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Autore: Chocolate_senpai    30/03/2021    1 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15

 

 

 

Sarebbe stata un’azione talmente marchingegnosa che neanche Tom Cruise avrebbe mai potuto realizzare una simile sceneggiatura.

Avevano un solo aggancio per capire dove poteva trovarsi questo fantomatico arsenale. E, visto che Vorkov gli aveva già mandato i suoi simpatici sicari a casa, non avevano tutto questo tempo per potersi muovere liberamente.

Hilary aveva insistito, e per una volta l’intrepido spirito avventuroso di Mao le aveva dato retta: la polizia doveva essere avvertita. Per poco Kai non le scoppiava a ridere in faccia.

- Credi davvero che se Vorkov non avesse le palle coperte con la giustizia agirebbe in questo modo? Forse non ricordi bene, ma ai tempi del primo campionato era già un uomo ricercato di diversi paesi, e nonostante questo gli hanno fatto finanziare il torneo di uno sport per ragazzini –

Un modo carino per dire che la polizia, se non era già stata messa a cuccia dal monaco, sarebbe finita presto a novanta davanti a lui e ai suoi metodi persuasivi. Hilary ci aveva provato lo stesso a farsi valere; ma davanti a Kai, e agli sguardi gelidi di quei ragazzi dal passato freddo e misterioso, si era fatta piccola piccola. Che ne sapeva lei? Che ne capiva di criminali, fughe all’ultimo respiro, di lotte per la sopravvivenza? Lei, che aveva passato i giorni più avventurosi della sua vita a guardare dalla panchina Takao combattere con la furia del vento dalla sua? Lei che si era chiusa sui suoi studi a riccio, che aveva sempre avuto un tetto sicuro sulla testa e una mamma pronta ad abbracciarla?

Era stato l’essere più inaspettato a consolarla. Con quanta più delicatezza possibile, la mano di Sergej sulla sua spalla la tranquillizzò un po’, come a dire non possiamo farci niente. Che ragazzo curioso, quel gigantesco armadietto di muscoli. Quei lineamenti induriti dalla vita nascondevano forse un animo dolce? Non come il miele, certamente. Forse più dolce del sapore di ferro che sembrava prorompere da ogni parola di Yuriy, che al piano di Kai e Garland si era opposto fermamente.

- Voglio parlarci di persona –

- Abbiamo una sola possibilità di avvicinarlo in questi giorni, e tu non puoi presentarti a caso a quel ricevimento –

- Andrò con Garland allora –

- Sì, così Torres ti vede, si caga addosso e si dà malato per il resto dei suoi giorni. Dobbiamo avere un minimo di discrezione –

- Perché cazzo non possiamo andare a casa sua e prenderlo a pugni?-

- Perché già la polizia non ci darà una mano nemmeno se glielo chiede Gesù Cristo, ci manca anche che i ricercati diventiamo noi  -

Come al solito quando si trattava delle idee di Kai, Yuriy fu costretto a fidarsi; non aveva nessuna alternativa davanti alla testardaggine del giapponese.

Però in una cosa Yuriy aveva ragione: la casa di quell’uomo poteva avere per loro un qualche interesse. Soprattutto mentre lui era al ricevimento, e la sua enorme proprietà era priva del proprietario. Si trattava di uno dei più lussuosi attici di New York, ed entrarci sarebbe stato un parto, certamente meno pericoloso di minacciare Torres di persona e beccarsi in automatico un soggiorno in carcere.

- Ci servirà qualcuno che disattivi gli allarmi –

Neanche a dirlo, Ivan aveva già tutto quello che serviva.

- Qualcuno che sappia cosa cercare –

E sarebbe andato il più bravo nei lavori rapidi e puliti, abbastanza freddo da non lasciarsi distrarre dagli imprevisti, se non sbroccava all’improvviso. Boris aveva esibito un poco rassicurante ghigno; non aspettava altro che mettersi al lavoro.

- E incrociamo le dita –

 

 

- Lo sapete che stiamo violando comunque la legge, vero?-

- Infatti, tanto valeva entrargli direttamente in casa, legarlo a una sedia e puntargli in faccia una pistola –

- Yuriy, ti prego ... –

- Ragazzi, dico sul serio –

Max era la voce della ragione della giornata. Non era tra le sue priorità vedere una macchia sulla sua fedina penale per aver fatto parte di quel piano macchinoso.

