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Autore: Padme Undomiel    09/04/2021    1 recensioni
[Soulmate!AU]
Miyako ha sempre avuto due grandi convinzioni, fin da quando ricorda. La prima: non c’è dono più grande, al mondo, di avere un’anima gemella che ti aspetta da qualche parte, e un modo per riconoscerla. La seconda: se sai come cercarla, dovresti iniziare a farlo senza indugiare.
Chissà perché, allora, la vita si diverte a cercare di disintegrare le sue convinzioni come se non fossero altro che castelli di sabbia.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miyako Inoue/Yolei
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Against the rules






7.

 







Lo zaino aperto è ancora ai piedi del letto, proteso verso le sue gambe, come se si stesse pigramente chiedendo come mai lei abbia smesso di riempirlo tutto d’un tratto.
Sul materasso, il bracciale di perline aperto, a prendere più spazio possibile.
Come se non avesse preso già abbastanza spazio, in qualunque altro posto. La testa, il petto, la gola.
Il polso destro.
Miyako l’ha provato, eccome se l’ha provato. E’ come pensava: le calza a pennello.
Ma la sensazione delle perline fredde contro le sue Parole l’ha sconvolta a tal punto che ha dovuto toglierlo, come se l’elettricità che emanano le avesse fatto formicolare la pelle.
Non le è ancora passata, anche se sono diversi minuti che lo fissa.
E un giorno intero che ci pensa.
Questa volta mi sono cacciata in un bel guaio, eh?
Qualunque cosa faccia, in qualunque altro modo tenti di occupare la sua mente, non c’è momento in cui il ricordo di quell’abbraccio non zittisca tutto il resto, costringendola a mollare tutto, a sentirsi il cuore balzarle in gola, a ritrovarsi quasi con gli occhi lucidi.
Non c’è scampo e non può fuggire.
Miyako è innamorata di Ken.
Di nuovo.
In modo peggiore.
Perché anni fa era una cosa così superficiale e infantile da farla sorridere, un sentimento effimero e volatile che ha preso fuoco non appena ha scoperto che ragazzino egoista e crudele fosse.
Ma ora … cosa potrebbe dire ora?
In quell’abbraccio non c’era solo emozione, gambe che tremano, guance rosse e imbarazzo.
Se chiude gli occhi può ancora rievocare quella sensazione sconvolgente … come se mente e corpo, per la prima volta, fossero completamente concordi nel concedersi, nel regalarsi, nell’affidarsi al ragazzo capace di stringerla in quel modo.
Non ha mai provato niente di simile.
Non doveva provare niente di simile.
Miyako si afferra il polso destro, e osserva le sue Parole scoperte, ingenuamente pregandole ancora una volta di indirizzarla verso la felicità.
Non hanno niente da dirle, niente di più di quel che già sa.
Vorrei aiutarti.
Ci stava provando a vivere mettendo da parte queste faccende, pensa, e le lacrime si affacciano prepotentemente tra le sue ciglia – ma Miyako non piangerà, non stavolta.
Ha cercato di pensare ad altro, migliorarsi – ha fatto tutto quello che ha potuto per poter costruire solide basi su cui, un giorno, far crescere la sua storia con la sua anima gemella. Ha provato con tutte le sue forze … e il suo cuore l’ha tradita, di nuovo.
Facendola innamorare di un ragazzo che non è destinato a lei.
Un ragazzo che merita amore, lo merita davvero tanto. Merita di essere conosciuto, merita qualcuno che voglia fare esperienze bizzarre con lui, merita qualcuno che lo abbracci quando si sente triste e rida con lui quando qualcosa accende il suo viso pallido e i suoi occhi azzurri che sembrano chiedere solo di poter vivere, vivere intensamente, in qualunque modo.
Miyako darebbe chissà cosa per poter essere quel qualcuno. Anche se lui non è destinato a lei.
Ed è proprio questo a spaventarla.
Le Parole restano ferme davanti ai suoi occhi, immutabili, silenziose come la luna.
Non pensava fosse così facile innamorarsi di qualcuno che non è la tua anima gemella.
E ora ripensa a Taichi e Sora, a quanto le fosse sembrata una scelta rivoluzionaria, quella di amare qualcun altro.
Non era una scelta.
Non lo è stata neanche per Miyako.
Sulla schiena ha ancora la sensazione della mano di Ken che la stringe piano, e un groppo in gola le impedisce di deglutire.
Davvero c’è qualcun altro, là fuori, che possa emozionarmi più di quanto non mi senta ora?
Perché non poteva essere Ken, fin dall’inizio?
Le mani le ricadono in grembo.
Guarda ancora il bracciale, e poi lo zaino aperto che ha ai piedi.
Impulsivamente afferra il bracciale, lo ripone nel suo sacchetto, e mette il tutto in una tasca nascosta dello zaino.
Non riesce ancora a indossarlo.
Ma non vuole staccarsene, neanche per il breve periodo in cui sarà fuori città. Per nulla al mondo.
 
***
 
“Allora, a te la parola.”
La costruzione in legno circondata dal verde che li attende davanti ai loro occhi, placida e ricca di promesse ancora inespresse, è gentilmente illuminata da un cielo solo appena imbiancato e da un sole insolitamente caldo.
“Sei tu che paghi, quindi sta a te giudicare”, continua Mimi rivolta verso il suo ragazzo, l’espressione esultante di chi aspetta solo di sentirsi riconoscere un merito per il quale ci si è già incoronati nella propria testa. “Cosa te ne pare di questa location che trasuda Giappone da ogni poro? Non è esattamente quello che ti avevo promesso?”
Michael si guarda attorno, inspira a pieni polmoni, espira e sorride, luminoso. “Splendida”, commenta. “Sei la numero uno”.
Taichi alza gli occhi al cielo. “Perché non mi sorprende che tu gli abbia insegnato proprio queste espressioni in giapponese?” Commenta ironicamente.
“Ha imparato solo le cose essenziali!” Gli risponde Mimi sfacciatamente, scoccando un bacio sulle labbra a Michael.
Takeru ride. “Mimi-san, se tutti avessimo la tua autostima saremmo a cavallo.”
“Guarda che tu sei sulla buona strada”, replica Mimi, con un sorriso soddisfatto.
“Ma come cavolo fai a parlare così bene una lingua straniera?” Esclama Daisuke sconvolto, guardando Michael con tanto d’occhi. “Quanto ci hai messo? Quali sono i tuoi trucchi?”
“Meglio che tu non gli dici quanto hai preso all’ultima verifica di inglese, Daisuke”, ghigna Miyako, dandogli una gomitata leggera. “Umiliato su tutti i fronti.”
“Ah sì? Forza, ti sfido a parlare fluentemente inglese con Michael, ora!”
“Ok! E sai che farai se vinco? Prenderai un megafono il primo giorno del prossimo anno scolastico e, davanti a tutti, griderai forte e chiaro: Miyako-sama è la migliore, non posso nulla contro di lei!”
“Se io sono sulla buona strada, Miyako-san dove si colloca?” Chiede Takeru, indicando Miyako con il pollice.
“Miyako-chan è il mio orgoglio”, dichiara Mimi solennemente.
Miyako le manda un bacio.
“Donne”, borbotta Daisuke, guardando Ken in modo significativo.
L’espressione allarmata di Ken è l’unico preavviso che Daisuke riceve, prima di farsi pestare il piede da Miyako più forte che può.
“Secondo me possiamo iniziare a entrare”, dichiara lei vivacemente, ignorando gli ululati oltraggiati di Daisuke.
“Concordo”, conviene Koushiro, scrutando l’entrata. “Meglio sfruttare la giornata il più possibile.”
Sfruttare appieno la giornata era il loro piano fin dall’inizio: è per questo che hanno preso l’autobus molto presto, questa mattina. Tutto questo ha richiesto diverse misure precauzionali per i meno mattinieri del gruppo, tra le quali una tirata d’orecchie per Taichi da parte di Mimi e la necessità di Ken di dormire a casa di Daisuke. Per comodità, naturalmente, visto che il ritrovo era a Odaiba, ma tacitamente lo sanno tutti che era soprattutto una strategia per impedire a Daisuke di dormire per l’intera durata della mattinata.
Miyako ha ricevuto una foto, questa mattina, da parte di Ken, senza didascalia: un Daisuke addormentato sul tavolo della colazione. Ne ha riso, e gli ha risposto intimandogli di non cancellare mai la prova del delitto, casomai dovesse tornare utile. E’ stato strano scrivergli qualcosa di così naturale con il cuore in gola e le dita tremanti.
E’ stato strano rendersi conto, nero su bianco, che quel messaggio è stato il primo dopo la Questione Bracciale. Né lui né lei si sono scritti nulla per un giorno intero.
Chissà se lui se n’è chiesto il motivo.
Ken non ha fatto altro che guardarla, per tutto il viaggio. Prima di salire sull’autobus; in un tranquillo momento come un altro di risate e chiacchiere; appena scesi, con le ciambelle che Iori ha portato per tutti loro – una specie di personale lasciapassare per perdonarsi di aver accettato una gita alle terme gratuita, e di aver rinunciato alle sue fin troppo adulte responsabilità per un giorno –; durante l’intero tragitto a piedi per arrivare davanti alla loro destinazione finale. Non si tratta di uno sguardo fisso, ma di uno fugace, evitante, pieno di domande alle quali non si può rispondere.
