Film > Star Wars
Segui la storia  |       
Autore: Roanoke_Wilde    10/04/2021    1 recensioni
Prima di poterci ripensare, si rifugiò in quei pensieri che sapeva avrebbero riempito fino all’orlo la sua mente e, con un po’ di fortuna, l’avrebbero accompagnato nell’incoscienza bandendo il dolore. Quei pensieri, lo sapeva benissimo, erano l’unica cosa in grado di distrarlo dall’emicrania – ed erano l’unica cosa che si era ripetutamente ripromesso di far sparire, di seppellire, di dimenticare ogni volta che indossava il suo elmo e il suo Credo.
Avrebbe rievocato la sua casa, e chi era stato un tempo, prima della Tribù.
Avrebbe rievocato la notte in cui i suoi genitori erano morti e il suo destino di Mandaloriano era stato suggellato.
Allora, forse, avrebbe ritrovato la via per andare avanti.

[Missing Moments // Kid!fic // Introspettivo // PoV Din // Traduzione di _Lightning_]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Din Djarin, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Fan Art: shima_spoon // Graphic: _Lightning_

Capitolo 6

Una voce nel buio



 
________________

28 BBY ca.
________________
 

Din si accorse di Raanan che si alzava silenziosamente dalle coperte in cui si era avvolto. Era sveglio, intento a fissare la parete verso cui era rivolto, mentre il Mandaloriano sistemava i suoi averi nella sacca, borbottando di nuovo tra sé e sé.

Ed era cosciente, quando Raanan si fermò per un lungo, pesante momento di fronte alla porta che aveva appena schiuso con delicatezza. Poteva percepire il Mandaloriano che fissava la sua forma imbozzolata sul pavimento, magari mettendo in dubbio la sua scelta di andarsene, magari chiedendosi se non rimanere, dopotutto...

E poi se ne andò, la porta si chiuse e Din fu solo, di nuovo. La piccola scintilla di speranza che si era impennata nel suo petto ricadde di schianto. Non pianse dopo che se ne fu andato, però. Si limitò a inspirare rumorosamente dal naso, rilasciando piano ogni respiro dalla bocca. Pensò di nuovo a casa sua, a come amma e dada si premuravano di dargli sempre la buonanotte, non importava quanto fosse tardi o da quanto lui fosse già a dormire quando tornavano da un incontro in città.

E desiderò che adesso fossero di nuovo con lui, per dargli la buonanotte, per spiegargli cosa stesse succedendo e perché non potessero restare lì. Tutto era troppo estraneo e troppo buio, in quel luogo. Non riusciva a dormire, aveva ancora fame e sentiva un bizzarro sfarfallio ansioso nel petto, come a dirgli che quella notte non era ancora finita, che c'era ancora qualcosa che doveva accadere.

A parte che Raanan rimanesse almeno fino al mattino...

Era un senso d'aspettativa che gli accapponava la pelle.

E perciò, con quell'apprensione, non si sorprese più di tanto quando la porta si spalancò di colpo, sbattendo contro il muro con uno schiocco secco nel buio. Din sobbalzò – Raanan?! – e si mise sulla difensiva contro il muro, sforzando gli occhi per vedere cosa o chi avesse deciso di entrare in modo così teatrale. Fuori, un'enorme mezzaluna e una miriade di capocchie di luce siderale – più luminose di quelle su Aq Vetina; ammiccavano della stessa pallida luce del sole di quel pianeta – lo aiutarono a distinguere la figura sulla soglia...

Era ampia, massiccia, non somigliava a una persona...

Era–

Un letto?

«Ehi, trovatello, dammi una mano a far passare questo coso dalla porta,» ordinò una voce chiara da dietro il mobile, che adesso era a metà della soglia. Din trasalì di nuovo quando il letto sussultò in avanti, coi lati che strusciavano con un suono di legno scheggiato contro lo stipite superiore.

Din balzò in piedi prima di poterci davvero pensare, e lui e Paz – la cui voce gli era inconfondibile dopo il loro primo incontro – passarono i successivi dieci minuti a spintonare quel rozzo giaciglio e il suo materasso scricchiolante imbottito di paglia dentro la baracca.

Quando finalmente riuscirono a farlo passare – con schegge di legno dello stipite sparpagliate vicino alla soglia e il letto che finì per occupare uno spazio sorprendentemente ampio anche rovesciato su un lato – Din lanciò un'occhiata a Paz, che indossava solo l'elmo e un paio di pantaloni, e aveva il fiato corto quanto lui.

