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Autore: therealbloodymary01    29/03/2021    3 recensioni
Epilogo alternativo: Merlino riesce a portare Artù al lago di Avalon in tempo, curando le sue ferite. Al risveglio del principe, tuttavia, non c'é traccia del suo ex servitore. Il sovrano dovrà tornare a palazzo e vivere con i fantasmi del passato, finché, un giorno, non deciderà di scrivere al suo amico di un tempo.
Dal testo:
E tu? Tu sorridevi come se non fossi appena tornato dal mondo dei morti, ringraziandomi per averti salvato. Se solo avessi saputo che quell'atto era stato puramente egoistico da parte mia. Non stavo salvando te, bensì me stesso da una vita senza di te. Ma in fondo, l'amore è così, no? Ha a che fare con l'egoismo più di quanto siamo inclini a pensare.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Mio caro Merlino,

non sono solito scrivere lettere, come ben sai, le poche che ho scritto in vita mia erano missive di carattere diplomatico, per di più riviste e corrette da te. Non sono bravo con le parole, cielo, non sono bravo nemmeno con i sentimenti, ed è per questo che sono qui oggi. Ho pensato che, magari, mettere nero su bianco ciò che vorrei dirti, ciò che sento, mi avrebbe aiutato a chiarirmi le idee.

Non ho mai provato per nessuno quello che provo per te, di qualsiasi cosa si tratti. Questa è l'unica certezza che ho, che per me sei speciale. In che modo, non so dirtelo. Spero di capirlo, un giorno non troppo lontano.

Ripensavo al nostro primo incontro, ieri notte. Devo ammetterlo, all'inizio ti avevo preso per pazzo, a rispondere in modo così insolente al principe ereditario. Dopo un po', però, avevo capito che tu non avevi la minima idea di chi fossi. Avrei potuto dirtelo subito e magari, chissà, te ne saresti andato, non volendo rischiare la testa per un ragazzino reale e irritante. Ringrazio il cielo ogni giorno per non averlo fatto, per aver permesso ai nostri cammini di intrecciarsi.

E poi, a dirla tutta, era divertente osservarti mentre mi inveivi contro, dicendomi quello che pensava chiunque avesse passato con me più di cinque minuti, ma che nessuno aveva mai avuto il coraggio di dirmi. Mi hai fatto sentire vivo, come se per la prima volta in vita mia qualcuno vedesse davvero un altro essere umano in me, non il rappresentante di un'istituzione o una fonte di possibili favori personali.

Tu eri così arrabbiato perché stavo maltrattando un servo. Oggi capisco le tue motivazioni, ma allora, come ben sai, non brillavo di certo per empatia. Ti trovavo veramente assurdo, come osava un umile ragazzo di periferia venirmi a impartire lezioni di morale? Io potevo fare ciò che volevo, nella mia testa, ottenere tutto quello che desideravo. Tu mi hai mostrato che certe cose non si possono comprare nemmeno con tutto il denaro del mondo.

Quando ti sbattei in galera, sinceramente, credevo che non ti avrei più rivisto. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di sfidarmi una seconda volta, non dopo essere stato nelle segrete. La volta successiva sarebbe stato condannato a morte quasi per certo. Eppure, a te non sembrava importare affatto della tua incolumità. Certo, hai provato ad ignorarmi dopo il nostro primo incontro, questo lo ricordo. Sono stato io a provocarti, non so neanche perché.

Sarà stato il tuo sguardo, che si è rifiutato di abbassarsi ed ha incrociato il mio con aria di sfida, a farmi scattare qualcosa. Sapevo che ti stavi solo trattenendo per evitare problemi, ma potevo percepire che avevi molto altro da dirmi, o meglio, da rimproverarmi. Perché in fondo sapevo benissimo di essere un pallone gonfiato, avevo solo bisogno di qualcuno che me lo dicesse in faccia.

E così ti sfidai, e finimmo per duellare con le mazze ferrate. A ripensarci, mi viene da ridere. Tu avresti potuto sconfiggermi con uno schiocco di dita, piccolo bastardo, eppure ti battesti lo stesso. Avrai anche barato due o tre volte, ma non ti giudico, avrei potuto anche ucciderti. Cavolo, non riesco a credere di aver provato ad uccidere lo stregone più potente di tutti i tempi. Non riesco a credere di aver provato ad uccidere te. Se solo allora avessi saputo tutto quello che avremmo vissuto, quello che saresti diventato per me.

