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Autore: Luce 5    08/04/2021    0 recensioni
Con il ferro caldo e una spazzola, i capelli si trasformarono in tanti lunghi e morbidi riccioli che le ricadevano con grazia sulle spalle. Una coroncina di fiori e brillantini completò l’opera.
“Non tirare in quel modo, mi fai male, accidenti! Un giorno o l’altro, vedrai che te le taglio, quelle brutte zampacce verdi!”
“Ora guardati, non sembri più tu” le disse porgendole lo specchio.
“Sto benissimo, ora andiamo?”
“Trucco! Ti ricordo che hai la pelle molto chiara e le forti luci del teatro rischiano di farti sembrare uno spettro, quindi via libera al fondotinta e fard sulle guance.
“Quando finisce questa tortura, si può sapere?” replicò la ragazza al limite della sopportazione.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zuril
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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LA CLASSE NON E’ ACQUA

L’inconfondibile rumore di un grosso pallone di gomma da masticare scoppiato, fece girare lo sguardo di Zuril verso il rettangolo della porta. Era vestito con eleganza estrema, tutto in nero: mancavano solo gli ultimi ritocchi, che consistevano nell’eliminare ogni traccia aliena dal suo aspetto. La figura della principessa Rubina si era materializzata sulla soglia.
“Sua Altezza ha perso la parola? Che c’è, non sono abbastanza elegante per la Sua presenza?” l’apostrofò lui con tono e sguardo ironici all’ennesima potenza.
“Oh no, sei fin troppo elegante per finire di costruire quella dannatissima base sottomarina sulla Terra; devo forse pensare che il motivo che ti spinge a scendere dalla Luna, sia di altro interesse?” gli disse sbattendo sul tavolo il biglietto del teatro di Tokio, sul quale era indicato il giorno dello spettacolo di lirica.
Lui non si scompose affatto, ma tutto intento a sistemarsi la cravatta, stirò le labbra in un ampio sorriso.
“Esatto, cara! Hai fatto centro!” e nel dirlo, estrasse dal cassetto una busta e la sbattè davanti agli occhioni celesti della principessa. “Da quanto si legge in quel cartoncino, tu stai per fare la stessa cosa”, le disse con noncuranza, mentre sistemava il fazzolettino di seta bianca dentro la tasca in alto della giacca.
“Dico bene?” insinuò con studiata malizia, spruzzandosi senza parsimonia di raffinata e costosissima acqua di colonia. “E dal momento che condividiamo lo stesso segreto interesse, perché non usare un unico mezzo di trasporto per recarci lì? Semplice, economico ed ecologico!” le disse, lasciandola basita.
“A proposito cara, anzi, Altezza, con quale toilette pensi di esibirti in platea?”
Rubina aveva taciuto per lunghi minuti totalmente spiazzata. Decise che tanto valeva arrendersi e con voce bassa, sussurrò: “Con questo abito che indosso.”
Zuril la osservò un paio di volte dall’alto in basso, poi dal basso verso l’alto. Si accomodò sulla poltrona per capire se fosse il suo computer oculare ad aver perso dei gradi, oppure lei che non aveva capito un accidente di cosa fosse in realtà l’ambiente del teatro e di come ci si dovesse presentare. La ragazza portava i capelli raccolti in una coda di cavallo, indossava un lungo abitino di cotone a fiori tutto svolazzante, le ballerine ai piedi e niente trucco. Il Ministro congiunse le mani e le posò sotto il mento, mentre cercava qualcosa di sensato da dirle. Bisognava partire da zero, prima elementare, no, così non si poteva andare in nessun posto, tranne che tentare di integrarsi in un gruppo di Figli dei Fiori, sempre ammesso di trovarlo. “Allora, Rubina, intanto sputa subito quella gomma, poi ti mostro com’è fatto un abito da sera.”
“Non c’è bisogno, ne ho tanti nella mia camera, vado subito a metterne uno” gli disse un tantino risentita e offesa.
“Fatti anche il trucco e la giusta pettinatura!” le gridò mentre lei era già corsa fuori. Tornò dopo una decina di minuti con i capelli sciolti e vaporosi, un miniabito aderentissimo arancione e tutto glitterato con scollo all’americana.
A Zuril cascarono le braccia, la mascella e l’umore. “No, scusami Rubina, però questo non puoi chiamarlo abito da sera. Partiamo subito dal colore: sbagliatissimo per il teatro e per te, perché fa decisamente a pugni coi tuoi capelli rossi. Secondo gravissimo errore: questo modello non è da sera e nemmeno da mezza sera! E’… non so bene come esprimermi senza offenderti… voglio comunque essere gentile… non è da principessa, ecco!”