Miyako lo sa, perché ha fatto lo stesso.
Ma il cellulare tace, e le loro bocche anche. Parlano tanto, con chiunque altro, e mai tra loro.
Miyako darebbe qualsiasi cosa per parlargli. La sua testa si arrovella, in ogni istante, cercando una scusa banale, una sciocchezza da dirgli: qualsiasi cosa per rompere il ghiaccio, per cercare di non vedere quell’enorme elefante nella stanza che le mette ali al cuore e macigni nella pancia.
Eppure non può: è come se qualcuno le avesse rubato la spontaneità. Come se quel qualcuno fosse stato lei stessa.
Si ferma a guardarlo ancora una volta, mentre lo vede seguire Daisuke e gli altri, zaino sulla schiena e quella curiosa tensione alle spalle che inconsciamente tende a mantenere ogni volta che spera di essere adeguato in una data situazione. Conosce quel modo di camminare; conosce la silenziosissima meraviglia di essere parte di qualcosa, che gli colora il viso quando qualcuno lo coinvolge e gli parla. La conosce, eppure non l’ha mai vista con questi occhi. Non ha mai sentito quella specie di tensione fremente verso di lui …
Ken si gira, e incontra il suo sguardo.
Miyako sussulta. Lui si ferma.
Lui può vederlo, vero? Lo sa cosa lei sta provando, le turbinose emozioni che le stanno offuscando qualsiasi altra sensazione che non sia l’opprimente silenzio creato dai loro volti immobili …
Ken abbassa gli occhi, e torna a girarsi verso l’entrata dell’edificio.
La sensazione di mancanza le brucia nello stomaco.
Ma gli altri sono tutti davanti a lei, e la superano, chiacchierando entusiasticamente – un umore completamente diverso dal suo, sotto i piedi.
Non c’è tempo per tutto questo, giusto?
Miyako si fa forza. Corre più veloce dei suoi pensieri: in un attimo è accanto a Hikari, e le sorride fingendo di esserle sempre stata vicino.
“Sono proprio curiosa di sapere com’è dentro!” Esclama, mettendo volutamente il turbo a qualsiasi cellula del suo corpo.
Le basta varcare la soglia d’ingresso per sapere che Mimi ha fatto di nuovo centro.
Il ryokan che ha scelto per loro è molto spazioso, elegantemente arredato, con diverse attrattive – “Due grandi vasche esterne e una interna”, legge Hikari dal dépliant che ha trovato all’ingresso, piacevolmente meravigliata – e un personale all’accoglienza gentile e disponibile. Mimi e Michael concordano per cena e pernottamento, e scelgono tre camere da occupare: due per i ragazzi e una per le ragazze.
“Michael starà con i più grandi”, spiega loro Mimi. “I piccolini, invece, tutti insieme!”
Iori passa almeno un paio di minuti a inchinarsi a Michael e a ringraziarlo infinitamente per la sua gentilezza. Miyako non pensa che Michael abbia capito proprio tutto, però i ringraziamenti tendono ad essere universali, pur nelle loro abissali differenze. Michael sembra molto divertito degli inchini, tanto che ci si cimenta anche lui, con un “Prego” entusiasta.
La donna all’accoglienza li conduce in una stanza comune, offrendo loro del tè e illustrando loro i servizi della struttura e dove trovarli. Oltre ai bagni termali c’è una sala giochi, provvista di tavoli da biliardo e da ping-pong, e un distributore automatico da cui servirsi liberamente. I bagni non hanno limiti orario, e possono essere visitati anche di notte.
“Non ci sono vasche miste”, specifica l’anziana padrona del ryokan. Ken, alla notizia, rilassa visibilmente le spalle.
Le camere che hanno prenotato non sono grandi, ma in compenso sono decisamente ariose e piene di ikebana nelle nicchie di abbellimento. La cosa più bella di tutte è decisamente il panorama che si vede all’esterno: un giardino ben curato e silenzioso, un piccolo angolo di quiete in un complesso altrimenti imponente. Hikari è la prima a entrare nella stanza, con tutti gli altri ancora fuori: si guarda attorno, sbircia il giardino fuori, poi il suo viso di bambola si apre in un sorriso che la accende in ogni parte.
“E’ un gran peccato che le macchinette fotografiche non siano permesse qui”, dice. E i suoi occhi osservano ogni dettaglio come se volessero scattare foto accurate da portare con sé per sempre.
Quello di cui non si accorge è l’espressione di Takeru, sull’uscio della stanza, mentre la osserva assorto con un sorriso sulle labbra. Miyako non l’ha mai visto sorridere così, con tanta intima devozione.
Accorgersene le fa provare una buffa capriola nel petto.
Se non fossero stati anime gemelle l’avrebbe guardata ugualmente in quel modo?
“In ogni cassettiera delle vostre stanze ci sono yukata e obi di varie fantasie e misure”, spiega loro la padrona del ryokan. “Scegliete liberamente quel che preferite.”
“Tanto poco importa, nelle vasche non ne avremo mica bisogno!” Commenta Daisuke. E’ buffo come improvvisamente il sonno che ha perso non sembri pesargli affatto: è fresco come una rosa, e come sempre impaziente di vivere al massimo.
Ken si schiarisce un po’ la voce. “Credo che importi almeno un po’, visto che qui dentro gireremo in yukata.”
Daisuke sbatte le palpebre. “Ah”, dice imbarazzato. “Già.”
Taichi ridacchia.
“Oh, prima che vada”, aggiunge la donna. “Nella cassettiera troverete cerotti a volontà per le vostre Parole. Li abbiamo, naturalmente, di varie tonalità, forme e dimensioni: speriamo che li troverete adatti per le vostre esigenze.”
E’ un attimo, ma nello stesso momento lo sguardo di tutti si incontra, prima di essere distolto.
E’ una nozione banale, ma fino ad ora non era mai stata così evidente.
Ci sono persone che non useranno quei cerotti, oggi.
 
***
 
Miyako si accarezza il braccio nudo, pensierosa.
Il cerotto ha fatto un ottimo lavoro: il colore dell’incarnato scelto è perfetto, non si percepisce la differenza. Inoltre, al contrario dei cerotti medicali, questo qui non ha neanche lasciato l’alone sulla pelle.
Non ha lasciato, naturalmente, nessuna traccia delle sue Parole.
Miyako ha provato a portarsi il polso il più vicino possibile agli occhi, per cercare anche il più piccolo segnale che le sue Parole siano ancora lì, proprio dove le ha sempre viste e studiate, ma non riesce neanche a scorgerne l’ombra dietro le goccioline d’acqua rimaste dopo l’applicazione del cerotto. Non sono semplicemente meno visibili: sono proprio sparite.
Come se non fossero mai esistite.
Non ha mai visto il suo polso così spoglio: è normale che stia passando così tanto tempo a studiarlo ora. E’ un’occasione più unica che rara, visto che non avrà mai più l’opportunità di osservarlo così – a parte, ovviamente, se deciderà di tornare alle terme.
Non sa se sia normale sentirsi così disorientata di fronte al silenzio del suo polso, però.
Non sembra neanche più il suo polso.
Così tanti anni passati a osservarsi, a cercare, con determinazione e forza di volontà, di capire come vivere nel modo giusto, e ora si ritrova con un braccio perfettamente anonimo. Come se avesse di colpo indossato una maschera spessa, che rende impossibile riconoscersi e farsi riconoscere.
E se ci fosse nata così?
Il pensiero le esplode nella testa come una deflagrazione.
E se le Parole non fossero mai esistite, per nessuno?
Questa qui sarebbe la normalità, in quell’universo parallelo. Questa pelle bianca, candida, priva di segni distintivi, priva di segnali ambigui.
Una pelle che non parla, che non guida, che non finge nemmeno di farlo.
Una pelle che ti scaraventa, senza mezzi termini, in una vita completamente imprevedibile, senza neanche la certezza di sapere che al mondo esiste qualcuno che condivide con te una porzione invisibile della tua anima.
Beh. Non che avere delle Parole ti indirizzi chissà quanto, in realtà.
Fa quasi ridere pensare che, forse, non averle affatto sarebbe una maniera molto più semplice di vivere.
Miyako non vorrebbe, ma gioca. Prova ad immaginarsi a vivere una vita diversa, una vita Muta.
E’ incredibile come la presenza o meno di Parole ti condizioni così tanto.
Senza Parole non ci sarebbe stato Satoshi, lui e le sue orribili bugie solo per una goliardata tra amici. Nessun litigio con i suoi genitori, nessuna chiusura con i suoi fratelli. Nessuna spaventosissima, dolorosissima sensazione di essere sbagliata, di essere diversa, di essere troppo strana per essere amata sul serio.
Forse non avrebbe neanche reagito così male, di fronte a quella partita mancata con l’Astro Nascente del Calcio. Non avrebbe parlato in quel modo a Ken, e non si sarebbe sentita così in colpa nel venire a conoscenza della sua fuga da casa.
E Koushiro? Come sarebbero state le sue interazioni con lui? Probabilmente non si sarebbe resa ridicola in quel modo, non ci vuole molto per capirlo. Qualunque altro modo per rendersi ridicola sarebbe stato probabilmente preferibile.
Per non parlare di Ken …
Le fa male pensarci, profondamente; eppure non può farne a meno.
La verità è una sola: se non ci fossero state le Parole di mezzo ci avrebbe provato con lui, senza se e senza ma.