Il mio destino.

Avrei dovuto capirlo dal fatto che mi sentivo inevitabilmente attratto verso di te, come se fossi una fonte di luce ed io mi accorgessi solo in quel momento di brancolare nel buio.

Ma se oggi sono abbastanza restio ad esprimere i miei sentimenti, a quei tempi mi sarei letteralmente fatto uccidere pur di non apparire fragile. Bramavo averti vicino ma allo stesso tempo non volevo ammettere a me stesso il motivo di tanto interesse per un ragazzo mingherlino che non faceva altro che sfottermi.

Per fortuna il fato, Dio, o chiunque sorvegliasse il mio cammino mi assistette.

Quando quel giorno, al banchetto, mi salvasti la vita e mio padre ti nominò mio servitore personale, ero veramente oltraggiato.

Come ho già detto, il mio subconscio custodiva gelosamente per sé il mio interesse nei tuoi confronti, ed io ero più che convinto di detestarti, di odiare il modo schietto in cui mi parlavi.

Non avevo mai avuto un amico, non uno sincero, almeno. Per questo non potevo capire che quella forte emozione che implodeva in me ogniqualvolta ti vedevo non era risentimento, ma ammirazione. Ero abituato a comandare le persone, non a vedermi sfidato da loro.

Ma ti chiederai perché ti sto dicendo tutto questo.

Ebbene, non lo avevo capito nemmeno io fino ad ora: voglio che tu sappia la mia personale versione degli eventi che ci hanno portato ad essere dove siamo oggi, lontani chissà quante miglia eppure legati indissolubilmente. Voglio che tu sappia che non sono così insensibile e indifferente come cercavo sempre di farti credere. Non se si tratta di te.

Probabilmente è la distanza che mi fa essere così sentimentale. So che se stai leggendo questa lettera starai ridendo sotto i baffi. Riesco quasi a immaginarti, sai? Rannicchiato su una sedia a cercare di decifrare la mia calligrafia arzigogolata. "Siete proprio un asino, - starai pensando - sono dovuto fuggire via per farvi diventare emotivo!"

La verità è che con te al mio fianco sentivo di diventare una persona migliore, giorno dopo giorno. Tu mi sproni a cambiare le cose, Merlino. Senza i tuoi consigli, soprattutto dopo la dipartita di mio padre, Dio solo sa quanti errori avrei commesso. Non me ne ero mai reso veramente conto, prima di perderti. Adesso lo vedo.

Potrei parlare di molte delle avventure che abbiamo vissuto insieme, ce ne sarebbero abbastanza per scrivere un'intera enciclopedia. Tuttavia non voglio tediarti, non so nemmeno se mai leggerai tutto questo, del resto, per cui mi concentrerò solamente su quelle per me più significative.

Il primo evento che mi viene in mente é quando bevesti al mio posto dal presunto calice avvelenato da Cenred. Che cosa ti era saltato in testa, eh? Rischiare la vita così per il tuo padrone, il quale non faceva altro che trattarti male, per altro. Ancora oggi faccio fatica a capire le motivazioni che ti spinsero a commettere un gesto così estremo, non posso credere che tenessi già così tanto a me da sacrificare la tua stessa vita. Ma d'altra parte, tu hai un animo altruista.

Quando ti vidi a terra, privo di sensi, ti maledissi. Perché non lo avevi lasciato a me? Perché avevi voluto fare l'eroe a tutti i costi? Ma soprattutto, come avevi osato privarmi dell'unica persona che forse, dico forse, riusciva a capirmi per davvero?

Non potevo credere che mio padre non avesse la minima intenzione di salvarti. Eppure, come a suo tempo mi fece notare Ginevra, in realtà era un comportamento perfettamente normale per un sovrano. Perché preoccuparsi di un umile servitore? Aveva fatto il suo dovere, sacrificandosi per la vita del principe. Ma si trattava di te, non di una persona qualsiasi. E l'ultima cosa a cui stavo pensando in quel momento era il tuo rango sociale, o il mio rango sociale, o i ranghi sociali in generale. Mi interessava che tu vivessi, niente di più e niente di meno.