“Ma io vado sotto falsa identità, nessuno deve sapere che sono nobile” gli disse con tono piccato.
“Allora, visto che davvero non ci senti, ti dico chiaro e tondo, che solo le ragazze in cerca di clienti di notte e sotto un lampione si vestono così! Hai capito adesso, o devo scendere in altri particolari poco fini e per nulla educati?”
“Va bene, va bene, quante storie, uffa!” disse lei sbuffando e buttandosi a peso morto sulla poltrona di velluto cremisi.
Zuril aprì il suo armadio e a sorpresa, videro la luce una decina di abiti elegantissimi, raffinati e certamente molto costosi. Rubina balzò a terra e corse tutta contenta a guardarli da vicino. “Ma sono stupendi! Dove li hai presi?” mormorò la ragazza, mentre con una mano sfiorava quelle stoffe preziose. “Lascia stare questi dettagli, scegline uno che ti stia bene, piuttosto.”
“Questo! Ecco, questo mi piace tanto!” disse lei e corse via a cambiarsi. Era un lungo e liscio abito in seta blu notte con scollatura a punta e senza maniche: piccoli e quasi invisibili brillantini illuminavano di stelle quel cielo scuro. Una larga sciarpa in tulle della stessa tinta adagiata sulle spalle, completava la semplice ma raffinata toilette. La fanciulla apparve nel rettangolo della porta e Zuril la osservò con sguardo severo e professionale, tenendo in mano un bicchiere pieno di grappa.
“Ecco, il vestito è giusto, ma su di te non va.” “Perché?”, sussurrò lei alquanto delusa, mentre il sorriso sulle labbra si spegneva all’istante. “Semplicemente perché richiede un fisico diverso dal tuo, capisci?”
“No!” gridò lei quasi disperata.
“Sarò semplice e chiaro: la scollatura va adeguatamente riempita. Quindi, o ti cerchi un bravo chirurgo estetico che a tempo di record ti faccia lievitare il decolletè di almeno due taglie, o scegli un modello diverso: hai ampia scelta, mi pare” le disse indicando l’armadio con la mano, mentre dal cassetto estraeva una sigaretta.
“Ma uffa, e dimmelo prima, no? L’hai detto tu che potevo scegliere un abito qualsiasi!”
“Che problema c’è? abbiamo ancora molto tempo a disposizione, prima di partire” rettificò lo scienziato, aspirando una lunga boccata di fumo. “Questo va bene?” gridò lei arrabbiata, estraendo un vestito rosa pallido con le maniche a tre quarti, scollatura quadrata e dalla gonna ampia e ricca.
“Provalo”, rispose lui con tono neutro.
“Lo provo e me lo tengo, stavolta non lo cambio più! Che fatica essere belli!”
“Come vuoi, però ti avverto subito che, in Giappone si usa tirare uova marce non solo agli artisti mediocri, ma anche agli spettatori malvestiti. Dopo, non dirmi che non ti avevo avvertita.”
Zuril parlava con calma serafica e il tono adulto che di solito si usa con chi proprio non vuole capire. Stranamente non rivolgeva a Rubina nessuno sguardo ammirato, né tentava il benchè minimo accenno di corteggiamento. Erano quasi due estranei che dividevano lo stesso segreto, la stessa trasgressione e avevano tutto l’interesse che nessuno della base lunare li scoprisse.
“Ecco, mi piace e rimango così, non ti provare a dirmi che non sto bene, chiaro?” lo aggredì lei con la voce lievemente tremula e incrinata dal pianto represso.
“Ottimo, ti sta d’incanto! Ora accomodati sullo sgabello davanti allo specchio per l’operazione trucco e parrucco, forza!”
“Ancora? Ma che roba è? si fa tardi, andiamo!” brontolò lei sbuffando e protestando.
“Ci penso io, sarai una meraviglia.” Con il ferro caldo e una spazzola, i capelli si trasformarono in tanti lunghi e morbidi riccioli che le ricadevano con grazia sulle spalle. Una coroncina di fiori e brillantini completò l’opera.
“Non tirare in quel modo, mi fai male, accidenti! Un giorno o l’altro, vedrai che te le taglio, quelle brutte zampacce verdi!”
“Ora guardati, non sembri più tu” le disse porgendole lo specchio. “Sto benissimo, ora andiamo?” “Trucco! Ti ricordo che hai la pelle molto chiara e le forti luci del teatro rischiano di farti sembrare uno spettro, quindi via libera al fondotinta e fard sulle guance. “Quando finisce questa tortura, si può sapere?” replicò la ragazza al limite della sopportazione.