Ma le Parole esistono, e fingere che non sia così non la porterà da nessuna parte.
Non era lei che ringraziava il cielo per avere un’anima gemella?
Da quando amare qualcuno è diventato più importante di avere un’anima gemella, per lei?
Miyako sospira, lascia cadere il braccio.
Che stupide riflessioni, davvero.
Il corridoio è vuoto, ed è inutile indugiare ancora. Lascia gli abiti nel cesto di paglia, e con passo deciso esce.
Mimi e Hikari sono già immerse nella vasca caldissima e nel vapore che essa diffonde nella ricca vegetazione circostante. Ci sono altre due donne immerse nell’acqua, e una alle docce: per il resto sono sole. Il venticello fresco che scuote arbusti e piante è sufficiente a farla rabbrividire, senza la protezione dello yukata.
“Miyako-chan, che fine avevi fatto?” Mimi la scorge, e le fa segno con la mano, il vapore caldissimo che le colora le guance – il trucco che le dona più in assoluto. “Qui abbiamo iniziato senza di te!”
“Scusate, scusate!” Sorride a forza Miyako, strofinandosi velocemente con acqua e sapone sotto la doccia. “Dovevo capire bene come usare quegli stupidi cerotti. Ci ho messo un po’ prima di trovare la tecnica adatta! Non sembra, ma non è facile come si crede.”
“Cerotti?” Ripete Mimi incredula.
C’è una parte di Miyako che ancora sta sperando di riuscire a cavarsela senza spiegare nulla, senza parlare affatto delle spinose questioni sentimentali che la stanno paralizzando. “Beh, certo!” Esclama, facendo la vaga. “Bisogna trovare la forma perfetta, la perfetta tonalità e …”
“Inoue Miyako, vieni subito in acqua.”
Una parte molto ingenua, ovviamente.
Miyako chiude gli occhi, sconfitta. Come se si potesse sfuggire a Mimi.
Inspira, riapre gli occhi, chiude il rubinetto. Fa ancora più freddo, ora che è bagnata fradicia.
Corre verso il bordo della vasca, e si immerge il più velocemente possibile. Il sollievo è immediato: l’acqua è piacevolmente calda, e sembra sciogliere qualsiasi cosa. Anche il blocco di marmo che si sente nel petto.
Mimi e Hikari la raggiungono in fretta, stando attente, nonostante tutto, a non schizzare acqua addosso alle altre visitatrici delle terme. Senza occhiali è difficile scorgere i loro visi da lontano, ma man mano che si avvicinano Miyako riesce a notare i particolari. Riesce a vedere la confusione nel viso di Mimi, e la preoccupazione in quello di Hikari.
E scorge il braccio sinistro di Hikari, proprio sotto l’attaccatura della spalla. E la curva del seno destro di Mimi, appena accennata sopra il livello dell’acqua.
Non riesce a leggere quali Parole si portino addosso, ma di certo non c’è motivo di nasconderle, per loro.
“Nell’ultima mail che mi hai mandato, tu mi parlavi della tua anima gemella”, inizia Mimi, le sopracciglia aggrottate. “Eri tutta felice di averla trovata, no? Eppure subito dopo sei sparita nel nulla. Mi aspettavo di capirci un po’ di più vedendoti con Koushiro-kun: avevo paura che lui si stesse comportando con te come … beh … come Koushiro-kun, ed ero pronta a tirargli un po’ le orecchie. Ma tu e lui siete lontani anni luce, da sempre! E ora viene fuori che hai messo il cerotto!”
“Miyako-san, lo sai che puoi parlare liberamente con noi”, continua Hikari.
“Ci spieghi che succede?” Incalza Mimi.
“Ok! Ok.” Miyako si arrende, alzando le braccia. “Non ce la faccio più a tenermelo dentro. Ho bisogno d’aiuto, perché se no impazzisco.”
“Dai”, la incoraggia semplicemente Hikari.
Come se fosse facile. Come se fosse giusto. Come se già sapesse che andrà bene tutto, qualsiasi cosa lei dirà; che la cosa peggiore sarebbe tacere.
“Mi sono innamorata”, sussurra infine. “Ed è sbagliato, perché lui non è la mia anima gemella.”
Mimi e Hikari sgranano gli occhi. E lo vede, oh se lo vede: Mimi sta per aprir bocca, e chiederle qualcosa che lei non può dire. Così, precipitosa, continua.
“Lo so anche io che è sbagliato. Voglio dire, a che pro? A che serve dare il mio cuore a qualcuno che non è quello giusto per me? Servirà solo a farmi del male, perché …” Inspira. Espira. “Perché lui mi piace tanto, davvero tanto. Lui mi capisce, e io capisco lui, e credo che potremmo davvero, davvero avere qualcosa di bello assieme … ma sarà destinato a finire. E io non voglio straziarmi il cuore così.”
“Miyako-san”, dice Hikari.
“Vorrei non essermene mai accorta!” Esclama Miyako, disperata, e il groppo in gola le strozza la voce. “Vorrei tornare ad essere beatamente idiota, a ridere e scherzare con lui come se niente fosse, a pensare al nostro rapporto come qualcosa di prezioso ma indefinito. E invece ho aperto gli occhi, e ho rovinato tutto.” Ride, un po’ istericamente, senza neanche un briciolo di divertimento. “Già, aperto gli occhi. Perché ehi, sapete cosa? Non so neanche io quando abbia iniziato a provare qualcosa di diverso per lui! Mi arrovello senza fine, e la risposta non ce l’ho. E’ cresciuto dentro di me come fosse qualcosa di naturale, e invece naturale non lo è per nulla …”
“Miyako-san, aspetta”, la interrompe Hikari. “Perché dici così? Perché parli di giusto e sbagliato?”
“Come sarebbe a dire, perché?” Miyako la guarda, incredula. Hikari dovrebbe capire quello che sta dicendo, no? Ha visto personalmente cosa succede in casi del genere, con Taichi. Perché la fissa con quell’espressione così calma? “Se dovrò comunque rinunciare a lui, tanto vale che io lo faccia subito! Almeno per quanto riguarda i sentimenti romantici, perché col cavolo che voglio che lui sparisca dalla mia vita. Per cui … aiutatemi, ok? Voi che avete trovato la vostra anima gemella lo saprete, no? Come si fa a rinunciare a tutti gli altri innamoramenti senza capo né coda?”
“Non si può”, dice Mimi. “E meno male, direi.”
La risposta secca le piove addosso come un’incudine.
“Intanto, sappi che non si fa così”, la rimprovera Mimi, il viso imbronciato. “Perché costringerci a parlare per assurdo? Tira fuori nome e cognome e-”
“Mimi-san, dopo”, la ferma dolcemente Hikari. E poi sorride a Miyako, rassicurante. “Non è la cosa più importante in questo momento.”
“Ma certo che lo è!” Protesta Mimi. Hikari scuote la testa, lanciandole un’occhiata ammonitrice.
Miyako le guarda entrambe, smarrita, senza sapere cosa dire.
“Va bene, dopo”, sospira Mimi, frustrata. Si aggiusta l’asciugamano sulla testa con attenzione, cercando di non rovinarsi l’acconciatura. “Miyako-chan, stai andando in panne. Che senso ha avere un’anima gemella, se devi rinunciare a qualcosa di importante per trovarla?”
“Ma come?”, ribatte Miyako, completamente interdetta. “Ha senso eccome, se significa trovare l’altra parte della tua anima …”
“E che senso ha trovare l’altra parte, se non trovi prima questa parte?”
“Mimi-neechan, si può sapere di che –”
“Tu.” Mimi la indica in modo significativo, perentorio, e Miyako tace. “Tu sei la parte di anima di cui devi prenderti cura, prima di qualsiasi altra cosa.”
Hikari annuisce silenziosamente dietro Mimi, senza aggiungere altro.
“Ok, sentite.” Miyako fa un respiro profondo, cercando di mantenere la calma. Si sente come se stesse parlando un’altra lingua: è quasi pentita di aver tirato fuori il discorso in primo luogo. “Ho capito cosa state cercando di fare, e vi adoro per questo, ma il discorso è molto semplice: mi sto prendendo cura di me, se mi impedisco di farmi male con qualcuno che non è stato destinato a me. Mi sto prendendo cura di me se decido di aspettare la persona giusta, e –”
“Ma no che non ti prendi cura di te!” Si infervora Mimi. “Sai cosa stai facendo? La schiava delle tue Parole! Stai sacrificando te stessa per un culto che non ti renderà mai felice, non così!”
Miyako sussulta.
“Non è vero”, si difende debolmente. “Io ho deciso di lasciar stare per il momento. Volevo vivere liberamente –”
“- tagliando fuori i sentimenti romantici però!” Continua Mimi. “Cosa vuoi fare, anestetizzarti? Non puoi rinunciare a vivere una parte di te così importante solo perché non è la persona giusta!
“E cosa dovrei fare allora?” Esplode Miyako, a voce troppo alta. Le tre donne in acqua si voltano verso di lei, con disapprovazione, ma non importa. Urlerebbe anche più forte, se solo potesse avere una risposta definitiva a tutto questo dramma insensato. Urlerebbe con tutta la forza che le concedono i suoi polmoni.
“Le ho provate tutte! Perché sembra che niente funzioni per me?”
Sono così sbagliata?
“Perché tu pensi che le Parole che indossi ti parlino principalmente di qualcun altro”, dice Hikari a bassa voce. “E invece parlano di te. Sono uno specchio.”
