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Autore: _u_to_pi_a_    10/04/2021    0 recensioni
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Nella quale Chuuya si ritrova ad avere uno strano rapporto ambivalente con un ciliegio.
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"Ho ucciso un fiore stanotte" sussurrò il ragazzo come se fosse il più sporco dei peccati.
"Io ho osservato il cielo questa sera" bisbigliò l'altro, ignorando, in apparenza, le parole del rosso.
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Started & Finished: 20/04/20
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Bicchieri svuotati e cieli stellati

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Il fulvo strisciava lentamente tra le fronde dell'albero, riempiva i vuoti delle foglie con la sua figura minuta, la pelle bianca, porcellana talmente chiara da far intravedere un reticolo di vene bluastre che andava attorcigliandosi sottopelle, stonava con la natura linfatica delle foglie che lo circondavano. I fili rossicci dei suoi capelli diventavano rame quando i barlumi di luce lunare, che superavano l'intricato labirinto di rami e foglie, si riflettevano su di essi. Nonostante queste contrapposizioni, il giovane si incastrava a meraviglia in quell'albero, sembrava che quest'ultimo fosse nato appositamente per raccoglierlo, avvolgerlo, e Chuuya amava raggomitolarsi all'interno di quegli arti fatti di corteccia e linfa.

Ogni tanto, mentre se ne stava sdraiato lì, con le gambe a penzoloni che dondolavano nel vuoto, credeva che l'albero gli sussurrasse cose; discorreva di limoni maturi e di formiche lavoratrici, dell'inquinamento dell'aria e della terra e delle acque, colloquiava di come alcuni uccelli partissero alla ricerca del caldo quando arrivava l'inverno e di come lui, invece, si sentisse nudo e vulnerabile senza le sue foglie che lo rivestivano. Per questo il ciliegio preferiva la primavera, credeva di avere l'abito che gli donasse di più, abbigliato di fiori piccoli e leggeri, colorato dalle tonalità del rosa pastello e del bianco avorio.

Chuuya lo ascoltava con piacere, le parole dell'altro gli entravano dentro come il vino inibisce i sensi di chi lo degusta, e il rosso, se ne intendeva del liquido ambrato che da secoli irretisce la volontà umana con il suo calore e le sue false promesse.

Anche il ragazzo credeva nelle false promesse che l'alcool endovena gli suggeriva. Non poche volte, dopo una serata passata a versare il distillato sanguineo dentro a calici troppo trasparenti per essere veritieri, si era ritrovato a cercare il suo ciliegio e a sproloquiare insensatamente sulla vita che lo intrappolava.

L'albero lo ascoltava impassibile, non comprendendo appieno i sentimenti di quella creatura, così diversa, così fragile e allo stesso tempo così potente e bella. Perché Chuuya era bellissimo, con i suoi fulvi ricci, la pelle lattea, gli occhi cerulei e i tratti androgini. Il suo sguardo era ardente, come un incendio che divampa furioso e sembrava accendere una miccia all'interno del ciliegio, che apprezzava però anche le braci, calde e confortevoli, di quando il ramato con placida compostezza dissipava la matassa fatta di fuoco liquido e pensieri troppo ingombranti.

Gli scomodi macigni che appesantivano Chuuya si dissolvevano quando era con il suo albero, nel suo stato di eterna ubriachezza si cibava della vita di quest'ultimo. Lui così minuto da poter essere spezzato da una folata di vento, lui che al contempo era in grado di far cigolare ossa e vomitare sangue a chi osava andargli contro. Il fulvo era un ingordo. Vorace, si era nutrito della sua esistenza troppo velocemente, così ne succhiava l'essenza agli altri, inducendoli a inaridirsi, mentre lui sperperava e dilapidava finché anche l'ultima goccia non era già svanita.

Il ciliegio si lasciava prosciugare, assuefatto all'insaziabilità dell'altro e indifferente alle sorti di una vita prolungata per inerzia, permetteva che il giovane intaccasse ogni sua difesa e lo usasse per i propri scopi.

D'altronde anche l'albero si serviva del rosso. Lui che simboleggiava parte della vita stessa, non era in grado di vivere. Semplicemente si lasciava trascinare da essa, indolente e incurante di ciò che gli era attorno, sapeva molte cose, questo era vero, ma ne era al corrente solo per pura apparenza, non per una vera sete di conoscenza. Egli non era in grado di far sue le nozioni che aveva appreso nel corso degli anni, non era in grado di comprenderle perché il suo animo vuoto era troppo distante da quella realtà.