«Paz?» esalò infine.

«Già. Scioccante, lo so,» replicò asciutto lui, piegandosi in avanti con le mani sulle ginocchia , ansimando nella polvere ai suoi piedi. «Te l'ho detto che ci saremmo visto dopo cena. E visto che il tuo buir,» continuò Paz, sputando fuori quella parola sconosciuta con una punta di disprezzo, «ha deciso di andarsene a notte fonda, ho pensato che potevo anche venirti a fare compagnia.»

Din si accigliò, ritraendosi istintivamente da Paz. Voleva sapere come, di preciso, avesse saputo che Raanan se n'era andato...

Cosa significasse quella parola, buir...

Perché gli importasse che lui fosse lì da solo...

Se Paz sapesse dove fosse andato Raanan e perché fosse diverso dagli altri Mandaloriani che vivevano lì...

Invece disse:

«Hai trascinato qui il letto per tutto il villaggio?»

La sua domanda incontrò un'istante sospeso di silenzio, poi Paz rilasciò un respiro secco. Il ragazzino incrociò le braccia e lo squadrò da capo a piedi con muta sicurezza.

«Certo. Che altro dovevo fare? Dormire per terra? Se devo tenerti compagnia, voglio farlo stando comodo

Din batté le palpebre. Intravedeva una certa logica in quel ragionamento, in effetti.

Paz batté le mani all'improvviso, rumorosamente, e Din sobbalzò di nuovo.

«Bene. Io accendo il fuoco – c'è un buio del kriff qua dentro, sembra di stare a Malachor – e tu rovescia il letto e accostalo al muro.»

Dopo quell'annuncio, Paz si voltò e uscì dalla baracca, lasciando Din a fissarlo quasi intontito. Circa metà del suo cervello era in confusione su quanto stava accadendo – e sul perché quello strambo bambino guerriero stesse facendo tutti quegli sforzi per non farlo stare da solo stanotte – e l'altra metà era completamente sconvolta per il fatto che Paz aveva appena detto "kriff". Quella era una parola che non aveva mai, mai sentito dire al suo dada, figurarsi da qualcuno della sua età. Solo i mercanti che passavano di tanto in tanto dal suo villaggio su Aq Vetina usavano quella parola, e comunque non la dicevano spesso.

Ma Din scosse la testa ed eseguì comunque le direttive di Paz, scegliendo di ignorare entrambe le fazioni del suo cervello per concentrarsi sul fare qualcosa, invece di aspettare stupidamente delle risposte alle sue molte domande. E spingere un letto contro il muro era qualcosa da fare. Prima non stava comunque dormendo, dopotutto.

Visto come stavano andando le cose quella notte, forse Paz avrebbe finito per rispondere a qualche sua domanda.

Paz accese in fretta il fuoco.

In pochi minuti la baracca fu calda e illuminata, con le fiamme che danzavano in mezzo alle ombre che lui e Paz proiettavano, seduti di fronte alla rientranza che fino ad allora conteneva solo ceneri. Adesso c'era un odore di fumo ancor più intenso, ma Din concluse che il tepore e la luce del fuoco compensassero quel fatto. L'aspetto della baracca non migliorò più di tanto – e non sembrava nemmeno così grande, anche riuscendola a vedere – ma almeno assomigliava a una casa, adesso, e non a una tomba.

«Ecco fatto. È venuto bene, se posso vantarmi, eh, Din?» Paz gli diede una gomitata nelle costole a coronare quell'affermazione, voltando il capo per guardarlo in faccia.

Din, sorpreso che Paz ricordasse anche solo il suo nome, annuì stolidamente. Di rimando, Paz si rigirò su se stesso per ispezionare il letto che aveva sistemato.

«Bene. L'hai pure messo nell'angolo, l'avrei fatto anch'io.»

Il Mandaloriano calò una mano sulla sua spalla e si alzò, lasciando lui inginocchiato di fronte alle fiamme.

«Allora? Che è successo al tuo buir?» chiese Paz, dopo essersi lasciato cadere sul letto, incrociando mollemente le mani dietro la testa. «Tornerà, no?»