Miyako la guarda, gli occhi lucidi.
Hikari le tira fuori gentilmente la mano destra dall’acqua: gliela stringe, come a volerle infondere tutta la forza che ha. Il polso destro di Miyako, silenzioso, brilla di raggi solari per via delle gocce d’acqua rimastele sulla pelle.
E poi la vede sorridere, e il suo sorriso è più caldo dell’acqua termale nella quale sono immerse.
“Sai qual è il vero modo di trovare la tua anima gemella? Di trovarla davvero, non solo di sapere chi è”, aggiunge, e la guarda come se quell’aggiunta cambiasse ogni cosa, in modo radicale. “Seguire i tuoi sentimenti, senza temerli. Essere te stessa, in ogni momento. Non inibirti mai.”
Tutto qui.
“E se questo dovesse portarmi a perdere la strada che mi porta alla persona destinata a me?” Domanda Miyako a fatica, dando voce a una delle sue paure più profonde.
Il sorriso di Hikari si amplia. “Impossibile. E’ la scorciatoia più efficace che io conosca.”
Miyako non sa cosa dire. Il cuore le martella sordo nel petto.
“Ti ho mai raccontato di come ho incontrato Michael?” Interviene Mimi casualmente.
Miyako scuote la testa.
“E’ una storia divertente, se ci si pensa. Le prime parole che mi ha rivolto, poco tempo dopo essermi trasferita con i miei in America, erano complimenti”, ricorda, con un sorriso nostalgico. “Niente di meglio, per come la vedevo io, perché ho sempre adorato ricevere complimenti. Un’anima gemella devota era proprio quello che cercavo.”
“La pensavo anche io così quando ero piccola”, dice Miyako, un sorriso incerto.
“Per me era un aspetto fondamentale. Solo che, quando ci siamo messi insieme … beh, c’era anche lui, e i suoi bisogni, e il suo giusto desiderio di essere considerato importante quanto me. Ma a quel tempo ero così vanitosa da non poterlo accontentare … continuavo ad amare le attenzioni altrui, sai”, aggiunge. “Michael era geloso, e non riusciva a capire per quale motivo una relazione con lui non mi bastasse. E io sono stata cattiva, perché mi piaceva farlo ingelosire. Lo vedevo come un modo di dimostrarmi che tenesse davvero a me.”
“Eri più piccola”, dice conciliante Hikari.
Mimi scrolla le spalle, come se non avesse importanza. “Ci siamo lasciati. Siamo durati qualche mese la prima volta.”
Miyako spalanca la bocca. “Hai lasciato la tua anima gemella per qualche complimento altrui?” Esclama.
Mimi annuisce. “Mi dispiaceva un sacco che la persona destinata a me non mi facesse stare bene, ma che potevo farci? Forse potevo essere più felice così. Dovevo pensare prima di tutto a me, e seguire le mie inclinazioni.”
“E com’è finita?” Miyako pende dalle sue labbra.
Il sorriso di Mimi è all’improvviso molto tenero. “E’ finita che mi sono accorta che complimenti fini a loro stessi non mi facevano star bene come gli occhi di Michael”, risponde. “Mi mancava, proprio perché lui non assecondava tutti i miei capricci. Lui voleva una storia seria con me: voleva camminare al mio fianco, non precedermi in ginocchio con un tappeto rosso davanti ai miei piedi. Paradossalmente è stato proprio baciare altri ragazzi che mi ha fatto aprire gli occhi su quel che davvero volevo … e a farmi crescere, e diventare la persona che Michael si meritava.”
Miyako non può impedirsi di sorridere di fronte a quella storia. Il lieto fine ha uno strano modo di scaldarti il cuore, soprattutto nei momenti di confusione. “Michael è tornato a cercarti?”
“Oh no. Ho dovuto fargli una corte spietata, altroché!” Si lamenta Mimi esasperata. “Ancora gli rinfaccio di essere stato così difficile con me. E lui mi rinfaccia di essere stata una principessina insopportabile, e che un po’ me lo sono meritato.”
“E’ ancora vivo dopo un commento simile?” Miyako si ritrova a ridere, quasi contro la sua volontà.
“Lo aiuta il fatto che sono pazza di lui, altrimenti non sarebbe con noi oggi!” Mimi ride a sua volta, poi il suo viso ritorna gentile. “Hai capito cosa voglio dire davvero, Miyako-chan? Se non avessi seguito le mie emozioni, e non avessi vissuto a fondo i miei sentimenti, avrei perso Michael. E non saremmo così felici oggi.”
“Potrei dire lo stesso di me e Takeru-kun”, dice timidamente Hikari.
Miyako ripensa improvvisamente a Ken, alla sua espressione mentre guardava Hikari e Takeru abbracciarsi su una panchina, e le si aggrovigliano le viscere. “Non voglio sacrificarlo sull’altare del mio egoismo”, esclama, angosciata. “Lui vale tanto di più di questo … non voglio che sia uno strumento per portarmi alla mia anima gemella.”
“Non lo sarà”, le dice Hikari, sicura. “Perché tu non lo stai usando. I tuoi sentimenti sono autentici, no?”
Non serve che Miyako le risponda: Hikari la guarda, e sembra capire lo stesso. Si avvicina a lei e le cinge la schiena con le braccia, in una specie di abbraccio pudico, posandole la testa sulla spalla.
“Andrà tutto bene, Miyako-san”, le dice. “I tuoi sentimenti sono meravigliosi: non hanno nulla di sbagliato.”
E’ terribile che Miyako si senta così cullata in quell’abbraccio: il mondo è pazzo e ancora non vuole saperne di trovare un senso.
“Se solo sapessi di chi sto parlando”, bisbiglia, piena di senso di colpa.
“Lo so già.” Risponde Hikari.
Miyako sussulta, e si volta di scatto.
Hikari non dice nulla: si limita a strizzarle l’occhio.
Ma è impossibile che lo sappia, no? Come farebbe a saperlo?
Davvero le si legge così facilmente in faccia quello che prova?
Tu lo sai? Dai, dillo anche a me allora!” Mimi, oltraggiatissima, si sporge verso Hikari, cercando di carpirle il segreto con la forza. “Che fate, mi escludete?”
“Non posso dirlo, sono affari di Miyako-san.”
“E perché a te li ha detti e a me no?”
“Ma non me li ha mica detti!”
“Hikari-chan, se non me lo dici … ti molesto!”
“Non lo faresti mai, sei una brava persona.”
Miyako ride di gusto, e le due litiganti si voltano verso di lei.
“Non sapete quanto vi voglio bene”, dice sinceramente, il cuore finalmente più leggero.
L’abbraccio stretto che riceve in risposta da entrambe vale molto più di mille parole.
 
***
 
Quando Miyako arriva alla grossa fontana sul retro del giardino, il sole sta già calando.
E’ stata la voce degli altri a farla fermare, una lattina di limonata tra le mani, e a distoglierla momentaneamente dal suo intento di andare a cercare la vasca interna del ryokan – l’ultima che ancora le manca.
Non le è capitato spesso di incrociare i ragazzi durante la mattinata, se non per qualche saltuario incontro tra i corridoi, oppure alla macchinetta per sgranocchiare qualcosa. E’ il limite di una gita alle terme: un po’ di tempo tutti assieme si perde per forza, se scegli una struttura senza vasche miste.
Questo però non toglie il piacere di rincontrarsi dopo, e di condividere episodi buffi e qualche risata in compagnia.
Forse è proprio questo che la costringe a fermarsi ora, e a osservare le schiene dei suoi amici mentre, seduti sul bordo della fontana, cercano il coraggio di immergerci i piedi dentro.
“Sono pesci innocui, dopotutto”, sta dicendo Takeru, probabilmente cercando di autoconvincersi. “Ti fanno un massaggio gratis e in più ci guadagnano anche qualche pellicina da mangiare.”
“Certo che la natura è proprio strana, se qualcuno può trovare appetitosi i miei piedi”, esclama Taichi, seduto al suo fianco.
“E’ strana l’idea di un massaggio simile”, dice Ken molto dubbioso. “Siamo sicuri sia piacevole?”
“No”, ride Takeru. “Solo sentito dire.”
“Oh andiamo”, esclama Taichi con energia. “Davvero ci stiamo facendo spaventare da dei pesciolini in una vasca per piedi?”
“A nostra discolpa … non sembra anche a voi di star offrendo della carne fresca a dei piranha?” Aggiunge Takeru a bassa voce.
“Ora che me l’hai detto, ci penso anche io”, commenta mestamente Ken.
E poi rimangono in silenzio, ad osservare l’acqua tendente all’arancio del tramonto con la stessa espressione di tre condannati a morte.
E’ una visione così comica che Miyako non può che scoppiare a ridere a voce alta, rendendo palese la sua presenza. I tre ragazzi si voltano di scatto.
“Non vi facevo così fifoni!” Dice allegramente.
“Non è fifa”, risponde Takeru. “E’ istinto di sopravvivenza.”
“Ah, hanno cambiato il nome alla fifa adesso?”
“Perché non vieni qui e non ci provi anche tu?” La sfida Taichi, appoggiandosi la testa sulla mano.
E Miyako li guarda, e si chiede perché si stia limitando a guardarli.
Non è da lei, si rende conto di colpo. Non è da lei e non è neanche divertente fare la spettatrice della vita, sua e altrui.
