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Autore: Shadow writer    01/04/2021    3 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Lei

 

Nate rimase a fissarla in silenzio. Poi realizzò che si era messo in testa una fascia di spugna per tenere indietro i capelli e doveva avere un’aria piuttosto stupida.

«Ti disturbo?» chiese lei, occhieggiando l’interno della casa.

Nate immaginò che la tuta sformata che indossava fosse abbastanza eloquente riguardo i suoi impegni giornalieri, ma scosse ugualmente il capo.

«No, figurati» rispose e rimase per un istante a guardarla, poi si accorse che forse non era carino tenerla sulla soglia.

«Oh, scusami, entra pure».

Lei fece un sorriso di ringraziamento e gli sfilò accanto, infilandosi nell’appartamento.

Quando gli passò vicino, Nate inspirò il suo profumo e si accorse, dolorosamente, che era cambiato. Non era più quello che usava una volta.

La condusse in cucina e la fece sedere a tavola. Notò che la ragazza indossava un dolcevita nero sotto al cappotto che ora si era tolta per appoggiarlo alla sedia.

«Posso offrirti qualcosa?» domandò aprendo il frigorifero, ma vi trovò solo birre, così lo richiuse d’impulso. Troppo tardi. Lei doveva aver visto l’interno perché quando si voltò a guardarla scoprì che sulle sue labbra era spuntato un piccolo sorriso.

«Almeno certe cose non cambiano mai».

Anche Nate sorrise, a disagio, e si ricordò improvvisamente che Mike teneva delle bustine di tisane da qualche parte.

«Ti preparo del tè» le disse, senza darle tempo di replicare, e mise a scaldare l’acqua mentre cercava le bustine.

Aspettò che tutto fosse pronto e solo quando si sedette a tavola con due tazze fumanti si costrinse a guardarla negli occhi. Questa volta non portava gli occhiali e nessuno schermo lo proteggeva dalla vista di quelle iridi blu.

Lei si sistemò nervosamente i capelli dietro alle orecchie e gli sorrise. 

«Sei cambiato».

«Anche tu» replicò Nate, anche se non era vero. Sospettò che anche lei lo avesse detto tanto per dire e che in realtà le sembrasse che tutti quegli anni non fossero passati.

Tra loro calò un silenzio imbarazzante.

«Allora, sei venuta qui per dirmi qualcosa?» chiese il ragazzo cercando di porre fine al senso di disagio che li avvolgeva.

Lei sgranò gli occhi e la sua bocca fece una O perfetta. «Oh, sì, be’, io… l’altro giorno non abbiamo fatto in tempo a parlare. Volevo assicurarmi che stessi bene».

«Sto bene» si affrettò a dire lui, forse più bruscamente di quanto avrebbe voluto.

«Correre con le auto… è una cosa ricorrente?»

Nate strinse gli occhi e la scrutò, cercando di capire dove finisse l’interesse professionale in quella domanda e dove cominciasse quello personale. Cercò di scacciarsi quell’idea della testa. 

«Sì» replicò.

«Oh». Forse la ragazza si aspettava una risposta diversa.

In quel momento sentirono la porta dell’ingresso che si apriva ed entrambi si voltarono in quella direzione, anche se non riuscivano a vederla dalla cucina. Li raggiunse la voce di Jay.

«Nate, credo sia il caso che tu cominci ad educare Mila. Mi ha guardato con un’aria di sfida e sembrava sul punto di mordermi».

Mentre Jay faceva il suo ingresso in cucina, Nate si sentì sbiancare e vide la ragazza ridacchiare.

«E io che pensavo di essere una persona gentile» la sentì commentare. «Scusa Jay, non ti avevo proprio visto».

Il nuovo venuto, non appena ebbe messo a fuoco l’ospite, ammutolì e il suo volto si fece inespressivo. Fece saltare lo sguardo da lei a Nate e viceversa, in cerca di una spiegazione.

«Be’, ecco lui parlava…» farfugliò Nate chiaramente impacciato.

«Parlavo di un’altra Mila» si affrettò a specificare Jay e il sorriso della ragazza si allargò ancora di più. «È curioso che tu conosca un’altra ragazza con il mio nome».

Nate fece spallucce, fingendo una disinvoltura che in quel momento non sentiva propria. Lo sguardo allucinato dell’amico lo aveva fatto precipitosamente consapevole della situazione assurda in cui si trovava. Lei era seduta in casa sua. Lui l’aveva fatta entrare.