Din fissò le fiamme con tutta l'intensità che poteva, con quella resistenza ormai familiare che spingeva le parole nel vuoto, ad essiccarsi nel petto. In testa gli frullavano ancora molte domande, però. Stuzzicò l'orlo inferiore dei pantaloni, sperando che Paz lasciasse cadere il discorso. Ma ormai avrebbe dovuto capire che quel Mandaloriano iperattivo non si arrendeva facilmente.

«Sai parlare, vero? Magari lui non è ancora il tuo buir... è solo il tuo cabur

Din non rispose, anche se una parte di lui avrebbe davvero voluto farlo. Paz aveva letteralmente trascinato un letto per mezza città solo per assicurarsi che lui non passasse la prima notte da solo. E, come con Raanan, quell'atto di gentilezza non richiesto doveva pur significare qualcosa.

E allora perché non riesco a parlare?
Perché mi sembra di dormire senza riposare?

«Ehi, ci senti o no?!»

Din colse l'irritazione nella voce dell'altro bambino e si girò, schiudendo la bocca.

«Non... non so cosa sia un buir. O... o l'altra cosa che hai detto.»

Paz lo fissò per un istante, per poi scoppiare a ridere, con la voce stranamente ovattata dall'elmo. Il Mandaloriano si tirò su a sedere e si spostò più vicino all'orlo del letto, lasciando penzolare i piedi e prendendo ad agitarli piuttosto vigorosamente, come se avesse troppa energia per rimanere fermo a lungo.

Ed era probabilmente così, concluse Din.

«Giusto. Ci avrei dovuto pensare. Non sei un trovatello da molto... non hai nemmeno un elmo. Scusa, bur'cya

Din scosse la testa. Non doveva scusarsi di nulla. Non ci capiva niente nemmeno lui, e forse non voleva farlo. Ci fu un silenzio imbarazzante e poi, sorprendendo persino se stesso, Din parlò:

«Ti togli mai l'elmo?»

Paz lo fissò.

«Non di fronte a qualcuno. Il tuo... cabur non te l'ha ancora spiegato? Non ti ha detto della Via di Mandalore?»

Una nota nuova s'insinuò nella sua voce mentre parlava, un sentimento più cauto e maturo di quanto avesse mai sentito nelle voci dei suoi amici su Aq Vetina. Ricordò ciò che gli aveva detto Raanan prima di arrivare lì:

Se fossi in te – per il tuo bene, intendo – terrei la bocca chiusa su qualunque dettaglio tu creda di conoscere riguardo a me, capito? In particolare, ciò che riguarda le mie abitudini con l'elmo.

«Non... non sono con lui da molto. Non mi ha d– davvero parlato di come sono i Mandaloriani.»

Non era una bugia. Raanan non aveva parlato praticamente di nulla, e Din aveva preferito così. Sperava solo che Paz non insistesse: e se questi guerrieri odiavano gli altri Mandaloriani che non seguivano le loro stesse regole? E se si fossero arrabbiati con lui? Aveva visto di cosa erano capaci, la loro violenza, e non voleva assolutamente mettersi nella posizione di riceverla sulla propria pelle – di nuovo.

Per fortuna, però, Paz non disse nient'altro in merito all'argomento. Il suo elmo graffiato s'inclinò lateralmente, verso il fuoco, e anche Din si trovò di nuovo catturato dai suoi movimenti ipnotici.

«Sai perché sono venuto qui, stanotte?»

Din percepì di nuovo quella solennità, quella cupa sicurezza, nella voce di Paz – un tono che Din aveva finora sentito solo negli adulti. Gli faceva strano, lo spingeva a guardare Paz in modo diverso, a considerare la peculiarità dei suoi improvvisi cambi d'atteggiamento, da energico e veemente a solenne e vagamente gentile.

«Il tuo cabur ha sbagliato a lasciarti qui. Non so da quanto sei con lui o da dove ti ha salvato, ma non importa. Dovrebbe essere qui con te... insegnarti la Via. Perché la Via è la cosa più importante di tutte per i veri Mandaloriani.»

Din storse la testa, con le domande che riprendevano a ribollire dentro di lui. Gli sembravano sbagliate, però. Sporche, come se la sua curiosità stesse riemergendo presto, troppo presto dopo ciò che era accaduto.

«Perciò, visto che lui non vuole farlo, ti insegnerò io tutto ciò che so, va bene?»