Non le piace muoversi in punta di piedi, lasciandosi scappare l’opportunità di vivere, vivere intensamente, essere parte di quel caldo flusso di energia che le scorre dentro e la unisce agli altri, a tutto il mondo.
La stessa energia che sente scorrere dentro di sé anche adesso.
Guarda Ken, improvvisamente reso muto dalla sua presenza, e il pensiero che non potrà più sentire la sua voce le dispiace tanto. Ma c’è qualcosa di particolare nello sguardo che lui ha paura di mostrarle: una richiesta.
Ti va di restare con noi?
E Miyako ha la risposta.
Finisce ciò che resta della sua lattina in un solo sorso: il frizzantino delle bollicine sembra crepitarle per tutto il corpo, e probabilmente avrebbe dovuto andarci piano, ma onestamente va benissimo così. E’ così che vuole vivere.
Avanza verso la fontana, spedita e determinata, e potrebbe scegliere il posto accanto a Takeru, il posto sicuro, invece sceglie quello accanto a Ken. Appoggia la lattina sul muretto, prende un respiro e si issa accanto al ragazzo, che la guarda sorpreso come si guarda un fenomeno straordinario.
E li sente: il calore della presenza familiare eppure sconosciuta di Ken, la sensazione disorientante di essere col cuore in gola ma euforica, ben radicata al suolo ma pronta a volare.
“Il vostro errore è stato pensarci troppo”, spiega ai ragazzi con aria scherzosamente supponente. “In casi come questi … bisogna buttarsi!”
Trattenendo il fiato, chiudendo gli occhi, Miyako immerge di colpo i piedi nella vasca.
E poi li riapre, ridendo senza fiato, quando si sente invasa da pesciolini.
“Bingo!” Esclama a voce alta, vittoriosa.
“Siamo stati battuti”, commenta Takeru, annuendo tra sé.
“Sarà, ma io non ci tengo a farmi chiamare fifone”, dice Taichi. Ed è straordinario, perché di colpo il suo sorriso è di nuovo il sorriso da Taichi: quello impulsivo, bambinesco, solare che Miyako ha imparato a conoscere e che non vedeva l’ora di rivedere. Immerge i piedi nell’acqua e fa una smorfia sorpresa. “Wow”.
“Tanto strano?” Vuole sapere Takeru.
“Takeru-kun, ci stai ancora pensando troppo!” Lo sprona Miyako, muovendo un po’ le gambe nell’acqua. “Fatti sotto!”
A farsi sotto, invece, è Ken.
Senza una parola, senza esitazione, i suoi piedi sono nella vasca, ben attenti a non invadere lo spazio di Miyako. Se li osserva per un po’, studiando a occhi sgranati l’azione dei pesciolini tutti raccolti attorno alle dita dei piedi.
E poi solleva il capo, serio e incerto, e incontra gli occhi di Miyako.
Lui è tanto bello, col suo yukata grigio e con il viso lievemente arrossato dal calore delle vasche termali. E’ tanto bello anche ora, con i colori del tramonto, accanto ai suoi amici, a pochi centimetri da lei.
E Miyako vuole amarlo. Non è qualcosa che va contro la sua volontà, nonostante faccia paura, nonostante si senta come una trapezista in equilibrio precario sul vuoto.
Miyako vuole quel sentimento, perché la fa star bene. A prescindere da come andrà.
Così gli sorride, luminosa, sincera, e probabilmente i suoi occhi stanno rivelando troppo, ma va bene così. Va bene, perché vede Ken fermarsi, battere le palpebre e sorriderle a sua volta.
E il momento diventa, all’improvviso, perfetto.
Se ne restano per un po’ in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, a guardare in direzione del cielo che si scurisce sempre di più, acquisendo qualche tonalità violetta. E’ in quel silenzio che finalmente Takeru si decide, con un sospiro, a immergere a sua volta i piedi in acqua.
Gli altri tre si girano a guardarlo mentre lui se ne sta in silenzio a valutare l’esperienza.
“Beh”, commenta poi. “Sono quasi deluso dall’assenza dei piranha.”
“Lo sai che hai ragione? Mi aspettavo un massaggio decisamente più intenso”, commenta Taichi con una risata. “E noi che ci siamo fatti tanti problemi.”
“Siete davvero incontentabili”, sbuffa Miyako. “Io lo trovo un massaggio bellissimo e rilassante!”
“A me non dispiace”, commenta Ken. Arrossisce un po’ quando si sente addosso lo sguardo di tutti, e si concentra nell’aprire e chiudere le dita dei piedi. “Ma non credo lo proverò mai più.”
Tutti ridono, Taichi lo prende gentilmente in giro battendogli una mano sulla schiena, Takeru dice qualcosa sull’importanza della diplomazia nella vita. Ken sembra imbarazzato, ma sorride, e sembra divertirsi.
Miyako chiude gli occhi, godendosi il venticello fresco sul viso.
Per la prima volta oggi, si sente felice.
 
***
 
Quando le Parole le ricompaiono sul polso destro, irruente come se fossero state per ore in apnea sott’acqua, Miyako si sente pronta ad accoglierle.
Sarebbe riduttivo dire che si tratti solo di questo, in effetti. Ha già in mente qualcosa di bello per loro: è una decisione che ha preso di pancia ma che sa essere quella giusta.
Così, quando si riunisce con gli altri, raggiante nel suo yukata rosso fiammante, al polso sta indossando il bracciale di perline che ha tenuto nascosto nello zaino per tutto il giorno.
Non è solo un modo per essere più elegante ed evitarsi il polsino. Non è neanche un mero tentativo di nascondere le sue Parole.
Lei sta abbellendo, proteggendo, abbracciando le sue Parole.
E vuole che gli altri sappiano che lo sta facendo, anche se non potranno capire quanti significati possa nascondere un semplice bracciale donato.
Gli altri non potranno capire, ma Ken sì.
Ken deve per forza, perché se ne accorge subito, appena lei si avvicina per salutarlo. Il suo sguardo vola sul suo polso, ed è palese la sua sorpresa, la sua insperata gioia.
Ha forse bisogno di un’ulteriore conferma di aver preso la decisione giusta?
“Volevo fartelo vedere indossato”, annuncia, mostrandogli il braccio come una bambina entusiasta. “Bello, vero? Non potevi farmi un regalo più incredibile!”
Ken le sorride, muto perché non ha con sé il cellulare – stupide regole del ryokan -, e la tenerezza nel suo sguardo la confonde di colpo.
Per la verità, c’è ancora un regalo che lui potrebbe farle, più prezioso di qualsiasi bracciale.
Ci sono due tavoli da ping-pong nella sala giochi, e così si decide per una specie di torneo a turni, che decreterà il vincitore assoluto della serata. Al vincitore spetterà offrire una bibita a tutti, naturalmente.
“E va bene, per una volta posso fare questo sacrificio per voi!” Si vanta Daisuke, smargiasso, afferrando una racchetta.
Miyako lo schernisce. “Oh sì, come no. E come farai, se ti batto prima?” Replica con un sorriso deciso. Afferra una racchetta a sua volta, e si pone davanti al suo sfidante.
Sfortunatamente, perde.
La disfatta è rovinosa nonostante la sua buona volontà e il suo spirito agguerrito: a niente serve lamentarsi ad alta voce, mettere il broncio e augurare a un Daisuke reso ancora più smargiasso dalla vittoria di perdere le sfide successive, una sconfitta è una sconfitta. Così Miyako va a sedersi, e diventa una mera spettatrice.
Koushiro è il secondo a perdere immediatamente, contro Michael, ma non sembra prendersela: alza le spalle, annuncia “Me lo aspettavo”, e si siede di fronte a dov’è seduta Miyako, al di là del tavolo da ping-pong dove ora si stanno sfidando Taichi e Mimi.
Lui le lancia un’occhiata, sentendosi osservato, ma niente di più: come se niente fosse torna a osservare la partita, con espressione distratta.
Sembra essersi dimenticato che c’è ancora un discorso in sospeso tra loro. Miyako non può certo dire lo stesso, ma non ha trovato l’occasione adatta per avvicinarglisi oggi.
Ok, forse non l’ha cercata con particolare impegno, d’accordo. Però è vero che Koushiro è sempre rimasto in compagnia degli altri, durante tutta la giornata. Parlare di argomenti simili non è certo qualcosa che si può fare in pubblica piazza, giusto? Ci vuole un po’ di privacy, che diamine.
Privacy che Miyako non sa se sia il caso di ricreare.
Giocherella distrattamente con il cordoncino del bracciale, sbirciando di sottecchi il ragazzo senza sapere come muoversi. Dovrebbe andare da lui adesso? Dovrebbe chiedergli quando sia il caso di parlare faccia a faccia? Vale la pena di indagare su cosa pensi in realtà Izumi Koushiro, e rischiare di starci male per qualche motivo?
Ma perché si ritrova sempre paralizzata da decisioni difficili? Forse sarebbe il caso di pensare al torneo e basta.
Potrebbe concentrarsi, per esempio, sul secondo tavolo da ping-pong occupato, al momento, da due sorridenti ma agguerriti Takeru e Hikari: è la sfida del secolo, e tutti gli spettatori sono entusiasti di vedere come andrà a finire.
“Non ci andrò piano con te, Hikari-chan. Ti avverto”, sta dicendo Takeru, una nonchalance incredibile nel posizionarsi davanti alla sua avversaria in posizione d’attacco.