Jay lasciò a terra le borse della spesa e, borbottando qualche scusa, si affrettò a defilarsi.

«Non è cambiato» commentò Mila sorridendo e anche Nate si concesse un sorriso. «Jay rimarrà sempre uguale a se stesso».

Quel momento di complici sorrisi tra di loro aveva disteso gli animi e, forse reso euforico dal fatto che non si fosse accorto che aveva chiamato la sua gatta come lei, Nate assunse un atteggiamento più rilassato.

«L’altro giorno sono stato scortese» le disse, «e non ti ho chiesto della tua vita. Come stai?»

Mila parve riconoscente per quelle attenzioni e gli rivolse uno sguardo sereno.

«Sto bene, grazie».

«Hai finito l’università?» le chiese ancora, sollevando poi la tazza per prendere un sorso.

Gli parve di notare il sorriso di lei vacillare un poco, ma quando scosse il capo il suo volto non tradì alcuna emozione.

Nate sgranò gli occhi, stupito da quella rivelazione.

«Non l’hai finita? E i tuoi che hanno fatto? Ti hanno tolto un milione dall’eredità come punizione?»

Mila alzò gli occhi al cielo, senza neanche sforzarsi di nascondere quanto quel commento l’avesse irritata.

Nate corse subito ai ripari. «Scusami, era solo una brutta battuta. Solo che ricordo quanto ci tenessero a vederti laureata. E ti piaceva studiare Legge, se non sbaglio».

La ragazza aveva smesso di sorridere e lo sguardo che gli rivolse pareva così carico di significato che lui non riuscì a decifrarlo.

«Per un po’ ho continuato, studiando in modo febbrile. Stavo per finire con un anno di anticipo, poi ho mollato tutto».

La schiettezza con cui fece questa confessione dovette colpire anche lei, perché abbassò subito gli occhi e li fissò sulle mani che tormentavano l’orlo del dolcevita.

«Be’, benvenuta nel club dei non laureati. Non ci giudichiamo gli uni gli altri» le disse ironico, strappandole un piccolo sorriso.

«Però tu avevi vinto con quel progetto!» esclamò lei illuminandosi all’improvviso. «Ti hanno aiutato a realizzarlo?»

Nate fece una smorfia amara. «Credi che correrei con le auto se potessi guadagnarmi da vivere in altro modo?»

L’espressione di Mila si spense e si fece corrucciata, poi, in tono ironico, ribatté: «Non mi stupirebbe. Hai sempre avuto una passione per fare ogni volta le cose più stupide.»

Lui replicò senza pensarci, senza realizzare il potere distruttivo che le sue parole avrebbero avuto:«Come innamorarmi di te».

Mila sgranò gli occhi, colta alla sprovvista. Si ritrasse improvvisamente, appiattendosi contro allo schienale della sedia. Solo in quel momento Nate realizzò il passo falso che aveva fatto e cercò di rimediare.

«Quale errore più grande avrei potuto fare se non avere una relazione con una persona totalmente incompatibile? Per fortuna me ne sono andato prima che le cose si facessero troppo serie. È stato meglio chiudere tutto subito.»

Vide Mila deglutire a fatica e poi commentare, con voce strozzata: «Già».

Per continuare la recita del disinvolto padrone di casa, Nate domandò: «A proposito, come va la tua vita sentimentale? Ti vedi con qualcuno?»

Mila lo fissò per qualche istante in silenzio, come incerta, poi annuì. «Sì, convivo da qualche mese con… lo conosci, James Carter».

Il ragazzo dovette ingoiare il dolore che quella scoperta gli provocò per cercare di capire come potesse conoscere quell’uomo, che già odiava. Un’illuminazione lo colpì. «Aspetta, intendi l’avvocato Carter?»

Mila fece un cenno di assenso, a disagio, e lui rise. «Non ti facevo una che va a letto con il superiore per fare carriera».

Lei avvampò. «Vaffanculo, Nate».

Fece per alzarsi in piedi, ma lui la trattenne precipitosamente. «Ehi, scusami, hai ragione. Forse hai sbagliato all’inizio quando hai detto che sono cambiato. Forse sono rimasto lo stesso idiota che ti faceva arrabbiare ogni due minuti».