La voce di Paz riacquistò la sua nota giovane e leggera. Il bambino si lasciò scivolar giù dal letto sbilenco, che traballava e scricchiolava dopo essere stato maltrattato per farlo passare a forza per la porta. Venne a sedersi accanto a lui, rannicchiando le ginocchia al petto come volendo imitare lui, sebbene fosse più piccolo.

Din si limitò a guardare il fuoco, con un groppo in gola, le lacrime che gli pizzicavano gli occhi, incerto se parlare, sempre che fosse riuscito a trovare delle parole. Non guardò l'elmo di Paz, esplicitamente rivolto verso di lui e intento a leggere ogni emozione sul suo volto – tutte quelle che lui non poteva leggere sul suo. Le parole di Paz gli rimbalzavano in testa, assieme a una miriade di altre cose che non riusciva a focalizzare.

Fuoco–
La Via di Mandalore–
Droidi–
Ti insegnerò io tutto ciò che so–
Cabur, buir?
Raanan ha detto–
Casa–
Ti fidi?
Non piangere di nuovo ti prego non voglio–

Lacrime, pensò Din, avvertendo il loro arrivo nel flusso costante di pensieri, con improvvisa forza.

Non erano le lacrime violente, rabbiose che aveva versato nell'ultimo paio di giorni. Erano più simili a quelle che gli uscivano quando si sbucciava le ginocchia nel giocare coi suoi amici, o quando sbatteva il gomito contro la porta d'ingresso perché non faceva attenzione quando entrava di corsa. Si asciugarono in fretta, come allora, e magari grazie a loro si sarebbe anche sentito meglio.

Paz continuò a parlare, e Din scoprì di riuscire a seguirlo con più attenzione, rispetto a prima.

«Ti spiegherò come si vive qui. E ti piacerà... magari all'inizio no, ma alla fine sì,» disse, e poi si fermò, come se stesse scegliendo con cura le parole da pronunciare.

«In realtà è divertente, quando c'è altra gente. E anche se le lezioni di storia sono noiose e infinite, il mio buir dice che mi piacerà raccontarle, un giorno. E sarà così anche per te, forse.»

Ci fu un altro silenzio pesante e Paz annullò la piccola distanza che li separava per dargli un piccolo pugno sulla spalla.

«Mi stai ascoltando, mangiafango? Il mio buir ha detto che forse era una buona idea parlarti, invece di attaccarti, e ci sto provando. Con impegno.»

Din non aveva mai sentito nessuno usare la parola "mangiafango" e – a dispetto di tutto il dolore e la confusione che lo accompagnavano da giorni e nonostante non riuscisse ancora a forzarsi a parlare, Din percepì un minuscolo sorriso farsi strada sul suo volto nell'analizzare quella situazione, e come lo facesse sentire più leggero e un po' più lontano dall'affogare in onde che non riusciva nemmeno a capire o vedere.

Ma non è ancora troppo presto?
Come posso sentirmi meglio già da ora?

Scrutò l'elmo impenetrabile di Paz e pensò che nessuno dei due conosceva davvero l'altro. Pensò al modo violento in cui Paz si era presentato e poi gettò un'occhiata al letto che quel ragazzino si era trascinato appresso fino alla baracca sua e di Raanan – prima che Raanan se ne andasse. Din analizzò tutto ciò che Paz gli aveva detto e tutto ciò che gli avevano detto i suoi genitori qualche giorno prima e tutto ciò che aveva detto Raanan e–

Fu quello, a funzionare.

Il vuoto nel suo petto si ritirò per la prima volta da quando era apparso. Una pressione invadente svanì dal suo petto, invisibile, così pesante che non si rese conto della sua esistenza finché non scomparve. Il dolore e le lacrime erano ancora lì, ma c'era anche qualcos'altro. Il presentimento che forse le cose non sarebbero state così per sempre. Che forse un giorno sarebbe riuscito a respirare senza piangere, dormire senza sognare e sorridere senza sentirsi nero dentro.

Che forse non era – in quel momento – del tutto solo.

«Grazie,» disse a bassa voce, e l'elmo di Paz scattò verso di lui, colto di sorpresa. «Per essere venuto qui. E per il fuoco. Non– non volevo stare qui da solo.»

E quasi senza alcuna esitazione, Paz replicò:

«Questa è la Via.»