E Hikari sorride, angelica, senza retrocedere neanche di un passo. “Mi hai tolto le parole di bocca”, risponde.
“Fallo nero, Hikari-chan!” Fa il tifo Miyako ad alta voce, e viene riecheggiato ampiamente da Daisuke. Takeru si guarda attorno, platealmente affranto, e Hikari ride.
“Dai, qualcuno tifi anche per Takeru-kun”, li invita.
“Tifo io per te, tranquillo”, lo rassicura Iori. “Così siamo un po’ più equi.”
“L’equità nel tifo non si può sentire, Iori!” Esclama Daisuke.
“Insomma, nessuno sta seguendo la nostra partita?” Si lamenta Taichi con lo sguardo concentrato, intento a fronteggiare una Mimi super battagliera e insolitamente brava.
“Non perdere la concentrazione”, dice Ken automaticamente, gli occhi fissi sullo scambio di palla. Purtroppo il guaio è già fatto: la pallina rimbalza oltre il campo nemico, e Mimi esulta, saltellando sul posto con le braccia al cielo.
Taichi fa un breve sbuffo per rilasciare la tensione, e si scosta i capelli ribelli dalla fronte con un sorriso incredulo. “Ma sei una furia!”
“Sono troppo per te, caro”, si vanta Mimi con un occhiolino.
Tra le risate e il chiacchiericcio generale, Koushiro si stiracchia e si alza in piedi. “Vado a prendere una boccata d’aria fuori”, dice, e si dirige verso il giardino senza guardarsi indietro.
Gli altri non ci fanno troppo caso, limitandosi a un saluto tranquillo e a dirigere nuovamente l’attenzione sulle partite in corso.
Miyako, invece, sì.
Lo guarda uscire, e per un attimo fa per dirgli qualcosa, ma non appena apre bocca non sa come continuare. Perciò resta ferma, le mani in grembo e il cuore che batte forte, e sente chiaramente di essere a un bivio.
Potrebbe restare lì, certo. Continuare a tifare per Hikari e non perdersi una partita tanto interessante. Potrebbe continuare a coltivare il suo rinnovato buonumore, chiacchierare con gli altri, restare in zona protetta.
Oppure … potrebbe seguire Koushiro.
Potrebbe dare una scossa notevole alla sua codardia e accettare qualsiasi risposta lui potrebbe darle. Potrebbe, finalmente, mettere un punto a tutto quello che è successo tra loro, e riuscire infine a dargli un senso.
Ma parlargli sarebbe davvero la fine di tutto?
Si guarda intorno, osservando la tranquilla serenità dei suoi amici, del tutto inconsapevoli di ciò che stia succedendo dentro di lei in questo momento.
Lei non può restare. Non vuole restare. Perché nessun buonumore sarebbe reale, con la consapevolezza che ha di nuovo perso l’occasione di essere sincera con se stessa, prima ancora che con Koushiro.
Se se ne sta qui, a torturarsi un braccialetto di perline come se fosse un’àncora di salvezza, e si rifiuta di agire, se ne pentirà, qualsiasi cosa Koushiro possa dirle.
Guarda Ken, intento a osservare la partita di Taichi e Mimi e occasionalmente a parlare di strategie di gioco con Taichi, che ne sembra molto interessato. Lui, per una volta, non si accorge di lei, ed è meglio così.
Miyako ha preso una decisione su Ken, giusto? Se intende seguirla, deve fare una scelta.
E lei non sceglierà mai di essere vigliacca.
Lascia bruscamente le mani lungo i fianchi, tira un gran respiro per farsi forza e si alza di scatto. Senza guardarsi indietro, senza dire niente a nessuno, segue Koushiro.
Fuori il clima è abbastanza fresco da farla rabbrividire, ma non eccessivo da costringerla a prendere la giacca in camera sua; il silenzio del giardino è in totale contrasto con il chiacchiericcio allegro e goliardico che si è appena lasciata alle spalle, come se volesse accentuare il divario netto che esiste tra lì e qui, tra prima e dopo.
Dovrebbe smetterla di pensare ai simboli, accidenti. Meno pensieri, più fatti.
E il fatto imminente di cui occuparsi è solo uno: cercare Koushiro.
La luce nel giardino è discreta e soffusa, e permette appena di scorgere una coppia, poco distante, che passeggia chiacchierando sottovoce. Ma forse è solo Miyako che trova difficile vedere i dettagli, senza occhiali e al buio.
Per fortuna che Koushiro ha deciso di fermarsi sul luogo più illuminato del giardino: un piccolo ponte che collega le strutture che ospitano le due vasche termali esterne del ryokan
Miyako si ferma, sussulta, ascolta la sua ansia. Poi stringe i denti, si pianta le unghie nei palmi delle mani e avanza quasi a passo marziale, ascoltando la sua determinazione.
Koushiro sta osservando il tranquillo corso dell’acqua davanti a sé, perso in chissà quali pensieri elaborati e complicati – quelli che solo una persona come lui, abituata a tenere la parte più intima di sé ben nascosta dietro password e firewall, può costruire. Anche così assorto, in ogni caso, la sente arrivare: si volta a guardarla, con aria sorpresa.
“Ah”, dice. “Dovevo immaginare che saresti venuta qui anche tu.”
“Davvero? Perché?” Chiede lei.
Koushiro fa spallucce. “Non è ovvio?”
Miyako tace, e sa che anche lui ha capito: è questo il momento, e non ne avranno altri migliori.
Si appoggia lentamente alla ringhiera, e osserva il vento smuovere gentilmente le fronde degli alberi.
La parte difficile, si rende conto, l’ha già passata quando ha mosso un piede davanti all’altro per raggiungerlo sul ponte.
“Tu non sei la mia anima gemella”, gli dice.
Per un attimo nessuno dei due fa altro che non sia ascoltare il ricordo di quelle parole nel silenzio della sera.
“Come l’hai capito?” Chiede infine Koushiro, continuando a guardare dritto davanti a sé.
“Lo so che sei tentato dal dire finalmente.” Miyako fa una breve risata, così breve che a stento la registra lei stessa. “Non è stato difficile, e al contempo è stato difficilissimo. Nel senso … lo sapevo, in fondo, ma non volevo ammetterlo nonostante tutte le prove a mio svantaggio. E’ difficile anche dirtelo ora.”
Koushiro si gira a guardarla, infine. Sta di nuovo cercando di decifrarla.
E’ buffo, forse entrambi non hanno mai smesso di tentare di decifrarsi.
“Il fatto è che avrei potuto già capirlo quando me l’hai detto tu, o prima ancora quando non hai reagito alle prime parole che ti ho rivolto”, continua Miyako schiettamente. “Eppure la prova più convincente che ho trovato è questa: tu non provi nulla per me, e viceversa.”
Koushiro sembra davvero spiazzato a quest’ultima affermazione.
“Già. Ti sembra assurdo che io te lo dica, vero? Ma io non sono mai stata innamorata di te.” Miyako sorride, sentendosi improvvisamente stanca. “Pensavo che avrei dovuto esserlo, visto che insomma, credevo di averti trovato. Ma non ho mai provato nulla per te. Amavo quello che avresti potuto essere.”
Per un attimo Miyako trattiene il fiato, e cerca qualche traccia di delusione sul viso di Koushiro.
Non ne trova. C’è solo una consapevole accettazione di ciò che lei gli sta dicendo.
Era così palese. Avrei potuto accorgermene in ogni istante.
“Ti ricordi quando ti ho abbracciato, quel pomeriggio a casa tua? Stavo cercando di sentire qualcosa, e invece ho sentito il vuoto. E so che non può essere così, qualsiasi cosa siano le anime gemelle”, continua lei. “Io ti voglio bene e ti stimo, Koushiro-san, ma non sento nulla per te se non questo. Mi dispiace di averci messo tanto, ma non sapevo cosa significasse tenerci davvero a qualcuno se non quando mi sono innamorata sul serio.”
Koushiro non fa domande. “Ah”, ripete.
Nient’altro.
“Beh, sarai felice adesso, no?” Insiste Miyako, cercando di sdrammatizzare. “Sei libero! Niente più Miyako La Rompiscatole. Non so come tu abbia fatto a sopportare tutto questo così a lungo!”
Koushiro si passa una mano tra i capelli, evitando di guardarla.
Il silenzio comincia a farla sentire tesa.
“Sul serio, Koushiro-san. Io non lo so davvero”, gli chiede, improvvisamente seria. “Perché non hai mai voluto rivelarmi nulla? Anche solo una parte delle tue Parole, visto che lo capisco: è una cosa privata, ed è giusto che lo sia. Ma giusto quel tanto che bastava per far sparire questa matta scriteriata dalla tua vista!”
“Miyako-kun, non è mai stata mia intenzione di farti sparire dalla mia vista”, protesta Koushiro.
“D’accordo, ma potevi farmi smettere!” Esclama Miyako con forza. “Potevi negarmi quelle inutili settimane di prova, e invece non l’hai fatto! Ora che abbiamo messo tutte le carte in tavola, puoi dirmi a che cavolo stavi pensando?”
Koushiro esita.
“Ti prego”, incalza Miyako. “Spiegami. Chiudiamo questa storia.”
Koushiro sospira, e annuisce lentamente. “Hai ragione. Meriti una spiegazione.” La guarda per un istante, gli occhi neri e impenetrabili, e poi aggiunge: “E delle scuse.”
Questo la coglie del tutto alla sprovvista. “Scuse?” Ripete a bocca aperta. “Che hai fatto?”