Così ignorai gli ordini diretti del re e partii alla ricerca del fiore che ti avrebbe curato, lasciandoti a delirare febbricitante sul tuo letto. Ma questo già lo sai. Tu eri lì con me per tutto il tempo, anche se allora non ne avevo idea. Quella fonte di luce che mi aiutò ad uscire dalla caverna, me la mandasti tu, non è vero? Non sono nemmeno sicuro che fossi cosciente di ciò che facevi, ma di sicuro mi salvasti da morte certa.

Comunque, il resto della storia lo sai. Quando venni a trovarti, al tuo risveglio, avevo un tale tumulto di emozioni contrastanti nel cuore, che quasi avevo paura di parlarti, temendo che potessi leggere attraverso i miei occhi e scoprire che, in fondo, non ero così bidimensionale come credevi.

E tu? Tu sorridevi come se non fossi appena tornato dal mondo dei morti, ringraziandomi per averti salvato. Se solo avessi saputo che quell'atto era stato puramente egoistico da parte mia. Non stavo salvando te, bensì me stesso da una vita senza di te. Ma in fondo, l'amore è così, no? Ha a che fare con l'egoismo più di quanto siamo inclini a pensare.

Ricordi, invece, quando mio padre quasi sposò un troll? Da raccontare è una storia decisamente divertente, ma allora non ce la passammo molto bene. Tu cercasti di avvertirmi in ogni modo, ma io ovviamente non ti davo retta, pensando che stessi esagerando ad accanirti così nei confronti della mia futura matrigna. In questo momento sto sorridendo, a pensare a te che mi dicevi "Artù, é un troll, dovete credermi!". Non mi piace ammetterlo, ma non sono dotato di un intuito particolarmente acuto. A mia discolpa, però, quante volte capita una cosa del genere?

Ebbi seriamente paura nel momento in cui Katrina, o la creatura che noi credevamo fosse Katrina, decise di volerti condannare a morte. Ricordo la morsa allo stomaco che mi attanagliava mentre ti cercavo freneticamente per le stanze di tutto il fottuto castello, e il mio sospiro di sollievo quando aprii la porta della mia stanza e ti vidi, come tuo solito, a caccia di topi. Non mi sono pentito di averti detto di scappare, nemmeno per un istante. Non potevo sopportare di vivere senza di te, ma ancor meno potevo pensare di farlo sapendo che te ne eri andato per colpa mia, che non avevo impedito che ti facessero del male.

Nel momento in cui ti chiusi la porta alle spalle, sussurrai una parola: proteggilo. Non stavo parlando con nessuno in particolare, o meglio, con chiunque volesse ascoltarmi. E, ancora una volta, venni esaudito.

Quella storia per fortuna finì nel dimenticatoio, il troll fu ucciso e mio padre restò vedovo e in possesso del suo regno.

Poi ci fu il giorno del mio diciottesimo compleanno.

Perdonami il salto temporale, ma ho così tante cose da dirti e questa pergamena non è infinita.

Quella sera, durante la festa, ero di umore decente dopo tanto tempo, te ne eri accorto anche tu.

Mio padre aveva insistito per celebrare l'anniversario della mia nascita nonostante le sue condizioni ed io non avrei potuto esserne più felice.

Ricordo la musica, il cibo, ed io che giravo sulla ruota del giullare, legato e con una mela in bocca, mentre mi lanciava coltelli a pochi centimetri dal corpo.

Una situazione assurda e, a pensarci adesso, decisamente imbarazzante, eppure non avrei voluto essere in nessun altro luogo. Vedevo mio padre sorridere tranquillo e tu in piedi davanti al tavolo che ti tormentavi, sperando che quel numero circense non sfociasse nel macabro.
Era tutto così perfetto che quasi mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo, quando Morgana era ancora dalla nostra parte e non era tutto così complicato.

Ma i sogni sono effimeri.

L'incanto si spezzò quella notte stessa, quando il giullare che tanto ci aveva fatto divertire si rivelò essere un traditore mandato ad uccidermi.

Ma quella notte non fui io a morire.

Ti confesso di averlo desiderato, di tanto in tanto.

Ma no, quella fatidica notte fu mio padre a pagare le peggiori conseguenze. Fu pugnalato mortalmente, e Gaius non gli diede più di ventiquattro ore di vita.

Dio, ero così arrabbiato con me stesso per essermi permesso di divertirmi per qualche ora. Sentivo come se fosse colpa mia, in qualche modo.