Din lo guardò di nuovo, indeciso se ripetere quelle parole – così come aveva fatto Raanan poco prima, titubando – poi decise che non c'era bisogno. Tornò a fissare il fuoco e rimasero seduti lì per un po', in silenzio. Din lasciò che la sua testa si riempisse dello scoppiettio delle fiamme e si accorse che ogni volta che le immagini del suo villaggio che andava a fuoco, dei volti dei suoi genitori che lo fissavano dall'alto, ammantane d'ombra e fumo – cominciavano a fare capolino, non doveva fare altro che concentrarsi sulla baracca, sul fuoco, sul fatto che ci fosse qualcuno seduto accanto a lui.

Farlo rendeva quei ricordi fumosi, ed era tutto ciò in cui poteva sperare, per stanotte.

Era così assorbito in quel tiro alla corda mentale, intento a scansar via i ricordi e ad ancorare i pensieri sul presente, che non notò i segni d'agitazione di Paz – il modo in cui batteva il piede a terra, in cui cincischiava con le mani, in cui spostava ripetutamente lo sguardo da un capo all'altro della baracca – finché una realizzazione improvvisa non colpì il Mandaloriano, facendolo esplodere d'energia repressa.

«Ho scordato le armi!» esclamò ad alta voce.

E così com'era iniziato, quel momento di quiete s'infranse e Paz era già balzato in piedi, aveva spalancato la porta ed era schizzato via nel buio esterno. Din non ebbe nemmeno il tempo di capire che cosa avesse detto che si ritrovò solo nella baracca, con una ventata d'aria fredda che approfittò della porta aperta per insinuarsi dentro, sulla scia di Paz.

Din non sapeva cosa aspettarsi, ma, neanche un minuto dopo, Paz tornò. Inciampò praticamente sulla soglia, con una sacca capiente e piuttosto piatta sulla schiena. Il Mandaloriano grugnì nel calciare chiusa la porta, poi issò la sacca dalla schiena, depositandola sul pavimento, sul quale impattò con un tonfo polveroso, illuminata dal fuoco. Paz rivolse lo sguardo verso Din, con un'aria di trionfo che si irradiava da ogni centimetro del suo corpo.

«Armi,» annunciò fermamente.

Din adocchiò la sacca con sospetto.

«Perché hai portato delle armi? Siamo in pericolo?»

Paz represse una risata a quella domanda e scosse con vigore la testa, come se trovasse ripugnante quell'idea.

«Ma no. Le ho portate per te

Din sentì la bocca secca.

«Per me?»

«Sì. Queste in realtà sono del mio buir, ma ho pensato che se devi diventare un vero Mandaloriano devi abituarti adesso. E se me lo chiede, dirò che sono stato io a dartele. Non preoccuparti.»

Ma Din era preoccupato.

«Io... io non ho mai usato un'arma. Non vo–»

«No, no, Din,» lo interruppe Paz, inginocchiandosi per slacciare le fibbie che tenevano chiusa la parte anteriore della sacca, simile a una bandoliera. «Questo è un regalo. E non si rifiuta un regalo da un amico, no?»

Il modo il cui l'elmo di Paz s'immobilizzò, col visore scuro puntato verso di lui, e quello in cui la sua voce sprofondò di una o due ottave nel pronunciare quelle parole, fecero pensare a Din che magari era proprio quello che voleva Paz: che lui rifiutasse quel regalo. Non sapeva cosa sarebbe successo se avesse davvero deciso di non accettare l'arma, ma d'un tratto non voleva scoprirlo.

Quindi rimase in silenzio, osservando Paz che finiva di aprire la sacca per poi allargarla, dispiegando le due ali laterali e rivelando quello che sembrava un vero e proprio arsenale privato di armi, da piccoli blaster a blaster più grandi e piccoli congegni meccanici – Din non aveva la minima idea di cosa fossero. Paz indicò con entusiasmo un blaster di media stazza:

«Questo è una pistola blaster BlastTech DL-44,» annunciò. «È un modello piuttosto nuovo, ma il mio buir dice che presto inizierà a diffondersi nella Galassia.»

Din fissò l'arma, cercando di non pensare all'entità dei danni che poteva causare – alle cose che avrebbe potuto bruciare e trapassare.

Paz indicò un'altra arma, stavolta una di quelle più grandi tra quelle disposte dinanzi a loro.