Koushiro fa un piccolo sorriso. “Ho ceduto ad una debolezza”, risponde. “Credo che tu sia stata la persona più vicina ad un’anima gemella che io avrò mai nella vita.”
“Ma che dici?” Miyako crede di non essere mai stata tanto confusa come ora. “Non ti facevo tipo da preoccuparti per le anime gemelle! Dici sempre che l’amore per te non è così importante …”
“E’ vero”, conferma Koushiro.
“E allora perché dici così? Vedrai che la tua anima gemella arriverà, e –”
“Miyako-kun, io non ho le Parole.”
Miyako tace di colpo.
Koushiro le lancia un’occhiata rapida, e poi torna a guardare l’acqua che scorre al di là del ponte.
Miyako sbatte le palpebre. Una, due, tre volte.
“Eh?” Riesce solo a dire.
“Non le ho”, ripete a bassa voce il ragazzo. “Non ho mai avuto la mia Manifestazione. Ho pensato di essere semplicemente in ritardo fino alla pubertà … poi mi sono dovuto rassegnare. Non si è mai sentito di una Manifestazione dopo la pubertà. E’ ragionevole pensare che io non le abbia, punto e basta.”
Miyako non capisce. Si rifiuta di capire.
Le sembra che l’aria le sia scomparsa interamente dai polmoni.
“Com’è possibile?” Sussurra.
“Non lo so. Devo essere una specie di anomalia del sistema”, risponde Koushiro. “C’è gente che nasce senza un arto, senza un organo, senza funzioni cognitive avanzate. Io sono nato senza Parole.”
E’ tranquillo, si rende conto Miyako con una consapevolezza violenta. E’ tranquillo come se stesse parlando del colore dei suoi capelli, quando quello che sta dicendo è di essere diverso.
Di essere solo.
“Credo ci siano altre persone come me”, riflette a voce alta Koushiro. “Ci sono diversi forum, diversi siti dedicati a persone senza Parole. C’è chi crede che la nostra anima gemella esista da qualche parte, solo che non lo sapremo mai. C’è chi dice che i Muti possano trovare la propria anima gemella solo tra i Muti. C’è anche chi dice che noi non ne abbiamo affatto una.”
“Ma questo non è possibile!” Esclama Miyako, la voce che quasi le esplode dal petto. Koushiro sussulta un po’. “Non è giusto! Tu non meriti questo, tu …”
Lui la guarda, e lei non sa come continuare.
E’ orribile.
Ma come potrebbe dirlo?
“Non credo sia qualcosa che si merita o meno”, dice Koushiro. “E’ semplicemente qualcosa che è successa a me, e bisogna prenderne atto. Oltretutto, io posso ritenermi fortunato: non ne sento particolarmente la mancanza. Io non mi innamoro. Forse non so nemmeno come si fa.”
“Ma certo che sai come si fa!” Protesta Miyako. “Magari non hai trovato la persona giusta, punto e basta! Mica siamo tutti uguali …”
Koushiro fa spallucce. “Forse. O forse l’assenza di Parole è solo l’ulteriore prova a favore della mia tesi.”
Si volta verso il ryokan, verso gli amici che hanno lasciato davanti ai tavoli da ping-pong.
“Alcune volte ho pensato di essermi innamorato”, ammette lentamente, e sembra un po’ in imbarazzo. “Ma erano sentimenti troppo effimeri per essere cotte, o innamoramenti. Non ho mai avuto il desiderio di entrare in intimità fisica con qualcuno … abbracciare, dare un bacio, tenere per mano. In fin dei conti, quel che cercavo forse era un rapporto un po’ più simile all’amicizia.”
“Ripeto, sei ancora un ragazzo”, insiste debolmente Miyako. “Se solo tu –”
“Quel che intendo dire è che va bene così.” Koushiro sospira nuovamente. “Che io ne abbia una o meno, che io possa innamorarmi o meno, io sono felice. Ho tanti amici, due genitori che mi vogliono bene, e la possibilità di inseguire i miei sogni lavorativi. La mia vita è già completa.”
“E allora perché mi hai lasciato fare?” Dice Miyako a bruciapelo.
Koushiro incassa il colpo, e Miyako capisce, di nuovo troppo tardi, di aver parlato a sproposito.
“Domanda più che lecita”, le risponde infine, dopo una lunga pausa. “Sarebbe troppo semplice dirti che l’ho fatto perché non sapevo come fermarti. Ti ho lasciato fare, è vero, e più di una volta. E qui arriviamo al motivo per cui desidero scusarmi.”
Sembra cambiato quando la affronta faccia a faccia: più vulnerabile, più esposto, più incerto. Il prezzo da pagare per conoscere per davvero Izumi Koushiro.
“Tu eri così sicura quando sostenevi che dovevamo essere un caso particolare di anime gemelle … sembravi disposta a metterci la mano sul fuoco, nonostante io ti dicessi che non poteva essere vero. Ho provato curiosità: volevo sapere se mi stavo sbagliando, se c’era una possibilità che tu potessi essere la mia anima gemella. Forse volevo sapere cosa si provasse ad avere una relazione, o comunque qualcosa che ci somigliasse almeno un po’.”
Non si sbagliava, prima. La verità fa male, eccome.
Koushiro abbassa il capo, serio e pensieroso. “Ci sono delle volte in cui vorrei essere in grado di innamorarmi”, ammette. “Non è qualcosa che mi fa soffrire, in realtà. E’ solo che a volte vorrei sapere cosa si prova. Penso sarebbe una cosa bella, anche se non fa per me.”
“Mi dispiace di non essere la ragazza giusta per te”, dice Miyako con un filo di voce. “Oddio, dovevi dirmelo subito. In un certo senso sono io che ti ho deluso e ho giocato con te …”
“No, non trovo che sia così.” Koushiro sembra di colpo spiazzato dalla tristezza di Miyako. “Tu pensavi davvero di amarmi. E io ho avuto una dimostrazione importante di come funziono, e cosa cerco. Avere la certezza che noi non siamo innamorati, che non siamo profondamente legati, non mi fa sentire distrutto: sto bene.” Le sorride, nuovamente sicuro. “Le Parole non condizionano la mia vita, che io le abbia oppure no. Sono io che decido dove andare e che tipo di relazioni stringere: interamente io. Ed è così che sono a mio agio.”
Non sta mentendo per farla stare meglio. Probabilmente un tipo come lui non sa mentire.
E’ una cosa che le piace di lui, e quel pensiero le stringe un po’ il cuore.
“Per la cronaca”, gli dice, e non può impedire che due lacrime si precipitino giù dalle sue ciglia. “Sarei stata onorata di averti come anima gemella. Sei un grande, e so che sarai molto felice a modo tuo.”
Koushiro la guarda, colpito.
“Vale lo stesso per me”, dice, e a un tratto è il solito Koushiro, un po’ a disagio nei rapporti sociali. Si gratta un po’ il naso, e quel gesto familiare la fa sorridere. “Spero che, nonostante tutto, riusciremo a restare amici.”
“Stai scherzando? Per me è scontato”, risponde prontamente Miyako.
Koushiro sembra rilassarsi visibilmente. Sorride, con quello che le sembra gratitudine – è sempre un po’ difficile capire le sue emozioni – e le porge la mano. Miyako gliela stringe, anche se è un po’ troppo pomposo farlo.
“E’ stato piacevole passare del tempo assieme, Miyako-kun”, le dice. “Ti ringrazio.”
E poi le lascia la mano, si volta e si allontana, diretto verso l’entrata del ryokan.
Finisce così.
Miyako si stringe nelle spalle, rabbrividendo un po’.
In un mondo giusto, sarebbe andata come nei romanzi d’amore che ama leggere: lei sarebbe stata l’anima gemella di Koushiro, il ragazzo senza Parole, e gli avrebbe dimostrato che nessuno è immune all’amore, che le anime gemelle hanno tanti modi per parlare, e mille per amarsi.
In un mondo giusto, si sarebbero innamorati follemente, contro ogni logica ed evidenza.
Ma non lo è. La fiaba è solo una fiaba: nessuno dei due vorrebbe quel futuro. E’ ora di svegliarsi.
Eppure è sempre difficile rinunciare a un po’ di sicurezza, per prendersi la responsabilità di vivere secondo i propri valori.
Spera solo che entrambi sappiano essere forti, e che sappiano essere felici.
Miyako si impone di darsi un contegno. Si passa una mano sugli occhi, asciugandoseli con il polso destro.
Ed è solo allora che si accorge di avere il polso nudo.
Dalla voragine che le si apre nel petto fanno capolino le mani gelide dell’ansia, ad artigliarla da ogni parte.
Si guarda i piedi, si scuote le maniche dello yukata. Si sporge verso il corso d’acqua, tentando di scorgere qualcosa nonostante il buio. Niente bracciale. Non lo vede da nessuna parte, quindi forse non è lì. Ma può davvero esserne sicura?
Quando l’ha perso? Come? Ce l’aveva quando è salita sul ponte?
Oh no. Oh no, per favore, no.
Miyako si porta le mani tra i capelli, cercando di respirare. Non le riesce molto bene, perché sa di non potersi fermare neanche per un secondo.
Rinuncia, e corre.
Fa il percorso a ritroso dal ponte, chinandosi, guardandosi attorno, e a ogni secondo in cui non lo vede la sua ansia si trasforma in angoscia.