- Potremmo limitarci alla parte di Garland e Rick, no?-

- No –

Yuriy non era del suo parere. Aveva un plico di fogli in mano, parte dei documenti scippati all’archivio di casa Hiwatari, ed erano diversi minuti che ci smaddonava sopra; non era dell’umore per reggere ripensamenti sul da farsi. L’unica cosa che lo aiutava a distendere i nervi era il clima assolutamente rigido che lo aveva salutato appena sveglio: un vento sferzante, gelido, spazzava la strada deserta davanti al laboratorio. Mai come nei giorni d’inverno si sentiva al sicuro.

- E se vi trovano?-

- Non troveranno nessuno. Sempre che tutti facciano la loro parte –

La frecciatina arrivò dritta alle orecchie di Garland.

I preparativi erano partiti presto. Rick doveva rendersi presentabile, il che era tutto un dire per un nemico mortale di giacche e cravatte. Era tutta la mattina che Ming Ming gli metteva davanti quintali di abiti eleganti, arraffati rapidamente dai negozi nei giorni precedenti; l’americano rispondeva al riflesso nel piccolo specchio portatile con un grugnito, per poi distogliere lo sguardo.

Ming Ming sospirò esasperata, facendo sventolare le cravatte a strisce nelle piccole mani.

- Dai Rick, sarà solo per una sera! Collabora un po’! Poi, gli uomini in giacca e cravatta sono estremamente affascinanti –

Gli occhioni dolci sparivano a intermittenza dietro le lunghe ciglia, ma l’effetto su Rick fu quasi nullo. Stravaccato su un divanetto, telecomando in mano e headphones in testa, non aveva la minima intenzione di collaborare. Daichi si palesò in quel momento, di ritorno dal buffet della colazione, portando protettivamente tra le braccia un paio di panini al bacon. Quando vide la stesa di giacche dai colori improbabili gli uscì un commento poco carino, ma molto sincero.

- è arrivato il circo? Non lo sapevo –

Rick grugnì, Ming Ming scoccò al piccoletto un’occhiata di fuoco.

- Già non sta collaborando, non dire queste cose! Altrimenti non lo convinciamo più!-

L’americano guardò di sfuggita la giacca che la ragazza gli stava porgendo, un gessato color grigio topo. Alzò un angolo della bocca, vagamente inorridito.

- Quella non me la metto di certo –

- Riiiiick!-

- Cosa? Non mi vestirò come un imbecille, neanche se fosse una questione di vita o di morte!-

- Ma questa è una questione di vita o di morte!-

- Bambolina ... – il ragazzo puntò su Ming lo sguardo più ironico possibile, ammiccando con un po’ troppo trasporto – Non ho bisogno di vestirmi come un damerino per essere irresistibile –

Lei si arrese. Roteò gli occhi al cielo, sedendosi accanto a lui sul divano, gettando al vento la giacca gessata.

- Sei ... impossibile!-

Lui sorrise vittorioso.

- Lo so –

- Allora? Cos’è questo caos?-

Anche la voce di Mao si unì al coro di quell’improvvisato camerino molto affollato. Raccolse una delle giacche da terra, agitando il capo come a dire Non ci siamo.

- Siamo qui da tre giorni ed è già diventato un manicomio – mormorò – Hanno fatto una specie di campo di battaglia in uno dei laboratori, vi rendete conto? Emily sta ancora urlando–

A sentire campo di battaglia Rick si rianimò, ma un’occhiataccia di Ming lo rimise seduto.

- Tu non ti muovi –

- Ah no, già Boris ha cominciato a tirare pugni a tutto, ci manca che ci vada qualcun’altro a fargli compagnia, così a Emy viene una sincope –

Max si appoggiò allo schienale del divano.

- Perché Boris sta ... tirando pugni in un laboratorio?-

- Per allenarsi a tirarli in faccia alle persone –

Il sibilo di Yuriy fece rabbrividire l’americano. Il russo guardò il caos di abiti attorno al divanetto, senza dire una parola. A lui quella storia sembrava tutta una pagliacciata.

- Facevamo meglio a minacciarlo direttamente ... –

- Lo dico anche io, così evito di vestirmi da valletto –

- Ma che valletto! È solo un completo!-

- Oh, certo, e dopo il completo magari volete anche vedermi zompettare fino a un centro estetico –

Rick, steso sul divano come un sirenetto, alzò una gamba con leggiadria nonostante la stazza. Max rabbrividì davanti allo spettacolo, cercando di non darlo a vedere. Yuriy non ci provò neanche a nascondere un’espressione di disgusto, alzando un sopracciglio e arricciando un angolo del labbro superiore. Daichi si lanciò direttamente in un Dio che schifo poco elegante. L’americano accarezzò contropelo la sua robusta gamba, ancora perpendicolare al corpo, con un terrificante sguardo languido dipinto in volto.