«E quellobur'cya, è un blaster WESTAR-35.» Paz fece scorrere un dito lungo la superficie lucida della pistola e riportò lo sguardo su di lui. C'era un innegabile sorriso nella sua voce, quando parlò: «La maggior parte di noi porta sempre con sé almeno uno di questi.»

Din rimase ancora un po' con lo sguardo fisso, mentre Paz sedeva sui talloni, oscillando avanti e indietro con le mani in grembo.

«Allora, quale?»

Din rialzò di scatto gli occhi.

«Cosa?»

«Quale arma vuoi, testa di secchio? Prendi quella che ti piace. Non ti obbligo a scegliere una piuttosto che un'altra, anche se ti consiglierei quel–»

Din deglutì e parlò prima che Paz potesse finire la frase:

«Non voglio un'arma. Dovrei... seguire la pace. Io non combatto.»

Un momento di silenzio denso seguì quelle parole pronunciate in fretta e Din abbassò lo sguardo, distogliendolo dalle armi. Quando Paz parlò di nuovo, la sua voce era meno vivace rispetto a prima, ma non per questo meno veemente. E non per questo scortese.

«Non devi usarla adesso. Prendine una e basta, va bene? È un buon primo passo, trovatello, come dice il mio buir. E non è troppo grande.»

Din guardò di nuovo le armi, con un senso di disagio che gli sbocciava nello stomaco, i palmi imperlati di sudore. Non voleva. Non voleva un'arma – non avrebbe combattuto. Non era un Mandaloriano. Non era pronto per tutto questo.

Mi dispiace, amma e dada. Non la userò. Lo faccio solo per Paz... perché è stato gentile con me.

Prima di poterci ripensare troppo, Din indicò una piccola scatoletta rettangolare, infilata in una stretta tasca all'angolo della bandoliera modificata.

«Quella lì,» mormorò.

Con sua sorpresa, Paz esitò.

«Quella. Davvero?»

Din guardò incerto il visore di Paz.

«Sì?»

Paz spostò lo sguardo sul piccolo pezzo che aveva indicato – forse il meno appariscente tra tutte le varie opzioni – poi scrollò le spalle, allungò una mano e lo tirò fuori dalla tasca. Lo rigirò tra le dita un paio di volte, per poi fissare di nuovo Din.

«Va bene, ma... non premere alcun bottone o cose del genere. Ti serve probabilmente un parabraccio prima di poterlo usare... e magari anche un po' di addestramento.»

Gli porse la scatoletta e Din la accettò titubante, esaminandola senza reale interesse.

«Che cos'è?»

«È, uh... la cartuccia di un lanciafiamme,» rispose Paz, richiudendo le ali del porta-armi.

Din sbarrò gli occhi.

«Cosa?»

«Cioè,» si affrettò a dire Paz. «Non è un vero lanciafiamme. Potrebbe funzionare anche senza il resto del meccanismo e la piastra del parabraccio, ma...»

Paz si alzò in piedi e si mosse incerto sul posto, squadrandolo dall'alto.

«Non so se possono esplodere a caso, quindi starei attento.»

Din deglutì e riportò gli occhi sulla cartuccia apparentemente innocua che stringeva in mano. In effetti era stranamente pesante, per le sue dimensioni, e riusciva a intuire dove si potesse connettere a qualcos'altro, sul fondo. E lì, a un'estremità, c'era un foro da cui suppose dovessero fuoriuscire le fiamme. Scosse delicatamente il congegno e sentì con un pizzico d'allarme lo sciacquio attutito di un liquido all'interno.

Si rialzò in fretta, mentre Paz si voltava. Aveva riposto la bandoliera in un angolo della baracca, con molta più attenzione di quando l'aveva portata dentro, e si stava sfregando pensosamente le mani, quando Din si rivolse a lui.

«Sei sicuro che posso tenerla?» chiese piano, quando gli sembrò che Paz lo stesse di nuovo guardando.

Paz gli fece un cenno con la mano e andò a sedersi sul letto. Il suo tono sembrò scocciato nel rispondere:

«Sì, sì. Mettila via, che dici? Io vado a letto.»

Din obbedì immediatamente, posando con cauta rapidità la cartuccia vicino alla sua borsa quasi vuota di fianco al giaciglio di coperte. Si ritrasse all'indietro, lontano dalla borsa e sul suo letto di fortuna, non appena l'oggetto lasciò le sue mani.