Mio padre ci è sempre riuscito, a farmi sentire in colpa.

Prima la morte di mia madre, poi la mia mancanza di polso, il mio rifiuto di vedere il popolo come dei semplici, sacrificabili sudditi.

Non potevo permettere che succedesse di nuovo. Soprattutto, non ero pronto ad essere re.

Così feci l'impensabile, ti dissi l'unica cosa che non ti saresti mai aspettato e che solo ora, con il senno di poi, posso provare ad immaginare cosa abbia significato per te.

Ti dissi che volevo curarlo con la magia.

Immaginerai il conflitto morale che si verificava in me in quegli istanti. Curare mio padre con ciò che più ripudiava al mondo non sembrava la più felice delle idee. Ma come avrai intuito ero disperato, pronto a tutto pur di non perderlo.

Ma la magia si rifiutò di guarire il suo persecutore, mio padre spirò ed io giurai a me stesso di non pensare mai più neanche lontanamente che si potesse cavare qualcosa di buono da essa.

Se qualcuno mi avesse detto che anni dopo avrei scritto una lettera ad uno stregone di mia spontanea volontà, lo avrei fatto mettere alla gogna. Com'é ironica, la vita, a volte.

Mi sono reso conto soltanto adesso del tempo che é passato. Sono seduto al mio scrittoio da ore ed il sole é quasi tramontato. Ho acceso una candela per vedere meglio e la cera é colata sul foglio, se ti stai chiedendo cos'é la macchia scura che sicuramente avrai notato.

L'ho accesa io perché, da quando te ne sei andato, non ho più avuto un servitore personale. L'ho voluto io, sia chiaro. Hai sempre affermato che la mia unica capacità era quella di dire agli altri cosa fare, e so che non lo dicevi sul serio, ma in realtà avevi ragione.

Sono passati anni ma io non sono ancora in grado di fare molte cose. Qualcosa l'ho imparata, però. So vestirmi da solo, ad esempio, persino sellare un cavallo!

Immagino i tuoi commentini sarcastici, adesso.

Chissà cosa stai facendo in questo momento.

Ma sto divagando, ho un'ultima cosa da dirti e devo cercare di rimanere concentrato o finirò per doverti spedire due pergamene. Te l'ho detto che scrivere lettere non è il mio forte.

Voglio parlarti della conclusione del lungo viaggio che ci ha visti entrambi protagonisti, l'uno accanto all'altro, per tanto tempo. Quando accadde, ormai più di cinque anni fa, non sapevamo che sarebbe stato il nostro epilogo, ovviamente. A dire la verità, io non sapevo quasi nulla, nemmeno quanto fosse importante il tuo ruolo.

Avrai capito a cosa mi riferisco: la battaglia di Camlan. Ancora oggi, al sentire questo nome mi vengono i brividi.

Già prima di partire sentivo che qualcosa non andava. Tu mi confessasti che non saresti venuto con me, ed io ne fui terribilmente offeso. Ti dissi una cosa orribile, di cui ancora oggi sento il rimorso. Ti dissi che eri un codardo.

Cielo, quanto mi sbagliavo.

Sai, nell'istante in cui vidi Dragoon comparire sulla cima del monte venendo in nostro soccorso, mi sentii immensamente sollevato. Non aveva senso, non mi fidavo degli stregoni e, per di più, associavo lui all'ingiusta morte di mio padre. Eppure la sua presenza mi comunicava sicurezza, come se sapessi che sarebbe andato tutto bene.

Ricordo che ti fissai, beh, fissai il tuo alter ego, e tu, ad un certo punto, ricambiasti il mio sguardo.

Fu lì che lo notai. Non era la prima volta che vedevo i suoi occhi, ma non mi era mai venuto in mente di paragonarli ai tuoi. Avevi quello sguardo triste ma risoluto, lo stesso con il quale ti avevo lasciato, amareggiato, dopo la mia partenza da Camelot.

E capii. Solo per un istante, ma capii. Poi decisi di scacciare quel pensiero, perché non potevo credere che tu, Merlino, così innocente, potessi essere associato ad una cosa così meschina ed imprevedibile quale io consideravo la magia.

Non voglio parlarti oltre della battaglia, non ne ho mai più rievocato i ricordi da quel giorno. Cosa potrei dirti, poi, che già non sai?