- Credo che potrei cominciare a depilarmi – disse, giusto per gustarsi la reazione degli altri blader davanti alla sua totale assenza di eterosessualità. Che non era di per sé un problema, sicuramente non più del terrificante moto ondoso dei suoi chiarissimi peli.

L’attenzione generale venne distolta dalla gamba di Rick. per concentrarsi sulle bestemmie che rimbalzavano in corridoio. Un attimo dopo Boris fece il suo ingresso nel salottino, a petto rigorosamente nudo, vistosamente sudato e alla ricerca di acqua gelida. Si diresse senza troppe cerimonie verso le macchinette, mentre i due paia di occhi delle donzelle presenti seguivano lo strascico dei suoi pettorali.

- Però ... – commentò Ming Ming, senza distogliere lo sguardo. Mao abbassò subito gli occhi. Immaginava che a fisico quel ragazzo non fosse messo male, ma non si aspettava una tale fornitura muscolare.

Rei è comunque meglio si disse, giusto per distrarre il suo cervello e i suoi istinti, che non percepivano il corpo di un uomo da diversi anni.

Forse non lo avevano mai percepito. Non le piaceva mettere fretta a Rei, anche perché ufficialmente loro non stavano insieme; era una strana relazione, un passettino più avanti di un’amicizia. Una specie di via di mezzo che le andava ogni giorno più stretta.

Dal corridoio comparve la lanciatrice di madonne. Emily, brandendo un tubo, si fece avanti con la palese intenzione di tirarlo in testa a qualcuno.

- ... e non c’è bisogno di buttare giù il laboratorio! Perché non dai i tuoi cavolo di pugni a qualcuno, piuttosto che sulle mie attrezzature?!-

Dalle macchinette si sentì sghignazzare. Emily si tolse gli occhiali con un moto di stizza.

- My fu.... god, i hate him – sospirò. Poi lanciò a Yuriy un appello disperato – Non puoi, che ne so, tenerlo al guinzaglio? Solo per un po’ –

Lui la guardò con malcelata ironia, sollevando un angolo della bocca.

- Provaci tu. Se ci riesci ti dò un biscotto –

- Lasciali perdere Emy. Piuttosto, vieni qui e convinci questo scimmione a vestirsi da persona normale –

L’americana inforcò di nuovo gli occhiali.

- è quasi più facile mettere un collare a quel russo ... –

Mao stava per porgere a Ming una camicia rosso porpora, barbaramente gettata sul pavimento, ma lasciò perdere quando Rei le si materializzò accanto con in mano un tablet. La ragazza si aggrappò a un suo braccio, scodinzolando con una coda metaforica.

- E quello?-

- Michael mi ha chiesto di darlo a Emily. Per trovarla ho seguito le urla –

Emy glielo prese dalle mani fingendo di non aver sentito. Rei si guardò attorno: una stesa di abiti a terra, persone accasciate sulle sedie, Ming Ming che stava per strozzare Rick e ragazzi mezzi nudi a girare per i corridoi. Era davvero diventato un girone infernale.

- è un rompicapo come ci siamo trovati al PPB a organizzare questa specie di piano ... mezzo illegale –

Rick gli fece eco - Già, non potevate rimanere a casa?-

Si beccò un pugno sul capo dalla mano di fata di Emily.

- Se fossimo rimasti in Giappone ora avremmo qualche gamba in meno, e più fiori da portare al cimitero – La voce di Yuriy era piatta e calma, come se stesse parlando di noccioline – E forse potrete anche esserci utili con la vostra tecnologia per cavare da Falborg tutto quello che non dovrebbe esserci –

- Potreste anche ringraziarci –

Emily fece partire un altro ceffone.

- Zitto tu, che non stai facendo un tubo –

Yuriy alzò un sopracciglio, per l’ennesima volta in quella mattina - Però, la ragazza si fa rispettare –

- In pratica ... – Rick si tirò su dal divano, che ormai aveva un solco con l’impronta della sua schiena – Siete venuti a scroccare vitto e alloggio –

- Già. Ti scoccia?-

- Ah no, no, figurati, anzi, se avete bisogno di altro chiedetelo senza complimenti –

- Ti ringrazio, ma siamo a posto –

Di nuovo rimbalzò l’eco della voce di Boris.