Perciò si aggrappava con forza alla passione per la vita del rosso, lo artigliava con le sue radici e lo studiava, come faceva con tutto ciò che gli si poneva dinanzi, sentendolo vicino a causa della stessa ingordigia che li animava, seppur diametralmente opposta.

L'uno si serviva dell'altro, in un circolo vizioso che si componeva e si sgretolava, instabili castelli di sabbia in riva al mare, che a un'onda più violenta o a un vento più veemente si disfacevano, per poi essere ricostruiti da mani infantili il giorno successivo.

Chuuya si sentiva soffocare da quell'attaccamento così morboso ogni giorno, e ogni giorno s'imponeva di non andare da quella dannata pianta, di non avvicinarsi più del dovuto, aveva pensato di farlo bruciare tra benzina e fiamme o di spezzarlo in due parti senza vita con la motosega, ma puntualmente tornava, trasportato da quelle mani invisibili che li legavano l'uno all'altro, inscindibilmente squilibrati.

Allo stesso modo il ciliegio si era adoperato diverse volte per comportarsi come un normale albero ai suoi occhi, ma troppo attratto non era capace di mantenere quelle mura di vento e finzione, che cedevano quando il rosso arrivava barcollante, con in mano una bottiglia pressoché vuota di un qualche vino pregiato, gli occhi cerulei coperti dal consunto cappello e i riccioli fulvi che incorniciavano il volto pallido rischiarato dalla luna.

Così era accaduto quella notte, Chuuya, ebbro di un Petrus del 74 stappato proprio quella sera, si trascinava tra l'erba che gli arrivava a metà polpaccio verso il suo albero, con in mano un calice già usato e la bottiglia svuotata per metà.

Il ciliegio attese spasmodico l'arrivo del fulvo, se ne stava rendendo conto poco a poco, ma ormai dipendeva da quella presenza effimera e fugace, che come uno spirito vagava nei meandri delle sue ossa fatte di legno puro e linfa sporca, macchiata dalla vergogna del suo peccato, quello che aveva agognato per un lasso di tempo che gli era apparso pressoché infinito, e che nel culmine della sua lieve esistenza si era accaparrato con lo scarso interesse che lo contraddistingueva.

E il rosso lo raggiunse, ignaro e consapevole dei pensieri e delle parole non pronunciate dall'albero, con tutta l'intenzione di farsi un bel bicchiere di vino con la partecipazione di quello che a poco a poco stava diventando l'elemento essenziale alla sua esistenza, passeggera e vana come quella dell'altro.

Così il fulvo, appoggiatosi con la schiena sull'infimo ciliegio, aveva disteso i muscoli addominali e prendendo un sospiro di sollievo per quella vicinanza tanto ambita, si era comodamente stravaccato e aveva scoperto il volto aggraziato e piacente che attirava gli sguardi indesiderati degli sconosciuti, i quali ammaliati da un aspetto talmente armonico, si lasciavano abbindolare da una creatura così amena.

Poggiato il copricapo sul terreno, nel quale impetuose affondavano le radici dell'albero, Chuuya prese con delicatezza innata la bottiglia e versò il contenuto ambrato all'interno dell'elegante calice in vetro, che ancora presentava i rimasugli dei precedenti brindisi solitari che il giovane sovente praticava.

Fece roteare il liquido scarlatto che acquisiva riflessi più chiari a causa della luce lunare, il vino venne poi versato in parte nella sua gola e in parte ai piedi dell'albero. Il ciliegio succhiò con avidità l'offerta dell'altro, se ne macchiò le labbra e s'immerse profondamente nei peccati del rosso, desiderando di assaporare il torbido che scorreva nelle vene di quell'essere ingannevole, Dazai fremeva all'idea che Chuuya gli concedesse il privilegio di spillare, una ad una, le sue colpe.

"Ho ucciso un fiore stanotte" sussurrò il ragazzo come se fosse il più sporco dei peccati.

"Io ho osservato il cielo questa sera" bisbigliò l'altro, ignorando, in apparenza, le parole del rosso.

"Dazai,"- lo chiamò Chuuya con fermezza- " ho imbrattato l'erba con il mio sudiciume immorale e con volgare consapevolezza l'ho schiacciata brutalmente, e ho divorato insaziabile fino alla sua ultima goccia di vita, quando ho ripreso il senno, era spezzata a terra, esangue e fredda, impiastricciata da quello che fino a pochi attimi prima recapitava efficientemente l'ossigeno nelle sue membra".

Il ciliegio non rispose a quell'affermazione, intuita sin da quando il rosso era giunto barcollante, piuttosto rivolse nuovamente lo sguardo alla volta celeste, notando, poco dopo, che anche il fulvo vi aveva posato gli occhi.