Mi confessasti tutto quanto, ti togliesti un peso che probabilmente ti eri quasi abituato a sostenere. Non posso neanche immaginare cosa debba essere stato per te vivere qui, a Camelot, in mezzo a gente che ti avrebbe ucciso, se solo avesse saputo delle tue abilità.

All'inizio non l'avevo capito, ero solo deluso. Ma non da te, da me stesso. Non ero stato capace di dimostrarti che potevi fidarti di me, che non ti avrei condannato a morte se me lo avessi detto. In realtà, come ti dissi allora, non so neanche io come avrei reagito.

Ci ho pensato e ripensato in questi anni, e credo di essere giunto ad una conclusione. Probabilmente ti avrei cacciato da corte, ti avrei urlato contro, forse. Ma non avrei mai potuto ucciderti, per quanto potessi essere in collera. Semplicemente non ne sarei stato capace.

Ero sicuro che Camlan sarebbe stata la culla della mia morte. Gli ultimi ricordi lucidi che trovo dentro di me sono gli attimi in cui volavamo verso Avalon, in groppa al drago. Un drago! Non finivi mai di sorprendermi, idiota.

Dai frammenti del resto di quel giorno che mi sono apparsi in sogno e la mia personale ricostruzione dei fatti, ne deduco che alla fine ce la facesti, ad immergermi in quelle acque. Mi svegliai sulla riva, ancora intontito, dimentico di tutto.

Poi, piano piano, la memoria riaffiorò, e ti cercai, ti cercai ovunque. Ma tu non c'eri più.

L'unica cosa che mi lasciasti fu l'eco della tua stupida risata e un incommensurabile senso di colpa nei tuoi confronti. Non voglio rinfacciartelo, sia chiaro, dico solo quello che provai allora e che continuo a provare adesso.

Ora sto bene, comunque, ed anche tutti gli altri. Alla fine mi sono abituato ad essere re, anche se ho apportato dei cambiamenti. Ho varato una nuova legge, ad esempio, per la quale non esiste più il divieto sui matrimoni tra ceti diversi. Perché la gente dovrebbe sposarsi per amore, non per convenienza, come mi disse un vecchio amico.

A proposito, io e Ginevra ci siamo lasciati. Non preoccuparti, è stato meglio così per tutti e due. Io mi sono reso conto di amare più l'idea che avevo della nostra relazione, mentre lei, di sicuro avrai indovinato, è sempre stata innamorata di un'altra persona, in fondo. Meglio soffrire per poco tempo che vivere una vita infelice, non trovi? Per ora non prevedo di risposarmi, aspetto la persona giusta.

Gaius lavora ancora come cerusico di corte ed ha un nuovo assistente. Credo se la cavi abbastanza bene, ma nessuno potrà mai sostituirti nel suo cuore, su questo non ho dubbi. Gli manchi molto.

Ti ho immaginato in molti posti, Merlino, ma non ho mai avuto il coraggio di venirti a cercare.

Ho paura che odieresti la mia sola vista.

Spedirò questa lettera ad Ealdor, da tua madre, immaginando che, se non sei lì adesso, prima o poi tornerai a farle visita. Se così non sarà, beh, almeno ci avrò provato.

Se per caso dovessi leggerla e non vorrai rispondermi va bene, non te ne vorrò. Come potrei. Mi basterebbe saperti vivo, in realtà, sapere che stai bene. Avrei così tanto da dirti, ma temo che almeno per questa vita non ci rincontreremo più.

Ti auguro di essere felice, in qualunque posto ti trovi.

Tuo,

Artù

-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^-^ Note dell'autrice: salve a tutti e grazie di aver letto fino a qui! Ho scritto questa fic in un momento d'ispirazione, cercando di interpretare i sentimenti di Artù e renderli quanto più verosimilmente adatti al personaggio, anche se devo ammettere di essermi lasciata trasportare, di tanto in tanto. La verità è che loro mi emozionano: la loro storia, i loro trascorsi, ogni piccola interazione tra questi due mi rende emotiva. Spero vivamente che possa piacere, ma se così non fosse sono aperta anche a critiche costruttive. Comunque non siate timidi, le recensioni, di qualunque tipo esse siano, mi fanno molto piacere!
A presto,
@therealbloodymary
   
 
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