Dev’esserle caduto perché ci ha giocherellato prima, sicuramente. Non poteva stare ferma, accidenti a lei? Deve aver allentato il cordoncino, e così lo ha perso.
Il suo bel bracciale nuovo …
Si china sull’erba, spostando rametti e piccole foglie senza alcun criterio, gli occhi che le si riempiono di lacrime.
Stupida, stupida, stupida.
Probabilmente dovrebbe chiedere aiuto. Oppure dovrebbe correre in stanza, afferrare i suoi occhiali e chiedere cortesemente una torcia alla padrona del ryokan. Sicuramente avrà qualcosa di simile, giusto? Dubita che avrà fortuna così al buio, di sera, da sola, in un giardino di colpo troppo grande.
Solleva lo sguardo, pronta a tornare dentro, e vede Ken.
Miyako sussulta violentemente, e cade con le ginocchia sull’erba. Ken, allarmato, fa un movimento istintivo verso di lei, avanzando di un paio di passi.
“Mi hai spaventato!” Esclama lei, con una risata tremante. “Che ci fai qui?”
Ken la guarda, le sopracciglia corrugate. Sembra preoccupato.
“E’ che mi è caduta una cosa”, dice in fretta Miyako, sperando di risultare credibile. “E non riesco a trovarla. Non è che hai una torcia con te, vero?”
Ken, naturalmente, non può rispondere. Decide di chinarsi a sua volta, a tradimento, tanto in fretta che Miyako non ha neanche il tempo di asciugarsi gli occhi.
Quando Ken nota le sue lacrime, il suo viso cambia.
Miyako capitola. “Ho perso il tuo bracciale”, sussurra, divorata dal senso di colpa. Le sopracciglia di Ken scattano in su di colpo. “Ce l’avevo addosso, ma devo averci giocato prima, e non so quando mi è caduto … non ho sentito il rumore. E ora non so come fare.”
Miyako abbassa lo sguardo, le guance che vanno a fuoco per la vergogna. “Devi pensare che io sia pessima. Ma come, hai perso un regalo che ho scelto per te con tanta cura? E avresti ragione! Mi darei così tante testate da cambiarmi totalmente i connotati, non hai idea. Mi sento malissimo … Ma lo troverò, te lo giuro!”
Gli dà le spalle, si solleva a mezzo busto, e continua frenetica la ricerca. “Devo cercare di ricordarmi la strada che ho fatto … ma sarò passata di qui?” Dice a voce alta, cercando di ignorare il battito accelerato del suo cuore. “Facciamo così, Ken-kun. Io lo trovo e poi ci vediamo dentro, ok?”
Per un momento non sente alcun rumore. 
Poi Ken si muove, ma non certo per andarsene via. La affianca, molto serio, e comincia a rovistare tra l’erba del giardino con attenzione.
Miyako si ferma a guardarlo. “No, dai”, gli dice, con una mezza risata. “Non esiste che me lo cerchi tu! Sono io che ho sbagliato – Ken-kun, dico sul serio. Non devi farlo!”
Ken non solleva lo sguardo, e continua imperterrito a cercare.
“Ehi – ma perché non mi dai retta?” Si lamenta debolmente Miyako. “Per favore, Ken-kun, torna dentro e basta, ok? E’ colpa mia. Tra l’altro come faresti a comunicare con me? Non hai neanche un cellulare con te!”
Niente. Come se non avesse parlato.
“Ti prego.” Sussurra.
A quel punto Ken si ferma, e la guarda. I suoi capelli sono nerissimi nella notte, come se ne facessero parte.
“Lasciami rimediare”, continua, la voce che le si rompe di nuovo. “Non potrei mai perdonarmi di aver perso il tuo bracciale per una stupida distrazione, o di aver costretto te a sporcarti per me. Dopo tutto quello che fai per me … sarebbe ingiusto, non ti pare?”
Vorrebbe scappare. Vorrebbe urlare. Vorrebbe abbracciarlo forte, come l’ultima volta.
Ma non lo farà. Ken merita più di un trattamento simile.
“Lo so che sono una pasticciona, una distratta, una gran babbea, ma io non mi arrendo”, conclude, con la voce più stabile. Gli rivolge un sorriso, il migliore che le riesce. “Resterò qui anche tutta la notte, se serve. Io non voglio più perdere niente di importante.”
Riprende la sua ricerca, più determinata di prima, dandogli le spalle un’ultima volta.
Un respiro del vento appena.
“Vorrei aiutarti”.
Miyako si ferma.
Il mondo si ferma.
Probabilmente si è fermato anche il suo cuore, e non lo sa.
La sua testa si volta prima che lei le abbia dato il segnale per farlo.
Ken è in piedi, le mani strette tra loro, lo sguardo fisso su di lei. E’ curioso che sembri così immobile, quando il suo viso sta praticamente palpitando.
Cosa?” Esala lei, senza voce.
Lui deglutisce. Sembra teso, e a guardarlo bene sembra star tremando appena. Come se da lei dipendesse il destino di una galassia intera.
Ma non si tira indietro.
“Vorrei … vorrei aiutarti”, ripete, la voce bassa ma chiara nel silenzio.
E poi la guarda. La guarda e basta.
Come se –
Come se stesse cercando di capire se ha detto le Parole giuste.
Le Parole giuste.
Le ha dette. Ha detto proprio quelle Parole. Le mie Parole.
Il suo cuore sembra volerle spaccare in due la gabbia toracica.
Miyako lo guarda, muta, completamente pietrificata.
E poi il vento soffia di nuovo, smuovendole la manica del suo yukata. E’ allora che un pensiero la colpisce con tutta la forza che ha, facendola boccheggiare.
“Hai visto il mio polso?” Gli chiede, le labbra tremanti. Il terrore la paralizza, mentre si porta una mano al polso e lo stringe, lo stringe, lo stringe. Non ha niente a coprirla adesso. “Tu … Hai letto cos’ho scritto sul polso, non è così?”
“Cosa – no!” Ken parla. E’ così strano sentirlo parlare quando non c’è nessuno. Il mondo sembra vorticare mentre il viso del ragazzo passa dalla solennità allo sconcerto. “Non ho visto niente, non avrei potuto! Miyako-san …”
“Giura che non lo hai visto!” La voce le esce fuori come una specie di strillo isterico. Probabilmente un’altra se stessa se ne sarebbe preoccupata, in un’altra vita. “Ti prego … ti prego giuralo. Giura che non mi faresti questo. Giuralo …”
Non mi spezzare il cuore anche tu. Non tu. Ti prego.
Ken tace. Si limita a guardarla, la tristezza che gli colora i lineamenti.
C’è un fugace momento folle in cui Miyako muore un po’ dentro, perché crede di averlo smascherato.
Ma poi lo vede sospirare piano, come arrendersi.
E poi si avvicina. Un passo dopo l’altro, gli occhi fissi in quelli di lei, come se volesse assicurarsi di non vederla scappar via.
Come se Miyako potesse muoversi. Ha i piedi radicati al suolo, i polmoni in fiamme.
Ken si ferma quando è di fronte a lei, proprio accanto al lampione che Miyako ha sulla destra.
“Posso farti vedere”, le dice.
Si gira, lentamente, e si passa una mano sulla nuca. Un attimo di esitazione, e poi si scosta i capelli dal collo, inclinando leggermente la testa verso lo sterno.
E ora se ne sta lì, immobile, ad aspettarla. Sembra che non abbia fretta.
Miyako non sa come abbia fatto a muovere le gambe, ma in un attimo è di fronte a lui.
Trema quando si avvicina, e trema ancora più forte quando scorge il segno degli ideogrammi sulla sua nuca.
Si solleva sulle punte.
E poi legge, il respiro trattenuto.
Le Parole di Ichijouji Ken recitano: Mi fai schifo.
La violenza di quegli ideogrammi la fa barcollare di colpo.
Non sono Parole recitate: sono Parole gridate.
Gridate, con la voce di una ragazzina furibonda accanto a un campo di calcio, a pieni polmoni, in ogni momento della giornata. Da sempre, anche da prima che Ken l’avesse incontrata.
Gridate, prepotenti, che costringono Ken a portarsi eternamente addosso l’espressione che aveva assunto, quando quella ragazzina dai capelli viola gli aveva vomitato addosso le sue Parole senza pensarci, senza aspettarsi altro se non uno sfogo e una vendetta.
Senza sapere niente, senza capire niente.
E allora gli argini cedono.
“Ma che razza di Parole sono Mi fai schifo?” Geme Miyako, disperata, e appoggiandosi al lampione scoppia in un pianto irrefrenabile.
Le sembra di star tirando tutto fuori: il dolore, la vergogna, il sollievo, il senso di colpa. Tutto l’amore che ha in corpo, che sta diventando incontenibile, incontrollabile.
“Anni e anni ad aspettare questo momento”, singhiozza, “e quello che faccio è traumatizzare la mia anima gemella! Ma che problemi ho, si può sapere?”
“Miyako-san, non è così.”
Miyako, riluttante, tira su col naso e scosta le dita dal viso, il naso rosso e le guance inondate di lacrime.
Ken, la sua anima gemella in carne ed ossa, la sta guardando con una specie di seria tenerezza che gli rende il viso più fragile, e più sincero.
E il suo sorriso sembra volerle porgere la sua anima stessa su un piatto d’argento, senza fronzoli, e per una volta senza ostacoli.
“Tu mi hai salvato”, le dice.
 
 
 
 
   
 
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