
Ma come provarono a fare un passo, venne colto da una fitta di dolore talmente forte da annebbiargli la vista e Shu dovette far ricorso a tutti i propri muscoli per sostenerlo.
«L’hai presa proprio brutta eh».
«Mi dispiace» mormorò Shin. «Adesso mi impegno, ce la farò, giuro».
«Ce la farai un corno» sbottò Ryo.
Poi gli diede la schiena:
«Mettimi le braccia intorno al collo».
«Cosa? Ma…».
«Mi vuoi dire di sì una buona volta senza dover opporre sempre qualche obiezione?».
Shin arrossì, rifugiò ancora la testa tra le spalle e poi obbedì, avvolse le braccia intorno al collo di Ryo e lasciò che il suo leader, dopo aver passato a Shu le borse, gli sollevasse le gambe fino a portarle intorno ai suoi fianchi.
«Non… sono… troppo pesante?».
«Vuoi proprio che mi metta a ringhiare, pesciolino?».
«A me sembra che tu lo stia già facendo» ridacchiò Shu che, fino a quel momento, aveva faticato a trattenere una certa ilarità.
Quindi spostò le tre borse tutte in una mano, appositamente perché quella libera potesse allungarsi ad accarezzare i capelli di Shin:
«Dai, pesciolino. Lascia che siamo noi a viziarti un po’. Adesso andiamo a casa, ti riscaldiamo, guardiamo cosa è successo a quella caviglia e per stasera la preparo io la cena. Lo sai che sono bravo».
«Sei bravissimo» mugolò Shin, godendo quella carezza e appoggiandosi a Ryo con tutto il proprio corpo.
Gli dispiaceva, lui voleva tanto prendersi cura di loro, il pensiero di non poterlo fare lo metteva a disagio.
Ma il corpo di Ryo era così accogliente, il pensiero di casa, del caldo, delle loro mani che si prendevano cura di lui…
Si trovò a sospirare…
Accudire e proteggere…
Venire accudito e protetto…
In fondo era tutto parte di un medesimo, bellissimo sogno.
 
   
 
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