Quando rialzò lo sguardo, conscio che i suoi occhi fossero ancora spalancati e con l'impressione che nulla di ciò che era accaduto quella notte fosse reale, si ritrovò con il visore di Paz puntato addosso. Si accigliò.

«Che c'è?»

In tutta risposta, Paz sospirò – un sospiro lungo e sonoro.

«A quanto pare, bur'cya,» esordì, riversando una quantità enorme d'esasperazione sulla prima parte della frase, «dovrò davvero dormire per terra stanotte.»

Din inclinò di piò le sopracciglia, confuso. Si sentiva disorientato, con tutti quegli strani cambiamenti d'umore e d'argomento. E poi, Paz non aveva trascinato lì un letto per mezza città proprio per non dover dormire per terra? E non stavano parlando di armi, fino a un momento fa?

«Ma–»

«Zitto,» bofonchiò Paz, prima che Din potesse esprimere a parole la frase che gli era passata per la testa.

Paz incrociò le braccia e si puntellò contro il letto con quel tipo di aggressiva energia che, ormai Din l'aveva capito, era praticamente inscindibile da lui.

«Senti, so che mi sono portato dietro il mio letto. Ma tu sei un ospite, e il mio buir mi prenderebbe a schiaffi sull'elmo se sapesse che ti faccio dormire su quel misero mucchio di coperte. Per terra. Nella polvere

Din adocchiò il suo "misero" mucchio di coperte, realizzando ciò che intendeva dire.

«Sto bene così, sul serio,» disse in fretta. Ficcò più a fondo le gambe sotto le coperte a rafforzare quell'affermazione, ma dentro di sé sapeva che sarebbe riuscito a dormire meglio su un vero letto, piuttosto che sul pavimento duro. Eppure...

Paz non doveva rinunciare a stare comodo per far stare comodo lui: aveva già fatto abbastanza assicurandosi che non passasse la notte da solo. E a modo suo, considerò Din, anche lasciandogli scegliere per lui una delle armi del suo buir.

«No, invece.»

«Ma è vero, Paz. Non devi per forza...»

Senza preavviso, Paz si alzò dal letto e marciò verso di lui. Din non ebbe nemmeno il tempo di reagire che il Mandaloriano l'aveva già raggiunto, sollevato rudemente per il colletto e issato in piedi. Il suo elmo era a pochi centimetri dalla sua faccia, quando pronunciò il suo ultimatum:

«Stammi a sentire, bur'cya,» ringhiò, suonando molto più minaccioso di quanto non fosse prima. «Io dormirò per terra come uno schifoso topo rago, e tu dormirai sul letto. Punto e basta. Non voglio sentire storie.»

Paz lo spinse senza tante cerimonie verso il letto e Din vi inciampò sopra. Sentiva affastellarsi in testa ogni sorta di pensiero, e gli tambureggiava il cuore quando si voltò di nuovo a guardare Paz. Gli sembrava che gli occhi gli stessero per schizzar via dalle orbite.

Che sta succedendo?

Ma invece di guardarlo, Paz si stava già sdraiando, gettandosi addosso una delle sottili coperte che Raanan aveva portato. Din rimase a bocca aperta. Dopo qualche istante – durante il quale Paz si rigirò così da essere rivolto verso il muro – Din lo sentì parlare di nuovo:

«Che hai da guardare? So che non hai coperte per quel letto del kriff, ma non morirai di freddo. Servono a me.»

Din richiuse la bocca e deglutì. Guardò il letto e poi il bambino violento e imprevedibile che dormiva dove era rannicchiato lui nemmeno un'ora prima, quando Raanan si era alzato e l'aveva lasciato solo.

«Gr– grazie,» sussurrò, non del tutto sicuro che quella fosse una reazione appropriata per quanto appena accaduto.

Paz bofonchiò qualcosa di inintelligibile – ma senza dubbio scontroso – in risposta, e Din si mise a letto senza un'altra parola. Era molto più comodo del giaciglio per terra, anche senza coperte o un cuscino, e sentì i muscoli rilassarsi quasi subito. Sospirò involontariamente e chiuse gli occhi, accogliendo l'ondata di sfinimento che lo attraversò.

«Beh, buonanotte, bur'cya,» disse Paz, dopo qualche momento. La voce del Mandaloriano era ancora acida, ma non sembrava del tutto arrabbiato.

«B-buonanotte,» rispose a bassa voce Din.