- E se a me ora serve della vodka? Eh? –

- Non si beve alle dieci della mattina, datti un criterio per favore –

Boris rispose al commento del cinese senza troppe cerimonie.

- Rei, perché non vai a stenderti a pancia in su e ti lasci fare i grattini? –

 

...........

 

Tra gli schiamazzi, i vestiti saltati per aria e gli occhi rivolti al cielo in cerca di un segno divino, il sole era calato; avevano circa un’ora prima di dare il via ai due atti del loro spettacolo. Speravano solo che non ci fossero colpi di scena inaspettati. Lo sperava Rick, preparandosi a fare una cosa che lo emozionava e lo spaventava, non sapendo bene come comportarsi. Lo sperava Garland, facendo una rapida rassegna all’americano di cosa avrebbe dovuto fare al ricevimento, e cosa assolutamente no. Lo sperava Max, che non voleva mettere la mamma nei guai. Lo speravano Hilary, Mao e anche Ming Ming, che in fondo un po’ di timore lo stava provando nel vedere il compagno di squadra salire nella macchina messa a disposizione da Michael.

- Torna intero. D’accordo?-

Aveva fatto la sostenuta, ma Garland era bravissimo a leggere quei suoi grandi, meravigliosi occhi brillanti.

- Cercherò-

Ma anche Andrew sperava andasse tutto bene, perché quella faccenda gli piaceva ogni minuto di meno, e si sentiva come un capro espiatorio preso a caso nel mucchio. Poi si ricordava di Rosemary, quel nome che nessuno pronunciava più da giorni. E un po’ il cuore, indurito dal sangue nobile e dall’orgoglio di vero uomo che la famiglia gli aveva inculcato, gli si stringeva. Allora Olivier gli portava una tazza di tè, e bastava quello a farlo tornare in se.

Ivan era pronto dal giorno prima. Aveva tutto ciò che gli serviva per disinnescare qualunque tipo di allarme si fosse trovato davanti. Boris non aspettava altro che attivarsi, uscire, fare qualcosa che lo avvicinasse un po’ di più alla fine di quel brutto racconto. E, se si fosse trovato davanti qualcuno, lo avrebbe preso per il collo fino a fargli esalare l’ultimo respiro. Perché qualcuno doveva pagare per quello che era successo; tanto meglio se quel qualcuno fosse stato Vorkov. Ma per ora andava bene chiunque.

- Il ricevimento comincia fra quaranta minuti. Tu e Ivan partirete tra mezz’ora –

- Ricevuto –

Sulla porta della stanza, Yuriy si era appoggiato allo stipite in attesa di qualcosa. Boris lo guardò di sfuggita.

- C’è altro?-

- Non fare cazzate –

- Cos’è, non ti fidi più?-

Il rosso alzò le spalle.

- Il bastardo dice che tanto non mi sono mai fidato di nessuno –

Boris sghignazzò.

- Da quando dai retta a quello che si dice di te?-

Il ragazzo infilò nella tasca del cappotto un paio di guanti neri e un coltellino a serramanico. Indugiò un momento sulla pistola. Non tutti erano a conoscenza del fatto che lui girasse armato, almeno da quando era fuggito dal laboratorio a Londra. Prese l’arma, se la rigirò nella mano. Poi la rimise nel cassetto, sotto lo sguardo vigile di Yuriy. Nel riporla, la sua mano sfiorò un piccolo anello d’oro.

Si fermò a guardarlo un paio di secondi. Bastò quello a fargli vacillare la calma. la sua freddezza si spezzò, e Yuriy lo notò subito.

- Parola mia, quando me lo troverò davanti lo ammazzerò con le mie mani – soffiò Boris, gli occhi ancora puntati dentro il cassetto. L’oro brillò sotto la luce bianca della lampada, disegnando nei suoi occhi verdi pagliuzze gialle. Strinse il pugno, alzandolo verso il muro, ma non assestò il colpo. Rimase così, a mezz’aria. Abbassò la mano, chiudendo il cassetto di scatto.

Yuriy uscì in quel momento.

- Fra venti minuti, all’ingresso-

 

............