Mila gli rivolse uno sguardo circospetto, ma decise di rimanere seduta, quanto meno per giustificarsi. «Non che mi importi di chiarire la cosa con te» disse, «ma ho iniziato la mia relazione con James una volta concluso il tirocinio. Quando ha scoperto che avevo mollato l’università mi ha assunta come assistente perché avevo lavorato bene in precedenza».

Nate le sorrise. «So che non c’è nessuna come te».

Lei sgranò gli occhi e il ragazzo imprecò mentalmente per l’ennesima volta contro la sua lingua. «Intendo dire, so che ti assunta per le tue capacità e non per altro. Sei sempre stata la più brava».

Lei arrossì di nuovo, questa volta di un rossore tenue per l’imbarazzo suscitato dal complimento.

Lo sguardo le cadde sul sottile orologio d’argento che portava al polso. «Quanto si è fatto tardi!» esclamò, sorpresa più con se stessa che con Nate. «Forse è meglio che vada».

Il ragazzo lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e notò che si era fatto scuro. «Posso accompagnarti, se vuoi. Non è un quartiere molto sicuro».

Mila seguì la direzione del suo sguardo e notò l’oscurità al di fuori dell’appartamento. Si voltò verso Nate. «In che modo? Ti hanno ritirato la patente».

Lui roteò gli occhi. «Non lo so, potrei venire in taxi con te per assicurarmi che non ti succeda nulla».

Lei scosse il capo. «No, chiamo James. È in giro e non impiegherà molto ad arrivare, così posso togliere il disturbo».

«Nessun disturbo» ribatté lui in tono forse troppo intenso, perché Mila distolse lo sguardo, a disagio.

Si alzò in piedi e si allontanò di qualche passo mentre componeva il numero sul cellulare. Per lasciarle privacy, Nate si spostò per un istante nel corridoio che conduceva alle camere. Come lo sentì avvicinarsi, Jay fece capolino dalla sua stanza.

«Spero di aver avuto un’allucinazione» commentò e Nate gli fece cenno di abbassare la voce. «Spero che Mila Barnes non sia veramente nella cucina di casa mia».

L’altro sbuffò.

«Che cazzo ci fa qui?» continuò l’amico.

«Jay, hai un serio problema di confini. Quella è la mia ex, dovrei essere io quello seccato».

«Infatti, perché non lo sei?» replicò l’altro rivolgendogli uno sguardo torvo. «Questa è la volta buona che cominci a drogarti sul serio, Nate, me lo sento.»

«Vaffanculo».

La voce di Mila dalla cucina interruppe il battibecco.

«Non una parola» intimò Nate mentre tornava dalla ragazza.

Lei lo aspettava in piedi accanto al tavolo, con le braccia strette al petto, come in imbarazzo. Nate sentì che ora che avevano finito di parlare, la situazione si era fatta nuovamente tesa tra loro due.

«Sta arrivando» disse la ragazza e lui annuì. Per interrompere il lungo silenzio che si stava creando, le chiese: «Seriamente, assistente avvocato Barnes, quanto sono nella merda con il mio arresto?»

Lei ci pensò su un attimo, poi rispose: «Abbastanza».

Forse ritenne di essere stata troppo dura, perché gli rivolse un piccolo sorriso e cercò di stemperare il tutto aggiungendo: «Ma faremo del nostro meglio».

«Anche se sai che sono colpevole al cento per cento?»

Mila si strinse nelle spalle. «A volte la vita è ingiusta. Bisogna prendersi delle rivincite».

Decisero di scendere al piano terra dato che James era quasi arrivato. Rimasero ad aspettare all’interno, guardando la strada attraverso i vetri del portoncino d’ingresso.

Nate se ne stava con le mani cacciate nelle tasche della tuta, strascicando le pantofole con fare nervoso.

«Grazie per essere passata» le disse e lei sorrise.

In quel momento una scintillante auto sportiva si fermò davanti al palazzo e non ci furono dubbi che si trattasse dell’avvocato. Vetture del genere non si vedevano spesso nel quartiere.

«Ci vediamo presto» disse Mila e si allungò verso Nate. Lui rimase immobile, come paralizzato da quella vicinanza, mentre lei gli lasciava un bacio delicato sulla guancia. Quando si ritrasse, lui notò che aveva le guance arrossate.

Mila evitò il suo sguardo e, senza aggiungere altro, uscì dal palazzo e corse verso l’auto.

Nate rimase a fissare la strada fino a che il rombo del motore non si spense in lontananza.

 


 

   
 
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