Il fuoco scoppiettava e crepitava nel silenzio che li divideva, e Din ripensò a tutto ciò che era accaduto quel giorno. Si era svegliato con un peso così pesante sul petto... un qualcosa che sembrava dovesse sbriciolare ogni cosa che aveva dentro, come se lo stesse divorando dall'interno.

Ma alla fine della giornata – o meglio, nel bel mezzo della notte, considerò ironico – quel peso si era sollevato. Non del tutto, ovviamente, e quando batteva le palpebre vedeva ancora l'attacco al suo villaggio e sentiva le voci dei suoi genitori sfiorargli l'orecchio, ma non erano più cose che lo paralizzavano. Non gli facevano più sentire il petto che si strappava in due.

Adesso, mentre rimaneva disteso lì nel lucore del fuoco, sentendo il sonno che accarezzava i margini della sua coscienza in un modo che accolse, sentendo il cuore che rallentava e prendeva un ritmo stabile, respirò liberamente.

Non capiva ancora cosa stesse succedendo – le azioni di Paz avevano portato più domande che risposte – ma sapeva di potersi fidare del Mandaloriano. Anche se il suo compagno tendeva a favorire la violenza alla pace anche per le faccende più semplici, quel bambino non aveva dato alcun segno di volergli davvero fare del male.

E lui era rimasto... l'aveva cercato, mentre Raanan non l'aveva fatto.

Era un bene, no?

Mentre il sonno lo conquistava del tutto e Din trovava impossibile opporsi all'incoscienza, anche se la situazione in cui si trovava era lontana dall'essere ideale o anche solo accogliente, i ricordi e le domande che baluginavano dietro le sue palpebre finirono per dissolversi. E si udì pronunciare un'unica domanda, che si era rifiutata di andar via finché non fosse stata pronunciata ad alta voce:

«Che vuol dire bur'cya

Il fuoco s'impennò d'un tratto, lanciando una favilla sul pavimento con un forte scoppiettio, seguito da un fruscio mentre il legno si riassestava. Din combatté la totale incoscienza e tese le orecchie per udire la risposta...

Ma l'ho detto davvero?

E poi una voce si fece largo nel buio, di nuovo calma, traboccante di una sicurezza adulta e non dell'irreprimibile esaltazione del giovane Mandaloriano che aveva avuto modo di conoscere in quella singola ora.

«Amico,» disse semplicemente Paz.

Amico, pensò Din, coi pensieri che si facevano soffici e sfuggenti, come i fili in fuga dei sogni. Le sue palpebre si chiusero del tutto, bloccando fuori il mondo e tutte le sue difficoltà, scivolandolo nel primo, vero riposo dalla tragedia di Aq Vetina.

Bur'cya vuol dire amico.


 

"Di nuovo parlò loro:
«Io sono la luce del mondo;
chi segue me, non camminerà nelle tenebre,
ma avrà la luce della vita».
"
[Giovanni 8:12]

 

Tradotto da The Way Forward – Chapter 6: A Voice Through the Dark di Roanoke_Wilde da _Lightning_  



Note di traduzione&Glossario
Buir: padre, madre (genitore)
Cabur: guardiano, protettore
Mangiafango: mudscuffer, liberamente tradotto
Testa di secchio: buckethead, ripreso da Rebels
BlastTech DL-44: il modello di blaster di Han Solo
WESTAR-35: i tipici blaster Mandaloriani
NB. I congiuntivi mancati, i colloquialismi ed eventuali ripetizioni sono tutte cose volute, così da rendere il modo di parlare e i pensieri di due bambini.

Note della Traduttrice:

Cari Lettori,
rieccoci qui col nuovo capitolo, stavolta un po' più consistente.

Ci stiamo avvicinando all'ultimo capitolo pubblicato dall'autrice originale, per questo sto rallentando il ritmo di pubblicazione, così da non arrivarvi a ridosso e mettere fretta a Roanoke.
Sto considerando se dividere l'ultimo in due parti: su AO3 la media è devastantemente lunga rispetto a EFP e Wattpad, ma mi consulterò con l'autrice per vedere se è d'accordo ♥

Grazie a tutti voi che leggete, commentate e votate questa storia. Non dimenticate, se non l'avete già fatto, di lasciare un kudos a Roanoke_Wilde, trovate sempre il link a piè di pagina!

Alla prossima!

-Light-

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: Roanoke_Wilde