"Chuuya,"- disse Dazai con voce sorprendentemente palpitante- " hai arrecato enorme piacere alla mia gola affamata di peccato, mi aggrappo a te, che permetti alla mia anima di macchiarsi di sozzure e lerciume, grazie a te riesco ancora a cibarmi delle perversioni da cui tanto ero ossessionato in vita, come anche adesso nella morte. È solo per te che continuo a trascinare la mia indecente esistenza in questa forma, nonostante abbia commesso più peccati di chiunque altro, e brami più di ogni altra cosa il sonno eterno, che pensavo di aver raggiunto molto tempo fa appendendomi fra i rami di questo delizioso ciliegio. Permettimi di fare un altro tentativo, ora che sono sazio dei tuoi crimini, mi struggo al pensiero della fine, perciò chiedo a te di farmi estinguere, di nutrirti dell'esistenza che mi rimane".

Chuuya rimase in ligio silenzio, assorto e troppo impegnato a guardare il cielo estivo che rivestito di stelle si manifestava con superba superiorità nei loro occhi avidi. Osservata quella distesa ancora un'ultima volta, si rivolse con il busto sporco di sangue al compagno, e stampò un lieve bacio sulla corteccia umida a causa della freschezza che permeava nell'aria notturna.

Dopodiché prese dal taschino del suo panciotto una piccola, quasi inesistente pillola, la fece disciogliere nel vino rimasto e con tranquillità versò il contenuto che s'infiltrò nel terreno sottostante. L'albero emise un verso sincopato e mentre le gocce di veleno risalivano dalle radici l'interno del suo corpo, passando per i vasi linfatici che attraversavano il tronco, Dazai fece risuonare nell'aria una lieve risata, pungente e spinosa, nel vedere come Chuuya tentava di annodare una corda fra i suoi rami.

"Credo di amarti,"- disse il giovane flebilmente, mentre indossava il cappio al collo, pronto a saltare nel vuoto per l'ultima volta-"sei troppo necessario alla mia esistenza per permetterti di dileguarti senza di me".

Dazai, ormai debilitato irrecuperabilmente dalla presenza del liquido nocivo, sussurrò:

"Credo di amarti anch'io Chuuya, i tuoi crimini sono troppo impuri che ne sono diventato totalmente avvezzo, sono assolutamente incapace di non assaporare le tue labbra che sanno di vino e di torbidezza, ne sono irrimediabilmente assuefatto".

Solo il cielo e la campagna bucolica che li circondavano erano testimoni di quelle dichiarazioni malate, che celavano un sentimento di putrida ossessione e di tossica dipendenza l'uno dall'altro, di quelle sensazioni immorali che pervadevano gli animi affini, e al contempo dissimili dell'improbabile coppia di amanti, che sprezzanti ricercavano nell'oblio l'unica strada per vivere serenamente, per non sentire quelle voci che suggerivano indecenze e oscenità, per esaudire il desiderio di riempirsi e svuotarsi dei fili che l'esistenza aveva cucito loro addosso.

Numeri primi che avevano trovato il loro gemello nell'altro, terre aride alla ricerca d'acqua d'assorbire voracemente, esseri umani che s'incastravano meravigliosamente l'uno con l'altro, ma che non riuscivano a ingranare con il resto delle parti e troppo spezzati per proseguire si erano finalmente lasciati sospingere nel lato contaminato del loro essere.

Fu così che quando il corpo di Dazai esalò l'ultimo sospiro, le membra di Chuuya si contrassero in un'ultima vile movenza e appese al vuoto soffocarono l'ultimo rantolo di vita del giovane.

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@_u_to_pi_a_
è lieta di presentarvi questo misto di frasi senza senso sulla Soukoku.
Parlando seriamente, non so neanch'io cosa vuole raccontare questa storia, semplicemente è nata, però sono abbastanza soddisfatta di averla scritta, nonostante, a mio parere, manchi qualcosa (se trovate questo qualcosa prima di me ditemelo please) e niente ho pubblicato una storia anche su questa piattaforma e ne sono felice :)
Fatemi sapere cosa ne pensate e mi scuso se i personaggi sono un po' OOC, ma non ho saputo descriverli in altro modo lol.
Inoltre, non so quanto vi possa interessare, ma ho pubblicato questa storia anche sul mio profilo wattpad, l'account ha lo stesso nome, perciò se vi dovesse interessare o per future storie mi trovate lì, dato che sono un po' più attiva rispetto a efp.
Per sempre vostra,

@_u_to_pi_a_ ♡♡

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