 

Porca di quella puttana

Rick si fiondò fuori dal laboratorio con la camicia aperta e senza scarpe, buttandosi dentro il taxi che stava aspettando da una vita. Ignorò i commenti acidi del tassista, gli allungò una mancia e lo esortò, con parole molto dirette, a rasentare la velocità della luce.

Maledizione ai russi, al catering per pranzo e al suo irriducibile amore per la salsa barbeque. Era stato sul water una mezza giornata, piegato in due con dei dolori lancinanti; e, se esisteva la legge del contrappasso, questo era sicuramente il suo stomaco che si vendicava per tutti i chili di cibo spazzatura che era stato costretto a ingerire.

Il risultato dei disturbi intestinali, a parte una nausea da capogiro e un accenno di meteorismo, era il terrificante ritardo. Terrificante come quello che gli avrebbe fatto Garland se non fosse arrivato in tempo al maledettissimo ricevimento, al quale peraltro era stato praticamente costretto a partecipare.

Ma vaffanculo a tutti

Garland era partito una vita prima, con la macchina di Michael, con la raccomandazione di non fare ritardo. E, incredibilmente, grazie a quel tassista che sembrava uscito da un Fast&Furious, ce la stava facendo.

A due minuti dall’inizio del ricevimento era sotto l’Empire State Building, con l’attaccatura dei capelli umidiccia di sudore e la cravatta slacciata. Uscì dal taxi soffiando un sospiro di ansia e sollievo insieme. Le scarpe, annodate per i lacci, gli pendevano attorno al collo; la fretta gli aveva impedito di annodarsi quelle terribili trappole abbinate al completo blu oltremare, che Ming Ming in qualche modo gli aveva rifilato. Già rimpiangeva le sue scarpe da ginnastica.

Garland uscì dall’enorme ingresso proprio in quel momento. I 102 piani di edificio svettavano minacciosi sulla sua testa, facendo pendant con il suo penetrante sguardo, irritato e assolutamente nero. Quando vide Rick fuori dal taxi, quasi irriconoscibile ben vestito e con i capelli finalmente legati verso il basso, senza la tipica pettinatura da ananas, ringraziò tutte le divinità dell’Olimpo.

- Santo cielo, dove eri finito? Stanno per cominciare!-

Rick si era già pentito di non aver dato buca. Era andata bene agli altri che era davvero una questione di vita o di morte, altrimenti sarebbe rimasto tranquillamente sul water a far finta di non esistere.

- Arrivo, arrivo! E che cazzo –

- Una volta che chiudono le porte non possiamo più entrare!-

Gli occhi che vagavano indispettiti tra Rick e l’ingresso tradivano la consueta nonchalance di Garland. Si stavano mettendo in gioco, rischiando non poco, partecipando a quel ricevimento. E lui non lo faceva solo per i russi; se fosse stato solo per loro forse non si sarebbe mosso. Ma Vorkov aveva tirato in ballo anche lui e, nonostante l’innata calma, non era tipo a cui piacesse essere preso per il culo. Dopo tutto quello che c’era in gioco non avrebbe certo permesso di mandare a puttane il piano per uno stupido ritardo.

Rick si fiondò su uno spazio libero del marciapiede per risolvere il problema delle scarpe, ancora appese al collo.

- Ma da dove arrivi? Dalla Città del sole?-

- Ma che città! Ho fatto i cazzo di raggi del fuoco per fare in tempo, e queste stupide scarpe ... –

- Credevo ti piacessero le donne –

- Eh?-

Garland lo liquidò con un cenno della mano. Non aveva resistito a dar fondo alle sue dispense filosofiche per una battuta di spirito campanelliano, ma non c’era tempo per soffermarsi a parlare di filosofia. Lasciò perdere la citazione, invitando caldamente l’americano a darsi una mossa.

In mezzo alla gente ben vestita e dai modi così garbati che rasentavano il lecchinaggio, nessuno fece caso a loro. Garland era figlio di una famiglia di nobili origini e quant’altro, ma in America era famoso il suo cognome piuttosto che il suo aspetto. E Rick, anche se membro degli All Starz, era meno conosciuto del capitano Michael. Un altro espediente per dare nell’occhio il meno possibile.

L’ascensore si fermò al novantottesimo piano. Rick si permise di prendere fiato un’ultima volta. Garland si aggiustò il nodo della cravatta nello specchio, distendendo i lineamenti del volto fino a raggiungere un’espressione indecifrabile.

Le porte scattarono.

- Si va in scena –



  
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