Venti minuti dopo….

“Finito! Sei splendida, la più bella dell’universo!” “E’ vero… ma dove hai imparato tutte queste cose?” si ammirava compiaciuta nello specchio e le scarpe nuove in raso come l’abito le stringevano un poco, ma l’eccitazione di partire per questa nuova avventura, aveva il sopravvento su ogni piccolo fastidio.
Lui, da vero cavaliere le diede il braccio, aprì la porta facendola passare e insieme varcarono il lungo corridoio camminando a piccoli passettini.
“I biglietti?” “Li ho presi, sono nella borsetta di raso. Voglio guidare io!” gli rispose lei fremente, al colmo della gioia. In fondo, sulla porta d’ingresso, si materializzò una lunga e imponente figura: re Vega! I due tapini si strinsero l’uno contro l’altra, mentre il sovrano tentava di mettere a fuoco le loro persone, faticava non poco a riconoscerli.
“Ma… ma voi siete… impossibile, come avete fatto?”
“N… noi… veramente… n… non sapevamo… cioè… non è come sembra, possiamo spiegare tutto” balbettarono insieme. Il re sorrise come non aveva mai fatto.
“Ma certo che non sembrate voi, siete eccezionali!”
Zuril e Rubina rimasero attoniti. I due trasecolarono, mentre il sovrano stringeva gli occhi in due fessure per inquadrarli meglio.
“Così non vi riconoscerà nessuno e sarete liberi di buttare bombe a destra e a manca, attacchi terroristici, bravissimi! Chi potrà mai pensare male di voi?” Con sguardo pieno di orgoglio paterno, il re abbozzò una lieve carezza sulla testa della figlia, forse la prima da quando era nata.
“Andate pure, attendo vostre notizie a breve… sono molto contento che adesso collaborate insieme e siete così affiatati.”
Come due automi, Zuril e Rubina salirono sulla navetta parcheggiata.
“Guida tu, io non ne ho più voglia” disse lei porgendogli il telecomando. Salirono sul mezzo e si lanciarono nello spazio. Dopo molti minuti di silenzio, lei, tenendo ostinatamente lo sguardo verso l’oblò, chiese: “Dove andiamo adesso?” “Io a suicidarmi, e tu?”
“Svolta a destra, la vedi quella costellazione? Ho una mia base, mi fermerò lì per un lungo periodo.”
“Ecco, siamo arrivati, è questo il luogo?” “Sì, ciao e buon suicidio: ti consiglio di usare un sistema rapido e indolore, addio.”
“Ciao, Rubina, stammi bene”, le sussurrò facendola scendere dal velivolo.
“Perso per perso, tanto vale che vada a vedere lo spettacolo: a morire c’è sempre tempo” decise lo scienziato osservando l’orario e il biglietto del teatro. Cambiò rotta e puntò veloce sulla Terra.


Fine
   
 
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